Si alla custodia cautelare in carcere anche se la pena prevista è inferiore a tre anni

Il divieto di applicazione della misura cautelare carceraria previsto dall'art. 275, comma 2- bis, c.p.p. non impedisce di adottare comunque tale misura, qualora altra misura cautelare si riveli inadeguata e gli arresti domiciliari non possano essere applicati.

Con sentenza n. 29957 depositata il 10 luglio 2023 la Corte di Cassazione ha formulato un principio di diritto in materia di applicazione delle misure cautelari . Il caso nasce da un' istanza di revoca o sostituzione di custodia cautelare in carcere presentata da Tizio, ristretto per il delitto di resistenza a pubblico ufficiale . Lamenta Tizio, con un unico motivo di doglianza, la violazione della disciplina di rito nella quale sarebbero incorsi i giudici di merito, in particolare del divieto di custodia cautelare in carcere in caso di pena detentiva finale inferiore a tre anni , ex art. 275, comma 2- bis, c.p.p. dal momento che egli, con sentenza di primo grado, veniva condannato ad una pena di otto mesi di reclusione. Inoltre, vi sarebbe la disponibilità, da parte di terzi, di accoglierlo presso la propria abitazione in regime di arresti domiciliari . La Corte respinge il ricorso. Valutati gli atti di causa, il Collegio rileva come, nel caso di specie, il luogo presso cui collocare l'imputato agli arresti domiciliari sarebbe l'abitazione della sua ex convivente , verso la quale egli ha realizzato plurime condotte aggressive. L'indicato luogo non sarebbe pertanto idoneo allo svolgimento della custodia domiciliare e quindi tale scelta violerebbe il primo dei criteri dettati dall' art. 275, comma 1, c.p.c. ossia la specifica idoneità in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto . La Corte formula dunque il principio per cui il divieto di applicazione della custodia cautelare in carcere non impedisce comunque di adottare tale misura, qualora ogni altra si riveli inadeguata e gli arresti domiciliari non possono essere applicati perché non idonei.

Presidente Fidelbo - Relatore Rosati Ritenuto in fatto 1. Con atto del proprio difensore, M.A.G. impugna l'ordinanza del Tribunale di Bologna del 27 febbraio scorso, che ha respinto l'appello da lui proposto ex art. 310, c.p.p. , avverso l'ordinanza del Tribunale di Rimini del 27 gennaio precedente, che aveva rigettato la sua istanza di revoca o sostituzione della custodia cautelare in carcere, cui egli si trova tutt'ora sottoposto in relazione al delitto di resistenza a pubblico ufficiale. Con un unico motivo, egli lamenta la violazione della disciplina di rito, in particolare del divieto di custodia cautelare in carcere in caso di ipotizzabile pena detentiva finale inferiore ai tre anni, a norma dell' art. 275, comma 2-bis, c.p.p. , dal momento che, con sentenza di primo grado del 5 gennaio scorso, all'esito di giudizio abbreviato, egli è stato condannato alla pena di otto mesi di reclusione. Inoltre rileva che vi sono in atti dichiarazioni di disponibilità, da parte di terzi, ad accoglierlo presso le loro abitazioni in regime di arresti domiciliari e, per altro verso, che il pericolo di reiterazione di analoghe condotte delittuose è stato ravvisato dal Tribunale nei confronti non dei pubblici ufficiali vittime della resistenza, bensì della ex-convivente, e dunque in relazione a condotte delittuose diverse da quella per cui è ristretto. 2. Ha depositato requisitoria scritta il Procuratore generale, concludendo per l'inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso non è fondato. 2. In materia di misure cautelari personali, il limite di tre anni di pena detentiva necessario per l'applicazione della custodia in carcere, previsto dall' art. 275, comma 2-bis, c.p.p. , non opera soltanto nella fase di applicazione della misura, ma anche nel corso della esecuzione della stessa, costituendo una regola di valutazione della proporzionalità cosicché la custodia carceraria non può essere mantenuta qualora sopravvenga una sentenza di condanna, quantunque non definitiva, a pena inferiore al suddetto limite tra le tantissime, Sez. 4, n. 31430 del 17/03/2021, Nasraoui, Rv. 281837 . Egualmente consolidato, tuttavia, è il principio per cui tale divieto di applicazione della custodia in carcere non impedisce di adottare comunque questa misura cautelare qualora ogni altra misura si riveli inadeguata e gli arresti domiciliari non possano essere disposti per mancanza del luogo di esecuzione tra varie altre, Sez. 4, n. 43631 del 18/09/2015, Jovanovic, Rv. 264828 . 3. La peculiarità del caso specifico risiede nel fatto che un luogo presso il quale collocare agli arresti domiciliari l'imputato esisterebbe, ma si tratterebbe dell'abitazione della sua ex-convivente, verso la quale egli ha realizzato le condotte aggressive che hanno determinato l'intervento della polizia giudiziaria e, nell'occasione, la condotta di resistenza per cui è ristretto. Ragionevole, allora, e perciò sottratto al sindacato di legittimità, si presenta il giudizio prognostico di inidoneità di tale luogo allo svolgimento della custodia domiciliare, effettuato dal Tribunale, il quale, ponendo in risalto l'indole aggressiva del ricorrente, portatore di plurimi precedenti per reati con uso di violenza, ha plausibilmente concluso che una siffatta misura non neutralizzerebbe il ravvisato pericolo di reiterazione criminosa. Consentire la riespansione del divieto di custodia cautelare in carcere in presenza di un luogo in cui eseguire gli arresti domiciliari, purché tale, senza cioè valutarne l'idoneità rispetto all'elisione dell'esigenza cautelare da salvaguardare nella situazione specifica, determinerebbe la frustrazione della funzione della misura, oltre a violare il primo dei criteri di scelta delle misure cautelari indicato al giudice dalla legge processuale specifica idoneità in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto art. 275, comma 1, c.p.p. . 4. Va, dunque, affermato il principio per cui il divieto di applicazione della custodia in carcere previsto dall' art. 275, comma 2-bis, c.p.p. , non impedisce di adottare comunque tale misura cautelare, qualora ogni altra misura si riveli inadeguata e gli arresti domiciliari non possano essere applicati, perché, pur essendovi un luogo a ciò disponibile, questo non risulti idoneo alla tutela delle esigenze cautelari del caso concreto. Il Tribunale del riesame ha fatto corretta applicazione di tale principio e, pertanto, il ricorso dev'essere respinto. 5. Al rigetto dell'impugnazione segue obbligatoriamente la condanna al pagamento delle spese di giudizio art. 616, c.p.p. . P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.