Bonus cultura 18 app: è truffa aggravata la sua conversione in denaro

Per la Cassazione non ci sono dubbi il sistema finalizzato a convertire in denaro il c.d. bonus cultura 18 app , mediante il reclutamento di migliaia di diciottenni ai quali gli indagati chiedevano le credenziali ricevute dal MIBACT e, in cambio di corrispettivo economico, assicurare l’erogazione in denaro in luogo della prestazione di beni o servizi culturali, costituisce una ipotesi di truffa aggravata ex art. 640- bis c.p.

La sentenza indicata in epigrafe offre ai Giudici della Cassazione l'occasione di delineare le differenze tra la fattispecie criminosa di cui all'art. 640- bis c.p. truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche e la diversa ipotesi ex art. 316- bis indebita percezione di erogazioni pubbliche . La vicenda trae origine da un articolato sistema ideato dagli esercenti di una libreria i quali, dopo aver individuato diversi diciottenni , registravano il buono cultura e il beneficiario sull'apposita piattaforma informatica, simulavano la vendita di libri o di beni e servizi culturali mediante false dichiarazioni e registrazioni contabili , ed infine conseguivano i rimborsi erogati dal MIBACT per l'intero ammontare del buono. Esaurite le indagini preliminari, ed accertata la natura fraudolenta posta in essere dagli indagati, il GIP disponeva la misura cautelare dell'obbligo di dimora contestando i reati di associazione a delinquere e truffa ex art. 640- bis c.p. Il tribunale di Napoli, in sede di riesame, annullava l'ordinanza emessa dal GIP. ll Giudice di prime cure offriva una lettura diversa dei fatti contestati e, rilevando che non vi fosse stato alcun preventivo controllo da parte dell'ente erogatore, e che quindi non ci fosse stato alcun raggiro da parte degli indagati nei confronti di quest'ultimo, veniva a crollare l'impianto accusatorio individuato nella truffa aggravata. Secondo il tribunale, quindi, i fatti contestati, erano da ricondurre alla ben più lieve fattispecie di cui all'art. 316- ter c.p., per di più non aventi rilevanza penale ma di mero illecito amministrativo. Avverso tale pronuncia propone ricorso per Cassazione la Procura di Napoli. Il ricorso è accolto. Il Collegio procede, preliminarmente, ad un'ampia disamina della condotta posta in essere dall'indagato e dai numerosi correi, e ne attesta la sua natura criminosa e fraudolenta. Accertata, dunque, la natura dei fatti, la Corte passa in rassegna la precedente giurisprudenza di legittimità sul tema rimprovera il giudice di merito di aver applicato erroneamente il principio di diritto, più volte affermato dalla Cassazione, per cui il reato di indebita percezione di erogazione pubbliche di cui all'art. 316- ter c.p. si differenzia da quello di truffa aggravata per la mancata inclusione tra gli elementi costitutivi della induzione in errore del soggetto erogatore che invece connota la truffa. Nel caso di indebita percezione, il soggetto erogatore è chiamato esclusivamente ad operare una presa d'atto dell'esistenza della formale dichiarazione da parte del privato del possesso dei requisiti certificativi e non anche a compiere un'autonoma attività di accertamento Cass. pen. n. 23163/2016 , Cass. pen. n. 51962/2018 . Invero, le Sezioni Unite della Corte nella sentenza n. 16568/2007 hanno indicato alcuni principi cardine in materia. In primis , la verifica circa la distinzione tra i due reati deve avvenire caso per caso proprio in ragione della problematicità astratta della questione. In secondo luogo, l'applicazione dell'art. 316- ter c.p. deve avere carattere residuale consono alla sua natura di norma volta a estendere la punibilità a condotte decettive non incluse nella fattispecie della truffa . Lo dimostra anche il fatto che il legislatore, nel delineare la fattispecie, ha previsto un'apposita clausola di riserva salvo che il fatto costituisca il reato previsto ex art. 640- bis c.p. Nel caso di specie, la ricostruzione dei fatti adottata dal tribunale sarebbe foriera di una non giustificata dilatazione dell'ambito applicativo di cui all'art. 316- ter c.p., non rispondente alla natura della fattispecie ed ai principi di diritto formulati dalla Corte, a casi nei quali, come quello in esame, è incontestata la commissione di una rilevante attività truffaldina. La Corte accoglie il ricorso, annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per un nuovo giudizio invitando il giudice del rinvio a tenere conto delle condotte illecite contestate agli indagati e alla presenza di esigenze cautelari .

Presidente Rosi - Relatore Sgadari Ritenuto in fatto 1.Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Napoli, in sede di riesame di provvedimenti impositivi di misure cautelari personali, ha annullato l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, emessa il 4 gennaio 2023, che aveva applicato al ricorrente l'obbligo di dimora in relazione ai reati di associazione per delinquere e truffa ex art. 640-bis c.p. di cui ai capi A e B della imputazione provvisoria. È stato sinteticamente sottolineato nel provvedimento impugnato che la vicenda - che coinvolge la posizione di numerosi indagati - riguarda il fenomeno della fraudolenta e vietata conversione in danaro del cd. bonus cultura 18app, ideata, organizzata e compiuta dagli esercenti della OMISSIS , sita in […], nel triennio dal 2016 a tutto l'anno 2019, mediante il reclutamento di migliaia di neo-diciottenni ai quali gli indagati richiedevano le credenziali del buono ricevuto dal MIBACT e, in cambio di un corrispettivo economico, assicuravano l'erogazione in danaro in contanti o accreditato su carte postepay in luogo della prestazione di beni o servizi culturali per i quali il bonus era stato normativamente predisposto. Come accertato in corso di indagini, una volta registrato il buono e il beneficiario sull'apposita piattaforma informatica, gli indagati simulavano sistematicamente la vendita di libri o la cessione di beni e servizi culturali - in realtà mai effettuata dalla OMISSIS - mediante false dichiarazioni e mediante false registrazioni contabili, al solo scopo di conseguire i successivi ed ingenti rimborsi erogati dal MIBACT per l'intero ammontare del buono, ottenendo un profitto complessivamente individuato in circa 2.850.000 Euro. Il Tribunale ha ritenuto che i singoli fatti contestati come reati fine, mancando l'elemento costitutivo della induzione in errore in assenza di controlli preventivi dell'ente erogatore, dovessero essere qualificati non come truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, ex art. 640-bis c.p. , ma come indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, ex art. 316-ter, c.p. , per di più non aventi rilevanza penale ma di mero illecito amministrativo ai sensi del comma 2 della norma citata dovendosi avere a riferimento l'importo delle singole operazioni illecite , con consequenziale insussistenza anche del reato associativo in quanto finalizzato alla commissione di più delitti . 2.Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, deducendo, con un primo e articolato motivo, violazione di legge in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti di cui al capo B ai sensi dell' art. 316-ter, comma 2, c.p. anziché come truffa aggravata dal conseguimento di erogazioni pubbliche art. 640-bis c.p. . Secondo il ricorrente - che ha riassunto sia le conclusioni cui era arrivato il primo giudice nel provvedimento genetico impositivo delle misure cautelaci, sia le questioni in diritto alla luce della giurisprudenza di legittimità - nelle condotte dell'indagato e dei numerosi correi erano individuabili artifici e raggiri idonei ad indurre in errore l'ente erogatore, con consequenziale inquadramento delle. condotte come truffa ex art. 640-bis c.p. nei termini di cui all'originaria imputazione provvisoria. Con un secondo motivo, il ricorrente ha censurato l'ordinanza impugnata sostenendo che, in via subordinata, le condotte di cui al reato-fine avrebbero dovuto essere qualificate ai sensi dell' art. 316-ter, comma 1, c.p. , rimanendo penalmente rilevanti con la consequenziale sussistenza del reato associativo. Considerato in diritto Il ricorso è fondato. 1. Quanto al primo motivo, occorrono alcune necessarie premesse in punto di fatto per porre la questione giuridica di interesse nei suoi corretti termini. 1.Secondo le imputazioni provvisorie, l'indagato ed i numerosi correi avevano allestito una associazione per delinquere finalizzata all'ottenimento illecito di vantaggi monetari rivenienti da una gestione non consentita del bonus cultura 18 app, nei termini di cui alla sintesi in fatto. 2. Alla stregua di tali imputazioni e per quanto risulta dalla lettura del provvedimento impugnato e di quello genetico, l'indagato ed i correi, tra loro coordinati verso il fine illecito, avevano imbastito una serie di attività ben sintetizzate nella contestazione provvisoria di truffa aggravata di cui al capo B, consistenti - nell'individuare, grazie ai caf e ad altre strutture compiacenti, i neo-diciottenni beneficiari del bonus prospettando loro la possibilità di monetizzare il buono senza necessità di acquistare i libri - nel simulare la vendita dei libri, di fatto non effettuata, inserendo nel sistema informatico del MIBACT gli estremi e i codici dispositivi dei bonus cultura ricevuti dai diciottenni con la falsa dichiarazione di costoro di avere acquistato i libri e la falsa fatturazione della loro vendita - nel convertire il buono in denaro a favore del beneficiario, previo trattenimento di una percentuale in denaro per il servizio offerto, effettuando a volte ricariche su carte di credito prepagate in forma anonima e senza trattenere i dati personali dei beneficiari del danaro. Tali operazioni avevano coinvolto migliaia di neo-diciottenni beneficiari del bonus il capo di imputazione sub B ne indica 5852 , si erano snodate per oltre tre anni, a partire dal dicembre del 2016 e, per tutte queste ragioni, avevano assunto forma illecita organizzata, secondo quanto contestato al capo A. 3. Di tutta questa attività, all'evidenza di natura fraudolenta, il Tribunale non ha tenuto conto nel qualificare la condotta degli indagati ex art. 316-ter c.p. , poiché ha basato la decisione sul fatto che la normativa di riferimento non contemplasse alcun controllo da parte dell'ente prima dell'erogazione del contributo, essendo previsti solo controlli eventuali e successivi così a fg. 5 del provvedimento impugnato . 4. In primo luogo, l'assunto circa la mancanza di previsione normativa di preventivi controlli non è corretto. Le modalità di erogazione del bonus cultura - introdotto con la L. 28 dicembre 2015 n. 208 - sono state demandate dalla suddetta legge ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Sono stati emanati, a tal fine, i decreti del 15 settembre 2016, n. 187 e del 4 agosto 2017, n 136. In particolare, l'art. 8 del primo decreto prevede che 1. A seguito dell'accettazione del buono di spesa al momento dell'acquisto secondo le modalità di cui all'art. 2, è riconosciuto un credito di pari importo al soggetto registrato e inserito nell'elenco di cui all'art. 7, che ha ricevuto il buono di spesa medesimo. Il credito è registrato nell'apposita area disponibile sulla piattaforma dedicata. 2. In seguito ad emissione di fattura elettronica, il soggetto ottiene l'accredito di un importo pari a quello del credito maturato. A tal fine, CONSAP, mediante acquisizione dei dati dall'apposita area disponibile sulla piattaforma informatica dedicata, nonché dalla piattaforma di fatturazione elettronica della pubblica amministrazione, provvede al riscontro delle fatture e alla liquidazione delle stesse . Il riscontro sulle fatture, collegato ai beneficiari del bonus inseriti in appositi elenchi, è un controllo preventivo, poiché esso precede la liquidazione del corrispettivo - dunque, del profitto della truffa in capo agli autori - al soggetto che ha fornito la prestazione e, cioè, agli esercenti accreditati come erano, falsamente, i gestori di fatto e di diritto della OMISSIS . 5. In secondo luogo ed anche a voler prescindere dalla esistenza di un controllo preventivo nella normativa di settore, i giudici di merito, omettendo di prendere in considerazione tutta l'attività fraudolenta sopra ricordata, hanno applicato erroneamente al caso in esame il principio di diritto, più volte affermato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui, il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche di cui all' art. 316-ter c.p. si differenzia da quello di truffa aggravata ex art. 640-bis c.p. per la mancata inclusione, tra gli elementi costitutivi, della induzione in errore del soggetto erogatore, che invece connota la truffa. Nel caso della indebita percezione di cui al primo reato, il soggetto erogatore è chiamato esclusivamente ad operare una presa d'atto dell'esistenza della formale dichiarazione da parte del privato del possesso dei requisiti autocertificati e non anche a compiere un'autonoma attività di accertamento tra le tante, Sez. F, n. 44878 del 06/08/2019, Aldovisi, Rv. 279036 Sez. 6, n. 51962 del 02/10/2018, Muggianu, Rv. 274510 Sez. 2, n. 23163 del 12/04/2016, Picariello, Rv. 266979 . 6. Rispetto a tale assunto giuridico occorrono alcune precisazioni volte a limitarne, ad avviso del Collegio, il perimetro applicativo. 6 .1. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, nella sentenza n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, hanno indicato alcuni principi cardine che non sono mai stati messi in discussione dalla giurisprudenza successiva. In primo luogo, il fatto che la verifica circa la distinzione tra i due reati debba avvenire caso per caso proprio in forza della problematicità astratta della questione. In secondo luogo, che l'applicazione dell' art. 316-ter c.p. deve avere carattere residuale consono alla sua natura di norma volta ad estendere la punibilità a condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa fg. 7 della sentenza SS.UU. Carchivi , come dimostra anche il fatto che il legislatore, nel delineare la fattispecie, ha previsto una apposita clausola di riserva salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall' art. 640-bis c.p. . E tale carattere residuale, indirizzato a limitare la portata applicativa dell' art. 316-ter c.p. a situazioni del tutto marginali , ne riduce l'ambito a condotte come il silenzio antidoveroso , ovvero a quelle che non inducano effettivamente in errore l'autore della disposizione patrimoniale . Ed a questo proposito, fin da quella decisione si era evidenziato come particolarmente problematico proprio il caso in cui il procedimento di erogazione delle pubbliche sovvenzioni non presuppone l'effettivo accertamento da parte dell'erogatore dei presupposti del singolo contributo ma ammette che il riconoscimento e la stessa determinazione del contributo siano fondati, almeno in via provvisoria, sulla mera dichiarazione del soggetto interessato, riservando eventualmente a una fase successiva le opportune verifiche. Sicché in questi casi, l'erogazione può non dipendere da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell'erogatore, che in realtà si rappresenta correttamente solo l'esistenza della formale dichiarazione del richiedente. D'altro canto, l'effettivo realizzarsi di una falsa rappresentazione della realtà da parte dell'erogatore, con la conseguente integrazione degli estremi della truffa, può dipendere, oltre che dalla disciplina normativa del procedimento, anche dalle modalità effettive del suo svolgimento nel singolo caso concreto fgg. 8 e 9, della sentenza SS.UU. Carchivi . La successiva sentenza delle SS.UU. di questa Corte n. 7537 del 16/12/2010, dep. 2011, Pizzuto, ha ribadito tutti i citati principi, rimarcando ancora il carattere sussidiario e residuale dell' art. 316-ter c.p. rispetto alla truffa anche citando, in proposito, l'ordinanza della Corte Cost. n. 95 del 2004 , la valutazione in concreto e caso per caso dell'accertamento in ordine alla sussistenza degli artifici e raggiri e della induzione in errore, stabilendo che l' art. 316-ter c.p. punisce condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa, caratterizzate oltre che dal silenzio antidoveroso da false dichiarazioni o dall'uso di atti o documenti falsi, ma nelle quali l'erogazione non discende da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell'ente pubblico erogatore, che non viene indotto in errore perché in realtà si rappresenta solo l'esistenza della formale attestazione del richiedente fgg. 7 e 8 della sentenza SS.UU. Pizzuto . 6.2. È in queste affermazioni che si possono cogliere gli elementi che devono guidare l'interprete nei singoli casi concreti. Nelle ipotesi in cui la condotta illecita, per le sue modalità - adeguate alla specifica normativa del singolo procedimento ma tenendo conto di tutto lo svolgimento dell'azione nel caso concreto - si esaurisca in una falsa dichiarazione all'ente erogatore, potrà aversi il reato di cui all' art. 316-ter c.p. , dal momento che l'ente, in assenza di controlli preventivi e, dunque, di una autonoma e preliminare attività di accertamento, baserà la sua potestà deliberativa a favore del richiedente l'incentivo solo sulla effettiva esistenza della dichiarazione mendace che costituisce sostanzialmente l'unica condotta penalmente rilevante messa in atto dall'agente, vale a dire il fatto di reato in sé, che può prescindere dalla esistenza di artifici e raggiri pur rimanendo penalmente rilevante in quanto punito dalla fattispecie residuale chiunque mediante l'utilizzo di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l'omissione di informazioni dovute, consegue . Non è un caso, infatti, che le sentenze volte a ritenere sussistente il reato di cui all' art. 316-ter c.p. - ivi comprese quelle delle SS.UU. prima citate - abbiano avuto al cospetto casi concreti nei quali, da un lato, il procedimento per l'erogazione di un qualche beneficio pubblico era assai semplice dall'altro, la condotta dell'agente si esauriva nella presentazione della dichiarazione falsa, della cui sola esistenza l'ente prendeva atto cosi in Sez. 2, n. 6915 del 25/01/2011, Manfredi, Rv. 249470 Sez. 2, n. 46064 del 19/10/2012, Santannera, Rv. 254354, Sez. 2, n. 49642 del 17/10/2014, Ragusa, Rv. 261000, Sez. 6, n. 51962 del 02/10/2018, Muggianu, Rv. 274510 . 6.3. Applicando questi principi al caso in esame, la violazione di legge in cui sono incorsi i giudici di merito nella valutazione concreta, consiste nel fatto di non aver preso in considerazione tutto l'insieme delle condotte commesse dall'indagato in combutta coni correi per raggiungere l'obbiettivo illecito, addirittura raggiunto attraverso la costituzione di una associazione per delinquere finalizzata al compimento della rilevante serie di condotte decettive che si sono specificate sopra - che sono contenute nel capo di imputazione sub B, oltre che in quello inerente alla fattispecie associativa - e che avevano indotto l'ente a ritenere falsamente esistenti tutti i presupposti per il riconoscimento del beneficio, così inducendolo in errore. La ricostruzione formalistica adottata dal provvedimento impugnato sarebbe foriera di una non giustificata dilatazione dell'ambito applicativo del reato di cui all' art. 316-ter c.p. - non rispondente alla natura della fattispecie ed ai principi di diritto che si sono analizzati - a casi nei quali, come quello in esame, è incontestata la commissione di una rilevante attività truffaldina ricca di artifici e raggiri posta in essere dagli autori del reato ed idonea ad indurre in errore il soggetto passivo attraverso false dichiarazioni all'ente che si pongono solo come uno dei tanti segmenti della azione delittuosa, della cui complessiva portata non vi era ragione alcuna di non tener conto nella ricostruzione d'insieme del caso concreto sia pure ancora a livello indiziario e della definizione giuridica delle condotte di cui al capo B, nonché delle conseguenze in ordine alla sussistenza del capo A. Della qualificazione giuridica inerente al capo B, qui effettuata ai sensi dell' art. 640-bis c.p. e delle sue conseguenze giuridiche in ordine al capo A, il giudice del rinvio dovrà tenere conto per i successivi provvedimenti che vorrà adottare sulla richiesta di riesame quanto alla effettiva sussistenza indiziaria, in punto di fatto, delle condotte illecite contestate all'indagato e quanto alla presenza di esigenze cautelari. Il secondo motivo di ricorso rimane assorbito in punto di diritto. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Napoli competente ai sensi dell 'art. 309, comma 7, c.p.p