Dichiarazioni offensive: spese processuali a carico del soccombente anche se la domanda di uno degli attori è stata rigettata

Nel caso in cui un medesimo fatto diffamatorio sia lamentato da più persone, ma soltanto alcune di queste siano ritenute effettivamente danneggiate e la difesa del dichiarante non è stata specificamente indirizzata alla condotta di uno piuttosto che degli altri danneggiati, nulla è dovuto a titolo di rifusione delle spese processuali da parte di quei danneggiati la cui domanda non sia stata accolta.

Nell'ambito di un procedimento per il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dagli attori tre fratelli a capo di due gruppi imprenditoriali per alcune dichiarazioni di contenuto diffamatorio rilasciate dal convenuto, il giudice di primo grado accoglieva solo parzialmente la richiesta escludendo che uno degli attori avesse dimostrato di aver subito un danno. La Corte d'appello confermava il carattere offensivo delle dichiarazioni censurate e confermava dunque la sentenza di prime cure, compresa la condanna alle spese processuali in capo al soccombente. La vicenda è giunta all'attenzione della Cassazione che però rigetta l'impugnazione. Tra le doglianze proposte risulta interessante quella relativa al fatto che i giudici di merito, pur avendo rigettato la domanda proposta nei confronti del ricorrente da uno degli attori, non abbiano poi condannato quest'ultimo alla rifusione delle spese processuali. Il Collegio sottolinea la peculiarità della fattispecie in cui l'azione risarcitoria è stata proposta da più attori e respinta quanto ad uno solo tra questi e precisa che il ricorrente non risulta aver subito un conseguente aggravio della propria posizione difensiva. La pronuncia chiarisce infatti che nel caso in cui un medesimo fatto diffamatorio sia lamentato da più persone, ma soltanto alcune di queste siano ritenute effettivamente danneggiate e la difesa del dichiarante non è stata specificamente indirizzata alla condotta di uno piuttosto che degli altri danneggiati, nulla è dovuto a titolo di rifusione delle spese processuali da parte di quei danneggiati la cui domanda non sia stata accolta .

Presidente De Stefano – Relatore Gianniti Fatti di causa 1. M.N. ricorre avverso la sentenza n. 524/2022 della Corte d'appello di Palermo, che - rigettando l'appello principale da lui proposto, nonché l'appello incidentale proposto da C.G. in proprio e quale legale rappresentante del Gruppo C. srl, C.L. quale rappresentante della C. Costruzioni Srl e C.F. - ha confermato la sentenza n. 745/2016 del Tribunale di Agrigento, la quale aveva accolto la domanda risarcitoria nei confronti di C.G. e dei suoi due gruppi imprenditoriali di riferimento, mentre l'aveva respinta nei confronti di C.F 2. Questi in sintesi i fatti. 2.1. Il M. a dicembre 2012 veniva nominato Assessore all'Energia e Rifiuti della Regione Siciliana e, nella suddetta qualità, nel successivo mese di maggio 2013, veniva sentito presso la sede del Parlamento, in Roma, ove si sarebbe dovuto decidere se varare la richiesta applicazione della legge sull'emergenza per l'impiantistica. Nel corso dell'audizione parlamentare, veniva rappresentata da un parlamentare siciliano l'esistenza di una missiva nella quale la Lega Ambiente e Confindustria Sicilia prendevano posizione contraria. Tra le ragioni esposte formalmente risultava l'argomentazione in base alla quale la concessione di deroghe in emergenza aveva da sempre agevolato infiltrazioni mafiose. A fronte di dette critiche, il M. rilasciava successivamente interviste in più sedi, a tutela della correttezza della scelta effettuata, del buon nome suo e della Giunta regionale che quelle scelta aveva avallato. 2.2. Orbene, con atto di citazione, notificato in data 13 maggio 2014, C.G., C.L. e C.F., in proprio e quali L.R. L. e G. o soci F. delle società C. Costruzioni srl e Gruppo C. srl convenivano davanti al Tribunale di Agrigento il M. per ottenere il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, causati da quest'ultimo, quale Assessore ai Rifiuti ed Energia della Regione Siciliana, in relazione a sei interventi pubblici, diffusi attraverso interviste ed interventi pubblici in un arco di tempo compreso tra il 9 luglio ed il 2 dicembre 2013. Più in particolare, gli attori lamentavano che il M. avesse leso l'onore, il decoro e l'immagine dei tre fratelli C. e dei due gruppi imprenditoriali di loro riferimento - con la diffusione di un comunicato stampa del 9.7.2013 - con una intervista pubblicata sul settimanale l'Espresso in data 14.11.2013 - con alcune dichiarazioni nel corso di una riunione tenuta il 19.11.2013 a Palermo nei locali dell'assessorato all'Energia e Rifiuti della Regione Sicilia - con dichiarazioni rese nel corso dell'incontro con alcuni sindaci dell'ex ATO Rifiuti Gesa di Agrigento tenuto il 21.11.2013 - con dichiarazioni rese nel corso di una intervista televisiva svoltasi nei giorni immediatamente successivi al 21.11.2013 - con il comunicato stampa a firma del convenuto datato 2.12.2013. Il M. si costituiva chiedendo il rigetto della domanda attorea sia in punto di an che di quantum debeatur. In particolare, in relazione all'episodio del 19 novembre 2013, negava di aver formulato le propalazioni riportate nell'atto di citazione ed affermava di aver invece formulato altre e diverse propalazioni peraltro solo dopo essere stato in certa misura sollecitato dai due interlocutori, emissari di C.G. mentre, in relazione ai restanti episodi ed alle frasi effettivamente pronunciate in occasione della riunione del 19 novembre 2013, osservava che le affermazioni rese erano espressione del c.d. diritto di critica politica. Nel corso del giudizio di primo grado C.L. rinunciava alla domanda, essendosi costituito parte civile nel parallelo processo penale per diffamazione avviato presso il Giudice di Pace di Palermo. Il Tribunale di Agrigento, con la citata sentenza, accoglieva la domanda risarcitoria esclusivamente in relazione a quanto avvenuto in occasione della riunione del 19 novembre 2013 presso l'Assessorato, indetta sul tema dello smaltimento dei rifiuti dal Dott. L.M., all'epoca Direttore Generale del Dipartimento Acqua e Rifiuti dipendente dall'Assessorato all'Energia della Regione Siciliana . Il giudice di primo grado escludeva invece che C.F. avesse provato di aver subito la compromissione della sua reputazione in conseguenza della condotta offensiva subita dal fratello G In punto di quantum, il Tribunale di Agrigento riteneva la sussistenza di un danno non patrimoniale di C.G. per le offese subite, liquidandolo in via equitativa in Euro 30 mila oltre accessori , nonché di un danno non patrimoniale riflesso dei due gruppi imprenditoriali di suo riferimento, liquidandolo in via equitativa in Euro 15 mila sempre oltre accessori . Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva appello principale il M., che sosteneva a in punto di an debeatur, di non avere, in occasione della riunione del 19 novembre 2013, pronunciato le frasi riportate in atto di citazione, ma altre, che erano comunque scriminate dal diritto di critica si lamentava che il giudice di primo grado non aveva proceduto a verificare l'attendibilità dei testi Ca. e T. i due esponenti di Confindustria Sicilia, che avevano con lui interloquito nel corso di una pausa della riunione tenutasi il 19.11.2013 presso i locali dell'Assessorato Energia della Regione Sicilia , prendendo per buono quando dagli stessi affermato a conferma del capitolo di prova, nonostante il teste B. li avesse smentiti b in punto di quantum debeatur, che né C.G. né i due relativi gruppi imprenditoriali avevano provato di aver subito un danno in conseguenza delle affermazioni ritenute diffamatorie e che comunque le due società non erano legittimate ad esercitare la domanda risarcitoria, in quanto avevano trasferito l'azione civile nel processo penale. La sentenza del giudice di primo grado veniva impugnata con appello incidentale anche dagli originari convenuti che, oltre al rigetto dell'impugnazione proposta dal M., chiedevano a affermarsi che anche gli altri fatti denunciati in primo grado non erano rimasti scriminati dal diritto di critica politica. b quantificarsi in maggiore misura il danno da essi subito per effetto di tutte le dichiarazioni diffamatorie. La Corte d'appello di Palermo con la citata sentenza rigettava l'appello principale e l'appello incidentale compensando integralmente le spese processuali. In sintesi, la Corte territoriale - riteneva provato che il M. aveva proferito le frasi riportate nell'atto di citazione e che dette frasi avevano un contenuto offensivo - riteneva corretta la valutazione del primo giudice relativamente ai parametri riguardanti la quantificazione in via equitativa del danno non patrimoniale - riteneva corretta la statuizione del primo giudice in ordine alla condanna delle spese processuali sia perché espressione dell'esercizio del suo potere discrezionale ex art. 92 c.p.c. , sia perché pur essendo stata totalmente rigettata la domanda di C.F., quest'ultimo era difeso dal medesimo difensore dei fratelli attori, che rappresentavano la stessa parte. 3. Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso il M Hanno resistito con unitario controricorso C.G. e C.F., nonché le società Gruppo C. srl e C. Costruzioni srl. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato conclusioni con le quali ha chiesto il rigetto dei primi due motivi e l'accoglimento parziale del terzo. Hanno depositato memoria sia il Difensore di parte ricorrente che il Difensore di parte resistente. Ragioni della decisione 1.Il ricorso del M. è affidato a tre motivi. 1.1. Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e omessa/insufficiente motivazione nella parte in cui la corte territoriale ha affermato che pp.6-8 Dalla istruttoria compiuta in primo grado deve ritenersi accertato che, in occasione della riunione del 19 novembre 2013 indetta sul tema dello smaltimento dei rifiuti dal Dott. L.M., Direttore Generale del Dipartimento Acqua e Rifiuti, l'odierno appellante ha profferito all'indirizzo di C.G. le frasi contestate, così come affermato nella sentenza impugnata sulla base delle deposizioni dei testi Ca.Gi. udienza del 15/6/2015 e T.G. udienza del 12/10/2015 in risposta agli articolati 1-a, 1-b, 1-c, 1- d, 1-e, 1-f contenuti nell'atto di citazione. Il Giudice di primo grado ha dato conto nella motivazione delle risultanze della deposizione del teste B.F., evidenziando che quel teste ha riferito in merito alla posizione assunta dal C., quale rappresentante di Confindustria, sui provvedimenti legislativi assunti dallo Stato centrale in tema di rifiuti e alla sua situazione di conflitto di interessi in quanto, al contempo, esponente dell'associazione di categoria vice presidente con delega all'energia e gestore, tramite società riconducibili a lui e alla sua famiglia, della discarica di Siculiana. Tuttavia, in accordo con la sentenza impugnata, deve ritenersi che le frasi contestate sono altamente offensive, siccome lesive dell'onore e della reputazione di C.G. verso cui erano state rivolte, atteso che quelle esternazioni non costituiscono critiche costruttive su accadimenti o altrui dichiarazioni ma erano delle vere e proprie contumelie e gratuiti attacchi personali avulsi dall'oggetto della riunione, come tali non scriminate dall'esercizio del diritto di critica politica del dichiarante ex art. 21 Cost. e art. 51 c.p. . L'odierno appellante nella comparsa conclusionale ha insistito nelle ragioni dedotte con il motivo di doglianza in esame, evidenziando che, nelle more che il presente grado di appello giungesse alla fase decisoria, il giudizio penale a suo carico per il reato di diffamazione si è concluso con una sentenza assolutoria emessa dal Tribunale penale di Palermo in composizione monocratica, in grado di appello avverso la sentenza di condanna emessa dal Giudice di Pace di Palermo. In proposito, l'appellante chiede che questa Corte recepisca le argomentazioni svolte dal Tribunale Penale di Palermo, che ha affermato la insussistenza della diffamazione in relazione all'episodio del 19 novembre 2013 per cui è processo, non avendo ritenuto provato che il dottor M. abbia detto le frasi riportate dai testi T. e Ca . Sul punto va premesso - che nel detto procedimento penale risulta costituito parte civile il solo C.L., pur essendo indicato quale parte offesa anche C.G. - che la sentenza del Tribunale penale di Palermo è stata emessa il 2 settembre 2019 e risulta passata in giudicato in data 18 febbraio 2021 - che, pertanto, non può farsi applicazione dell' art. 652 c.p.p. , in quanto detta sentenza è stata resa tra parti diverse ed emessa nella pendenza del giudizio civile di danno, non avendo C.G. trasferito la propria azione nel giudizio penale si veda Cass. civ., Sez. III, n. 15112/2013 e che sul punto sia concorde l'appellante, il quale ha infatti chiesto alla Corte un'autonoma valutazione della predetta sentenza come elemento di prova sopravvenuto. Ciò posto, la Corte ritiene che le risultanze istruttorie del presente giudizio non siano inficiate in alcun modo dalla sentenza assolutoria emessa dal Tribunale penale di Palermo in grado di appello, nella quale i testi Ca. e T. sono stati ritenuti inattendibili, in quanto non avrebbero dato garanzia di neutralità per la loro appartenenza al direttivo di Confindustria siciliana nonché per la manipolazione o, quantomeno, condizionamento che il C. avrebbe potuto esercitare sui testi, vista la sua posizione contro il Governo centrale che aveva dichiarato l'emergenza rifiuti, ottenuta dalla Regione Sicilia sotto la spinta del M., per la realizzazione di impianti pubblici eliminando le discariche private. Trattasi evidentemente di elementi indiziari, valutati favorevolmente alla tesi difensiva dal Tribunale penale, che tuttavia non possono condurre a ritenere che quei testi abbiano affermato il falso nel presente giudizio ovvero a un giudizio di inattendibilità delle loro deposizioni, per quanto da essi riferito in risposta agli articolati di prova - ovvero che l'odierno appellante ha profferito all'indirizzo di C.G. le frasi contestate - e per la mancanza di elementi di prova contrari che possano contrapporsi efficacemente al risultato di quelle testimonianze . Osserva il ricorrente che la corte territoriale, confermando il giudizio di attendibilità dei testi T. e Ca. che avevano affermato che lui aveva pronunciato le frasi diffamatorie , aveva disatteso la ricostruzione del medesimo fatto effettuato con sentenza penale n. 16/19 emessa dal Tribunale Penale di Palermo, passata in giudicato. Si duole che la motivazione espressa omette del tutto il rilievo devoluto con l'atto d'appello in ordine alla mancata verifica del giudizio di attendibilità di entrambi i testi sia perché non disinteressati rivestivano ruoli apicali all'interno di Confindustria Sicilia e sostituivano nell'occasione C.G., con il quale M. si trovava in forte opposizione , sia perché la deposizione da essi resa si era dimostrata tutt'altro che spontanea. Sottolinea che in sede penale l'attendibilità dei suddetti testi era stata posta in dubbio a fronte degli elementi di prova e di accadimenti sopravvenuti, compendiati nella misura cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Caltanissetta e poi dalla sentenza del medesimo Giudice, che aveva giudicato e condannato l'ex presidente di Confindustria Sicilia, Mo.Ca.An Si duole che la sentenza impugnata non si confronta con gli specifici rilievi devoluti con l'atto di appello e non indica le ragioni sulla scorta delle quali, a fronte delle nuove prove, il giudizio di attendibilità del primo giudice era da mantenersi fermo. 1.2. Con il secondo motivo censura la sentenza impugnata per violazione di legge e carenza e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la corte territoriale ha affermato che Come evidenziato nella sentenza impugnata, le frasi contestate sono lesive dell'onore e della reputazione di C.G. verso cui erano rivolte, risultando integrate le fattispecie della diffamazione ex art. 595 c.p. e dell'illecito civile ex art. 2043 c.c. Pertanto, sussiste in capo a C.G. un danno non patrimoniale, da identificare con la sofferenza danno conseguenza connessa alla lesione della reputazione personale e professionale dello stesso danno-evento . Deve ritenersi corretta la valutazione del Giudice di primo grado in ordine alla quantificazione in via equitativa del danno non patrimoniale sofferto da C.G., sulla base dei seguenti elementi - gravità delle espressioni profferite - contesto in cui le dichiarazioni erano state pronunciate incontro istituzionale presso l'Assessorato all'Energia della Regione Sicilia, cui partecipavano i rappresentanti a livello regionale delle principali sigle sindacali e di Confindustria - notorietà della persona che ha reso le dichiarazioni e della persona verso cui sono state rivolte - risonanza della vicenda in seno agli organi istituzionali e al consesso sociale - ripercussioni della condotta diffamatoria sulla sfera personale e professionale del C La quantificazione del danno è stata operata in via equitativa sulla base di una valutazione complessiva dei suddetti elementi, in riferimento allo specifico episodio contestato, con conseguente irrilevanza dei rilievi dell'appellante in ordine a un'asserita preesistenza di uno stato d'ansia. In ogni caso, il Tribunale ha dato atto nella motivazione delle risultanze delle prove testimoniali con i testi R.R. secondo cui il C. si trovava in un frequente stato di inquietudine e agitazione, era distaccato dal lavoro e preferiva non partecipare agli incontri professionali al fine di evitare di giustificarsi in relazione alle accuse rivoltegli e C.G. il quale ha riferito della rinuncia del C. alla delega all'energia e ambiente, dettata dall'esigenza di evitare imbarazzi a lui stesso e a Confindustria, al fine di evitare di incontrare il M. negli incontri istituzionali , al fine di ritenere sussistenti le ripercussioni sulla sfera personale e professionale del C., per le quali non può escludersi un rapporto di causalità con l'episodio contestato. Va, inoltre, disatteso il profilo di doglianza relativo al difetto di legittimazione attiva delle società C. Costruzioni Srl e del Gruppo C. Srl, derivante da un'asserita rinuncia del loro rappresentante legale. Sul punto, dal verbale di udienza del 15 giugno 2015 risulta che C.L. ha rinunciato all'azione civile, da intendersi in proprio, e che pertanto detta rinuncia non ricomprenda la C. Costruzioni Srl, come può ricavarsi anche dalla intestazione dell'atto introduttivo, nel quale le parti sono indicate in modo distinto e separato anche graficamente. In accordo con la sentenza impugnata, deve ulteriormente ritenersi sussistere un danno riflesso subito dalle predette società, consistente nel pregiudizio alla reputazione di cui esse godevano in seno al consesso sociale e imprenditoriale, nel quale quelle offese vengono recepite come modus operandi secondo logiche mafiose delle società riconducibili alla famiglia C L'istruttoria compiuta conferma la sussistenza di un danno all'immagine delle società, come si evince dalla deposizione del teste Z.A., il quale ha riferito che alla C. Costruzioni, per la quale egli lavorava, erano state richieste notizie da parte della Volvo e della CCT, che intrattenevano rapporti con quella società, su eventuali revoche di provvedimenti autorizzativi regionali che consentivano alla società C. di andare avanti con i lavori ha riferito, altresì, di ritardi nella conclusione di accordi commerciali con la Volvo aventi ad oggetto il noleggio di mezzi d'opera, con conseguenti danni da ritardo dovuti all'aumento dei prezzi. Deve, pertanto, confermarsi la sentenza impugnata anche su detto punto, risultando corretta anche la commisurazione del danno, da ritenere rispondente a criteri di equità, in base agli elementi di valutazione e alla sua liquidazione in via unitaria in favore delle due società . Sostiene il ricorrente che la corte territoriale, tanto affermando, non ha tenuto conto dei parametri di controllo dettati dall' art. 185 c.p. , artt. 2059,2043 e 2697 c.c. sulla prova del danno e sui parametri per la relativa liquidazione equitativa del danno da diffamazione semplice. Osserva che nell'atto di appello aveva specificamente dedotto che le frasi oggetto dell'unico episodio ritenuto sussistente dal primo giudice, al più potevano essere state ascoltate da due/tre persone e che la loro diffusione era stata alimentata ad arte dallo stesso C., il quale si era fatto redigere apposite relazioni scritte da chi poi aveva chiamato a testimoniare. Secondo il ricorrente, tali affermazioni, ritenute sussistenti, non consentivano in ogni caso di giungere ad una valutazione del danno in via equitativa, quale stabilita dal primo giudice, in quanto - il danno, anche in caso di lesione di valori della persona, non può mai considerarsi in re ipsa, ma deve essere provato dal danneggiato secondo la regola generale dell' art. 2697 c.c. - la valutazione equitativa è subordinata alla dimostrata esistenza di un danno risarcibile certo e non eventuale o ipotetico deve portare ad una compensazione economica socialmente adeguata e congrua nell'ammontare e deve essere condotta con prudente e ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto. 1.3. Con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e motivazione mancante in relazione all' art. 92 c.p.c. nella parte in cui la corte territoriale ha affermato che La condanna per metà delle spese di lite a carico dell'appellante, liquidate in base al decisum nella sentenza impugnata, deve ritenersi conforme al principio di soccombenza nonché aderente alle risultanze del processo, posto che il Giudice di primo grado ha tenuto conto dell'accoglimento in minima parte delle pretese attoree, circostanza per la quale nell'esercizio del suo potere discrezionale ex art. 92 c.p.c. ha compensato le spese del giudizio per metà. Non appare, poi, sussistere alcuna violazione derivante dalla mancata condanna alle spese di C.F., posto che tutte le parti attrici erano assistite da un unico procuratore e che, ad eccezione di C.F. la cui domanda è stata rigettata , le loro domande sono state accolte . Sostiene il ricorrente che la corte territoriale erroneamente non ha compensato le spese ed i compensi di causa tra lui e C.G. e non ha condannato C.F. al pagamento delle spese e compensi di causa. Osserva che con l'atto di appello aveva impugnato il capo della sentenza con il quale a era stato condannato al pagamento di metà delle spese di giudizio, nonostante che per cinque degli episodi ritenuti diffamatori la domanda era stata rigettata e nonostante che il risarcimento richiesto era stato liquidato in misura di gran lunga inferiore rispetto a quanto richiesto b C.F. non era stato condannato al pagamento delle spese processuali, nonostante che la domanda risarcitoria proposta da quest'ultimo era stata integralmente rigettata. Ragioni della decisione 1. Premesso l'interesse a ricorrere anche quanto a C.F. per la peculiarità della doglianza di cui al terzo motivo rivolta pure nei suoi confronti, il ricorso è infondato. 1.1. Inammissibile è il motivo primo, in quanto il vizio motivazionale può essere invocato solo in quanto, essendo meramente apparente o totalmente mancante l'esposizione delle ragioni della decisione, non sia consentita la ricostruzione dell'iter logico che ha condotto alla sentenza, poiché carente del c.d. minimo costituzionale o perché inficiata da tali contraddizioni e incongruenze da rendere sostanzialmente incomprensibile la motivazione da ultimo Cass. n. 7090 del 2022 e n. 22598 del 2018 . D'altronde, il motivo di ricorso tende ad una diversa ricostruzione fattuale, non consentita in questa sede, per di più sulla base di atti non portati a conoscenza di questa Corte, con conseguente vizio di mancanza di specificità del motivo. Quanto alla dedotta violazione dell' art. 652 c.p.p. , la Corte territoriale ha correttamente rilevato, con argomento non attinto da valida censura, che esso non opera allorquando l'azione civile non sia stata trasferita nel giudizio penale ex art. 75 c.p.p. , comma 2, stante il principio di autonomia e di separatezza dei rispettivi giudizi Cass. n. 42028 del 2021 n. 18918 del 2019 n. 15112 del 2013 n. 319 del 2013 mentre inconferente è il richiamo all' art. 654 c.p.p. , applicabile soltanto ai giudizi civili diversi da quelli di risarcimento dei danni Cass. n. 15344 del 2020 n. 11352 del 2014 . 1.2. Inammissibile è anche il secondo motivo, concernente l'accertamento del danno. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale subito dalle persone giuridiche, il pregiudizio arrecato ai diritti immateriali della personalità costituzionalmente protetti, ivi compreso quello all'immagine, può essere oggetto di allegazione e di prova anche attraverso l'indicazione degli elementi costitutivi e delle circostanze di fatto da cui desumerne, sebbene in via presuntiva, l'esistenza Cass. n. 34026 del 2022 n. 11446 del 2017 . Non si tratta, pertanto, di riconoscere un danno in re ipsa, ma di desumerne l'esistenza, secondo un ragionamento presuntivo Cass. n. 8861 del 2021 n. 25420 del 2017 , sulla base di fatti pacifici e documentati nel corso del processo di merito. Analoga conclusione deve essere raggiunta per le persone fisiche, allorquando si controverta in tema di interessi costituzionalmente rilevanti, quali quello all'onore e al decoro, alla reputazione o all'immagine Cass. n. 479 del 2023 n. 15742 del 2018 n. 25423 del 2014 n. 22190 del 2009 n. 25157 del 2008 . Nel caso di specie la Corte territoriale ha enucleato tutti gli elementi di fatto dai quali poteva desumersi un danno agli interessi rilevanti sopra citati. 1.3. Il terzo motivo si articola in due censure. La prima censura, concernente la mancata integrale compensazione delle spese processuali relative al primo grado tra il M. e C.G., è inammissibile, in quanto l'ampia discrezionalità della quale gode il giudice del merito ne impedisce la sindacabilità in sede di legittimità Cass. n. 14459 del 2021 , n. 30592 del 2017 n. 2149 del 2014 n. 289 del 1966 . Infondata è invece la seconda censura, con la quale il ricorrente M. si duole del fatto che il giudice di appello ha confermato la statuizione del giudice di primo grado che, pur avendo rigettato la domanda proposta nei suoi confronti da C.F., non aveva condannato quest'ultimo alla rifusione delle spese processuali in suo favore. Il dictum della corte territoriale deve essere confermato, ma con diversa motivazione. In altri termini, ricordata la peculiarità della fattispecie, in cui l'azione risarcitoria è stata proposta da più attori e respinta quanto ad uno solo tra questi, va rilevato che C.F., nonostante la soccombenza, correttamente non è stato condannato dal giudice di primo grado alla rifusione delle spese processuali, non risultando né adeguatamente allegato in ricorso, né - tanto meno - provato che il M., a causa della posizione di C.F., abbia subito un aggravio della propria posizione difensiva e che, quindi, l'azione in giudizio di quest'ultimo sia avvinta da nesso di causalità con alcuna specifica attività processuale della controparte, benché vittoriosa nei suoi soli confronti. La censura viene quindi decisa secondo il principio di cui alla seguente massima di specie Nel caso in cui un medesimo fatto diffamatorio sia lamentato da più persone, ma soltanto alcune di queste siano ritenute effettivamente danneggiate e la difesa del dichiarante non è stata specificamente indirizzata alla condotta di uno piuttosto che degli altri danneggiati, nulla è dovuto a titolo di rifusione delle spese processuali da parte di quei danneggiati la cui domanda non sia stata accolta . 2. Tenuto conto del fatto che la motivazione della sentenza impugnata viene qui corretta nella parte in cui la corte territoriale ha rigettato il motivo di impugnazione concernente la regolamentazione delle spese processuali liquidate dal giudice di primo grado, le spese processuali vengono compensate tra le parti nella misura di un terzo. I residui due terzi, liquidati come da dispositivo, vanno posti a carico di parte ricorrente, soccombente, in favore dei controricorrenti G. e C.F., nonché le società Gruppo C. srl e C. Costruzioni srl , tra loro in solido per l'evidente identità della posizione processuale. Al rigetto del ricorso, pur sempre integrale nonostante la parziale correzione della motivazione, consegue altresì la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell'importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione in favore della controparte dei due terzi delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate nella misura intera in Euro 6.600, per compensi, oltre, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge e dichiara compensato tra le parti il rimanente terzo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del citato art. 13, comma 1-bis se dovuto.