Conto corrente bancario: legittimo l’interesse del correntista ad impugnare la decisione che ha ritenuto prescritto il credito

Secondo la Cassazione a prescindere dalla chiusura o meno del conto, è sempre sussistente l’interesse del correntista ad impugnare la statuizione che ha ritenuto prescritto il credito vantato in restituzione, facendo valere la natura ripristinatoria e non quella solutoria, ritenuta dal giudice delle rimesse effettuate

Nel caso di specie, è stato dichiarato prescritto gran parte del credito restitutorio della società titolare del conto, deve quindi ritenersi evidente l'interesse della società a impugnare tale statuizione, il cui passaggio in giudicato comporterebbe l'impossibilità di agire successivamente in giudizio per ottenere in restituzione somme la cui riscossione indebita era stata già accertata. Nonostante la chiusura del conto corrente, è sempre solido l'interesse del correntista ad impugnare la statuizione che ha ritenuto prescritto il credito vantato in restituzione, facendo valere la natura ripristinatoria delle rimesse effettuate. Questo il paletto fissato dai giudici, chiamati a prendere in esame il contenzioso tra una società e un istituto di credito , contenzioso relativo all'addebito – contestato, ovviamente, dalla società – di interessi ultralegali capitalizzati trimestralmente e di rilevanti oneri per commissioni di massimo scoperto. Il caso prende origine da un atto di citazione con cui una società ha convenuto in giudizio un istituto di credito, esponendo di avere aperto nel dicembre 1985 un conto corrente di corrispondenza presso una filiale della banca e deducendo che nel corso degli anni le sono stati addebitati interessi ultralegali capitalizzati trimestralmente e rilevanti oneri per commissioni di massimo scoperto, senza alcuna pattuizione , e aggiungendo che le date delle valute venivano costantemente anticipate rispetto alle date dei prelevamenti e posticipate rispetto a quelle dei versamenti . La società ricorrente chiede che venga rideterminato il saldo di conto corrente, una volta depurato degli importi corrispondenti ai contestati addebiti, con condanna della banca alla restituzione degli importi non dovuti incassati ovvero al pagamento del saldo finale del conto . Per i giudici del tribunale, però, bisogna partire dalla assenza della prova di un contratto di apertura di credito , per poi affermare la natura solutori di ogni versamento in conto della cliente . Di conseguenza, i giudici, accertata la prescrizione dei crediti restitutori relativi ai pagamenti antecedenti al mese di luglio 1999 , dichiarano non dovuti gli interessi ultralegali , principali e anatocistici , e le commissioni di massimo scoperto addebitati dalla banca dal mese di luglio 1999 e condannano l'istituto di credito solo al pagamento della somma di 219 euro e 43 centesimi . A fronte delle ulteriori obiezioni sollevate dalla società, i giudici d'appello sostengono che la società non può avere interesse a chiedere la riforma del provvedimento del Tribunale, poiché ha dedotto la natura ripristinatoria di tutte le rimesse effettuate e, aggiungono, considerato che nel corso del giudizio di primo grado il rapporto di conto corrente è risultato ancora in essere, la società non avrebbe comunque potuto ottenere la restituzione delle somme richieste in ripetizione . Secondo la difesa attorea, i giudici di merito sarebbero caduti in un grave errore nell'individuare la carenza di interesse della società a contestare gli addebiti illegittimi e a chiedere la rideterminazione del saldo del conto , poiché la società va ritenuta portatrice di tale interesse anche in pendenza del rapporto di conto corrente . Preliminarmente, la Cassazione osserva che il Tribunale ha accertato che non spettavano alla banca le somme addebitate alla correntista per interessi ultralegali e anatocistici con una statuizione che, tuttavia, non è stata seguita dall'accertamento di tutti gli importi illegittimamente addebitati, né dalla correlata rideterminazione del saldo del conto con condanna alla restituzione di tutte le somme riscosse senza titolo, poiché il medesimo giudice ha accolto l'eccezione di prescrizione, ritenendo tutte le rimesse di natura solutoria, e ha determinato il credito restitutorio della società nei limiti delle spettanze che ha ritenuto non prescritte . Su identica linea di pensiero anche i giudici d'appello, i quali hanno affermato il difetto di interesse della correntista ad impugnare la statuizione di primo grado, nella parte in cui è stata ritenuta fondata l'eccezione di prescrizione, evidenziando che la prospettazione della natura ripristinatoria delle rimesse, posta a fondamento dell'appello, comunque non avrebbe determinato l'accoglimento della domanda restitutoria, poiché durante il giudizio di primo grado il conto era ancora aperto . Secondo la società, però, il giudice di secondo grado ha errato nell'affermare tale difetto di interesse, poiché, anche ritenendo ancora in esecuzione il contratto, la società correntista avrebbe potuto trarre utilità dall'accoglimento dell'impugnazione . In particolare, la società ha evidenziato che, anche in pendenza del rapporto di conto corrente, la correntista ha interesse all'accertamento dell'entità delle somme che, pur non essendo dovute, sono state addebitate in conto ed anche alla rideterminazione del saldo fino ad allora maturato, precisando che tale interesse rileva almeno sotto tre profili l'esclusione per il futuro di annotazioni illegittime il ripristino in conto delle somme indebitamente versate la riduzione dell'importo a credito della banca al momento della chiusura del conto . Per fare chiarezza i magistrati richiamano due principi. Il primo stabilisce che in materia di conto corrente bancario, l'assenza di rimesse solutorie eseguite dal correntista non esclude l'interesse di quest'ultimo all'accertamento giudiziale, anche prima della chiusura del conto, della nullità delle clausole anatocistiche e dell'entità del saldo parziale ricalcolato, depurato delle appostazioni illegittime, con ripetizione delle somme illecitamente riscosse dalla banca, atteso che tale interesse mira al conseguimento di un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non attingibile senza la pronuncia del giudice, consistente nell'esclusione, per il futuro, di annotazioni illegittime, nel ripristino di una maggiore estensione dell'affidamento concessogli e nella riduzione dell'importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere alla cessazione del rapporto . Il secondo stabilisce che il correntista, sin dal momento dell'annotazione in conto di una posta, avvedutosi dell'illegittimità dell'addebito in conto, ben può agire in giudizio per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell'addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso, e potrà farlo, se al conto accede un'apertura di credito bancario, proprio allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli . Tornando al caso di specie, i magistrati osservano che vi è stata una pronuncia di primo grado in cui è stato dichiarato prescritto gran parte del credito restitutorio della correntista, sicché deve ritenersi evidente l'interesse della società a impugnare tale statuizione, il cui passaggio in giudicato avrebbe comportato l'impossibilità di agire successivamente in giudizio per ottenere in restituzione somme la cui riscossione indebita era stata già accertata . Tirando le somme, ecco il principio ulteriore fissato dai magistrati.

Presidente Scotti Relatore Reggiani Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 27/07/2009 l' omissis di B.A. e R. e C. s.n.c. già omissis di X. e B. X. s.n.c., di seguito anche omissis aveva convenuto in giudizio la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. di seguito, anche MPS davanti al Tribunale di Mantova, esponendo di avere aperto nel dicembre 1985 un conto corrente di corrispondenza presso la filiale di omissis delle Stiviere della Banca Agricola Mantovana s.p.a., poi divenuta Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., deducendo che nel corso degli anni le erano stati addebitati interessi ultralegali capitalizzati trimestralmente e rilevanti oneri per commissioni di massimo scoperto, senza che vi fosse alcuna pattuizione, e aggiungendo che le date delle valute venivano costantemente anticipate rispetto alle date dei prelevamenti e posticipate rispetto a quelle dei versamenti. Chiedeva pertanto che fosse rideterminato il saldo di conto corrente, una volta depurato degli importi corrispondenti ai contestati addebiti, con condanna della banca alla restituzione degli importi non dovuti che aveva incassato ovvero al pagamento del saldo finale del conto. Nel costituirsi la MPS aveva chiesto il rigetto della domanda, ritenuta infondata, eccependo comunque l'intervenuta prescrizione decennale del vantato credito alla restituzione per tutti gli importi asseritamente dovuti precedenti al mese di luglio 1999. Disposte due consulenze tecniche d'ufficio, il Tribunale, ritenuta l'assenza della prova di un contratto di apertura di credito, affermava la natura solutoria di ogni versamento in conto della cliente e, accertata la prescrizione dei crediti restitutori relativi ai pagamenti antecedenti al mese di luglio 1999, dichiarava non dovuti gli interessi ultralegali, principali e anatocistici, e le commissioni di massimo scoperto addebitati dalla banca dal mese di luglio 1999, condannando quest'ultima al pagamento della somma di Euro 219,43 oltre interessi. Avverso tale pronuncia ha proposto appello la omissis sulla base di un unico motivo, censurando l'intervenuto accoglimento dell'eccezione di prescrizione del credito azionato, fondato sulla ritenuta natura solutoria delle rimesse, e rinnovando l'eccezione di nullità della seconda consulenza tecnica, disposta d'ufficio per la ricerca di versamenti solutori non indicati dalla banca. L'appellante ha, in particolare, dedotto che tutte le rimesse erano ripristinatorie e, con riferimento alla prova dell'apertura di credito, ha rilevato che il giudice di primo grado non aveva tenuto conto che all'epoca della costituzione del rapporto non era necessario alcun contratto scritto per i rapporti bancari. La MPS si è costituita chiedendo il rigetto dell'appello. Con sentenza n. 1384/2018, pubblicata il 17/08/2018 e notificata il 29/08/2018, la Corte d'appello di Brescia ha respinto l'impugnazione. In motivazione, il giudice del gravame ha affermato che l'appellante non aveva interesse a chiedere la riforma della sentenza impugnata, perché aveva dedotto la natura ripristinatoria di tutte le rimesse effettuate e, considerato che nel corso del giudizio di primo grado il rapporto di conto corrente era ancora in essere, comunque non avrebbe potuto ottenere la restituzione delle somme richieste in ripetizione stigmatizzando anche la ritenuta contraddittorietà delle allegazioni dell' OMISSIS , che aveva prospettato la presenza di versamenti ripristinatori e, nel contempo, ne aveva chiesto la restituzione come se fossero stati solutori . La Corte di merito ha anche effettuato argomentazioni in ordine al riparto dell'onere della prova e ai presupposti per la disposizione della CTU contabile, aggiungendo tuttavia che, avendo l'appellante prospettato la natura ripristinatoria di tutte le rimesse, l'impossibilità di accogliere la domanda di restituzione, per le ragioni esposte, assorbiva ogni altra questione posta in causa p. 8-9 della sentenza impugnata . Avverso detta sentenza, la omissis ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un motivo articolato in cinque distinte censure. L'intimata si è difesa con controricorso. Le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c. Ragioni della decisione 1. Anche se ricondotte ad un unico motivo di impugnazione, il ricorso contiene plurime e autonome censure, che pertanto possono essere indicate separatamente v. da ultimo Cass., Sez. 1, Sentenza n. 39169 del 09/12/2021 . 2. Con la prima censura è dedotta la violazione degli artt. 1855 c.c. e 120 bis D.Lgs. n. 385 del 1993 ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 , per avere la Corte d'appello ritenuto che fosse ancora in corso il rapporto di conto corrente, mentre l' omissis , nel proporre il presente giudizio, aveva esercitato il diritto recesso, come implicitamente ritenuto il giudice di primo grado, così incorrendo la menzionata Corte anche nella violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c. ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 4 , poiché la MPS non aveva proposto appello incidentale in ordine alla cessazione del rapporto implicitamente ritenuta dal giudice di primo grado. Con la seconda censura è dedotta la violazione degli artt. 1852 e 2033 c.c. ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 , per non avere la Corte territoriale considerato che, al momento della proposizione della domanda, il conto recava un saldo attivo, costituente prova dell'avvenuto pagamento degli addebiti contestati, i quali, pertanto, potevano essere richiesti in restituzione, perché il correntista potesse disporre delle corrispondenti somme. Con la terza censura è dedotta la violazione degli artt. 111 Cost. , 99, 100 e 112 c.p.c. e la conseguente nullità della sentenza impugnata ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 4 , in relazione alla ritenuta carenza di interesse della omissis a contestare gli addebiti illegittimi e a chiedere la rideterminazione del saldo del conto, mentre, invece la parte doveva ritenersi portatrice di tale interesse anche in pendenza del rapporto di conto corrente. Con la quarta censura è dedotta la violazione dell' art. 2697, comma 2, c.c. ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 , per avere la Corte di merito invertito l'onere della prova in relazione agli elementi costitutivi dell'eccezione di prescrizione. Con la quinta censura è, infine, dedotta la violazione degli artt. 61, 115 e 191 c.p.c. e la conseguente nullità della sentenza impugnata ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 4 , in ragione della natura esplorativa della seconda CTU, disposta dal giudice di primo grado, al fine di ricercare eventuali versamenti solutori non allegati dalla MPS. 3. Deve essere subito esaminata la terza censura, contenuta nell'unico motivo di ricorso, che si rivela fondata, rendendo superfluo l'esame di tutte le altre. 3.1. È opportuno, in proposito, ricostruire l'andamento del giudizio nei precedenti gradi di merito. Il Tribunale di Mantova ha accertato che non spettavano alla banca le somme addebitate alla correntista per interessi ultralegali e anatocistici con una statuizione che, tuttavia, non è stata seguita dall'accertamento di tutti gli importi illegittimamente addebitati, nè dalla correlata rideterminazione del saldo del conto con condanna alla restituzione di tutte le somme riscosse senza titolo, perché il medesimo giudice ha accolto l'eccezione di prescrizione, ritenendo tutte le rimesse di natura solutoria, e ha determinato il credito restitutorio della omissis nei limiti delle spettanze che ha ritenuto non prescritte. Il giudice di appello ha affermato il difetto di interesse della correntista ad impugnare la statuizione di primo grado, nella parte in cui è stata ritenuta fondata l'eccezione di prescrizione, evidenziando che la prospettazione della natura ripristinatoria delle rimesse, posta a fondamento dell'appello, comunque non avrebbe determinato l'accoglimento della domanda restitutoria, perché durante il giudizio di primo grado il conto era ancora aperto. 3.2. La omissis , nel proporre ricorso per cassazione, ha dedotto che il giudice di appello ha errato nell'affermare tale difetto di interesse, perché, anche ritenendo ancora in esecuzione il contratto, la correntista avrebbe potuto trarre utilità dall'accoglimento dell'impugnazione. In particolare, la ricorrente ha evidenziato che, anche in pendenza del rapporto di conto corrente, la correntista ha interesse all'accertamento dell'entità delle somme che, pur non essendo dovute, sono state addebitate in conto ed anche alla rideterminazione del saldo fino allora maturato, precisando che tale interesse rileva almeno sotto tre profili l'esclusione per il futuro di annotazioni illegittime il ripristino in conto delle somme indebitamente versate la riduzione dell'importo a credito della banca al momento della chiusura del conto. Secondo la ricorrente, pertanto, il giudice di merito avrebbe dovuto considerare l'interesse dell'attrice ad ottenere la riforma della sentenza di primo grado in punto prescrizione, quantomeno ai fini dell'accertamento dell'entità degli illegittimi addebiti e del reale saldo del conto alla data dell'ultimo estratto conto. In effetti, questa Corte, con orientamento condiviso, ha affermato che, in materia di conto corrente bancario, l'assenza di rimesse solutorie eseguite dal correntista non esclude l'interesse di questi all'accertamento giudiziale, anche prima della chiusura del conto, della nullità delle clausole anatocistiche e dell'entità del saldo parziale ricalcolato, depurato delle appostazioni illegittime, con ripetizione delle somme illecitamente riscosse dalla banca, atteso che tale interesse mira al conseguimento di un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non attingibile senza la pronuncia del giudice, consistente nell'esclusione, per il futuro, di annotazioni illegittime, nel ripristino di una maggiore estensione dell'affidamento concessogli e nella riduzione dell'importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere alla cessazione del rapporto Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 21646 del 05/09/2018 . Anche le Sezioni Unite hanno evidenziato che il correntista, sin dal momento dell'annotazione in conto di una posta, avvedutosi dell'illegittimità dell'addebito in conto, ben può agire in giudizio per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell'addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso, aggiungendo che potrà farlo, se al conto accede un'apertura di credito bancario, proprio allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli v. in motivazione Cass., Sez. U, Sentenza n. 24418 del 02/12/2010 nel medesimo senso, cfr. sempre in motivazione, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 798 del 15/01/2013 . 3.4. Per quanto riguarda, poi, l'interesse a chiedere la riforma di una pronuncia di merito, si deve tenere presente che il principio enunciato dall' art. 100 c.p.c. , secondo cui per proporre una domanda o per contraddire ad essa è necessario avervi interesse, si estende anche ai giudizi di impugnazione nei quali, in particolare, l'interesse ad impugnare va desunto dall'utilità giuridica che dall'eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone, collegandosi ad una soccombenza sostanziale, correlata agli effetti pregiudizievoli che derivano nei confronti della parte dalle statuizioni contenute nella sentenza e idonee a formare il giudicato Cass., Sez. 3, Sentenza n. 11778 del 06/08/2002 v. anche Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 27387 del 19/09/2022 . Nel caso di specie, vi è stata una pronuncia di primo grado in cui è stato dichiarato prescritto gran parte del credito restitutorio della correntista, sicché deve ritenersi evidente l'interesse della omissis a impugnare tale statuizione, il cui passaggio in giudicato avrebbe comportato l'impossibilità di agire successivamente in giudizio per ottenere in restituzione somme la cui riscossione indebita era stata già accertata. 3.5. Deve pertanto affermarsi che, a prescindere dalla chiusura o meno del conto, è sempre sussistente l'interesse del correntista ad impugnare la statuizione che ha ritenuto prescritto il credito vantato in restituzione, facendo valere la natura ripristinatoria e non quella solutoria, ritenuta dal giudice delle rimesse effettuate. 4. Come anticipato, l'accoglimento di tale censura rende superfluo l'esame di tutte le altre, che devono ritenersi assorbite. 5. In conclusione, il ricorso deve essere accolto nei limiti di cui in motivazione, e, dichiarate assorbite tutte le altre censure, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d'appello di Brescia, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata nei limiti della censura accolta e, assorbite tutte le altre, rinvia la causa alla Corte d'appello di Brescia, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.