La riqualificazione della pericolosità sociale nel procedimento di prevenzione e le conseguenze in tema di confisca

La questione affrontata dalla Cassazione riguarda il principio di correlazione tra contestazione e pronuncia nel procedimento di applicazione delle misure di prevenzione personali.

Nel caso di specie, nella richiesta originaria era stata ipotizzata la pericolosità qualificata ex art. 4, comma 1, d.lgs. n. 159/2011, a fronte della quale la Corte di Appello aveva riconosciuto la pericolosità generica, senza consentire il preventivo contraddittorio. Il principio affermato dalla Suprema Corte Nel procedimento di prevenzione, non si configura una violazione del principio di correlazione tra contestazione e decisione qualora il provvedimento applicativo della confisca ritenga sussistente la pericolosità generica ex art. 1, lett. b , in luogo di quella qualificata ai sensi dell' art. 4, comma 1, lett. a , d.lgs. n. 159/2011, a condizione che sia stato assicurato alla difesa un contraddittorio effettivo in ordine alla abitualità della commissione di delitti, idonei a produrre profitti tali da aver costituito il reddito esclusivo o, comunque, significativamente rilevante per il proposto, nonché in merito alla perimetrazione temporale della pericolosità, alla riconducibilità degli acquisti a tale periodo e alla commissione di reati fonte di profitti in quantità ragionevolmente congruente rispetto al valore dei beni che s'intendono confiscare. Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 29157, depositata il 5 luglio 2023. La questione affrontata dalla Cassazione riguarda il principio di correlazione tra contestazione e pronuncia nel procedimento di applicazione delle misure di prevenzione personali. Nel caso di specie, nella richiesta originaria era stata ipotizzata la pericolosità qualificata ex art. 4, comma 1, d.lgs. n. 159/2011, a fronte della quale la Corte di Appello aveva riconosciuto la pericolosità generica, senza consentire il preventivo contraddittorio. Misure di prevenzione personali presupposti della pericolosità generica e della pericolosità qualificata Le misure di prevenzione personali sono provvedimenti che operano prima o a prescindere dalla commissione di reati, basandosi sulla pericolosità sociale del soggetto interessato e hanno uno scopo di prevenzione sociale . Com'è noto, le misure di prevenzione vengono applicate attraverso un procedimento separato descritto e previsto dal Codice Antimafia d.lgs. n. 159/2011 . I requisiti per l'applicazione delle misure sono i seguenti 1 la persona deve essere riconducibile a una delle categorie di pericolosità indicate dal legislatore 2 la persona deve rappresentare una pericolosità sociale 3 la pericolosità deve essere attuale. Il Codice Antimafia distingue tra due categorie di soggetti i pericolosi generici art. 1 e i pericolosi qualificati art. 4 . La pericolosità generica viene determinata in base all'abitudine ai traffici delittuosi, al tenore di vita basato sui proventi di attività delittuose e alla commissione di reati che mettono a rischio l'integrità fisica o morale dei minori, la salute, la sicurezza o la tranquillità pubblica. La categoria dei pericolosi qualificati, invece, include soggetti sospettati di gravi reati, in particolare l'appartenenza ad associazioni di stampo mafioso art. 416- bis c.p. o la commissione dei reati previsti dall'art. 51, comma 3- bis , c.p.p. o dell'art. 12- quinquies d.l. n. 306/1992 . I rapporti tra pericolosità qualificata e generica, nella specie relativa ai soggetti che vivono abitualmente con i proventi di attività delittuose quella di cui si occupa la Corte nel caso de quo , si contraddistinguono per la sostanziale diversità dei presupposti di ciascuna forma di pericolosità, con la conseguenza che non è possibile ipotizzare una sorta di rapporto di continenza tra la pericolosità qualificata e quella generica. La Corte Costituzionale sui presupposti applicativi della pericolosità generica A seguito della pronuncia resa dalla Corte Costituzione, con la sentenza n. 24/2019 , i contorni dell'ipotesi di pericolosità generica disciplinata dall' art. 1, lett. b , d.lgs. n. 159/2011 sono stati compiutamente descritti, anche e soprattutto nell'ottica di valorizzare la tassatività della previsione normativa. La Consulta ha affermato che la pericolosità generica configurabile nei confronti dei soggetti che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuosa presuppone l'individuazione di categorie di delitto idonee a fondare il tipo di pericolosità in esame. La verifica della pericolosità passa attraverso l'accertamento di specifici elementi di fatto dai quali desumere che si tratti di 1 delitti commessi abitualmente e dunque in un significativo arco temporale dal soggetto 2 che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui 3 i quali a loro volta costituiscano - o abbiano costituito in una determinata epoca - l'unico reddito del soggetto, o quanto meno una componente significativa di tale reddito. Conseguentemente, la specificità dei presupposti richiesti per ritenere sussistente la pericolosità generica ex art. 1, lett. b , d.lgs. n. 159/2011, determina anche l'esigenza di instaurare il contraddittorio su di essi. Il caso di specie riqualificazione della tipologia di pericolosità in assenza di contraddittorio La Suprema Corte ricorda che nel procedimento di prevenzione è ammessa una diversa qualificazione della pericolosità a condizione che la nuova definizione giuridica sia fondata sui medesimi elementi di fatto posti a fondamento della proposta, in relazione ai quali sia stato assicurato alla difesa un contraddittorio effettivo e congruo . Pertanto, l'autorità giudiziaria può operare una diversa qualificazione giuridica della pericolosità del proposto, trattandosi di un potere generale che spetta ad ogni giudice procedente, ma tale potere deve essere esercitato previa interlocuzione delle parti sulle questioni dedotte o deducibili collegate alla proposta, in modo da escludere qualsivoglia violazione del contraddittorio. Nel caso di specie, il decreto adottato in primo grado si fondava sulla ritenuta appartenenza del soggetto ad un sodalizio mafioso, soluzione non condivisa dalla Corte di Appello, secondo cui non sussisterebbero i requisiti dell'appartenenza al sodalizio. Esclusa, pertanto, la pericolosità specifica, la Corte di Appello ha ritenuto la sussistenza della pericolosità generica ex art. 1, lett. b , d.lgs. n. 159/2011 , richiamando sinteticamente i precedenti penali dalle quali l'imputato è gravato. Nel compiere tale diversa qualificazione, però, la Corte di Appello non ha sollecitato alcuna forma di contraddittorio in ordine al presupposto applicativo della misura e, in tal modo, ha di fatto impedito al proposto di formulare le più opportune difese in ordine alla sussistenza dei presupposti per addivenire alla confisca di prevenzione. La diversa qualificazione della pericolosità sociale e i risvolti sulla confisca La Corte correttamente rileva come, a fronte della contestata appartenenza ad un sodalizio di stampo mafioso, il proposto sarà chiamato a difendersi deducendo essenzialmente elementi a sostegno della sua estraneità rispetto all'associazione. Qualora, invece, la pericolosità ritenuta sia quella generica, muta l'oggetto della difesa, che sarà tesa ad escludere i requisiti che sono stati delineati dalla Corte Costituzionale e che, potenzialmente, sono del tutto autonomi e diversi rispetto ai presupposti richiesti dalla pericolosità qualificata . La specifica esigenza di garantire il contraddittorio sui diversi presupposti della pericolosità generica emerge in maniera ancor più netta ove si consideri il connesso profilo relativo alla confisca di prevenzione. Difatti, con riferimento alla pericolosità generica, sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell'arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale, mentre, con riferimento alla pericolosità qualificata, il giudice dovrà accertare se questa investa l'intero percorso esistenziale del proposto, o se sia individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosità sociale, al fine di stabilire se siano suscettibili di ablazione tutti i beni riconducibili al proposto ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo temporale individuato. Quanto detto comporta che, ove a fronte dell'iniziale contestazione di un'ipotesi di pericolosità qualificata si pervenga al riconoscimento della pericolosità generica, ne conseguono rilevanti conseguenze anche in ordine all'accertamento degli acquisti suscettibili di confisca . Con riferimento alla pericolosità generica di cui all' art. 1, comma 1, lett. b , d.lgs. n. 159/2011 , la necessità di correlazione temporale tra pericolosità sociale del proposto ed acquisto dei beni presuppone l' accertamento del compimento di attività delittuose capaci di produrre reddito e non già di condotte genericamente devianti o denotanti un semplice avvicinamento a contesti delinquenziali. Dunque, in conclusione, a fronte della diversa qualificazione della pericolosità del preposto, quest'ultimo deve essere messo in condizione di difendersi espressamente sulla congruenza tra i profitti illeciti , di cui avrebbe beneficiato nel periodo di pericolosità accertato, ed i beni oggetto di confisca , al fine di consentire l'instaurazione del contraddittorio su aspetti che si atteggiano in modo difforme a seconda che venga ritenuta la pericolosità generica, piuttosto che quella specifica.

Presidente Calvanese – Relatore Di Geronimo Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Catania, in parziale riforma del decreto emesso in primo grado, riqualificava la pericolosità sociale nei confronti di G.E., escludendo quella qualificata e ritenendo sussistente la pericolosità generica ai sensi dell'art. 1, lett.b , D.Lgs. n. 159 del 2011, annullando la misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, in quanto il presupposto soggettivo doveva ritenersi venuto meno a partire dalla fine degli anni ‘90. Una volta perimetrato il periodo in cui si è manifestata la pericolosità sociale, individuando nel 1999 l'anno in cui questa è venuta a scemare, è stato disposto anche l'annullamento delle confische relative a beni acquistati in epoca successiva. 2. G.E. ha impugnato il decreto emesso dalla Corte di appello formulando due distinti ricorsi, peraltro presentati anche nell'interesse della moglie, S.C. 2.1. Con il ricorso a firma dell'avvocato Nunzio Citrella si deduce - violazione di legge in relazione alla preclusione di un secondo giudizio, in quanto il proposto era stato già attinto da una richiesta di misura di prevenzione personale, rigettata con decreto del Tribunale di Ragusa del 28 novembre 2003, divenuto definitivo nel 2009. Sottolinea il ricorrente che, in quel procedimento, i giudici avevano accertato la provenienza lecita delle risorse impiegate per l'acquisto dei beni attualmente oggetto di confisca, sicché tale dato non potrebbe essere superato e rimesso in discussione sulla base delle generiche dichiarazioni rese dal collaborante 7Avila violazione degli artt. 10 e 20 del D.Lgs. n. 159 del 2011 , in quanto la Corte di appello - pur circoscrivendo la pericolosità generica agli anni 1980-90 - avrebbe sottoposto a confisca anche beni acquistati in epoca successiva, in tal modo applicando il principio della derivazione causale dei proventi illeciti ed estendendone le conseguenze ben oltre il periodo di pericolosità accertato. 2.2. Con il ricorso a firma dell'avvocato Giuseppe Passarello sono stati formulati tre motivi di impugnazione, con i quali si deduce violazione del principio di correlazione tra contestazione e pronuncia, posto che nella richiesta originaria era stata ipotizzata la pericolosità qualificata ex art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 159 del 2011 , a fronte della quale la Corte di appello aveva riconosciuto la pericolosità generica, senza consentire il preventivo contraddittorio, nonostante i presupposti in fatto delle due forme di pericolosità siano del tutto autonomi e differenti tra di loro violazione di legge in relazione al riconoscimento della pericolosità generica in assenza degli indici specifici individuati dalla Corte costituzionale nella sentenza n 24 del 2019 . In particolare, nel decreto impugnato si attribuisce genericamente al G. di aver conseguito proventi illeciti fino ai primi degli anni novanta, senza indicare le fonti di tale accertamento, nè l'effettiva idoneità dei reati a produrre redditi di importo idoneo a giustificare le successive acquisizioni in particolare la costituzione dell'impresa individuale omissis intervenuta nel 1999 . Essendo stata riconosciuta la pericolosità generica e non quella qualificata, infatti, non poteva addivenirsi alla confisca di beni venuti ad esistenza in epoca notevolmente distante dalla cessazione della pericolosità, in assenza della dimostrazione di un nesso di derivazione certo. Sarebbe stato erroneamente valorizzato il decreto del Tribunale di Ragusa, irrevocabile il 13 giugno 1991, con cui veniva applicata al G. la misura di prevenzione, in quanto ritenuto indiziato di partecipazione ad associazione mafiosa, omettendo di considerare che, con ordinanza del 30 gennaio 2014, la Corte di appello di Catania aveva riabilitato il predetto. Carente risulterebbe anche l'accertamento della correlazione temporale tra le presunte attività illecite e gli acquisti di beni compiuti dal G., soprattutto in considerazione del fatto che i reati dal predetto commessi si limiterebbero ad un arco temporale estremamente limitato. Tale carenza non potrebbe essere neppure colmata valorizzando le dichiarazioni dei collaboranti A. e T. , ritenute da un lato insufficienti a dimostrare l'appartenenza di G. a sodalizi criminali ma, per altro verso, idonee a fondare i presupposti per la misura di prevenzione reale violazione di legge in relazione alla mera apparenza della motivazione resa con riguardo a specifici e dirimenti aspetti quali mancata limitazione della confisca in ordine al valore del bene acquistato mediante finanziamento ritenuto di importo incompatibile con le capacità economiche del prevenuto omessa considerazione, nella valutazione della sproporzione tra redditi ed acquisti, del fatto che i figli del G. erano usciti dal nucleo familiare in epoca antecedente al 2007 allorquando venne costituita la società omissis srl minima rilevanza della sproporzione reddituale relativa alla costituzione della ditta individuale omissis mancanza assoluta di motivazione circa l'illegittimità derivata dei beni, applicata nonostante sia stata riconosciuta la pericolosità generica omessa valutazione dell'ingente importo non versato al consorzio CONAI pari ad oltre Euro750.000 , equiparato ad un'ipotesi di evasione fiscale calcolo del reddito disponibile sulla base di valori ISTAT meramente indicativi dei consumi medi. 3. Avverso tale decreto, hanno proposto ricorso i terzi ritenuti fittizi intestatari S.C., V.G., G.N., G.R. e G.A., i quali, sia pur con distinti ricorsi, si sono sostanzialmente riportati alle deduzioni sollevate da G.E. Considerato in diritto 1.I ricorsi proposti dai terzi interessati sono inammissibili, mentre quello avanzato da G.E. deve essere accolto. 2. Prendendo le mosse dai ricorsi dei terzi, ritenuti fittizi intestatari dei beni oggetto di sequestro, si rileva l'inammissibilità dei motivi che non sono direttamente volti a sostenere l'effettiva titolarità dei beni. Per consolidato orientamento di questa Corte, il terzo che rivendica l'effettiva titolarità dei beni sottoposti a sequestro, può contestare esclusivamente la fittizietà dell'intestazione, mentre non è legittimato a dedurre l'insussistenza dei presupposti per l'applicazione della misura nei confronti del proposto Sez.6, n. 7469 del 4/6/2019, dep. 2020, Hudorovic, Rv. 278454 Sez.5, n. 333 del 20/11/2020, dep.2021, Icardi, Rv. 280249 . Peraltro, i motivi di ricorso formulati nell'interesse dei terzi si risolvono nella deduzione di vizi della motivazione e non in vizio di violazione di legge, costituente l'unico motivo per il quale è ammissibile il ricorso in Cassazione nei giudizi di prevenzione. 3. Passando all'esame dei ricorsi proposti nell'interesse di G.E., deve preliminarmente rilevarsi la manifesta infondatezza del motivo volto a sostenere la violazione del ne bis in idem, basato sul fatto che nei confronti del ricorrente era stata già richiesta l'applicazione di una misura di prevenzione personale e reale, rigettata con decreto del Tribunale di Ragusa del 28 novembre 2003, divenuto definitivo nel 2009. Invero, la nuova richiesta di misura di prevenzione oggetto del presente giudizio non si fonda sul medesimo materiale probatorio posto a fondamento di quella avanzata nel 2003, essendo nel frattempo state acquisite le dichiarazioni rese dai collaboranti A. e T., i quali hanno fornito elementi nuovi e non valutati in precedenza. Nel caso di specie, pertanto, opera il principio secondo cui il ne bis in idem è applicabile anche nel procedimento di prevenzione, ma la preclusione del giudicato opera rebus sic stantibus e, pertanto, non impedisce la rivalutazione della pericolosità ai fini dell'applicazione della misura, precedentemente rigettata, a condizione che si acquisiscano nuovi elementi di fatto, che possono consistere in dati di conoscenza nuovi e sopravvenuti ovvero in risultanze preesistenti al giudicato, ma mai apprezzate nei provvedimenti già emessi Sez.1, n. 47233 del 15/7/2016, Di Gioia, Rv. 268175 Sez.6, n. 53941 del 23/10/2018, Sabatelli, Rv.274585 . 4. Risulta fondato ed assume valenza assorbente, il motivo con il quale è stata dedotta la violazione del principio di correlazione tra contestazione e pronuncia, posto che nella richiesta originaria era stata ipotizzata la pericolosità qualificata ex art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 159 del 2011 , a fronte della quale la Corte di appello ha riconosciuto la pericolosità generica, senza consentire il preventivo contraddittorio. Occorre premettere che nel procedimento di prevenzione, non si configura una violazione del principio di correlazione tra contestazione e decisione qualora il provvedimento applicativo della misura ritenga sussistente una categoria di pericolosità sociale diversa da quella indicata nella proposta. La diversa qualificazione della pericolosità, tuttavia, è consentita a condizione che la nuova definizione giuridica sia fondata sui medesimi elementi di fatto posti a fondamento della proposta, in relazione ai quali sia stato assicurato alla difesa un contraddittorio effettivo e congruo Sez.1, n. 8038 del 5/2/2019, Manauro, Rv. 274915 Sez.1, n. 32032 del 10/6/2013, De Angelis, Rv. 256451 . È stato ulteriormente precisato che l'autorità giudiziaria può operare una diversa qualificazione giuridica della pericolosità del proposto, trattandosi di un potere generale che spetta ad ogni giudice procedente, ma tale potere deve essere esercitato previa interlocuzione delle parti sulle questioni dedotte o deducibili collegate alla proposta, in modo da escludere qualsivoglia violazione del contraddittorio Sez.6, n. 43446, n. 15/6/2017, Cristodaro, Rv. 271220 . 4.1. Nel caso di specie, il decreto adottato in primo grado si fondava sulla ritenuta appartenenza del G. ad un sodalizio mafioso, soluzione non condivisa dalla Corte di appello secondo cui non sussisterebbero i requisiti dell'appartenenza al sodalizio, dovendosi ritenere che il prevenuto avrebbe unicamente beneficiato dell'appoggio delle famiglie mafiose operanti a Gela, pur senza potersi individuare un rapporto di contiguità con i predetti sodalizi. Esclusa, pertanto, la pericolosità specifica, la Corte di appello ha ritenuto la sussistenza della pericolosità generica ex art. 1 lett. b , D.Lgs. n. 159 del 2011, richiamando sinteticamente i precedenti penali dalle quali il G. è gravato. Nel compiere tale diversa qualificazione, la Corte di appello non ha sollecitato alcuna forma di contraddittorio in ordine al presupposto applicativo della misura e, in tal modo, ha di fatto impedito al proposto di formulare le più opportune difese in ordine alla sussistenza dei presupposti per addivenire alla confisca di prevenzione. I rapporti tra pericolosità qualificata e generica, nella specie relativa ai soggetti che vivono abitualmente con i proventi di attività delittuose, si contraddistinguono per la sostanziale diversità dei presupposti di ciascuna forma di pericolosità, con la conseguenza che non è possibile ipotizzare una sorta di rapporto di continenza tra la pericolosità qualificata e quella generica. A seguito della pronuncia resa da Corte Cost., sent. n. 24 del 2019 , i contorni dell'ipotesi di pericolosità generica disciplinata dall'arti, lett.b , D.Lgs. n. 159 del 2011 sono stati compiutamente descritti, anche e soprattutto nell'ottica di valorizzare la tassatività della previsione normativa. Si è affermato, pertanto, che la pericolosità generica configurabile nei confronti dei soggetti che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuosa presuppone l'individuazione di categorie di delitto idonee a fondare il tipo di pericolosità in esame. La verifica della pericolosità passa attraverso l'accertamento di specifici elementi di fatto dai quali desumere che si tratti di a delitti commessi abitualmente e dunque in un significativo arco temporale dal soggetto b che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui c i quali a loro volta costituiscano - o abbiano costituito in una determinata epoca - l'unico reddito del soggetto, o quanto meno una componente significativa di tale reddito così in motivazione Corte Cost., sent. n. 24 del 2019 . 4.2. Orbene, la specificità dei presupposti richiesti per ritenere sussistente la pericolosità generica ex art. 1, lett.b , D.Lgs. n. 159 del 2011, determina anche l'esigenza di instaurare il contraddittorio su di essi. Il fatto che la proposta sia stata formulata ipotizzando l'appartenenza ad associazione di stampo mafioso, infatti, non presuppone necessariamente la commissione di delitti aventi le caratteristiche richieste nella richiamata pronuncia della Corte costituzionale, con la conseguenza che ove il giudice ritenga di modificare la qualificazione giuridica e sempre che le parti non abbiano, in concreto, avuto modo di interloquire anche sulla pericolosità generica, si determina una lesione del diritto di difesa. A fronte della contestata appartenenza ad un sodalizio di stampo mafioso, il proposto sarà chiamato a difendersi deducendo essenzialmente elementi a sostegno della sua estraneità rispetto all'associazione. Qualora, invece, la pericolosità ritenuta è quella ex art. 1, lett.b , D.Lgs. n. 159 del 2011, muta l'oggetto della difesa, che sarà tesa ad escludere i requisiti che sono stati delineati dalla Corte costituzionale e che, potenzialmente, sono del tutto autonomi e diversi rispetto ai presupposti richiesti dalla pericolosità qualificata. 4.3. La specifica esigenza di garantire il contraddittorio sui diversi presupposti della pericolosità generica emerge in maniera ancor più netta ove si consideri il connesso profilo relativo alla confisca di prevenzione. Occorre in primo luogo richiamare il consolidato principio in virtù del quale la pericolosità sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, è anche misura temporale del suo ambito applicativo ne consegue che, con riferimento alla pericolosità generica, sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell'arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale, mentre, con riferimento alla c.d. pericolosità qualificata, il giudice dovrà accertare se questa investa, come ordinariamente accade, l'intero percorso esistenziale del proposto, o se sia individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosità sociale, al fine di stabilire se siano suscettibili di ablazione tutti i beni riconducibili al proposto ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo temporale individuato Sez.U, n. 4880 del 26/6/2014, dep.2015, Spinelli, Rv. 262605 . Quanto detto comporta che, ove a fronte dell'iniziale contestazione di un'ipotesi di pericolosità qualificata si pervenga al riconoscimento della pericolosità generica, ne conseguono rilevanti conseguenze anche in ordine all'accertamento degli acquisti suscettibili di confisca. Se l'appartenenza ad un sodalizio mafioso è, di norma, considerata idonea a produrre profitti illeciti, nel caso di pericolosità generica si richiede un più stringente raffronto tra abituale commissione di delitti ed accumulo di proventi illeciti, dovendosi accertare non solo lo svolgimento di attività criminose da parte del soggetto con riferimento al lasso temporale nel quale si è verificato l'incremento patrimoniale che la confisca intende neutralizzare, ma anche l'effettiva idoneità delle condotte illecite di produrre un profitto congruo rispetto agli acquisti effettuati. La confisca di prevenzione, infatti, introduce una presunzione relativa di illecito acquisto dei beni, che vale in quanto si possa ragionevolmente ipotizzare che i beni o il denaro confiscati costituiscano il frutto delle attività criminose nelle quali il soggetto risultava essere impegnato all'epoca della loro acquisizione, ancorché non sia necessario stabilirne la precisa derivazione causale da uno specifico delitto. Deve, pertanto, ritenersi che l'ablazione patrimoniale - con riguardo alla pericolosità generica ex art. 1, lett.b , D.Lgs. n. 159 del 2011 - si giustifica se, e nei soli limiti in cui, le condotte criminose compiute in passato dal soggetto risultino essere state effettivamente fonte di profitti illeciti, in quantità ragionevolmente congruente rispetto al valore dei beni che s'intendono confiscare, e la cui origine lecita egli non sia in grado di giustificare così in motivazione, Corte Cost., sent. n. 24 del 2019 . Anche recentemente, il principio è stato applicato dalla giurisprudenza di legittimità, essendosi affermato che con riferimento alla pericolosità generica di cui all'art. 1, comma 1, lett. b del D.Lgs. n. 6 settembre 2011, n. 159, la necessità di correlazione temporale tra pericolosità sociale del proposto ed acquisto dei beni presuppone l'accertamento del compimento di attività delittuose capaci di produrre reddito e non già di condotte genericamente devianti o denotanti un semplice avvicinamento a contesti delinquenziali Sez.1, n. 27366 del 28/1/2021, Rv. 281620 . Quanto detto comporta che, a fronte della ritenuta diversa qualificazione della pericolosità del G. , quest'ultimo doveva essere messo in condizione di difendersi espressamente sulla congruenza tra i profitti illeciti, di cui avrebbe beneficiato nel periodo di pericolosità accertato, ed i beni oggetto di confisca, al fine di consentire l'instaurazione del contraddittorio su aspetti che si atteggiano in modo difforme a seconda che venga ritenuta la pericolosità generica, piuttosto che quella specifica. 4.4. Alla luce di tali considerazioni, pertanto, deve affermarsi il principio per cui nel procedimento di prevenzione, non si configura una violazione del principio di correlazione tra contestazione e decisione qualora il provvedimento applicativo della confisca ritenga sussistente la pericolosità generica ex art. 1, lett. b in luogo di quella qualificata ai sensi dell'art. 4, comma 1, lett. a , D.Lgs. n. 6 settembre 2011, n. 159, a condizione che sia stato assicurato alla difesa un contraddittorio effettivo in ordine alla abitualità della commissione di delitti, idonei a produrre profitti tali da aver costituito il reddito esclusivo o, comunque, significativamente rilevante per il proposto, nonché in merito alla perimetrazione temporale della pericolosità, alla riconducibilità degli acquisti a tale periodo e alla commissione di reati fonte di profitti in quantità ragionevolmente congruente rispetto al valore dei beni che s'intendono confiscare. 5. In conclusione, il decreto impugnato va annullato con rinvio nei confronti di G.E., al fine di consentire - nel giudizio di rinvio - il contraddittorio tra le parti in ordine alla ritenuta pericolosità generica ex art. 1, lett. b , D.Lgs. n. 159 del 2011 e la conseguente sussistenza dei presupposti per disporre la confisca, secondo le indicazioni fornite in motivazione. P.Q.M. Annulla il decreto impugnato nei confronti di G.E. e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Catania. Le Dichiara inammissibili i ricorsi di V.G., G.N., G.R., G.A., S.C., che condanna al pagamento delle spese 05r processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.