Il palmario è un compenso straordinario concordato tra avvocato e cliente e non può essere pagato dalla controparte soccombente

La parte soccombente non è tenuta a pagare all'avversario vittorioso più di quanto per legge dovuto, non potendosi tenere conto delle speciali convenzioni intercorse tra la parte vittoriosa ed il suo difensore perché costituiscono res inter alios acta , tra le quali configura il c.d. palmario.

Lo ha stabilito la Cassazione decidendo in merito al gravame proposto avverso la pronuncia di prime cure che condannava i soccombenti, in solido tra loro, a rifondere alla parte vincitrice, oltre alle spese di lite , l'ulteriore somma a titolo di palmario in precedenza stipulato tra la parte ed il suo difensore. Avverso tale pronuncia propongono ricorso i soccombenti. Tra i cinque motivi di censura, assume rilievo, in questa sede, la contestata violazione dell' art. 1372 c.c. , in riferimento al n. 3 del comma primo, dell' art. 360 c.p.c. , per essere stata pronunciata condanna solidale anche per l'importo convenuto a titolo di palmario, cioè dovuto in forza di un contratto a loro estraneo . Il motivo è fondato. La Corte osserva come, ai sensi dell' art. 61, comma 2, r.d.l. 1578/1933 , l'onorario dell'avvocato nei confronti del proprio cliente, in relazione alla specialità della controversia o al pregio o al risultato dell'opera prestata, può essere anche maggiore di quello liquidato a carico della parte condannata nelle spese in forza di una convenzione . Ciò significa che l'ulteriore compenso non può essere imposto alla parte soccombente estranea alla stessa convenzione in quanto il c.d. palmario è compenso di carattere straordinario ed infatti, ripercorrendo principi propri della stessa Corte, tra assistito e difensore è pattuita la corresponsione di una somma aggiuntiva e ulteriore, sia in caso di vittoria che di esito sfavorevole della causa, non sostitutivo dell'onorario secondo tariffa e finalizzato a stimolare lo zelo del difensore cfr. Cass. civ. sez. II, n. 6519/2012 . Alla luce delle argomentazioni sin qui fornite, la Corte cassa l'ordinanza impugnata in merito a tale motivo doglianza, mentre rigetta le altre censure.

Presidente Di Virgilio/ Relatore Papa Fatti di causa 1. Con atto di citazione notificato nel gennaio 2014, l'avvocato M.L.O. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di [ ] la omissis s.n.c. d'ora in poi E. B. e i condomini e il Condominio di piazzetta omissis in [ ], per ottenerne la condanna in solido ex art. 68 del R.D.l. 1578 del 1933 poi art. 13 comma 8 della L. 247 del 2012 , al pagamento della somma di Euro 19.709,26 a titolo di diritti e compensi professionali. L'attore dedusse che, in forza della convenzione stipulata il 20 aprile 2009 con la propria assistita omissis era creditore della somma di Euro 2.557,63 a titolo di diritti e onorari per l'attività professionale prestata per ottenere il decreto ingiuntivo n. 2399 del 1999, ottenuto nei confronti del convenuto condominio, nonché di Euro 11.442,63 per diritti e onorari del conseguente giudizio di opposizione promosso dal condominio ingiunto, nonché di Euro 5.709,00 quale ulteriore palmario del 10% sulla sorte capitale che sarebbe stata ricavata dall'azione giudiziaria, oltre indennità di mora rappresentò che il giudizio di opposizione si era concluso per transazione, con sentenza di cessazione della materia del contendere e con compensazione integrale delle spese di lite perché le parti si erano pure accordate in punto di spese, esplicitamente esimendo il Tribunale dalla pronuncia relativa. Costituendosi in giudizio, il Condominio di piazzetta omissis addusse la non invocabilità nel caso in esame dell'art. 68 della legge professionale e, in subordine, l'inopponibilità nei suoi confronti della convenzione intervenuta tra l'attore ed omissis , per la sua estraneità al contratto intercorso tra difensore e assistito. Per quel che qui ancora rileva, trattato il giudizio con rito ordinario ex art. 183 c.p.c. e ss., il Giudice in composizione monocratica, dopo aver riservato la decisione, rimise la causa sul ruolo allo scopo di modificarne il rito ex art. 14 D.Lgs. n. 150 del 2011 e riservò in conseguenza la decisione al Tribunale in composizione collegiale. Quindi, preso atto che le parti avevano inteso chiaramente sottrarre al giudice ogni cognizione sulla lite perché avevano transatto anche le spese di giudizio, chiedendo al giudice di pronunciare la compensazione, condannò solidalmente il Condominio e omissis a corrispondere all'avv. M. la somma di Euro 19.709,26 per compensi professionali ritenne, infatti, che l'art. 68 della legge professionale sia applicabile anche quando la causa sia decisa con cessazione della materia del contendere per sopravvenuta transazione, ma la sentenza non contenga una pronuncia sulle spese. Dichiarò altresì il difetto di legittimazione passiva dei singoli condomini citati in giudizio, in accoglimento dell'eccezione sollevata da coloro che si erano costituiti. 2. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Condominio, sulla base di cinque motivi. Non hanno svolto difese l'avvocato M., omissis e i condomini M.L.L. , B.V. e F.G. che hanno partecipato al giudizio di merito. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, il Condominio ha prospettato, in riferimento al n. 3 del comma I dell' art. 360 c.p.c. , la violazione dell' art. 14 del D.Lgs. n. 150 del 2011 , per avere il Tribunale omesso di rilevare che l'avv. M.L. , nonostante la previsione dell'art. 14, ha introdotto il giudizio, avente ad oggetto la richiesta di spettanze professionali, con atto di citazione, invece che con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. . 2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione ed errata applicazione dell' art. 4 del D.Lgs n. 150 del 2011 , in riferimento al n. 3 del comma I dell' art. 360 c.p.c. , per avere il Tribunale disposto il mutamento del rito al momento della decisione, dopo l'istruttoria di cognizione e, perciò, oltre i termini previsti dal suddetto art. 4. 2.1. I due motivi possono essere trattati congiuntamente per continuità di argomentazione e sono infondati. La controversia prevista all' art. 28 della L. n. 794 del 1942 , nella formulazione introdotta dall' art. 34, comma 16, lettera a , del D.Lgs. n. 1 settembre 2011 n. 150 , resta soggetta al rito indicato dall'art. 14 dello stesso D.Lgs. n. Cass., S.U., sent. n. 4485 del 2018 . Nella sentenza n. 758 del 2022, le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito, tuttavia, che il decreto di riduzione e semplificazione dei riti civili di cognizione, in particolare l'art. 4, costituisce una ulteriore tappa del percorso che segna il lento declino del formalismo processuale, prevedendo una sanatoria piena dell'atto introduttivo difforme dal modello legale che risulta così idoneo - sia che si tratti di citazione notificata o ricorso depositato nel termine di legge - ad impedire le decadenze e preclusioni che dovrebbero prodursi se fosse stato seguito il rito corretto. Hanno rimarcato che, come si legge nella Relazione illustrativa, la ratio dell'art. 4, comma 5 - laddove prevede che gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producano secondo le norme del rito seguito prima del mutamento e che restino ferme le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento - consiste nell'esigenza di escludere in modo univoco l'efficacia retroattiva del provvedimento che dispone il mutamento medesimo ne consegue che le norme che disciplinano il rito seguito prima del mutamento rilevano come parametro di valutazione di legittimità dell'atto introduttivo del giudizio, nel senso che gli effetti sostanziali e processuali della domanda vanno delibati secondo il rito erroneo concretamente applicato sino ad allora, perché l'ordinanza di mutamento del rito non comporta una regressione del processo ad una fase anteriore a quella già svoltasi, nè serve a valutare la legittimità degli atti di parte e del giudice adottati sino a quel momento alla stregua delle regole del nuovo rito, nè costituisce un presupposto per la salvezza dei relativi effetti, ma indica soltanto il discrimine temporale tra l'applicazione delle regole del rito iniziale e quelle del rito da seguire nel prosieguo del giudizio, consentendo alle parti di adeguare le difese alle regole del rito da seguire. In altri termini, la sanatoria piena della forma adottata si realizza indipendentemente dalla pronunzia dell'ordinanza di mutamento del rito da parte del giudice, ex art. 4 del D.Lgs. n. 150 cit., la quale opera soltanto pro futuro, ossia ai fini del rito da seguire all'esito della conversione, senza penalizzanti effetti retroattivi, restando fermi quelli, sostanziali e processuali, riconducibili all'atto introduttivo, sulla scorta della forma da questo in concreto assunta e non di quella che avrebbe dovuto avere. Sez. U, Sentenza n. 758 del 2022 . 3. Con il terzo motivo, la stessa questione del mutamento di rito è stata prospettata quale causa di violazione dell' art. 292 c.p.c. , pure in riferimento al n. 3 del comma I dell' art. 360 c.p.c. ,nel senso che avrebbe leso il diritto al contraddittorio e il diritto di difesa della contumace omissis a cui non sarebbe stata comunicata l'ordinanza di mutamento di rito. 3.1. Impregiudicata la questione della applicabilità dell' art. 292 c.p.c. all'ordinanza di mutamento di rito ex art. 4 D.Lgs. n. 150/2011 , il motivo è inammissibile per il condivisibile principio di diritto, risalente ma ormai consolidato, secondo cui la norma dell' art. 292 c.p.c. , per la parte che impone la notifica al contumace delle comparse contenenti domande nuove o riconvenzionali, costituisce una particolare applicazione del principio del contraddittorio, ed è dettata nell'esclusivo interesse del contumace, il quale soltanto, costituendosi in giudizio, potrà far valere la inosservanza della citata norma Cass. Sez. 3, n. 3435 del 24/11/1971 Sez. 2, n. 9538 del 2018 . 4. Con il quarto motivo, il Condominio ha lamentato, in riferimento al n. 3 del comma I dell' art. 360 c.p.c. , la violazione e falsa applicazione dell' art. 68 del Regio Decreto Legge 27/11/1933 n. 1578 perché la causa è stata definita con sentenza che ha statuito la cessazione della materia del contendere e la compensazione delle spese e, perciò, non potrebbe ravvisarsi sottrazione della pronuncia in punto di spese al giudice. 4.1. Il motivo è infondato. Com'è riportato esplicitamente nella motivazione della sentenza impugnata, la statuizione di compensazione sulle spese è stata pronunciata in forza dell'accordo e non in applicazione del principio di soccombenza virtuale. L'art. 68 R.D.l. 1578/33 dispone che quando un giudizio è definito con transazione, tutte le parti che hanno transatto sono solidalmente obbligate al pagamento degli onorari e al rimborso delle spese di cui gli avvocati ed i procuratori, che hanno partecipato al giudizio degli ultimi tre anni, fossero tuttora creditori per il giudizio stesso la norma è proprio finalizzata ad evitare che le parti processuali possano sottrarsi al pagamento del compenso, transigendo la lite ed impedendo la liquidazione giudiziale delle spese. La possibilità per il difensore di invocare la speciale solidarietà prevista dalla legge professionale richiede perciò la sussistenza di un giudizio che sia stato bonariamente definito senza soddisfare le competenze del professionista Cass. 7652/2017 18334/2004 e che - proprio per effetto dell'accordo transattivo - al giudice sia stato sottratto il potere di pronunciare sugli oneri del processo. In particolare, in caso di transazione del giudizio, può escludersi la responsabilità solidale delle parti al pagamento degli onorari degli avvocati prevista dall'art. 68 soltanto quando la decisione contenga una statuizione del giudice sulla liquidazione delle spese senza che, invece, rilevi la ragione della definizione della causa per cessazione della materia del contendere o per abbandono , poiché il presupposto per l'applicazione dell'art. 68 suddetto è proprio l'esistenza di un accordo che sottragga al giudice anche la pronuncia sulle spese. È vero infatti che il III comma dell' art. 92 c.p.c. come l'ultimo comma dell' art. 310 c.p.c. - secondo cui le spese del processo conciliato stanno a carico delle parti che le hanno anticipate - non è applicabile all'ipotesi della dichiarazione di cessazione della materia del contendere perché il giudice deve provvedere sulle spese stesse in base al principio della soccombenza virtuale v. Cass. Sez. 2, n. 6183 del 20/11/1980 è vero altresì, tuttavia, che se la compensazione è stata esplicitamente riferita alla volontà delle parti di sottrarre al giudice proprio la valutazione secondo soccombenza, sia pure virtuale - come accaduto nella fattispecie - dalla pronuncia derivano effetti equivalenti alla stabilizzazione dell'anticipazione Cass. Sez. 6 - 3, n. 21209 del 20/10/2015 . 5. Con il quinto motivo, il ricorrente Condominio ha dedotto la violazione dell' art. 1372 c.c. , in riferimento al n. 3 del comma I dell' art. 360 c.p.c. , per essere stata pronunciata condanna solidale in suo danno anche per l'importo convenuto a titolo di palmario, cioè dovuto in forza di un contratto a lui estraneo perché concluso tra omissis e l'avvocato istante. 5.1. Il motivo è fondato. Come ha precisato la Corte costituzionale, l'aspettativa del difensore a soddisfarsi sulle spese di soccombenza deve ricevere tutela anche nel caso che le parti tronchino la lite, tanto più che la transazione deve normalmente coprire tutta l'area della controversia e, perciò, sorto che sia il giudizio, comprendere anche il regolamento delle spese e degli onorari dovuti ai patroni delle parti Corte Cost. 132/1974 . L'art. 68 della legge professionale forense costituisce perciò deroga al principio per cui il legale, salvi gli effetti di un eventuale provvedimento di distrazione, può rivolgersi per il compenso soltanto al proprio cliente. Quale deroga ad un principio generale, l'articolo è, perciò, norma di diritto singolare, di stretta interpretazione, ai sensi dell'art. 14 preleggi Cass. Sez. 2, n. 9325 del 20/09/1997 Sez. 2, n. 16856 del 13/08/2015 . Ciò posto, deve considerarsi, più in particolare, che quest'articolo fu dettato allo scopo di salvaguardare i diritti degli avvocati e procuratori che sarebbero loro spettati qualora il giudizio avesse avuto il suo normale svolgimento e che, invece, per effetto della transazione della lite intercorsa tra le parti, potessero risultare compromessi. L'art. 68, infatti, delimita la responsabilità solidale delle parti che hanno transatto al pagamento degli onorari e al rimborso delle spese di cui gli avvocati e procuratori che hanno partecipato al giudizio negli ultimi tre anni fossero tuttora creditori per il giudizio stesso . La parte soccombente, invero, non è mai tenuta a pagare all'avversario vittorioso più di quanto per legge dovuto, non potendosi tenere conto delle speciali convenzioni intercorse tra la parte vittoriosa ed il suo patrono, perché queste convenzioni costituiscono res inter alios acta. L'art. 61 dello stesso R.D.l. 1578/1933, infatti, dopo aver stabilito al comma 1 che anche la misura dell'onorario dell'avvocato nei confronti del proprio cliente debba essere stabilita in applicazione delle tabelle di cui al precedente art. 57, prevede, al comma 2, che l'onorario dell'avvocato nei confronti del proprio cliente, in relazione alla specialità della controversia o al pregio o al risultato dell'opera prestata, possa essere anche maggiore di quello liquidato a carico della parte condannata nelle spese in forza di una convenzione ciò significa, per altro verso, che questo ulteriore compenso non possa essere imposto alla parte soccombente estranea alla stessa convenzione. Per definizione - e per quel che qui rileva - il palmario è compenso di carattere straordinario tra assistito e difensore è pattuita la corresponsione di una somma aggiuntiva e ulteriore, sia in caso di vittoria che di esito sfavorevole della causa, non sostitutivo dell'onorario secondo tariffa e finalizzato a stimolare lo zelo del difensore cfr. Cass. Sez. 2, n. 6519 del 26/04/2012 . La tutela speciale assicurata dall'art. 68 della legge professionale , allora, non può che concernere soltanto quei diritti che ineriscono al rapporto processuale e dei quali avrebbe potuto rispondere, in mancanza di transazione e in ipotesi di soccombenza, la controparte non assistita. Gli ulteriori diritti che si fondino nel particolare rapporto convenzionale intercorso tra cliente e patrono - e, perciò, anche il cosiddetto palmario - sono invece estranei alla speciale tutela dell'art. 68 e per la loro tutela l'avvocato non può che rivolgersi al proprio cliente. Le considerazioni suesposte costituiscono principi consolidati, seppure affermati in pronunce ormai risalenti Cass. Sez. III n. 20 del 8/7/1943 Sez. 1, n. 1794 del 08/07/1964 Sez. 2, n. 5705 del 1994 . 6. Per le ragioni suesposte, in accoglimento del quinto motivo di ricorso l'ordinanza impugnata deve essere cassata, limitatamente al motivo accolto, con rinvio al Tribunale di [ ] in diversa composizione per statuire anche sulle spese di legittimità. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione accoglie il quinto motivo di ricorso, rigettatati i restanti cassa l'ordinanza impugnata, limitatamente al motivo accolto, con rinvio al Tribunale di [ ] in diversa composizione per statuire anche sulle spese di legittimità.