Nell’arbitrato possono essere fissate regole decadenziali?

L’arbitro non può dichiarare inammissibile un atto o un'istanza o una produzione documentale per inosservanza di un termine o di una regola di condotta, ove la corrispondente attività conformativa non si stata anteriormente prevista come necessaria a pena di inammissibilità e in questa prospettiva resa nota alle parti.

La Camera arbitrale di Modena veniva adita in merito ad una controversia societaria. La c.t.u. disposta non ebbe successo per la mancanza della documentazione contabile della società. Successivamente, i convenuti chiedevano l'ammissione della produzione documentale inizialmente non rinvenuta e il rinnovo della c.t.u., ma l'arbitro riteneva decorso il termine per le istanze istruttorie , qualificato come perentorio in applicazione del regime delle preclusioni istruttorie previsto dal codice di procedura civile per il processo ordinario. Il lodo veniva quindi impugnato per nullità dai soccombenti. La Corte d'appello ha respinto l'impugnazione e la questione è giunta all'attenzione della Corte di legittimità. Il ricorso viene accolto in quanto la decisione della Corte d'appello risulta affetta da un errore di diritto , poiché nell'arbitrato viene in considerazione l'art. 816- bis c.p.c. a proposito della conduzione del processo. A questa norma era necessario parametrare l'intera decisione in ordine alle prospettate ragioni di nullità del lodo per vizio del contraddittorio . La norma citata prevede infatti che le parti possano stabilire nella convenzione d'arbitrato oppure con atto separato anteriore all'inizio del procedimento, le norme che gli arbitri debbono osservare nel procedimento in mancanza gli arbitri hanno facoltà di regolare lo svolgimento del giudizio nel modo che ritengono più opportuno , ma in ogni caso debbono attuare il principio del contraddittorio , concedendo alle parti ragionevoli ed equivalenti possibilità di difesa . Infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità, nell'arbitrato rituale gli arbitri incorrono in violazione del principio del contraddittorio per mancata conoscenza dei punti di vista di tutte le parti del procedimento ove abbiano stabilito la natura perentoria di termini fissati per le allegazioni e le istanze istruttorie alla stregua di quelli di cui agli artt. 183 e 184 c.p.c. Incorrono in violazione, in particolare, se abbiano dichiarato decaduta una parte per il tardivo esercizio delle facoltà di proporre quesiti e istanze istruttorie , ovvero di produrre documenti , qualora la possibilità di declinare tale perentorietà non fosse prevista dalla convenzione di arbitrato, ovvero da un atto scritto separato o dal regolamento processuale dai medesimi predisposto, e in assenza di specifica avvertenza al riguardo al momento dell'assegnazione dei termini” Cass. civ. n. 1099/2016 . Sulla base di tale orientamento, la Corte sviluppa ulteriormente il ragionamento giungendo ad affermare il principio di diritto secondo cui la libertà di forme che in generale caratterizza il procedimento arbitrale, se tollera che l'arbitro - ove niente di diverso emerga dalla convenzione di arbitrato - possa assegnare alle parti termini o regole istruttorie a pena di decadenza, non tollera invece che ciò possa avvenire senza un'anteriore precisa informazione alle parti stesse in merito all'andamento del giudizio in tal modo impresso e ciò vale per qualunque regola alla quale l'arbitro ritenga che vada conformata la condotta delle parti con conseguenze sul processo. Ne consegue che è precluso all'arbitro di dichiarare inammissibile un atto o un'istanza o una produzione documentale per inosservanza di un termine o di una regola di condotta , ove la corrispondente attività conformativa non si stata anteriormente prevista come necessaria a pena di inammissibilità e in questa prospettiva resa nota alle parti . In conclusione, la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte territoriale.

Presidente Amendola – Relatore Terrusi Fatti di causa B.M. e A.M. proposero domanda di arbitrato presso la camera arbitrale di Modena in relazione all'operato recesso dalla omissis s.a.s. di M.F. e c. in liquidazione. Chiesero la condanna della società e dell'accomandatario M.A. al pagamento di un residuo dell'indennità di fine mandato. I convenuti si costituirono dinanzi all'arbitro unico, contestarono la pretesa e chiesero, in riconvenzione, che l'eventuale importo fosse compensato col controcredito della società a titolo di restituzione di utili indebitamente percepiti dagli attori prima del recesso. L'arbitro fece eseguire una c.t.u., che tuttavia non ebbe esito in mancanza della documentazione contabile relativa alla società. Seguirono istanze dei convenuti per l'ammissione della produzione documentale non rinvenuta e istanze di rinnovo della c.t.u. Con lodo del 14-2-2013 l'arbitro ritenne che i termini accordati per le istanze istruttorie dovessero intendersi perentori, e che al giudizio fosse applicabile il regime delle preclusioni istruttorie previste dal codice di procedura civile per il processo ordinario. Rilevato inoltre che i documenti ulteriormente depositati dalla società all'udienza del 5-9-2012 non potessero trovare ingresso per la mancata osservanza delle disp. att. del c.p.c. in punto di modalità di produzione, accolse la sola domanda principale. Il lodo fu impugnato per nullità dai soccombenti. La Corte d'appello di Bologna ha respinto l'impugnazione e avverso la relativa sentenza è adesso proposto ricorso per cassazione in tre motivi. Gli intimati hanno replicato con controricorso. Ragioni della decisione I. - Col primo motivo i ricorrenti denunziano la violazione o falsa applicazione degli artt. 819, n. 9, e 816 c.p.c. , 24 e 111 Cost., perché nel respingere il corrispondente motivo di nullità del lodo la sentenza avrebbe violato il principio del contraddittorio, dal momento che la possibilità dell'arbitro di fissare termini perentori non era stata accordata dalle parti nella convenzione di arbitrato e perché in ogni caso l'arbitro aveva mancato di avvisare le parti medesime circa la natura perentoria dei termini al momento della relativa assegnazione. Col secondo motivo essi deducono la violazione o falsa applicazione dell' art. 112 c.p.c. , perché diversamente da quanto sostenuto dalla Corte d'appello l'arbitro aveva mancato di pronunciare sulle domande riconvenzionali di condanna alla restituzione degli utili indebitamente percetti dagli attori e di accertamento della compensazione tra le relative poste. Infine col terzo motivo denunziano la violazione o falsa applicazione degli artt. 74 e 87 disp. att. c.p.c. per essere stata erroneamente confermata la statuizione arbitrale in punto di inammissibilità della produzione contabile della società effettuata all'udienza del 5-9-2012 in quanto non corredata da un preciso elenco, a fronte invece del mancato richiamo delle dette disposizioni in sede arbitrale. II. - Il primo e il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente. I motivi sono fondati per una ragione sostanzialmente analoga, sicché il secondo motivo resta assorbito. III. - L'arbitrato, da svolgere come dalla sentenza si evince secondo le regole dettate dalla camera arbitrale di Modena, era ed è soggetto alla disciplina del codice di rito conseguente al D.Lgs. n. 40 del 2006 , essendo stato introdotto nel maggio del 2010 art. 27 del D.Lgs. cit. . La sentenza d'appello, dando atto della prospettazione della parte impugnante il lodo, ha implicitamente riconosciuto che il regolamento della camera arbitrale non prevedeva termini perentori. Difatti all'assunto della parte si è limitata a obiettare che tuttavia l'osservanza delle regole della camera arbitrale non era prescritta essa stessa a pena di nullità. Dopodiché ha respinto l'impugnazione per nullità del lodo sostenendo che l'arbitro si era rigorosamente attenuto alle disposizioni del codice di rito, pure richiamate in generale nel regolamento della camera arbitrale e tra queste alle disposizioni in ordine alla perentorietà dei termini per le produzioni documentali e alle formalità all'uopo richieste dagli artt. 74 e 87 delle disp. att. del c.p.c. Tali formalità - ha aggiunto - non erano state osservate nel processo arbitrale in quanto i convenuti avevano richiesto che fosse ammessa la produzione di uno scatolone di documenti cartacei non numerati nè forniti di preciso elenco mentre invece si sarebbero imposte proprio a tutela del contraddittorio della controparte. Da questo punto di vista la Corte territoriale ha rilevato che la parte di qualsivoglia procedimento - arbitrale e non - deve materialmente consegnare all'organo giudicante i documenti dei quali richiede l'utilizzazione per l'istruttoria e la decisione, secondo le formalità prescritte dagli artt. 74 e 87 delle disp. att. c.p.c. , e che, quindi, era in linea con le disposizioni da ultimo citate anche il provvedimento adottato dall'arbitro unico all'udienza del 5 settembre 2012, con il quale non era stata ammessa la produzione, da parte degli odierni attori, di uno scatolone di documenti cartacei non numerati, nè forniti di un preciso elenco . IV. - Occorre precisare che codesta ultima affermazione è alla base dell'ulteriore giudizio reso dalla Corte d'appello, per cui l'arbitro aveva nella specie correttamente negato anche la richiesta acquisizione da parte del nominato c.t.u. di tali documenti, depositati in luogo nella esclusiva disponibilità della M. o comunque senza il rispetto delle formalità di cui agli artt. 74 e 87 delle disp. att. c.p.c. . Tuttavia l'affermazione è contraddetta da quanto, in prospettiva di autosufficienza, emerge dal ricorso, laddove è specificato il contenuto di un foglio di deduzioni allegato al verbale dell'udienza richiamata 59-2012 . Tale contenuto riproduce un elenco di documentazione ed essendo stato allegato al verbale non v'è ragione di ritenere che non si fosse trattato della documentazione per l'appunto invocata nella medesima sede. V. - A ogni modo la soluzione ritenuta dalla Corte d'appello contiene un errore di diritto, giacché nell'arbitrato viene in considerazione l'art. 816-bis c.p.c. a proposito della conduzione del processo. A questa norma era necessario parametrare l'intera decisione in ordine alle prospettate ragioni di nullità del lodo per vizio del contraddittorio. Cosa che la Corte d'appello ha mancato di fare. Il punto è risolutivo di ogni profilo, a prescindere dalle questioni relative alle facoltà del c.t.u. VI. - In base all'art. 816-bis le parti possono stabilire nella convenzione d'arbitrato, oppure con atto separato anteriore all'inizio del procedimento, le norme che gli arbitri debbono osservare nel procedimento in mancanza gli arbitri hanno facoltà di regolare lo svolgimento del giudizio nel modo che ritengono più opportuno , ma in ogni caso debbono attuare il principio del contraddittorio, concedendo alle parti ragionevoli ed equivalenti possibilità di difesa . Questo punto focale del giudizio di impugnazione del lodo, in ordine al potere dell'arbitro di fissare termini e regole decadenziali solo entro binari previamente e specificamente indicati alle parti, non è stato colto dalla sentenza impugnata, la quale si è determinata in base a norme codicistiche che, comunque interpretate, non sono affatto direttamente applicabili nell'arbitrato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte nell'arbitrato rituale gli arbitri incorrono in violazione del principio del contraddittorio per mancata conoscenza dei punti di vista di tutte le parti del procedimento ove abbiano stabilito la natura perentoria di termini fissati per le allegazioni e le istanze istruttorie alla stregua di quelli di cui agli artt. 183 e 184 c.p.c. Incorrono in violazione, in particolare, se abbiano dichiarato decaduta una parte per il tardivo esercizio delle facoltà di proporre quesiti e istanze istruttorie, ovvero di produrre documenti, qualora la possibilità di declinare tale perentorietà non fosse prevista dalla convenzione di arbitrato, ovvero da un atto scritto separato o dal regolamento processuale dai medesimi predisposto, e in assenza di specifica avvertenza al riguardo al momento dell'assegnazione dei termini Cass. Sez. 1 n. 1099-16 . VII. - Questo condivisibile orientamento va portato ai più compiuti sviluppi proprio in relazione all'ultima parte. Va affermato il principio per cui la libertà di forme che in generale caratterizza il procedimento arbitrale, se tollera che l'arbitro - ove niente di diverso emerga dalla convenzione di arbitrato - possa assegnare alle parti termini o regole istruttorie a pena di decadenza, non tollera invece che ciò possa avvenire senza un'anteriore precisa informazione alle parti stesse in merito all'andamento del giudizio in tal modo impresso e ciò vale per qualunque regola alla quale l'arbitro ritenga che vada conformata la condotta delle parti con conseguenze sul processo. Ne consegue che è precluso all'arbitro di dichiarare inammissibile un atto o un'istanza o una produzione documentale per inosservanza di un termine o di una regola di condotta, ove la corrispondente attività conformativa non si stata anteriormente prevista come necessaria a pena di inammissibilità e in questa prospettiva resa nota alle parti. VIII. - Nella concreta fattispecie niente del genere risulta accertato. Ché anzi la sentenza d'appello non si è posta affatto il problema che pur costituiva il cuore del profilo di censura consegnato all'impugnazione del lodo. La decisione arbitrale era stata tacciata di nullità per l'illegittima fissazione dei termini di decadenziali e per l'illegittima dichiarazione di inammissibilità della prova documentale. E in effetti l'arbitro, in mancanza di previsioni della convenzione arbitrale, pur avendo la facoltà di regolare lo svolgimento del giudizio specificandone le regole, non può travalicare il limite rappresentato dal rispetto del contraddittorio esplicabile mediante equivalenti possibilità di difesa per entrambe le parti. Il rigetto di istanze istruttorie nel processo arbitrale è esso stesso una possibile causa di nullità del lodo per violazione del principio del contraddittorio. Difatti dall'art. 816-bis c.p.c. si ricava che la lesione del contraddittorio viene a esistenza anche e proprio quando sia stato impedito a una delle parti, senza giustificazione tratta dalle legittime regole del processo arbitrale, di articolare le prove o di avvalersi dei mezzi volti a dimostrare il fondamento della propria tesi. IX. - L'impugnata sentenza va dunque cassata. Resta assorbito il secondo motivo. Segue il rinvio alla medesima Corte d'appello che, in diversa composizione, rinnoverà l'esame uniformandosi ai principi sopra esposti. La Corte d'appello provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso, assorbito il secondo cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla corte d'appello di Bologna anche per le spese del giudizio di cassazione.