Obbligo di lavaggio per l’azienda anche se gli indumenti forniti al lavoratore servono a proteggere i suoi abiti civili

Confermato il risarcimento in favore di un operaio dipendente di un’azienda ferroviaria, il quale ha lamentato il mancato lavaggio di gilet e giubbotto frangente ad alta visibilità, giubbotto impermeabile contro le intemperie, pantalone invernale da lavoro e guanti di protezione.

Vanno catalogati come dispositivi di protezione individuale quegli indumenti che l'azienda fornisce al lavoratore e che quest'ultimo indossa sopra i propri abiti durante il turno di lavoro. Ciò significa che il lavoratore ha diritto ad essere risarcito se l'azienda non ha provveduto a sobbarcarsi il lavaggio degli indumenti da lavoro utilizzati quotidianamente. Linea di pensiero comune per i giudici di merito sia in primo che in secondo grado, difatti, viene accolta l'istanza avanzata da un operaio e gli viene riconosciuto il diritto ad ottenere dall'azienda di cui è dipendente il risarcimento per i danni subiti a causa del mancato lavaggio, da parte dell'azienda stessa, di indumenti da lavoro da lui utilizzati in servizio. Nello specifico, il lavoratore è dipendente , con mansioni di operatore qualificato della manutenzione, di un'azienda ferroviaria e ha lamentato il mancato lavaggio dei seguenti indumenti gilet e giubbotto frangente ad alta visibilità, giubbotto impermeabile contro le intemperie, pantalone invernale da lavoro e guanti di protezione , tutti da considerare , secondo i giudici di merito, dispositivi di protezione individuale , con conseguente obbligo dell'azienda di provvedere al loro lavaggio. In Cassazione l'azienda si è difesa sostenendo che, normativa alla mano, in assenza di un rischio concreto e dimostrato per la salute e la sicurezza, gli indumenti presi in esame non possono costituire dispositivi di protezione individuale in senso tecnico, ma meri indumenti di custodia, forniti al dipendente al fine di preservare gli abiti civili dalla ordinaria usura connessa all'attività lavorativa, con conseguente esclusione dell'obbligo di relativo lavaggio a carico del datore di lavoro . A questa visione i Giudici di terzo grado hanno replicato in modo netto, ribadendo che la nozione legale di dispositivi di protezione individuale non deve essere intesa come limitata alle attrezzature appositamente create e commercializzate per la protezione di specifici rischi alla salute in base a caratteristiche tecniche certificate, ma va riferita a qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva, sia pure ridotta o limitata, rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore , in conformità non la norma relativa alla tutela delle condizioni di lavoro, norma di chiusura del sistema di prevenzione degli infortuni e malattie professionali, suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute, sia dei principi di correttezza e buonafede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro . Ragionando nella medesima ottica, i Giudici aggiungono che il datore di lavoro è tenuto a fornire i suddetti indumenti ai dipendenti e a garantirne l'idoneità a prevenire l'insorgenza e il diffondersi di infezioni provvedendo al relativo lavaggio, che è indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza e che, pertanto, rientra tra le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori che il datore di lavoro è tenuto ad adottare .

Presidente Leone - Relatore Amendola Considerato che 1. la Corte d'Appello di Bari, con la sentenza impugnata, ha confermato la decisione di primo grado che, in accoglimento del ricorso proposto da M.F. , dipendente delle Ferrovie Appulo Lucane s.r.l. con mansioni di operatore qualificato della manutenzione, aveva dichiarato il diritto del ricorrente al risarcimento dei danni per il mancato lavaggio dei seguenti indumenti gilet e giubbotto frangente ad alta visibilità, giubbotto impermeabile contro le intemperie, pantalone invernale da lavoro e guanti di protezione, tutti da considerare dispositivi di protezione individuale 2. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società soccombente con due motivi ha resistito con controricorso l'intimato all'esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza nel termine di sessanta giorni. Ritenuto che 1. il ricorso non può trovare accoglimento per le ragioni già esposte in analoga vicenda, rispetto a ricorso per cassazione della medesima società contenente censure sovrapponibili cfr. Cass. n. 29720 del 2022 2. invero, il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell' art. 74 del d. lgs. n. 81 del 9 aprile 2008 art. 360 c.p.c. , n. 3 si sostiene che, ai sensi della disposizione richiamata, in assenza di un rischio concreto e dimostrato per la salute e la sicurezza, gli indumenti in discussione non costituivano DPI in senso tecnico, ma meri indumenti di custodia, forniti al fine di preservare gli abiti civili dalla ordinaria usura connessa all'attività lavorativa, con conseguente esclusione dell'obbligo di relativo lavaggio a carico del datore di lavoro la censura è infondata in quanto la sentenza impugnata è conforme a numerosi precedenti di questa Corte con i quali parte ricorrente neanche si confronta v. Cass. n. 16749 del 2019 n. 17132 del 2019 n. 17354 del 2019 Cass. n. 5748 del 2020 Cass. n. 17100 del 2021 la nozione legale di Dispositivi di Protezione Individuale D.P.I. non deve essere intesa come limitata alle attrezzature appositamente create e commercializzate per la protezione di specifici rischi alla salute in base a caratteristiche tecniche certificate, ma va riferita a qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva, sia pure ridotta o limitata, rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore, in conformità con l' art. 2087 c.c. , norma di chiusura del sistema di prevenzione degli infortuni e malattie professionali, suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute sia dei principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro nella medesima ottica il datore di lavoro è tenuto a fornire i suddetti indumenti ai dipendenti e a garantirne l'idoneità a prevenire l'insorgenza e il diffondersi di infezioni provvedendo al relativo lavaggio, che è indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza e che, pertanto, rientra tra le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori che il datore di lavoro è tenuto ad adottare ai sensi dell' art. 4, comma 5, del D.Lgs. n. 626 del 1994 e degli artt. 15 e ss. del D.Lgs. n. 81 del 2008 e s.m.i. inoltre, è stato rilevato che l'accertamento che l'indumento sia in concreto una barriera di protezione rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore è questione di merito Cass. n. 32865 del 2021 , con la conseguenza che parte ricorrente, con il motivo in esame, richiede un sindacato che esorbita dai poteri del giudice di legittimità 3. il secondo motivo denuncia violazione dell' art. 2697 c.c. per omessa prova dei fatti costitutivi del diritto , lamentando che il dipendente, pur avendone l'onere, non aveva fornito alcuna prova dell'esercizio di mansioni lavorativa in ambiente lavorativo potenzialmente pericoloso per la salute la censura è chiaramente inammissibile, atteso che la norma è censurabile per cassazione ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non laddove oggetto di censura - come nella specie - sia la valutazione che il giudice del merito abbia svolto delle prove proposte dalle parti Cass. n. 15107 del 2013 Cass. n. 13395 del 2018 Cass. n. 18092 del 2020 , opponendo una diversa valutazione 4. conclusivamente il ricorso va respinto le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo, con attribuzione ai procuratori del controricorrente che hanno dichiarato di averne fatto anticipo ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dall' art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012 , occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 3.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese forfettario al 15%, con distrazione.