Codice rosso: la sospensione condizionale della pena deve essere subordinata alla partecipazione a specifici percorsi di recupero

La Corte stabilisce che può essere il giudice dell’esecuzione a stabilire tempi e modi del percorso di recupero del condannato per i reati di violenza domestica, anche avvalendosi dell’aiuto di esperti.

Con la sentenza n. 30147 depositata l'11 luglio 2023 la Corte di Cassazione ha avuto modo di puntualizzare il contenuto sancito dall' art. 165, comma 5 c.p. introdotto dall' art. 6 comma 1 della legge 19 luglio 2019, n. 69 c.d. codice rosso . L'occasione nasce da un ricorso presentato dalla Procura di Verbania in merito ad un procedimento per maltrattamenti in famiglia , nel quale l'imputato veniva condannato in primo grado ad anni 1 e mesi 4 di reclusione, con il riconoscimento della sospensione condizionale della pena e della non menzione, nonché la condanna al risarcimento dei danni, quantificati in 5mila euro. La Procura deduce l'illegalità della pena irrogata, stante l'omessa subordinazione del beneficio della sospensione condizionale alla partecipazione dell'imputato agli specifici percorsi di recupero , previsti dal menzionato art. 165, comma 5, c.p. Nel caso di specie, tuttavia, il soggetto aveva già intrapreso spontaneamente un percorso riabilitativo. Il ricorso è accolto. Partendo dalla lettura del dato normativo, la Corte rileva che la subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena ad un percorso di recupero sia demandato al giudice di merito, che dovrà stabilirne tempi e modi in sentenza. Tuttavia, il Collegio si discosta da simile interpretazione letterale, anche alla luce della specificità del percorso riabilitativo del condannato che si differenzia dalle forme di riparazione contemplate dallo stesso articolo 165 c.p. , e che invece si avvicina agli istituti anglosassoni del restorative justice . I Giudici di Legittimità ricordano, inoltre, che la ratio del codice rosso è la tutela delle vittime di violenza domestica e di genere e che la natura della menzionata norma sia quella di prevedere percorsi trattamentali calibrati sulle concrete esigenze di recupero . Dunque, non rispondendo ad una logica sanzionatoria, la partecipazione a percorsi rieducativi non va modellata su parametri quantitativi previsti per le pene, e dunque non è necessario che la durata del trattamento sia rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito secondo il paradigma di cui all' art. 133.c.p. , ma può essere demandata al giudice dell'esecuzione . Inoltre, la durata del percorso, i contenuti e le modalità dovranno essere personalizzati e definiti con l'ausilio di soggetti specializzati, implicando anche la partecipazione di uno psicologo anche in ragione della non sempre agevole individuabilità ex ante dei tempi di recupero. La Corte cassa senza rinvio la sentenza impugnata nella parte in cui risulta omessa la statuizione relativa alla subordinazione della sospensione condizionale agli obblighi di cui all' art. 165, comma 5, c.p.

Presidente De Amicis - Relatore Riccio Ritenuto in fatto 1. Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Verbania, con la sentenza in epigrafe, pronunciata in esito a giudizio abbreviato, ha disposto nei confronti di G.D. la condanna alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, per il reato di maltrattamenti in famiglia, con il riconoscimento della sospensione condizionale della pena e della non menzione, nonché la condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, quantificati in Euro 5000,00, oltre spese ed accessori. 2. Ha interposto appello il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Verbania, articolando un unico motivo, sunteggiato nei limiti strettamente necessari alla motivazione ai sensi dell' art. 173 disp. att. c.p.p. . Deduce la illegalità della pena irrogata, stante l'omessa subordinazione del beneficio della sospensione condizionale alla partecipazione dell'imputato agli specifici percorsi di recupero previsti dall' art. 165, comma 5, c.p. . 3. La Corte di appello di Verbania ha convertito l'appello in ricorso per cassazione e ordinato la trasmissione degli atti a questa Corte, ai sensi dell' art. 568, comma 5, c.p.p. , sul rilievo che il processo si è svolto nelle forme del giudizio abbreviato e si è concluso con pronuncia di condanna, che risulta inappellabile dalla parte pubblica. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni qui di seguito illustrate. 2. Va premesso che correttamente è stata disposta dalla Corte territoriale la conversione dell'appello in ricorso per Cassazione. A norma dell' art. 443, comma 3, c.p.p. , la sentenza di condanna emessa in esito a giudizio abbreviato è inappellabile salvo il caso - che nella specie non ricorre - in cui sia modificativa del titolo di reato. In simmetria con la disposizione dettata per il rito premiale, l' art. 593, comma 1, c.p.p. , come modificato dal D.Lgs. n. 6 febbraio 2018, n. 11 , stabilisce che, salvo quanto previsto dagli artt. 443, comma 3, 448, comma 2, 579 e 680, stesso codice, il pubblico ministero è legittimato ad appellare le sentenze di condanna solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante a effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato. La Relazione al decreto delegato ha tuttavia precisato che la legittimazione al ricorso per cassazione non è stata incisa dalla novella, con la conseguenza che è il ricorso per cassazione lo strumento, peraltro oggetto di espressa garanzia , ex art. 111 Cost. , utilizzabile dal pubblico ministero anche in funzione diversa da quella propria di parte processuale esclusivamente antagonista, avversaria dell'imputato, tanto nel rito ordinario che in quello abbreviato in termini, Sez. 3, n. 31616 del 31/05/2019, Panagiotopulos, Rv. 276047, secondo la quale il pubblico ministero che intenda impugnare la sentenza di condanna resa nel giudizio abbreviato facendo valere il vizio di violazione di legge nella determinazione della pena, è tenuto ad esperire il ricorso diretto per cassazione . Il Pubblico Ministero era dunque legittimato a proporre ricorso ai sensi dell' art. 608, comma 2, c.p.p. , e la Corte territoriale, nel riqualificare l'appello, ha fatto applicazione dell' art. 568, comma 5, c.p.p. Sez. 6, n. 20140 del 06/05/2015, Perri, Rv. 263672 , in conformità ai principi di conservazione dei mezzi giuridici e favor impugnationis. 3. Tanto premesso, il vizio prospettato non è configurabile nei termini indicati dal Pubblico Ministero, non ravvisandosi alcuna illegalità della pena irrogata. In assenza di una chiara norma definitoria, la nozione di pena illegale viene dedotta in negativo dal principio di legalità della pena, il quale è cristallizzato nell' art. 25, comma 2, Cost. , letto in relazione al presidio costituzionale del finalismo rieducativo di cui all' art. 27, comma 3, Cost. , ed è ulteriormente garantito, nel sistema multilivello, dall' art. 7, par. 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali , dall'art. 49 della Carta di Nizza e dall'art. 15 del Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 1966, reso esecutivo in Italia con L. 25 ottobre 1977, n. 881 infine, l' art. 1 c.p. ne costituisce la proiezione codicistica. Una significativa espansione della categoria della pena illegale ha avuto impulso, negli anni, da alcune pronunce di questa Suprema Corte, nella sua massima espressione nomofilattica, che vi hanno ricondotto entità ontologicamente anche molto diverse, pervenendo a teorizzare, accanto ad una illegalità genetica , una illegalità sopravvenuta , legata alla declaratoria di illegittimità costituzionale di norme incidenti sul trattamento sanzionatorio, e ciò sul presupposto logico-giuridico che una norma dichiarata costituzionalmente illegittima sia tamquam non esset e ne vadano rimossi gli effetti Sez. U, 18821 del 24/10/2013, Ercolano Sez. U n. 33040 del 26/2/2015, Jazouli, Rv. 264207 Sez. U, n. 37107 del 26/2/2015, Marcon, Rv. 264857-858-859 Sez. U, 26 febbraio 2015, n. 22471, Sebbar, Rv. 263715 Sez. U n. 47766 del 26/6/2015, Butera, Rv. 265108 . In generale, la nozione di pena illegale è stata oggetto, soprattutto di recente, di ampia riflessione da parte delle Sezioni Unite che, in un percorso evolutivo ancora in divenire, ne hanno più compiutamente definito i confini in una prospettiva di sistema. Pare sufficiente osservare, al riguardo, che è illegale la pena che sia, per genere o specie, diversa da quella prevista dalla fattispecie incriminatrice, ovvero inferiore o superiore, per quantità, ai relativi limiti edittali, perché, in tali ipotesi, essa si colloca al di fuori dell'assetto normativo vigente e resta avulsa da ogni legittima pretesa punitiva statuale v. in tal senso, Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022, Miraglia, Rv. 283689 Sez. U, n. 47182 del 31/03/2022, Savini, Rv. 283818 -01 nonché Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886-01, le quali hanno specificamente puntualizzato, in relazione all'ipotesi di pena determinata a seguito di erronea applicazione del giudizio di comparazione tra circostanze eterogenee concorrenti, che, al fine di valutare se la dosimetria corrisponda a quella fissata dalla legge, deve aversi riguardo ai limiti edittali ed alla misura stabilita per ciascuna pena dagli artt. 23 e ss. c.p. , nonché, a fronte del concorso di più aggravanti, dagli artt. 65 e ss. c.p. e, in presenza del concorso di più reati, dagli artt. 71 e ss. c.p. . Di contro, secondo le richiamate pronunce, resta estraneo all'ambito concettuale della illegalità il vizio che infici il percorso argomentativo attraverso il quale il giudice giunge alla conclusiva determinazione dell'entità della condanna ossia l'errore - sia esso di fatto o di diritto - che attenga al procedimento di calcolo, per quanto macroscopico tale errore possa essere, allorquando alla stessa pena finale sarebbe stato possibile giungere attraverso una diversa modulazione delle varie determinazioni intermedie, inerenti alla individuazione della pena base e degli aumenti e diminuzioni da operare a titolo di tentativo, di circostanze, di continuazione. Si è precisato che gli errori commessi nella determinazione di una pena comunque legittima nel suo valore finale più strettamente ineriscono alla c.d. legalità processuale, che fuoriesce dall'ambito del principio di legalità di cui all' art. 25 Cost. e chiama piuttosto in causa i principi regolativi del giusto processo di cui all' art. 111 Cost. , e così pure deve escludersi che rientrino nella nozione di pena illegale le pene ingiuste o eccessive, per le quali potrebbe porsi, semmai, un problema di coerenza con altri parametri costituzionali, quali quelli di uguaglianza, di proporzionalità, di ragionevolezza in tal senso, Sez. U, n. 46653 del 26/06/2015, Della Fazia, Rv. 265110 . Quanto alla inosservanza delle diposizioni regolative della sospensione condizionale della pena, un contrasto giurisprudenziale si è registrato in relazione all'ipotesi di omessa subordinazione agli obblighi di cui all' art. 165, comma 1, c.p. . Un primo indirizzo, maggioritario, ha ritenuto ammissibile, ai sensi dell' art. 448, comma 2-bis c.p.p. , il ricorso per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento che sia carente della relativa statuizione, sul presupposto che nel concetto di pena illegale rientri tutto ciò che comunque incide sul trattamento punitivo, e dunque anche gli istituti che, come la sospensione condizionale, attengono alla concreta ed effettiva applicazione delle sanzioni v. Sez. 6, n. 17119 del 14/03/2019, P. Rv. 275898 Sez. 4, n. 5064 del 06/11/2018, dep. 2019, Bonomi, Rv. 275118 . In senso difforme, altro orientamento ha escluso la riconducibilità di una tale omissione alla categoria della illegalità della pena Sez. 3, n. 35485 del 23/04/2021, P., Rv. 281945 , di cui non è dato ampliare la latitudine, sino ad includervi la illegittimità di taluno degli aspetti accessori alla pena stessa, quali i termini della sua applicazione ovvero la sua sospensione. Secondo tale linea ricostruttiva, deve ritenersi fittizia l'attribuzione - che si legge nelle pronunce di segno avverso - di un pur limitato contenuto afflittivo al riconoscimento della sospensione condizionale della pena, la quale si concretizzerebbe nella intimazione rivolta al condannato di astenersi dal commettere ulteriori reati, con l'ammonimento che ove ciò non avvenga alla pena comminata sarà data esecuzione in termini, Sez. 6, n. 17119 del 18 aprile 2019, cit. , atteso che la sospensione condizionale è beneficio con funzione non sanzionatoria ma, anzi, positivamente deterrente, in quanto sollecita il soggetto che ne abbia fruito - al fine di promuoverne il reinserimento sociale, nella presunzione della sua successiva non ricaduta nel delitto - a non violare nuovamente la legge penale. A ragionare diversamente, trattandosi di patologia processuale suscettibile di rilievo officioso, ex art. 609, comma 2, c.p.p. , verrebbe snaturato il meccanismo stesso dell'impugnazione di legittimità, che è primariamente retta dal principio devolutivo espresso dal comma 1 dell' art. 609, c.p.p. in tal senso Sez. 2, n. 22136 del 19/02/2013, Nisi, Rv. 255729 Sez. 5, n. 8639 del 20/1/2016, De Paola, Rv. 266080 Sez. 2, n. 46765 del 09/12/2021, Bruno, Rv. 282322 . A fronte di tale dicotomia, le Sezioni Unite Savini, in dissenso dalla tesi che attrae nell'orbita della illegalità le statuizioni inosservanti delle prescrizioni normative che riguardano il trattamento sanzionatorio in senso lato ed il complessivo suo regime di attuazione, hanno preferito la seconda opzione ermeneutica. Va dunque qualificata in termini di violazione di legge - e non di illegalità della pena - l'omissione, nella sentenza impugnata, della condizione che subordini la sospensione condizionale della pena inflitta alla partecipazione dell'imputato a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i reati di cui all' art. 165, comma 5, c.p. . Non è dubbio che tale disposizione, introdotta dall' art. 6, comma 1, della L. 19 luglio 2019, n. 69 Codice rosso e in vigore dal 9 agosto 2019, operi anche in relazione al reato oggetto di addebito, che ha avuto inizio nel 2018 ed il cui momento consumativo risale, da ultimo, al 7 novembre 2020, atteso che, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, essa si applica anche a fatti di maltrattamenti perfezionatisi prima della entrata in vigore della novella, ma protrattisi - senza significative cesure temporali - in epoca successiva, stante l'unitarietà strutturale del reato abituale Sez. 6, n. 32577 del L6/06/2022, P., Rv. 283617-01 . La sentenza impugnata va quindi annullata limitatamente alla omessa pronuncia. Al riguardo, in un recente arresto Sez. 6, n. 32577 del 2022, P., cit. , in cui si controverteva di analoga omissione, questa Corte ha disposto l'annullamento con rinvio della sentenza, sul presupposto che la statuizione da assumere richiedesse accertamenti di fatto, al fine di individuare l'ente o l'associazione presso il quale indirizzare il condannato al recupero nonché la durata del relativo percorso, da devolvere al giudice di merito. Ritiene il Collegio di dover puntualizzare il principio affermato. La subordinazione del beneficio della sospensione agli specifici percorsi di recupero , di cui all' art. 165, comma 5, c.p. non va intesa nel senso che la loro concreta articolazione, anche temporale, debba essere necessariamente definita dal giudice di merito. La specificità richiesta dalla norma sembra esprimere, piuttosto, l'esigenza che il beneficio sia subordinato all'espletamento di percorsi trattamentali calibrati sulle concrete esigenze di recupero, correlate alla tipologia di reati per cui il Codice rosso è stato introdotto, nella prospettiva del rafforzamento della tutela delle vittime di violenza domestica e di genere. Vero è che il comma 6 dell'art. 165 demanda al giudice di stabilire nella sentenza il termine entro il quale gli obblighi devono essere adempiuti e che tra gli obblighi tipizzati parrebbe rientrare anche la partecipazione ai percorsi di recupero di cui al precedente comma 5, posto che la rubrica dell'art. 165 è intitolata agli obblighi del condannato che hanno a che vedere con la sospensione condizionale della pena. A fronte di un dato testuale che pare indirizzare l'interprete ad affidare ogni potere di valutazione, al riguardo, al giudice che pronuncia sentenza, altri argomenti depongono tuttavia, ad avviso del Collegio, nel senso che, in alternativa, tempistica ed ulteriori modalità del percorso trattamentale possano essere definite anche in fase esecutiva sicché, simmetricamente, la regressione in fase di merito, in ipotesi di annullamento in sede di legittimità, non si rende sempre necessaria. Anzitutto, è stato osservato che, se si vuole privilegiare una opzione ermeneutica che garantisca un più esteso spazio operativo alla norma, alla luce del favor legis rispetto alla scelta di intraprendere percorsi di recupero, la sospensione condizionale della pena dovrebbe poter essere concessa sia in caso di avvenuta o perdurante partecipazione ad essi, sia in caso di impegno a parteciparvi in epoca successiva alla condanna con la conseguenza che le statuizioni da adottare al riguardo possono essere eterogenee. Sembra poi evidenziarsi un difetto di coordinamento tra il comma 6 dell' art. 165 c.p. ed il comma 5, il quale, come detto, è stato interpolato nella trama codicistica in epoca successiva, per effetto della L. n. 69 del 2019 . Difatti, il riferimento ad un termine entro il quale adempiere sembra meglio attagliarsi agli obblighi a contenuto sanzionatorio e ripristinatorio di cui al primo e comma 2 dell' art. 165 c.p. restituzioni, pagamento della somma liquidata a titolo risarcitorio, eventualmente fatta oggetto di provvisionale, pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione, eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, prestazione di attività non retribuita a favore della collettività , nonché a quelli, di riparazione pecuniaria ex art. 322-quater c.p. , imposti dal comma 4 dell'art. 165 mal si adatta, invece, alla partecipazione ad un percorso, in quanto fatto adempitivo che non si perfeziona in unica soluzione, ma si sostanzia in una condotta continuativa nel tempo, costituita da un facere infungibile. Si tratta, poi, di un obbligo con una matrice riparativa del tutto differente dalle altre forme di riparazione contemplate dallo stesso art. 165, che lo avvicina piuttosto agli istituti di restorative justice un obbligo, cioè, con una connotazione spiccatamente socialpreventiva, in quanto la sua esecuzione è volta a scongiurare, attraverso la rieducazione del soggetto, il pericolo di recidiva. La previsione della partecipazione ai percorsi di recupero ex art. 165, comma 5, quale condizione del beneficio, si conforma, invero, alle direttrici tracciate dalla Convenzione di Istanbul dell'11 maggio 2011, ratificata con L. 27 giugno 2013, n. 77 , con cui - per quel che qui rileva gli Stati aderenti si impegnarono a promuovere, in uno al superamento di stereotipi socio-culturali nelle relazioni di genere fortemente criminogeni art. 12 , la programmazione di misure trattamentali rivolte agli autori di condotte a base violenta, nei confronti delle donne o in ambito domestico, e ciò all'espresso fine di prevenire la reiterazione di analoghe condotte art. 16 . Un tale inquadramento ricostruttivo reca in sé ulteriori implicazioni. Non rispondendo ad una logica sanzionatoria - benché possa presentare, in quanto cogente, un contenuto di afflittività per il condannato - la partecipazione a percorsi rieducativi non va modellata sui parametri quantitativi previsti per le pene, principali e sostitutive e, dunque, non è necessario che la durata del trattamento sia rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice del merito, secondo il paradigma dettato dall' art. 133 c.p. per la dosimetria della pena. Ancora, la durata del percorso - i cui contenuti e modalità dovranno essere personalizzati e definiti con l'ausilio di soggetti tecnicamente attrezzati, implicando, se del caso, anche un supporto psicologico da parte di un esperto potrebbe non essere concretamente individuabile da. parte del giudice della cognizione. I tempi di recupero potrebbero, poi, non essere agevolmente individuabili ex ante, senza valutare la progressione - e l'utilità - del trattamento. Nè possono sottacersi le negative ricadute sui tempi di definizione del processo che potrebbero essere determinate dall'attribuzione al giudice della sentenza del compito di individualizzare il percorso nella stessa decisione. Ancora, con riguardo alla individuazione dell'ente o associazione che dovrà prendere in carico il condannato, l'intervallo temporale tra il momento in cui la sentenza viene resa e quello della sua irrevocabilità, che dà avvio alla fase esecutiva, potrebbe essere tanto dilatato da rendere l'individuazione di tale soggetto, da parte del giudice, inutile data, posto che non vi sarebbe alcuna certezza che la disponibilità della struttura designata, a suo tempo acquisita da detto giudice, permanga invariata a distanza di mesi, o, nel caso in cui la decisione fosse oggetto di gravame, anche di anni. Tutto ciò induce a ritenere che la definizione dei termini e delle più adeguate modalità attuative dei percorsi di recupero, che non investono il nucleo decisorio della pronuncia impugnata, ben possa essere demandata alla fase esecutiva v. in tal senso, con riferimento lavoro di pubblica utilità, Sez. 5, n. 39770 del 29/05/2017 Ud., A. Rv. 271072 - 01 Sez. 4, n. 34774 del 29/01/2014, Salzarulo, Rv. 260118 - 01 . Tali rilievi valgono a maggior ragione nel caso in esame, che vede un percorso riabilitativo già spontaneamente intrapreso dal prevenuto, sicché appare opportuno che sia il giudice della esecuzione a verificarne direttamente - e periodicamente - congruenza e tempi di durata. Conseguentemente, va pronunciato l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, a norma dell'art. 620, lett. I , c.p.p., nella parte in cui risulta omessa la statuizione relativa alla subordinazione della sospensione condizionale agli obblighi di cui all' art. 165, comma 5/ c.p. , che va in questa sede disposta. Da ultimo, non possono essere riconosciute le spese processuali relative al presente grado di giudizio in favore della parte civile costituita, vertendo il ricorso su questioni afferenti al trattamento sanzionatorio rispetto alle quali tale parte, che vanta esclusivamente interessi di natura risarcitoria di rilevanza civilistica, non ha, nè ha esplicitato di avere, alcun interesse. P.Q.M . Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla omessa subordinazione della sospensione condizionale della pena asili obblighi previsti dall 'art. 165, comma 5, c.p ., che dispone.