Convivenza durata solo un mese: le vessazioni compiute dall’imputato ai danni della compagna sono maltrattamenti in famiglia

Si restringe l’arco temporale di riferimento per l’ipotesi accusatoria a carico di un uomo. Possibile ipotizzare il reato di maltrattamenti solo per gli atti vessatori da lui realizzati ai danni della compagna durante la breve coabitazione.

Se la coabitazione tra uomo e donna legati da una relazione sentimentale è durata solo un mese , allora è solo con riferimento a quel ristretto arco temporale che possono essere catalogati come maltrattamenti in famiglia i comportamenti vessatori tenuti dall'uomo ai danni dell'allora compagna. A finire sotto processo è un uomo, accusato e poi condannato, sia in primo che in secondo grado, per i comportamenti violenti tenuti per diciannove mesi ai danni dell'allora compagna. A pesare sull'uomo è soprattutto il reato di maltrattamenti in famiglia . E su questo punto è centrato il ricorso in Cassazione proposto dal suo difensore, il quale sostiene sia illogico parlare di maltrattamenti, a fronte della mancanza di prove in merito alla abitualità sistematica delle condotte maltrattanti, la cui sporadicità e la cui occasionalità sono più significativa, sempre secondo il legale, alla luce della brevità della convivenza dall'inizio di giugno del 2017 alla prima decade del mese successivo e della mancanza di coabitazione . Prima di esaminare in dettaglio le obiezioni proposte dalla difesa, i magistrati di Cassazione sottolineano, in premessa, l'esistenza di un apparato normativo che amplia lo spettro delle condotte prevaricatrici , di rilievo penale tenue, nell'ambito di relazioni interpersonali non qualificate e che impongono di intendere i concetti di ‘famiglia' e di ‘convivenza' nell'accezione più ristretta, cioè quella di una comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale, da una duratura comunanza d'affetti, che non solo implichi reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, ma sia fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, in caso di rapporti more uxorio, su una stabile condivisione dell'abitazione, ancorché, ovviamente, non necessariamente continua , come, ad esempio, quando due persone dimorano, per ragioni di lavoro, in un luogo diverso dall'abitazione comune e lo fanno per periodi più o meno lunghi ma comunque circoscritti . In sostanza, la coabitazione può non essere continuativa ma resta il primo passaggio imprescindibile per giungere ad una definizione della convivenza da valorizzare nell'ottica dei maltrattamenti . Tuttavia, i due profili restano distinti , precisano i giudici, poiché muovendo dalla coabitazione , occorrerà sempre verificare la presenza di una relazione affettiva qualificata dalla continuità e connotata da elementi oggettivi di stabilità. Lungi dall'essere confuso con la mera coabitazione, il concetto di convivenza deve, infatti, essere espressione di una relazione personale caratterizzata da una reale condivisione e comunanza materiale e spirituale di vita. In altre parole la coabitazione, seppur non necessariamente continuativa, è condizione necessaria ma non sufficiente alla contestualizzazione in termini di maltrattamenti delle condotte abitualmente vessatorie ascritte all'uomo nella vicenda oggetto del processo. Ciò significa che in assenza di tale presupposto, la mera presenza di una relazione affettiva , in occasione della quale vengano a radicarsi eventuali condotte di matrice vessatoria , non costituisce un valido substrato cui ancorare la configurabilità dei maltrattamenti in famiglia, potendosi semmai riscontrare, in un'ottica unitaria e complessiva, gli estremi dell'ipotesi aggravata del reato di atti persecutori, se non singoli reati . E questa soluzione è da privilegiare , secondo i giudici, anche in presenza di condotte poste in essere da parte di uno dei conviventi more uxorio ai danni dell'altro dopo che sia finita la coabitazione , e ciò proprio perché cessato tale momento di condivisione, viene di fatto meno anche uno dei pilatri sui quali si fondava la comunanza di vita e di affetti nonché il rapporto di reciproco affidamento che sostenevano convivenza . Di conseguenza, non è, dunque, più configurabile l' ipotesi dei maltrattamenti , in presenza di condotte di matrice vessatoria che, manifestatesi nel corso della convivenza, si siano protratte anche successivamente al cessare della convivenza . Passando dal quadro generale ai dettagli del caso preso in esame, i Giudici di Cassazione osservano che la relazione sentimentale occorsa tra l'uomo sotto processo e l'allora compagna ebbe inizio nel mese di giugno del 2017, e i due abitarono sotto lo stesso tetto sino ai primi giorni di luglio del 2017 quando la donna abbandonò la casa comune . A quel punto, finita la coabitazione tra l'uomo e la donna, la loro relazione proseguì ulteriormente, anche se non con continuità. Perciò è di tutta evidenza che la configurabilità dei maltrattamenti può nel caso utilmente riscontrarsi unicamente con riferimento alle condotte tenute dall'uomo nel periodo di coabitazione, durata circa un mese e su questo fronte viene ribadito che il limitato contesto temporale della convivenza non è aprioristicamente incompatibile con l'ipotesi dei maltrattamenti in famiglia. Tuttavia, occorre mettere in evidenza atti vessatori, replicati con rapida frequenza in quel ristretto arco temporale, che abbiano anche una intensità tale da assumere i toni propri della abitualità funzionale a creare lo stato di sopraffazione patito dalla donna . Proprio per questo è necessario un nuovo giudizio in Appello. I giudici di secondo grado dovranno valutare il portato delle vessazioni patite dalla donna e destinate a descrivere il registro della convivenza prima del venir meno della coabitazione con l'allora compagno.

Presidente Di Stefano – Relatore Raddusa Ritenuto in fatto 1. La difesa di M.T. impugna la sentenza descritta in epigrafe con la quale la Corte di appello di Roma ha dato integrale conferma alla condanna alla pena di giustizia resa, in esito a giudizio abbreviato, dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma nei confronti del ricorrente, ritenuto responsabile dei maltrattamenti realizzati nell'arco di tempo compreso tra il mese di giugno del 2017 e sino al 1 febbraio del 2019 nonché per più fatti di lesione aggravati ai sensi degli artt. 576, nn. 1 e 5, e 577, comma 1, c.p. realizzati ai danni della convivente J.M. . 2. Si deducono tre motivi di ricorso, declinati lamentando difetti di motivazione per tutte e tre le doglianze e violazioni di legge limitatamente le prime due censure in relazione -al giudizio di attendibilità della persona offesa, per avere la Corte omesso di spiegare le ragioni della ritenuta credibilità del narrato della J. , minato dalla inattendibilità soggettiva della persona offesa, all'evidenza comprovata dalla inverosimiglianza delle circostanze riferite inerenti alla ascritta paternità, al prevenuto, della figlia assertivamente nata in esito alla brevissima convivenza occorsa con il suddetto nonché alle minacce verbali che lo stesso avrebbe proferito nei suoi confronti allorquando si trovava ristretto in carcere -ai tratti costitutivi del reato di maltrattamenti, rispetto ai quali è evidente il difetto di argomentazioni con peculiare riguardo alla abitualità sistematica delle condotte maltrattanti, la cui sporadicità e occasionalità, contestate con il gravame di merito anche alla luce della brevità della convivenza dall'inizio di giugno del 2017 alla prima decade del mese successivo della mancanza di coabitazione con riguardo ad alcune delle condotte contestate, non erano state apprezzate dalla Corte territoriale -all'assenza di valide motivazioni a supporto del denegato riconoscimento delle generiche. Considerato in diritto 1. Il ricorso merita l'accoglimento avuto riguardo al tema della configurabilità del reato di maltrattamenti ascritto al ricorrente, rispetto al quale si rende necessaria una nuova disamina delle emergenze probatorie acquisite, da valutare alla luce delle indicazioni di principio di seguito enucleate. 2. Il primo motivo, con il quale si contrasta l'attendibilità della persona offesa è inammissibile. In parte qua, infatti, il ricorso replica censure già svolte con il gravame di merito, affrontate e puntualmente disattese dalla Corte di appello con un argomentare che non mostra vuoti o incongruenze logiche e che si è dunque rivelato immune da doglianze utilmente prospettabili in questa sede, peraltro addotte, nel caso, in termini di aspecificità rispetto alla stringente analiticità delle motivazioni spese sul tema dai giudici del merito si vedano, in particolare, i punti a, b, c di pagina 4 . Da qui la definitività del giudizio di responsabilità legato ai capi di imputazione diversi dai maltrattamenti, considerato che le uniche doglianze che potevano dirsi riferite anche a tali reati risultavano esclusivamente contenute nel primo motivo di impugnazione. 3. Il secondo motivo, diretto a contrastare la configurabilità dei maltrattamenti ascritti al prevenuto, impone una premessa in diritto. 3.1. Alla luce della sollecitazione proveniente dal Giudice delle leggi Corte Costituzionale, sentenza n. 98 del 2021 , considerato in diritto sub 2.5. , si è infatti recentemente evidenziato, da parte di questa Corte di legittimità, che il divieto di interpretazione analogica delle norme incriminatrici art. 14, preleggi , immediato precipitato del principio di legalità art. 25 Cost. , nonché la presenza di un apparato normativo che amplia lo spettro delle condotte prevaricatrici di rilievo penale tenute nell'àmbito di relazioni interpersonali non qualificate, impongono, nell'applicazione dell' art. 572 c.p. , di intendere i concetti di famiglia e di convivenza nell'accezione più ristretta quella, cioè, di una comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale, da una duratura comunanza d'affetti, che non solo implichi reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, ma sia fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, in caso di rapporti more uxorio, su una stabile condivisione dell'abitazione, ancorché, ovviamente, non necessariamente continua si pensi, ad esempio, al frequente caso di coloro che, per ragioni di lavoro, dimorino in luogo diverso dall'abitazione comune, per periodi più o meno lunghi ma comunque circoscritti in questi termini, Sez. 6, n. 15883 del 16/03/2022, Rv. 283436 . La coabitazione, dunque, può non essere continuativa ma resta il primo passaggio imprescindibile per giungere ad una definizione della convivenza da valorizzare nell'ottica dei maltrattamenti. 3.1.1. I due profili restano comunque distinti. Muovendo dalla coabitazione, occorrerà sempre verificare la presenza di una relazione affettiva qualificata dalla continuità e connotata da elementi oggettivi di stabilità lungi dall'essere confuso con la mera coabitazione, il concetto di convivenza deve, infatti, essere espressione di una relazione personale caratterizzata da una reale condivisione e comunanza materiale e spirituale di vita in motivazione, Sezione 6, n. 38336 del 2022 . In altre e pìù semplici parole la coabitazione, seppur non necessariamente continuativa, è condizione necessaria ma non sufficiente alla contestualizzazione in termini di maltrattamenti delle condotte abitualmente vessatorie ascritte al prevenuto. 3.1.2. In assenza di tale presupposto, la mera presenza di una relazione affettiva in occasione della quale vengano a radicarsi eventuali condotte di matrice vessatoria, non costituisce un valido substrato cui ancorare la configurabilità dei maltrattamenti in famiglia, potendosi semmai riscontrare, in un'ottica unitaria e complessiva, gli estremi dell'ipotesi aggravata del reato di atti persecutori di cui al comma 2 dell' art. 612-bis c.p. se non singoli reati conclamati dal portato specifico e frazionato dei relativi agiti . Soluzione questa da privilegiare anche in presenza di condotte poste in essere da parte di uno dei conviventi more uxorio ai danni dell'altro dopo che sia finita la coabitazione Sez. 6, n. 39532 del 06/09/2021, Rv. 282254, ribadita da Sez. 6, n. 45095 del 17/11/2021, Rv. 282398 e ciò proprio perché, cessato tale momento di condivisione, viene di fatto meno anche uno dei pilatri sui quali si fondava la comunanza di vita e di affetti nonché il rapporto di reciproco affidamento che sostenevano convivenza. Non sarebbe, dunque, più configurabile l'ipotesi dei maltrattamenti, risultando, piuttosto, prospettabile il concorso tra questa fattispecie e quella di cui all' art. 612-bis c.p. , in presenza di condotte di matrice vessatoria che, manifestatesi nel corso della convivenza, si siano protratte anche successivamente al cessare della stessa Sez. 6, n. 516 delll'11/11/2022, dep. 2023, che in motivazione richiama la sentenza n. 10626 del 16/02/2022, Rv. 283003 della stessa sezione . 3.2. Ciò premesso, la situazione in fatto descritta dalla sentenza gravata consente di mettere in evidenza l'inadeguatezza della relativa motivazione, che denunzia vuoti argomentativi essenzialmente giustificati da una lettura della disposizione incriminatrice in questione non coerente con le superiori coordinate in diritto. 3.2.1. Il quadro in fatto offerto dalla regiudicanda consente di evidenziare che la relazione sentimentale occorsa tra il prevenuto e la J. ebbe inizio nel mese di giugno del 2017, contestualmente al concepimento della figlia della coppia, nata nel OMISSIS . I due abitarono sotto lo stesso tetto sino ai fatti del 6/8 luglio 2017 descritti al capo b , in esito ai quali la J. abbandonò la casa comune punto 5.2. della sentenza impugnata . Finita la coabitazione, la relazione proseguì ulteriormente, anche se non con continuità, dando adito agli ulteriori episodi descritti ai capi c , d dell'imputazione. 3.2.2. Ciò precisato, alla luce delle superiori indicazioni di principio, è di tutta evidenza che la configurabilità dei maltrattamenti può nel caso utilmente riscontrarsi unicamente con riferimento alle condotte tenute nel periodo di coabitazione, durata circa un mese. Sotto questo versante va ribadito che il limitato contesto temporale della convivenza non è aprioristicamente incompatibile con la veste giuridica privilegiata dalla imputazione e validata dai giudici del merito Sez, 6 n. 21087 del 10/05/2022, Rv. 283271 occorre tuttavia mettere in evidenza agiti vessatori, replicati con rapida frequenza in quel ristretto torno temporale, che abbiano anche una intensità tale da assumere i toni propri della abitualità funzionale a creare lo stato di sopraffazione patito dalla persona offesa, così da ritenere integrati tutti i tratti costitutivi dell'ipotesi di reato in disamina. 3.2.3. Nel caso, la sentenza gravata, difetta della dovuta specificità nel rassegnare il portato delle vessazioni patite dalla persona offesa precedenti agli agiti illeciti descritti nel capo di imputazione sub b , destinati a descrivere il registro della convivenza prima del venir meno della coabitazione. Di contro, nel ricostruire i tratti costitutivi dei maltrattamenti, si sofferma con maggiore puntualità sulle condotte successive al cessare della coabitazione, rispetto alle quali tuttavia, la configurabilità del reato in questione deve ritenersi esclusa, potendosi semmai verificare la sussistenza di altre ipotesi delittuose diverse da quelle considerate dai capi di imputazione sub c , d , da valorizzare semmai in concorso con queste ultime e se del caso con l'ipotesi dell' art. 572 c.p. , limitata al circoscritto periodo della coabitazione. 4. Alla luce delle superiori indicazioni in diritto, esclusa la configurabilità dei maltrattamenti per i contegni tenuti dal prevenuto una volta cessata la coabitazione, si impone in conseguenza l'annullamento della decisione impugnata e il rinvio alla Corte di appello competente, perché a per le condotte realizzate nel corso della coabitazione, ferma l'incontrovertibile sussistenza della relazione sentimentale occorsa tra l'imputato e la persona offesa, vieppiù consolidata dal concepimento, verifichi la configurabilità dei maltrattamenti in tale più definito contesto temporale, precisando, alla luce delle superiori indicazioni di principio, frequenza, intensità e afflittività dei ritenuti contegni vessatori b in tal caso, riscontrati gli estremi dell'ipotesi di reato di cui all' art. 572 c.p. ,valuti le conseguenze che ne derivano in relazione al trattamento sanzionatorio da irrogare, alla luce del diverso perimetro temporale destinato a fondare la relativa responsabilità, diverso da quello coperto dall'imputazione, apprezzato dalla condanna contrastata dal ricorso c per le condotte successive alla coabitazione, accerti la possibile configurabilità di ipotesi di reato diverse da quella contestata, se del caso in termini di concorso con i maltrattamenti se questi ultimi vengono confermati, seppur ristretti ai soli contegni realizzati nel corso della coabitazione e gli altri reati descritti dai capi di imputazione b , c , d , per i quali il relativo giudizio di responsabilità deve ritenersi ormai definitivo, fermi, in tale ipotesi, i limiti di pena definiti dalla sentenza di primo grado. 5. Il motivo di ricorso relativo alle generiche, infine, risulta assorbito dalla rescissione della condanna inerente ai maltrattamenti e dalla conseguente possibilità di rivalutare il tema in esito al nuovo giudizio sulla responsabilità complessiva da ascrivere al prevenuto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma.