Mafioso chiede il risarcimento per ingiusta detenzione: la Cassazione dice no

Per la Suprema Corte non ci sono dubbi chi abbia partecipato ad un rito di associazione mafiosa pone in essere un comportamento gravemente colposo valutabile ai fini del diniego del riconoscimento dell’indennizzo per ingiusta detenzione .

I fatti sottesi al caso di specie riguardano la possibilità, per un esponente delle cosche mafiose, di ottenere il risarcimento del danno per ingiusta detenzione . La questione, già ampiamente analizzata dalla giurisprudenza della Corte, se pur in relazione a casi diversi rispetto a quello qui esposto, nasce dal ricorso proposto da Tizio al fine di ottenere il risarcimento del danno per ingiusta detenzione ex art. 314 c.p.p. a seguito di due assoluzioni. Ma procediamo con ordine Tizio si trovava ristretto in custodia cautelare in carcere - in regime di massimo rigore - in relazione ai delitti di associazione mafiosa , omicidio pluriaggravato e trasferimento fraudolento di valori. L'indagato veniva ritenuto membro di spicco, insieme al padre, all'interno dell'associazione criminosa denominata ndrangheta operante nel mandamento ionico. Le accuse, precise e dettagliate, provenivano dalle dichiarazioni testimoniali di due collaboratori di giustizia che indicavano Tizio come membro appartenente alla stessa cosca mafiosa del padre. Venivano inoltre resi particolari sul cerimoniale di battesimo di Tizio all'interno del medesimo clan, nel quale assumeva il ruolo di picciotto . La Procura calabrese accusava il picciotto di aver partecipato, unitamente al padre, alla programmazione e all'uccisione di Sempronio. Due gli elementi a sostegno del P.M. l'aver partecipato ad un summit finalizzato alla decisione di procedere al piano omicidiario, e le intercettazioni telefoniche tra padre e figlio, nell'immediatezza dell'omicidio, nelle quali il primo consigliava al secondo di rientrare a casa e di non avvicinarsi se avesse visto bordello . All'esito del dibattimento, Tizio veniva assolto per non aver commesso il fatto , con conseguente scarcerazione. La Corte d'assise d'appello confermava l'assoluzione. Tizio si dichiarò estraneo ai fatti, ma confermò la propria presenza al summit nel quale venne presa la decisione di procedere all'uccisione di Sempronio. Tizio, pertanto, propone istanza di riparazione per ingiusta detenzione dinnanzi alla Corte d'appello di Reggio Calabria la quale, dopo un'ampia disamina del caso, ne pronuncia il rigetto. Ad avviso della Corte territoriale, sussiste una grave condotta colposa dell'indagato, limitatamente al delitto di associazione mafiosa, in considerazione del dimostrato inserimento nel contesto delinquenziale del gruppo associativo, desunto dalla rituale affiliazione con dote di picciotto , ritenuta pienamente accertata dalle due sentenze di merito, ma non sufficiente ad integrare il delitto associativo, in mancanza di prova del ruolo dinamico e funzionale svolto all'interno dell'associazione . Tizio si rivolge allora alla Corte di legittimità. I Giudici, dopo un'ampia disamina del caso, e dopo un'articolata rassegna delle pronunce di legittimità in materia di risarcimento del danno per ingiusta detenzione, ne dispone il rigetto. La Cassazione rileva, preliminarmente, che in riferimento all'accusa di partecipazione alla ndrangheta, la Corte reggina, nelle oltre 400 pagine di sentenza assolutoria, abbia dato per provata l'appartenenza di Tizio. Difettava tuttavia la prova di un ruolo dinamico e funzionale all'interno della cosca di riferimento, necessario a ritenere sussistente la condotta associativa alla luce della giurisprudenza di legittimità. Sulla base di rilievo fattuale si inserisce il consolidato orientamento delle Sezioni Unite, secondo cui il giudice, nell'accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all'equa riparazione per ingiusta detenzione , consistente nell'incidenza causale del dolo o della colpa grave dell'interessato rispetto all'applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico Cass. pen., Sez. Unite, n. 32383/2010 . Tale è appunto il caso di chi abbia partecipato ad un rito di affiliazione mafiosa - circostanza ritenuta certa sulla base di quanto affermato da due collaboratori di giustizia, ritenuti pienamente attendibili e credibili dai giudici dell'assoluzione-che rappresenta un comportamento extraprocessuale stimato rilevante quanto meno - come frequentazione ambigua con soggetti coinvolti in traffici illeciti o comunque come condotta idonea da essere interpretato come indizio di complicità nel reato associativo. Afferma la Corte, richiamando i principi già affermati dalla Legittimità, che, diversamente da quanto sostiene il ricorrente, l'affiliazione ad un sodalizio criminale di tipo mafioso è un quid pluris rispetto alle frequentazioni ambigue, ossia quelle che si prestano oggettivamente ad essere interpretate come indizi di complicità, che per giurisprudenza pacifica di questa Corte, quando non sono giustificate da rapporti di parentela, e sono poste in essere con la consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti, possono dare luogo ad un comportamento gravemente colposo idoneo ad escludere la riparazione stessa Cass. pen., sez. IV, n. 1235/2013 , Cass. pen., sez. IV, n. 51722/2013 , Cass. pen., sez. III, n. 39199/2014 Può dunque affermarsi il principio di diritto secondo cui chi abbia partecipato ad un rito di affiliazione mafiosa -evenienza che costituisce un quid pluris rispetto alle frequentazioni ambiguepone in essere un comportamento gravemente colposo valutabile ai fini del diniego del riconoscimento dell'indennizzo per ingiusta detenzione . La Corte rigetta il ricorso con conseguente condanna alle spese.

Presidente Piccialli / Estensore Pezzella Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Reggio Calabria, con ordinanza del 9/2/2023, ha rigettato la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata ex art. 314 c.p.p. dall'odierno ricorrente, S.l. , subita dall' [ ] in regime di custodia cautelare in carcere in relazione ai delitti di associazione mafiosa capo a dell'incolpazione provvisoria , omicidio pluriaggravato capo c e trasferimento fraudolento di valori capo h relativamente all'intestazione della S. s.r.l. quest'ultima impresa fu posta sotto sequestro in pari data . In data 10/8/2012 lo S. rendeva interrogatorio. Il 6/2/2013 il GIP presso il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato la richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare avanzata dalla Difesa. Successivamente, in sede di appello avverso provvedimento di rigetto della revoca della misura, il 5/7/2013 il tribunale del riesame ha escluso la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione ai capo relativo all'omicidio. All'esito del dibattimento, lo S. è stato assolto per non aver commesso il fatto dai reati di cui ai capi a e c e perché il fatto non sussiste da quello di cui al capo h , con conseguente scarcerazione, dalla Corte di Assise di Locri da tutti gli addebiti il 25/5/2015. La Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria, sull'appello proposto dal PG, ha confermato l'assoluzione che è divenuta irrevocabile l'8/3/2019. 2. All'odierno ricorrente venne applicata la misura di massimo rigore nell'ambito del proc. n. 3190/09 RGNR DDA, c.d. omissis . Lo S., nella ricostruzione accusatoria originaria, era accusato di partecipazione, insieme al padre C. e a L.C.G. , alla ndrangheta operante nel mandamento ionico. A carico di S.l. i principali indizi erano costituiti dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia B. e P. . Il primo aveva indicato il figlio di S.C. come appartenente alla cosca in cui era inserito il padre. Il secondo, P. , aveva reso dichiarazioni convergenti e molto più dettagliate, narrando le precise circostanze in cui era stato battezzato con la dote di picciotto il figlio di S.C. , l. . La tesi d'accusa originaria, condivisa da GIP distrettuale, era quella secondo cui S.l. fosse stato coinvolto, insieme al padre, anche nella programmazione dell'omicidio consumato ai danni di V.D. . Ciò in base a due elementi i. la presenza dello S. nel corso di un summit, il omissis , finalizzato alla decisione di procedere con il piano omicidiario 2. le conversazioni telefoniche intercorse tra gli S. padre e figlio nell'immediatezza dell'omicidio, in cui il primo consigliava al secondo di rincasare e di non avvicinarsi dove avesse visto movimento bordello . Tali indizi erano originariamente posti a fondamento dell'accusa nei confronti dell'odierno ricorrente di concorso nell'omicidio V. . Lo S. , inoltre, secondo la prospettazione cautelare, si era prestato quale testa di legno per l'intestazione della S. s.r.l., in realtà impresa nell'esclusiva disponibilità di L.C. , titolare di un'impresa analoga, la [ ]s.r.l., che tuttavia era sotto sequestro e amministrazione giudiziaria. Dopo l'esecuzione dell'ordinanza di custodia, lo S. si sottopose all'interrogatorio di garanzia rispondendo a tutte le domande, professandosi innocente e dichiarando a. di aver creato un'impresa, la S. s.r.l., dopo la laurea triennale con l'aiuto del padre e di avere intrattenuto rapporti commerciali con la società [ ] ossia con gli amministratori giudiziari b. di non essere mai stato affiliato alla ndrangheta e di conoscere P. solo di vista c. di non conoscere neppure L.C.G. e di disconoscere il rapporto tra quest'ultimo ed il padre d. di non avere mai partecipato a riunioni mafiose e. che nel giorno dell'omicidio di D. V. vi era stata altresì un'alluvione che aveva distrutto alcune zone dell'azienda di famiglia e che le raccomandazioni telefoniche del padre erano riferite a tale evento. In sede di appello avverso la richiesta di revoca della misura, S. fu scarcerato in relazione al capo C , ossia all'imputazione di concorso nell'omicidio V. , ritenuta l'insufficienza degli indizi a sostenere che avesse fornito un contributo anche solo morale all'evento dall'intercettazione ambientale del OMISSIS non poteva desumersi l'effettiva partecipazione di S.L. al momento del summit, svoltosi in luogo diverso da quello ambientalizzato lo stesso collaboratore B. non aveva fatto menzione di S.l. tra i partecipanti peraltro S.l. , battezzato con la dote di picciotto , non era abilitato a prender parte a decisioni di simile rilievo criminale le conversazioni tra padre e figlio non aggiungevano in tale quadro dati decisivi . Il titolo cautelare,, tuttavia, era stato confermato con riferimento all'intestazione fittizia ed all'associazione mafiosa. 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, lo S. che propone, quale unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall' art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p. , violazione degli artt. 314 e 315 c.p.p. e vizio motivazionale. Il ricorrente ricostruisce la vicenda processuale che lo ha interessato evidenziando di aver spiegato, fin dall'interrogatorio di garanzia, la propria estraneità ai fatti. Il suo coinvolgimento -prosegue il ricorsosarebbe nato dalla partecipazione al summit del 27/8/2009 durante il quale si decideva l'omicidio di V.D. , poi avvenuto il OMISSI S e l'intestazione fittizia della S. srl, società unipersonale, ritenuta di proprietà effettiva di L.C.G. . Vengono riportate le motivazioni delle due sentenze di assoluzione evidenziando che a supporto della tesi accusatoria, fondata sulla necessità per L.C.G. di costituire una nuova società, che costituisse una longa manus nella gestione degli appalti pubblici, a seguito del sequestro preventivo della ditta individuale N.E. e della società [ ] non è mai stato dimostrato nè che l'acquisto del terreno e dell'impianto di L.R. sia avvenuto con mezzi finanziari riconducibili a L.C.G. nè che vi sia stato alcun rapporto tra L.R. e L.C.G. in relazione al terreno e all'impianto venduti allo S. . La S. srl - evidenzia il ricorsonon ha mai operato lavori pubblici ne è stata subappaltatrice o fornitrice, o ha mai stipulato contratti di nolo con la [ ] srl. I collaboratori di giustizia Belnome e P. nulla hanno detto sulla riconducibilità dell'impianto di proprietà della S. a L.C.G. . Si sottolinea l'assoluta mancanza, fin dall'inizio, dei presupposti per l'adozione della misura e l'assenza di qualsiasi condotta che abbia concorso all'ingiusta detenzione. Ci si duole che, in violazione della norma riparatoria, l'impugnato provvedimento abbia fondato il rigetto dell'istanza unicamente sull'affiliazione omettendo di valutare le variabili comportamentali e strumentali allo scopo associativo. Si richiama la sentenza di questa Corte a Sezioni Unite n. 36958 del 27/5/2021 Modaffari Rv. 281889 sulla valutazione dell'affiliazione rituale quale indizio della condotta partecipativa, invocando l'applicazione dello stesso principio anche in sede di valutazione della colpa concausativa della custodia cautelare. Si lamenta l'assenza, nell'impugnato provvedimento, di una completa e complessa valutazione comportamentale della condotta assunta dal ricorrente tale da conferire significato al rito affiliativo. Certamente -si sostienenon può ritenersi il giuramento di mafia sufficiente a qualificare la mafiosità di una solidanza che si tende a costruire. Ci si duole che la Corte reggina non abbia fornito adegualo riscontro ai motivi dell'istanza riparatoria e non abbia indicato la reale condotta c olposa addebitata al ricorrente. La condotta oggettivata nel provvedimento -è la tesi che si sostiene in ricorso-non può ritenersi una frequentazione ambigua nè può avere avuto un'azione si-nergica con l'applicazione della misura cautelare in quanto non sono stati nemmeno delineati i profili di una contiguità con l'associazione criminale. La relazione causale tra la condotta dell'interessato e l'adozione della misura viene definita evanescente. Si contesta la mancata indicazione delle ragioni per cui l'affiliazione possa essere stata intesa dall'autorità giudiziaria come collegata allo svolgimento di un'attività criminale effettiva o piuttosto come una generica manifestazione di disponibilità a favore dell'associazione ndranghetista. La condotta ritenuta ostativa, deve avere la potenzialità di indurre in errore l'autorità in relazione allo specifico reato per cui viene disposta la misura, mentre nel caso che ci occupa la colpa è stata ritenuta dimostrata senza alcuna verificazione ex ante. Chiede, pertanto, l'annullamento della ordinanza impugnata, con le statuizioni consequenziali. 3. Il PG presso questa Corte ha reso le conclusioni scritte ex art. 611 c.p.p. riportate in epigrafe. Considerato in diritto 1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati. Per contro, l'impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice della riparazione per negare il chiesto indennizzo e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo la Corte territoriale valutato il comportamento colposo dell'odierno ricorrente ed essendo pervenuta alle proprie conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità. La Corte territoriale ha rigettato l'istanza di riparazione per ingiusta detenzione ritenendo sussistere una condotta gravemente colposa dell'indagato, limitatamente al delitto di associazione mafiosa, che pure costituiva titolo cautelare, in considerazione del dimostrato inserimento del prevenuto nel contesto delinquenziale del gruppo associativo, desunto dalla rituale affiliazione con dote di picciotto , ritenuta pienamente accertata dalle sentenze di merito, ma non sufficiente a integrare il delitto associativo, in mancanza di prova del ruolo dinamico e funzionale svolto all'interno dell'associazione. Ne deriva che il proposto ricorso va rigettato. 2. Non sussistono i vizi di legittimità lamentati, in quanto il giudice della riparazione offre una congrua motivazione, priva di aporie logiche, in ordine ai motivi del rigetto, facendo buon governo della costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui, in tema di equa riparazione per ingiusta detenzione costituisce causa impeditiva all'affermazione del diritto alla riparazione l'avere l'interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all'instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare art. 314, comma 1, ultima parte, c.p.p. e che l'assenza di tale causa, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all'equa riparazione, deve essere accertata d'ufficio dal giudice, indipendentemente dalla deduzione della parte cfr. sul punto questa Sez. 4, n. 34181 del 5/11/2002, Guadagno, Rv. 226004 . In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato che, in tema di presupposti per la riparazione dell'ingiusta detenzione, deve intendersi dolosa - e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all'indennizzo, ai sensi dell'art. 314, comma 1, cod. proc. peri. - non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell' id quod plerumque accidit secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell'autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo Sez. Unite n. 43 del 13/12/1995 dep. il 1996, Sarnataro ed altri, Rv. 203637 . Poiché inoltre, la nozione di colpa è data dall' art. 43 c.p. , deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del predetto comma 1 dell' art. 314 c.p.p. , quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell'autorità giudiziaria che si sostanzi nell'adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso. vedasi anche Sez. 4, n. 43302 del 23/10/2008, Maisano, Rv, 242034 . E ancora le Sezioni Unite, hanno affermato che il giudice, nell'accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all'equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell'incidenza causale del dolo o della colpa grave dell'interessato rispetto all'applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico Sez. Unite, n. 32383 del 27/5/2010, D'Ambrosio, Rv. 247664 . Sempre il Supremo Collegio ha ritenuto di dover precisare ulteriormente che in tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, ai fini del riconoscimento dell'indennizzo può anche prescindersi dalla sussistenza di un errore giudiziario , venendo in considerazione soltanto l'antinomia strutturale tra custodia e assoluzione, o quella funzionale tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della libertà personale potrà considerarsi ingiusta , in quanto l'incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacché, altrimenti, l'indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la ratio solidaristica che è alla base dell'istituto così Sez. Unite, n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257606, fattispecie in cui è stata ritenuta colpevole la condotta di un soggetto che aveva reso dichiarazioni ambigue in sede di interrogatorio di garanzia, omettendo di fornire spiegazioni sul contenuto delle conversazioni telefoniche intrattenute con persone coinvolte in un traffico di sostanze stupefacenti, alle quali, con espressioni travisanti , aveva sollecitato in orario notturno la urgente consegna di beni . 3. Va poi osservato che vi è totale autonomia tra giudizio penale e giudizio per l'equa riparazione anche atteso che i due afferiscono piani di indagine del tutto diversi che ben possono portare a conclusioni affatto differenti pur se fondanti sul medesimo materiale probatorio acquisito agli atti, in quanto sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall'utilizzo di parametri di valutazione del tutto differenti. Ciò perché è prevista in sede di riparazione per ingiusta detenzione la rivalutazione dei fatti non nella loro portata indiziaria o probatoria, che può essere ritenuta insufficiente e condurre all'assoluzione, occorrendo valutare se essi siano stati idonei a determinare, unitamente ed a cagione di una condotta negligente od imprudente dell'imputato, l'adozione della misura cautelare, traendo in inganno il giudice. È pacifico cfr. tra le tante questa Sez. 4, ord. 25/11/2010, n. 45418 che, in sede di giudizio di riparazione ex art. 314 c.p.p. ed al fine della valutazione dell'an debeatur occorra prendere in considerazione in modo autonomo e completo tutti gli elementi probatori disponibili ed in ogni modo emergenti dagli atti, al fine di valutare se chi ha patito l'ingiusta detenzione vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatant oe o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti. A tale fine è necessario che venga esaminata la condotta posta in essere dall'istante sia prima che dopo la perdita della libertà personale e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico cfr. Sez. Un. 32383/2010 , onde verificare, con valutazione ex ante, in modo del tutto autonomo e indipendente dall'esito del processo di merito, se tale condotta, risultata in sede di merito tale da non integrare un fatto-reato, abbia ciononostante costituito il presupposto che abbia ingenerato, pur in eventuale presenza di un errore dell'autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto cfr. anche la precedente Sez. Un. 26/6/2002, Di Benedictis . Pertanto, vanno prese in considerazione tanto condotte di tipo extraprocessuale grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l'adozione del provvedimento restrittivo , quanto di tipo processuale autoincolpazione, silenzio consapevole sull'esistenza di un alibi che non siano state escluse dal giudice della cognizione cfr. questa sez. 4, n. 45418 del 25.11.2010 . La colpa dell'istante è ostativa al diritto per le argomentazioni espresse, tra le altre, da Sez. 4, n. 1710 del 27.11.2013 Sez. 4, n. 1422 del 16/10/2013 dep. 2014 non potendo l'ordinamento, nel momento in cui fa applicazione della regola solidaristica, obliterare il principio di autoresponsabilità che incombe su tutti i consociati, allorquando interagiscono nella società trattasi, infondo, della regola che trova esplicitazione negli arti. 1227 e 2056 c.c. , deve intendersi idonea ad escludere la sussistenza del diritto all'indennizzo non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso configgente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparato-rio con il parametro dell'id quodplerumque accidit secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell'autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo. Poiché inoltre, anche ai fini che qui ci interessano, la nozione di colpa è data dall' art. 43 c.p. , deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica, negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell'autorità giudiziaria che si sostanzi nell'adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso . 4. Si ricorda nel provvedimento impugnato che nelle motivazioni della sentenza di assoluzione si legge che, con riferimento alla figura di S.l. , le accuse di intestazione fittizia e di concorso nell'omicidio dovevano considerarsi prive di una chiara piattaforma probatoria. Quanto, invece, all'accusa di associazione mafiosa, la Corte di Assise di Locri, pur considerando pienamente credibili e attendibili le dichiarazioni dei collaboratori B. e P. , è pervenuta ad una pronuncia assolutoria in quanto l'unica circostanza emersa a carico dello S. era costituita dall'avvenuta e provata oltre ogni ragionevole dubbio affiliazione rituale con dote di picciotto . E la Corte di Assise d'Appello di Reggio Calabria, con la sentenza del 2018, ha confermato pienamente l'impostazione della Corte di primo grado secondo cui, solo in presenza di quella, non poteva pervenirsi ad un'affermazione di penale responsabilità per il reato associativo. Con particolare riferimento all'accusa di partecipazione alla ndrangheta, la Corte reggina ha alle pagine 428 e ss. della sentenza confermato che nei confronti di S.l. non potesse che pervenirsi a una pronuncia assolutoria, in quanto all'esito del giudizio era risultata provata unicamente l'affiliazione rituale dello stesso alla ndrangheta. Difettava tuttavia la prova di un ruolo dinamico e funzionale all'interno della cosca di riferimento, necessario a ritenere sussistente la condotta associativa alla luce della giurisprudenza di legittimità. 5. La fattispecie oggetto del giudizio ha trovato soluzione in un recente precedente di codesta Sezione, giustamente richiamato nell'ordinanza impugnata Sez. 4, n. 10353 del 10/2/2022, Zurzolo, non massimata , che il Collegio condivide ed i cui principi intende riaffermare. In tale decisione la Corte ha fatto applicazione del consolidato principio di diritto, per il quale un profilo di colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto all'indennizzo, affine alla connivenza passiva, può essere costituito anche dalla condotta di chi, nei reati contestati in concorso, essendo consapevole dell'attività criminale altrui, abbia tenuto comportamenti idonei ad essere percepiti all'esterno come una sua contiguità Sez. 4, n. 45418 del 25/11/2010, C arere, Rv. 249237 in termini Sez. 4, n. 37528 del 24/06/2008, Grigoli, Rv. 241218 v. anche, più recentemente, Sez. 4, n. 8914 del 18/12/2014, dep. 2015, Dieni, Rv. 262436, cit. Sez. 4, n. 1921 del 20/12/2013, dep. 2014, Mannino, Rv. 258485 Sez. 4, n. 5628 del 13/11/2013, dep. 2014, Maviglia, Rv. 258425 . Tale è appunto il caso di chi abbia partecipato ad un rito di affiliazione mafiosa - circostanza ritenuta certa sulla base di quanto affermato da due collaboratori di giustizia, ritenuti pienamente attendibili e credibili dai giudici dell'assoluzione-che rappresenta un comportamento extraprocessuale stimato rilevante quanto meno - come frequentazione ambigua con soggetti coinvolti in traffici illeciti o comunque come condotta idonea da essere interpretato come indizio di complicità nel reato associativo. Non è conferente il richiamo che il ricorrente opera al dictum di Sez. Un. 36958 del 27/5/2021, Modaffari, Rv. 281889 , che porta a conclusioni opposte a quelle sostenute in ricorso. Con quella sentenza, infatti, le Sezioni Unite sono state chiamate a dirimere il precedente radicato contrasto giurisprudenziale tra la soluzione interpretativa tendente a ritenere sufficiente, per la configurazione della partecipazione ad associazione mafiosa, la mera affiliazione ad un'organizzazione criminale operante secondo il modello prefigurato dall'art. 416-bis c.p. e la contrapposta opzione ermeneutica tendente a ritenere tale adesione rituale del tutto inidonea, se non accompagnata da elementi concreti e specifici, rivelatori del ruolo attivo svolto dall'indagato nel sodalizio. E, in adesione a tale secondo orientamento. Lo scopo era -su un versante quale quello dell'affermazione di penale responsabilità, diverso ed autonomo, come specificato in precedenza, da quello del giudizio di riparazionequello di evitare indebiti automatismi probatori, per cui dalla sola adesione formale ad una cosca criminale si facesse discendere la configurabilità del delitto di partecipazione ad associazione mafiosa. Le SSUU Modaffari del 2021 hanno ritenuto di mantenere ferme la conclusione a cui erano giunte le Sezioni Unite Mannino nel 2005 Sez, Un., n. 33748 del 12/7/2005, Mannino, Rv. 231671 -, secondo cui va considerato partecipe dell'organizzazione criminale l'affiliato che prende parte attiva al fenomeno associativo. La partecipazione non si esaurisce, in altri termini, nè in una mera manifestazione di volontà unilaterale nè in una affermazione di status essa, al contrario, implica un'attivazione fattiva a favore della consorteria che attribuisca dinamicità, concretezza e riconoscibilità alla condotta che si sostanzia nel prendere parte . Come si legge a pag. 36 della sentenza 36958/2021 se deve ritenersi indubbio che il giuramento di mafia - nel suo formalismo preceduto da liturgie scandite da formule e gesti rituali che conferiscono sacralità alla procedura di iniziazione dei nuovi adepti - assume un rilievo denso di significati probatori proprio in conseguenza del valore drammaticamente vincolante che si origina da quel gesto simbolico, è pure vero che all'iniziale giuramento può non seguire l'effettiva assunzione di quel ruolo assegnato o promesso dall'affiliante e, quindi, mancare non solo una concreta attivazione del soggetto a favore del gruppo, ma anche la messa a disposizione a favore del sodalizio l'incriminazione del fatto iniziale, non accompagnato da altri indici rivelatori della stabile adesione, significa inevitabilmente punire una mera potenzialità operativa del soggetto, in aperto contrasto con la logica di effettività e proporzione che deve regolare il rapporto tra reato e sanzione . Per le SSUU Modaffari si rende così evidente l'impropria dilatazione del concetto di partecipazione, sganciata da ogni condotta materiale riferibile all'interessato che viene ricostruita, in ragione della prevalenza accordata a preoccupazioni di tipo preventivo-repressivo, sulla base della sua mera appartenenza alla tipologia dell'autore mafioso . Quindi, la disponibilità conclamata resa con il prestato giuramento di mafia, che può rendere ipotizzabile il contributo partecipativo del soggetto, può essere probatoriamente contraddetta in presenza di condotte del soggetto dettate da scelte volontarie disobbedienza, allontanamento fisico, disinteresse o da oggettive circostanze di segno contrario o fortemente equivoche, tali da contrastare con l'impegno preso di messa a disposizione e far escludere a priori o far ritenere venuta meno la volontà dello stesso di contribuire alla vita dell'associazione . La conclusione cui pervengono le Sezioni Unite del 2021 è dunque quella di affermare il principio secondo cui La condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si sostanzia nello stabile inserimento dell'agente nella struttura organizzativa della associazione. Tale inserimento deve dimostrarsi idoneo, per le caratteristiche assunte nel caso concreto, a dare luogo alla messa a disposizione del sodalizio stesso, per il perseguimento dei comuni fini crirninosi . Ma, al contempo, si afferma anche il principio che Nel rispetto del principio di materialità ed offensività della condotta, l'affiliazione rituale può costituire indizio grave della condotta di partecipazione al sodalizio, ove risulti - sulla base di consolidate e comprovate massime di esperienza - alla luce degli elementi di contesto che ne comprovino la serietà ed effettività, l'espressione non di una mera manifestazione di volontà, bensì di un patto reciprocamente vincolante e produttivo di un'offerta di contribuzione permanente tra affiliato ed associazione . 6. Le SSUU Modaffari, dunque, diversamente da quanto opina il ricorrente, non hanno affermato che l'affiliazione rituale è atto neutro rispetto alla partecipazione al sodalizio mafioso, ma al contrario che la stessa può costituire grave indizio della condotta partecipativa, ove la stessa risulti, sulla base di consolidate e comprovate massime d'esperienza e degli elementi di contesto che ne evidenzino serietà ed effettività, espressione di un patto reciprocamente vincolante e produttivo di un'offerta di contribuzione permanente tra affiliato ed associazione in motivazione, relativa a fattispecie inerente a misura cautelare personale, la Corte ha incluso, tra gli indici valutabili dal giudice, la qualità dell'adesione ed il tipo di percorso che l'ha preceduta, la dimostrata affidabilità criminale dell'affiliando, la serietà del contesto ambientale in cui la decisione è maturata, il rispetto delle forme rituali, con riferimento, tra l'altro, ai poteri di chi propone l'affiliando, di chi lo presenta e di chi officia il rito, la tipologia del reciproco impegno preso e la misura della disponibilità pretesa od offerta . Diversamente da quanto si opina in ricorso, e concordemente con quanto afferma il provvedimento impugnato, da quella pronuncia può desumersi chiaramente che, se valutabile come indizio ai fini della determinazione cautelare ed anche, insieme ad altri indizi, idonea ad assurgere al rango di prova, l'affiliazione mafiosa ben può essere valutata come comportamento colposo ostativo al chiesto indennizzo. A ben guardare, diversamente da quanto opina il ricorrente, l'affiliazione ad un sodalizio criminale di tipo mafioso è un quid pluris rispetto alle frequentazioni ambigue, ossia quelle che si prestano oggettivamente ad essere interpretate come indizi di complicità, che per giurisprudenza pacifica di questa Corte, quando non sono giustificate da rapporti di parentela, e sono poste in essere con la consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti, possono dare luogo ad un comportamento gravemente colposo idoneo ad escludere la riparazione stessa Sez. 4, n. 1235 del 26/11/2013 dep, 2014, Calò, Rv. 258610 conf. Sez. 3, n. 363 del 30/11/2007 dep. 2008, Pandullo, Rv. 238782 . Sez. 4, n. 51722 del 16/10/2013, Fratepietro, Rv. 257878 . Sez. 3, n. 39199 del 1/7/2014, Pistorio, Rv. 260397 Può dunque affermarsi il principio di diritto secondo cui chi abbia partecipato ad un rito di affiliazione mafiosa -evenienza che costituisce un quid pluris rispetto alle frequentazioni ambiguepone in essere un comportamento gravemente colposo valutabile ai fini del diniego del riconoscimento dell'indennizzo per ingiusta detenzione . 7. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q. M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.