Corpose spese fisse per l’ex moglie: le va riconosciuto l’assegno dall’ex marito

Inequivocabile il divario economico tra la donna e l’uomo. Decisivo il riferimento al reddito percepito dall’ex moglie e alle contemporanee spese fisse da lei sostenute.

Assegno all’ex moglie che può contare su un reddito di 1.000 euro mensili ma deve sostenere alcune corpose spese fisse. Inutile l’azione giudiziaria messa in campo dall’uomo per mettere in dubbio l’ assegno riconosciuto in favore dell’ ex moglie . Su questo punto i magistrati di Cassazione mostrano di condividere e di ritenere corretto il ragionamento compiuto dai giudici del tribunale e dai giudici d’appello. Impossibile, in sostanza, negare alla donna un assegno di mantenimento di 200 euro mensili, una volta preso atto della palese discrepanza redditual-patrimoniale tra i due coniugi . In sostanza, vi è la necessità del riconoscimento dell’assegno, sia in funzione dell’apporto offerto dalla donna, nonostante la breve durata del matrimonio , al ménage familiare sia, essenzialmente, sotto il profilo assistenziale , in quanto necessario a garantirle una esistenza dignitosa . Per quanto concerne poi, la pretesa autosufficienza economica della donna, i giudici sottolineano lo scarto tra i redditi dell’uomo e della donna e, in particolare, pongono in rilievo la circostanza che il reddito goduto dalla donna, aggirante sui 1.000 mensili, è in buona parte assorbito da spese fisse destinate o al pagamento di un mutuo immobiliare per l’acquisto, in costanza di matrimonio, di un immobile colpito da un evento sismico, e dunque privo di redditività, o al rimborso di un finanziamento per l’acquisto di un’autovettura o, infine, al pagamento del canone di locazione della casa di abitazione .

Presidente Bisogni Relatore Di Marzio Rilevato che 1. A.A. ricorre per tre mezzi, nei confronti di M.R. , contro la sentenza emessa il 9.12.2021 dalla Corte d'Appello di Perugia, pubblicata il 7.01.2022 e notificata il 10.01.2022, nel giudizio di appello rubricato al n. R.G. 191/2020, promosso da A.A. nei confronti di M.R. per la riforma e la revoca della sentenza n. 720/2019 emessa dal Tribunale di Terni ed avente ad oggetto cessazione degli effetti civili del matrimonio. 2. M.R. resiste con controricorso. Considerato che 3. Il ricorso contiene i seguenti motivi i Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell' art. 132 comma 2, n. 4 c.p.c. in relazione all' art. 360 comma 1, n. 4 c.p.c. ii Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell' art. 5 comma 6 della L. n. 898 del 1970 , in combinato disposto con l' art. 112 c.p.c. , in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 iii Nullità della sentenza per omesso esame di un fatto storico decisivo in relazione all' art. 360 c.p.c. , n. 5 Difetto di motivazione. Ritenuto che 4. Il ricorso va respinto. 4.1. Il primo mezzo va respinto. Il tema del contendere attiene all'attribuzione alla M. di un assegno di mantenimento di 200 Euro mensili, riconosciuto dal Tribunale con decisione confermata dalla Corte d'appello. Nel motivo in esame A.A. sostiene che la decisione perugina sarebbe sostenuta da una motivazione meramente apparente, svolta per relationem a quella di primo grado, senza esame critico dei motivi di appello. Ora, è ben vero che la sentenza d'appello può essere motivata per relationem solo se il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame Cass. 5 agosto 2019, n. 20883 ma, nel caso di specie, la sentenza della Corte d'appello - elenca analiticamente i profili di censura spiegati dall'appellante, in breve concernenti l'insussistenza e comunque la mancata prova dei presupposti per il riconoscimento dell'assegno di divorzio - trascrive la sentenza del Tribunale di Terni nella parte dedicata alla quantificazione dell'assegno - dà criticamente conto della condivisione della soluzione adottata dal primo giudice, richiamando i parametri individuati dalla giurisprudenza di questa Corte, e ponendo in particolare l'accento sulla discrepanza reddituale-patrimoniale tra i due coniugi e sulla necessità di riconoscimento dell'assegno sia in funzione dell'apporto offerto dalla M. , nonostante la breve durata del matrimonio, al mènage familiare, sia, essenzialmente, sotto il profilo assistenziale, in quanto necessario a garantirle una esistenza dignitosa . 4. Anche il secondo mezzo è infondato. Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello non avrebbe proceduto rigorosamente all'accertamento concreto dell'autosufficienza economica del coniuge richiedente l'assegno, dell'eventuale contributo personale ed economico dato dal coniuge alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, e non ha proceduto, da ultimo ma non per ultimo, ad accertare se per detto contributo la M. avesse sacrificato, anche in rapporto alla durata del matrimonio, le proprie aspettative personali e professionali . Ma non è così. La Corte d'appello si è soffermata sullo scarto tra i redditi dell'uno e dell'altro contendente ed ha in particolare sottolineato la circostanza che il reddito goduto dalla M. , aggirante sui 1000 Euro mensili, è in buona parte assorbito da spese fisse destinate a al pagamento di un mutuo immobiliare per l'acquisto, in costanza di matrimonio, di un immobile colpito da un evento sismico, e dunque privo di redditività b al rimborso di un finanziamento per l'acquisto di un'autovettura c al pagamento del canone di locazione della casa di abitazione. È poi vero che la sentenza non si è soffermata sull'aspetto del sacrificio, da parte della M. , di proprie aspettative personali o professionali ma come si è già accennato, ciò per il fatto che l'assegno è stato riconosciuto in funzione prevalentemente assistenziale, e non già compensativa perequativa, sebbene il giudice di merito abbia anche preso in considerazione, nella complessiva valutazione degli elementi rilevanti, la circostanza che la M. ha concorso all'attività lavorativa dell'A. , occupandosi della contabilità ed in particolare della redazione della prima nota. 4.3. È infondato infine il terzo mezzo. Con esso il ricorrente si duole della mancanza della valutazione del requisito legato al sacrificio delle aspettative professionali ma, a parte il fatto che la valutazione di detto requisito non è un fatto storico, secondo l'accezione che la giurisprudenza di questa Corte riconosce al significato del numero 5 dell' art. 360 c.p.c. Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053 , il punto è, come si è già detto, che l'assegno è stato riconosciuto perché necessario a garantirle una esistenza dignitosa , e cioè in funzione assistenziale, e non in funzione compensativa-perequativa, in piena conformità all'insegnamento di Cass., Sez. Un., 11 luglio 2018, n. 18287 . 5. Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto. Per Questi Motivi rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.