Permessi premio, detenuto si allontana dal proprio appartamento per trascorrere il Natale con i parenti: è evasione?

La Cassazione torna sulla disciplina dei permessi premio ex art. 30- ter l. n. 354/1975 e sulle conseguenze in caso di loro violazione.

Il caso La vicenda da cui origina la questione sottoposta all'esame della Suprema Corte può essere così sintetizzata la Corte di Appello di Palermo confermava la condanna dell'imputato ex art. 385 c.p. per essersi allontanato dalla propria abitazione violando le prescrizioni del permesso premio concessogli ai sensi dell'art. 30- ter l. n. 354/1975, che gli imponevano di restare presso il domicilio indicato. L'uomo proponeva ricorso in Cassazione, contestando il reato ascrittogli in quanto la violazione del permesso premio avrebbe portato a conseguenze meramente disciplinari , potendosi configurare l'evasione nella sola ipotesi in cui il detenuto non rientri in carcere oltre le dodici ore dallo scadere del permesso . La decisione della Corte Il ricorso è fondato. La Corte territoriale, infatti, nel ritenere che il permesso premio in questione avesse lasciato inalterato il regime detentivo cui l'imputato era sottoposto, mutando solo il luogo e il contesto in cui continuare a scontare la pena , avrebbe erroneamente applicato la disciplina dettata per la detenzione domiciliare prevista dall'art. 47- ter della legge sull' ordinamento penitenziario , diversa per ratio e connotazioni dai permessi, di necessità o premiali, previsti dalla medesima legge. A tal proposito, infatti, la Suprema Corte ricorda che in caso di permesso premio, è punito in termini di evasione solo il mancato rientro in istituto , anche solo intempestivo, se il ritardo supera le dodici ore al contempo, degrada a livello disciplinare il mero rientro tardivo, se contenuto tra le tre e le dodici ore dalla scadenza, rendendo indifferente il relativo contegno anche sotto il versante disciplinare, se inferiore alle tre ore art 30, comma 4, l. n. 354/1975 . Pertanto, la violazione delle prescrizioni disposte dal magistrato di sorveglianza nell'accordare i permessi previsti dagli artt. 30 e 30- ter l. n. 354/1975 devono ritenersi foriere di conseguenze al più unicamente sanzionabili sul piano disciplinare , avendo il legislatore scelto espressamente di punire penalmente solo le condotte - correlate alla relativa concessione del permesso - che si risolvano in un determinato atteggiamento omissivo il mancato rientro in istituto, sanzionato anche in caso di ritardo, sempre che venga superata una determinata soglia e non essendovi spazi diversi, in siffatti casi, per la possibile applicazione della sanzione penale . Per questi motivi, la Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Presidente Villoni – Relatore Raddusa Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza descritta in epigrafe la Corte di appello di Palermo ha confermato la condanna alla pena ritenuta di giustizia irrogata dal Tribunale di Palermo in esito a giudizio abbreviato nei confronti di C.A., ritenuto responsabile del reato di cui all' art. 385 c.p. . 2. Propone ricorso la difesa del prevenuto e articola a sostegno dell'impugnazione due diversi motivi. 2.1. Con il primo motivo si contesta la configurabilità del reato ascritto al ricorrente. C., all'epoca dei fatti detenuto, si sarebbe allontanato dalla propria abitazione violando le prescrizioni rese nell'accordare allo stesso un permesso premio concesso ai sensi dell' art. 30 ter della L. n. 354 del 1975 , prescrizioni che gli imponevano di restare presso il domicilio appositamente indicato. La relativa violazione, ad avviso della difesa, avrebbe tuttavia portato a conseguenze meramente disciplinari, potendosi configurare l'evasione nella sola ipotesi di cui all'art. 30, comma 4, della legge citata, allorquando il detenuto non rientri in istituto oltre le dodici ore dallo scadere del permesso. 2.2. Con il secondo motivo i medesimi vizi vengono riferiti alla valutazione spesa dalla Corte del merito nel negare l'applicabilità alla specie del disposto di cui all' art. 131 bis c.p. considerato il comportamento tenuto dal ricorrente nel corso della detenzione, prima e dopo i fatti a giudizio e il modesto disvalore complessivo della vicenda. Considerato in diritto 1.II primo motivo di ricorso è fondato e porta all'annullamento senza rinvio della decisione gravata, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. 2. La condotta contestata è stata realizzata in costanza di un permesso premio accordato al ricorrente ai sensi dell' art. 30 ter dell'ordinamento penitenziario il cui comma 6, per un verso, rende estensibile a siffatto provvedimento premiale la possibilità di prevedere determinate cautele, alla stessa stregua di quanto dettato per i permessi di necessità dall'art. 30, comma 1, della stessa legge per altro verso, richiamando espressamente il terzo e il comma 4 del citato art. 30, estende anche a tali forme di permesso la disciplina dettata dal codice penale per il reato di evasione, limitandone, quindi, il portato alle sole ipotesi del mancato o del ritardato rientro in istituto, sempre che, in caso di ritardo, questo abbia una superato una determinata soglia oraria 12 ore dalla scadenza indicata nel permesso , comportando altrimenti solo possibili conseguenze disciplinari. Il dato normativo di riferimento, dunque, in caso di permesso premio, punisce espressamente in termini di evasione solo il mancato rientro in istituto, anche solo intempestivo, se il ritardo supera le dodici ore al contempo, degrada a livello disciplinare il mero rientro tardivo, se contenuto tra le tre e le dodici ore dalla scadenza, rendendo indifferente il relativo contegno anche sotto il versante disciplinare, se inferiore alle tre ore art. 30, comma 4 . Ne consegue che il combinato disposto degli artt. 30 e 30 ter sopra indicati, nulla prevede rispetto alla mancata osservanza delle cautele dettate dal magistrato di sorveglianza nell'accordare il permesso premio. 3. Malgrado una siffatta cornice normativa, ad avviso della Corte territoriale l'evasione contestata sarebbe comunque configurabile il permesso premio in questione, concesso in occasione delle festività natalizie al solo fine di trascorrere del tempo con i congiunti, con espresso divieto di allontanarsi dal proprio appartamento per tutta la durata, avrebbe infatti lasciato inalterato il regime detentivo cui l'imputato era sottoposto, mutando solo il luogo e il contesto in cui continuare a scontare la pena . Da qui la ritenuta responsabilità, essendo pacifico l'allontanamento dell'imputato dal domicilio indicato. 4. Si tratta, tuttavia, di una ricostruzione interpretativa all'evidenza viziata, resa in immediato conflitto con il principio di legalità e i suoi corollari, in punto di determinatezza della fattispecie e di non consentita analogia in malam partem ricavabili dall' art. 25 Cost. nella sostanza, pervenendo alla conclusione della configurabilità del reato di evasione in siffatta ipotesi, i giudici del merito hanno arbitrariamente applicato alla Ipecie la disciplina dettata per la detenzione domiciliare prevista dall'art. 47 ter della legge sull' ordinamento penitenziario , diversa per ratio e connotazioni, dai permessi, di necessità o premiali, previsti dalla medesima legge. Di contro, va ribadito che la violazione delle prescrizioni disposte dal magistrato di sorveglianza nell'accordare i permessi previsti dagli artt. 30 e 30 ter della legge sull'ordinamento premiale devono ritenersi foriere di conseguenze al più unicamente sanzionabili sul piano disciplinare, avendo il legislatore scleto espressamente di punire penalmente solo le condotte correlate alla relativa concessione del permesso che si risolvano in un determinato atteggiamento omissivo il mancato rientro in istituto, sanzionato anche in caso di ritardo, sempre che venga superata una determinata soglia e non essendovi spazi diversi, in siffatti casi, per la possibile applicazione della sanzione penale. Da qui la decisione di cui al dispositivo che segue. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non legge come reato.