Il procedimento disciplinare a carico dell’avvocato deve concludersi nel termine di sette anni e mezzo

Le Sezioni Unite chiariscono il concetto di prescrizione in materia di procedimento disciplinare a carico degli avvocati al di là degli effetti della sospensione e dell'interruzione, non può essere prolungata di oltre un quarto rispetto ai sei anni indicati nell'art. 56, comma 1 della Legge 247/2012.

La pronuncia in commento prende origine dal ricorso presentato da un avvocato avverso la decisione emessa dal Consiglio Nazionale Forense che, in parziale riforma della pronuncia del Consiglio Distrettuale di Disciplina , irrogava la sanzione disciplinare dell'avvertimento in luogo della censura. I fatti di causa risalgono al 2009, anno in cui l'Ordine degli Avvocati di Alba disponeva la cancellazione del legale dall'ordine professionale in forza di condanna penale recante, tra l'altro, l'interdizione dalla professione di avvocato per 1 anno e 4 mesi. Successivamente, nel 2015, il Consiglio dell'ordine degli Avvocati di Imperia, dopo aver approvato la richiesta di iscrizione all'albo da parte dell'avvocato, riceveva una segnalazione da parte dell'Ordine degli Avvocati di Asti, già Alba, circa l'esistenza di una sentenza penale definitiva di condanna a carico della richiedente, che aveva altresì determinato il precedente provvedimento di cancellazione dall'albo . Di conseguenza, il Consiglio distrettuale di disciplina apriva un nuovo procedimento disciplinare. Veniva contestata alla ricorrente la violazione dei doveri di lealtà e correttezza imposti dalla Legge professionale forense l. n. 247/2012 per aver taciuto l'esistenza di condanne penali a suo carico. Parallelamente, la Procura di Imperia apriva un procedimento per l'ipotesi di reato di cui all' art. 483 c.p. , che si concludeva con l' archiviazione per infondatezza della notizia di reato. Ciò nonostante, il CNF, nel provvedimento emesso nei confronti dell'avvocato e oggetto di impugnazione da parte di quest'ultima, osservava che ai fini della sussistenza dell' illecito disciplinare non fosse necessario il dolo generico ma fosse sufficiente la suitas , ovverosia la coscienza e volontarietà con cui l'atto censurabile dal punto di vista deontologico viene compiuto e, dunque, la possibilità del soggetto di dominare la propria azione e di evitarne gli effetti . Infine, in base al principio di autonomia che regola i rapporti tra giudizio penale e disciplinare, il CNF rilevava di non essere tenuto ad adeguare la propria pronuncia alla decisione di archiviazione del procedimento in sede penale, ritenendo congrua la sanzione dell' avvertimento. L'avvocato ha proposto ricorso in Cassazione con successo. I Giudici accolgono il primo motivo di doglianza lamentato dalla ricorrente, aderendo in toto all'interpretazione logico giuridica offerta ad avviso dell'avvocato ricorrente, infatti, il CNF avrebbe violato l'art. 56 l. n. 247/ 2012 in materia di prescrizione dell'azione disciplinare . Tale norma pone un termine di prescrizione dell'azione disciplinare pari a 6 anni dalla commissione del fatto, suscettibile di prolungamento non superiore ad un quarto nel caso in cui intervenga più di un evento interruttivo . L'azione disciplinare, pertanto, al momento della pronuncia del CNF, era prescritta . Osserva, la Corte, che la citata legge professionale segue criteri di natura penalistica. Si tratta di prescrizione non di un diritto ma dell'azione disciplinare, in relazione alla quale la legge, se da un lato ha elevato la durata della prescrizione, portandola a 6 anni, ed ha tipizzato alcuni eventi interruttivi , prevedendo che da quelle date il termine di prescrizione riprenda a decorrere, seppur per una durata più breve, di 5 anni, ha poi previsto un termine finale complessivo e inderogabile, entro il quale il procedimento disciplinare deve concludersi a pena di prescrizione, di sette e mezzo dalla consumazione dell'illecito . Nel caso di specie, osserva la Corte, poiché il termine di prescrizione è stato interrotto con la comunicazione all’iscritta della notizia dell’illecito il 22 giugno 2017 nonché con la notifica della decisione del Consiglio distrettuale di disciplina avvenuta il 7 novembre 2017 , opera il termine massimo di prescrizione dell’azione disciplinare di sette anni e mezzo. Tale termine, quantunque, appunto, operante nel massimo sette anni e mezzo , è da intendere spirato in una data anteriore a quella di deposito, l’11 ottobre 2022, presso la segreteria del Consiglio nazionale forense, della sentenza qui impugnata . La Corte cassa senza rinvio la sentenza impugnata per intervenuta prescrizione dell'azione disciplinare.

Presidente D’Ascola - Relatore Giusti Fatti di causa 1. - Con delibera del 2 ottobre 2009, l'avv. R.R. veniva cancellata dall'albo degli avvocati di [ ], al quale risultava iscritta dal 1998, a seguito di sanzione disciplinare irrogata in forza di una condanna penale recante, tra l'altro, l'interdizione dalla professione di avvocato per un anno e quattro mesi. Il Consiglio dell'ordine degli avvocati di [ ] dopo aver approvato, con delibera del 27 febbraio 2015, la richiesta di iscrizione all'albo presentata dall'avv. R. il 29 gennaio 2015, riceveva una segnalazione da parte del Consiglio dell'ordine degli avvocati di [ ], già di [ ], circa l'esistenza di una sentenza penale definitiva di condanna a carico della richiedente, che aveva determinato altresì il precedente provvedimento di cancellazione dall'albo. In ragione di ciò, il Consiglio distrettuale di disciplina della Liguria apriva un procedimento disciplinare a carico dell'avv. R. , contestandole di aver taciuto l'esistenza di condanne penali a suo carico nell'istanza di iscrizione rivolta all'Ordine di [ ] e di avere, per l'effetto, violato i doveri di lealtà e correttezza nell'esercizio della professione forense, imposti dall'art. 9 del codice deontologico forense in relazione agli artt. 3 e 17, lettera g , della legge professionale forense L. n. 247 del 2012 . Parallelamente, la Procura di [ ] apriva un fascicolo per l'ipotesi di reato di cui all' art. 483 c.p. le relative indagini si concludevano con l'archiviazione del procedimento per infondatezza della notizia di reato. Il Giudice per le indagini preliminari, infatti, rilevava l'insufficienza di elementi volti a sostenere l'accusa in giudizio ed evidenziava la possibilità che l'indagata potesse essere incorsa in errore nel ritenere che la mera produzione del certificato del casellario giudiziale, a corredo dell'istanza di iscrizione, la esentasse dalla dichiarazione della precedente condanna penale. Con decisione depositata il 27 ottobre 2017, il Consiglio distrettuale di disciplina, nel disattendere le difese dell'avv. R. circa l'assenza degli elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie oggetto di addebito e nel ritenere sussistente la violazione contestata, ne accertava la responsabilità disciplinare e irrogava la sanzione della censura. 2. - Avverso tale provvedimento del Consiglio distrettuale di disciplina, l'avv. R. proponeva ricorso al Consiglio nazionale forense. Il Consiglio nazionale forense, con sentenza n. 165/2022 resa pubblica mediante deposito in segreteria l'11 ottobre 2022, ha accolto il solo motivo di gravame relativo all'entità della sanzione. Quanto all'elemento oggettivo, il CNF ha rilevato che, in virtù del tenore letterale dell' art. 17, comma 1, lettera g , della legge professionale forense - che configura quale requisito per l'iscrizione all'albo il non aver riportato condanne penali per i reati di cui all' art. 51, comma 3-bis, c.p.p. e per quelli previsti dagli artt. 372, 373, 374, 374-bis , 377, 377-bis , 380 e 381 c.p. -, non possa non attribuirsi rilevanza, ai fini della valutazione dei doveri di lealtà e correttezza, alla condotta dell'interessato che, in fase di richiesta, abbia dichiarato il falso circa le condanne penali riportate. Quanto all'elemento soggettivo, il giudice disciplinare ha disatteso le difese avanzate dall'avv. R. , secondo cui l'omissione dell'informazione dovuta in sede di istanza di iscrizione era stata determinata, nella richiedente, dall'intervenuta dichiarazione di estinzione del reato ai sensi dell' art. 167 c.p. e dalla circostanza che nel certificato del casellario giudiziale prodotto non veniva menzionata alcuna condanna. A tal proposito, il CNF ha rilevato che, ai fini della sussistenza dell'illecito disciplinare, non è necessario il dolo generico o specifico dell'agente, essendo sufficiente che ricorra la suitas, ovverosia la coscienza e volontarietà con cui l'atto censurabile dal punto di vista deontologico viene compiuto e, dunque, la possibilità del soggetto di dominare la propria azione e di evitarne gli effetti. Infine, il CNF ha rilevato il carattere esaustivo e congruo della motivazione adottata nel provvedimento gravato e ha sottolineato come, in base al principio di autonomia che regola i rapporti tra giudizio penale e disciplinare, il Consiglio distrettuale non fosse tenuto ad adeguare la propria pronuncia alla decisione di archiviazione del procedimento in sede penale. Nondimeno, in parziale riforma della decisione emessa dal CDD, il CNF ha ritenuto di rideterminare, in relazione alla natura e alla gravità della condotta contestata, l'entità della sanzione disciplinare, irrogando, per l'effetto, l'avvertimento in luogo della censura. 3. - Per la cassazione della sentenza del Consiglio nazionale forense l'avv. R. ha proposto ricorso, con atto notificato il 16 novembre 2022, sulla base di tre motivi. Il Consiglio dell'ordine degli avvocati di [ ]è rimasto intimato. 4. - Per la discussione del ricorso è stata fissata l'udienza pubblica del 23 maggio 2023. Non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale, il ricorso è stato, tuttavia, trattato in camera di consiglio, senza l'intervento del Procuratore Generale e della parte ricorrente, in base alla disciplina dettata dall' art. 23, comma 8-bis, del D.L. n. 137 del 2020 , convertito, con modificazioni, dalla L. n. 176 del 2020 , prorogata dall' art. 8, comma 8, del D.L. n. 198 del 2022 , convertito dalla L. n. 14 del 2023 . 5. - In prossimità della camera di consiglio il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte. L'Ufficio del Procuratore Generale ha chiesto l'accoglimento del primo motivo di ricorso in relazione all'intervenuta prescrizione dell'azione disciplinare, ai sensi dell' art. 56, comma 3, L. n. 247 del 2012 , per essere il termine massimo di sette anni e mezzo - decorrente dal 29 gennaio 2015, data di presentazione della richiesta di iscrizione rivolta all'Ordine di [ ] - spirato in data 29 luglio 2022. Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo di ricorso, viene censurata la violazione dell' art. 56 della L. n. 247 del 2012 in materia di prescrizione dell'azione disciplinare. In particolare, la ricorrente - nell'evidenziare che tale norma pone un termine di prescrizione dell'azione disciplinare pari a sei anni dalla commissione del fatto, suscettibile di prolungamento non superiore ad un quarto nel caso in cui intervenga più di un evento interruttivo - si duole che il Consiglio nazionale forense abbia omesso di considerare che l'azione disciplinare era, al momento della pronuncia, prescritta. Infatti, anche valorizzando la decisione del Consiglio distrettuale di disciplina e la sua notifica, intervenute, rispettivamente, il 27 ottobre 2017 e il 7 novembre 2017, quali atti interruttivi della prescrizione, il termine massimo non eccederebbe, in ogni caso, i sette anni e sei mesi in base al comma 3 dell'art. 56. E poiché la condotta deontologicamente scorretta si sarebbe consumata il 29 gennaio 2015, con la compilazione della richiesta di iscrizione all'albo degli avvocati di [ ] priva della dichiarazione circa la precedente condanna penale, la relativa azione disciplinare si sarebbe prescritta, al più, il 29 luglio 2022, ciò che renderebbe viziata la postuma sentenza del giudice disciplinare. 2. - Con il secondo motivo, si censura la sentenza impugnata per non avere tenuto in debita considerazione gli ulteriori fatti e la documentazione integrativa dedotti in sede di gravame che, ad avviso della ricorrente, sarebbero decisivi in relazione alla valutazione della condotta contestata. Tali nuovi ed ulteriori elementi - fra i quali rientrerebbe un telefax con cui l'avv. R. segnalava l'assenza, sul sito istituzionale, del modulo per procedere alla reiscrizione nonché la propria situazione pregressa e derivante dalla condanna penale -, se opportunamente valorizzati, avrebbero condotto il giudice disciplinare a conclusioni diametralmente opposte circa l'agire della ricorrente da essi, infatti, si evincerebbe una condotta volta a rendere il Consiglio dell'ordine degli avvocati di [ ] edotto del provvedimento di cancellazione dall'albo di [ ] conseguente alla condanna penale e, dunque, improntata ai principi di lealtà e correttezza nell'esercizio della professione forense. La mancata considerazione dei nuovi documenti prodotti dinanzi al CNF avrebbe, pertanto, condotto quest'ultimo a travisare il reale contegno della ricorrente al momento della presentazione dell'istanza di iscrizione all'albo degli avvocati di [ ], improntato, contrariamente a quanto deciso nella sentenza gravata, a canoni di trasparenza e buona fede. 3. - Con il terzo motivo violazione dell' art. 47 c.p. erroneo disconoscimento della rilevanza dell'elemento soggettivo illuminante l'azione erronea omessa valorizzazione dell'errore in cui è incorso la dichiarante la ricorrente lamenta che il CNF abbia errato nel ritenere che, ai fini della sussistenza dell'illecito disciplinare, sia sufficiente la suitas, intesa quale possibilità astratta di dominare in senso finalistico una condotta cosciente e volontaria, dovendosi invece ammettere la necessità dell'elemento soggettivo in forma dolosa o colposa. Il giudice disciplinare avrebbe altresì omesso di considerare la circostanza che il procedimento penale fosse ormai estinto ex art. 167 c.p. e che nel certificato del casellario giudiziale non figurasse alcuna condanna. Il che - si deduce - ben poteva aver indotto in errore la ricorrente circa la doverosità della dichiarazione nei fatti taciuta la possibilità di un simile errore, valorizzata dai magistrati nel procedimento penale poi archiviato e, al contrario, trascurata dal CNF, eliminerebbe in radice l'attribuibilità dell'illecito disciplinare all'avv. R. , stante, appunto, la necessità dell'elemento soggettivo. 4. - Il primo motivo di ricorso è fondato. 5. - Il regime di prescrizione applicabile è, ratione temporis, quello introdotto dall' art. 56 della L. n. 247 del 2012 , essendo l'illecito contestato stato commesso successivamente al omissis , data di entrata in vigore della citata disposizione. Nel nuovo ordinamento professionale forense, la prescrizione, al di là degli effetti della sospensione e dell'interruzione, non può comunque essere prolungata di oltre un quarto rispetto ai sei anni indicati nell'art. 56, comma 1 pertanto, il termine complessivo di prescrizione dell'azione disciplinare deve intendersi in sette anni e mezzo Cass., Sez. Un., 4 novembre 2022, n. 32634 . Al riguardo, la nuova legge professionale segue criteri di natura penalistica, laddove secondo la disciplina previgente, ispirata a un criterio di natura civilistica, la prescrizione, una volta interrotta, riprendeva a decorrere nuovamente per altri cinque anni Cass., Sez. Un., 14 aprile 2023, n. 10085 . Si tratta di prescrizione non di un diritto ma dell'azione disciplinare, in relazione alla quale la nuova legge, se da un lato ha elevato la durata della prescrizione, portandola a sei anni, ed ha tipizzato alcuni eventi interruttivi, prevedendo che da quelle date il termine di prescrizione riprenda a decorrere, seppur per una durata più breve, di cinque anni, ha poi previsto un termine finale complessivo e inderogabile, entro il quale il procedimento disciplinare deve concludersi a pena di prescrizione, di sette anni e mezzo dalla consumazione dell'illecito. 6. - Quanto al termine di decorrenza della prescrizione, esso prende data dal 29 gennaio 2015, allorché la condotta addebitata all'incolpata nel procedimento disciplinare si è consumata, con la presentazione della richiesta di iscrizione all'albo degli avvocati di [ ] priva della dichiarazione circa la precedente condanna penale. Poiché il termine di prescrizione è stato interrotto con la comunicazione all'iscritto della notizia dell'illecito il 22 giugno 2017 nonché con la notifica della decisione del Consiglio distrettuale di disciplina avvenuta il 7 novembre 2017 , opera il termine massimo di prescrizione dell'azione disciplinare di sette anni e mezzo. Tale termine, quantunque, appunto, operante nel massimo sette anni e mezzo , è da intendere spirato in una data anteriore a quella di deposito, l'11 ottobre 2022, presso la segreteria del Consiglio nazionale forense, della sentenza qui impugnata. 7. - L'accoglimento del primo motivo determina l'assorbimento del secondo e del terzo motivo del ricorso. 8. - Il ricorso è, sulle conformi conclusioni del Pubblico Ministero, accolto. L'intervenuta prescrizione dell'azione disciplinare determina la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata. 9. - La maturazione della prescrizione, sopravvenuta durante la fase dedicata alla stesura della motivazione della sentenza del Consiglio nazionale forense che era stata deliberata nella camera di consiglio del 21 ottobre 2021 , giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo e il terzo cassa senza rinvio la sentenza impugnata per intervenuta prescrizione dell'azione disciplinare. Dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio di cassazione.