Medical malpractice e danno iatrogeno differenziale: quali i criteri di determinazione del danno?

In caso di invalidità permanente che si verifichi su di un soggetto già affetto da precedente menomazione, il calcolo del danno differenziale non patrimoniale deve essere effettuato mediante la sottrazione, dal valore monetario dell’invalidità complessiva inclusiva di menomazione preesistente e di quella causata dall’illecito, del valore monetario di quella preesistente all’illecito. Operare il calcolo del risarcimento solo sulla differenza dei punti percentuali dell’invalidità, senza prima convertirli in somme di denaro, comporta una sottostima del danno da risarcire in violazione dell’art. 1223 c.c.

Il caso A seguito di complicanze derivate da un esame diagnostico una donna subisce l'asportazione dell'unica tuba rimastale perdendo la funzione riproduttiva. Il giudice di prime cure, accertata la responsabilità dei sanitari che avevano eseguito l'esame diagnostico, anche per assenza del consenso informato della paziente, ed applicando una maggiorazione al grado di invalidità accertata dal CTU pari al 10% in via equitativa quantificava il danno sofferto nella misura del 22%, incrementando poi la somma liquidata a titolo di danno biologico del 10% giungendo così ad accordare la somma di €109.000,00 in favore della donna e calcolando in via equitativa la somma di €50.000,00 in favore del coniuge. La somma accordata veniva successivamente ridotta dai giudici di appello, sul presupposto che la donna possedeva metà della funzionalità riproduttiva. I giudici di appello, ritenendo congrua la percentuale del 10% di danno riconosciuta dal CTU provvedevano quindi a ricalcolare, applicando le tabelle di Milano, l'ammontare del risarcimento attribuendo € 48.214,37 per la donna a titolo di danno biologico, morale e da mancato consenso informato e € 20.000,00 per il marito, in quest'ultimo caso considerando il danno quale danno riflesso del danno biologico e morale della moglie . I coniugi hanno proposto ricorso avanti alla Suprema Corte chiamata nuovamente a fare chiarezza sulle modalità di determinazione del danno nelle ipotesi di preesistenze. I criteri di liquidazione del danno differenziale La pronuncia in esame affronta la complessa questione del risarcimento del danno differenziale il quale si verifica ogni qualvolta il danneggiato sia affetto da un'invalidità fisica o psichica preesistente che già incide sulla sua vita. La Suprema Corte - sul solco delle sentenze di San Martino 2019 in particolare Cass. n. 28986/2019 , i cui principi sono stati poi ribaditi in ulteriori decisioni cfr. ex multis Cass. n. 17555/2020 n. 12052/2021 n. 26117/2021 e confermando la configurazione del danno alla persona come delineato dalla stessa Terza Sezione Civile negli ultimi anni - ricorda che la distinzione fra causalità materiale relazione tra la condotta e l'evento lesivo, funzionale all'imputazione di responsabilità e causalità giuridica relazione tra l'evento lesivo e le conseguenze pregiudizievoli, funzionale alla determinazione della misura del risarcimento serve a risolvere i problemi che sorgono in materia di concause. In particolare, la preesistenza quale concausa coesistente o concorrente rispetto al maggior danno causato dall'illecito assume rilievo sul piano della causalità giuridica ai sensi dell' art. 1223 c.c . L'applicazione di tali principi comporta, dunque, che nel caso di lesioni policrone coesistenti ovvero quando il danno riguarda una persona che ha già delle menomazioni, le quali però non interferiscono con i postumi concretamente prodotti dall'illecito l'invalidità permanente non deve essere ridotta, conseguentemente il danno va liquidato nella stessa misura di persona sana mentre nel caso di lesioni policrone concorrenti ovvero quando le menomazioni preesistenti del danneggiato si aggravano in conseguenza dell'illecito , come nel caso al vaglio della Corte di Cassazione, il procedimento per la quantificazione del danno prevede quattro fasi 1 la stima, in punti percentuali della invalidità permanente complessiva del danneggiato quindi quella risultante dalla menomazione preesistente sommata a quella causata dall'illecito 2 la stima in punti percentuali della invalidità permanente teoricamente preesistente all'illecito 3 la valorizzazione monetaria della invalidità permanente complessiva 4 la sottrazione dal valore monetario, dell'invalidità complessivamente accertata, di quello corrispondente al grado di invalidità preesistente. Nelle motivazioni della Corte l'adozione dei suddetti criteri consente, nel rispetto del principio di integralità del danno ex art. 1223 c.c., di non violare il criterio di progressività del quantum del danno biologico secondo cui a lesioni doppie, debbono corrispondere risarcimenti più che doppi . Proprio tale principio sarebbe stato violato dalla Corte di Appello avendo calcolato il danno sulla sola percentuale di invalidità permanente derivante dall'illecito. In altre parole, la Suprema Corte ribadisce come oggetto del danno risarcibile siano le funzioni vitali perdute e non il grado di invalidità , il quale rappresenta solo la misura convenzionale del danno ma non si confonde con esso, in coerenza con la nozione di danno biologico adottata dal legislatore negli art. 138 e 139 del codice delle assicurazioni , come da ultimo novellati in senso conforme Cass. n 28327/2022 . Rimane invece ferma la possibilità per il giudice, nell'ambito del proprio potere discrezionale, di applicare la cd. equità giudiziale correttiva o integrativa conferito al Giudice dagli artt. 2056 e 1126 c.c mediante la quale - tenendo in debito conto i pregiudizi, propri di ogni singola vittima, costituiti dal dolore e dalla sofferenza, dalle alterazioni negative delle attività dinamico-relazionali, - è possibile aumentare il risarcimento standard. Personalizzazione della valorizzazione del danno che nelle parole della Suprema Corte i giudici di merito avrebbero dovuto applicare anche relativamente alla quantificazione dei danni patiti dal marito. Secondo la Corte di Cassazione, sul punto i giudici di merito hanno errato facendo ricorso ad automatismi risarcitori il 50% del danno morale patito dalla moglie in quanto egli è titolato ad un autonomo danno non patrimoniale non derivante da una lesione alla salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati e conseguentemente la Corte di Appello avrebbe dovuto valutare i pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con sé stessa e quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita che nella specie andava individuato nella denegata dimensione genitoriale. I Giudici ricordano che il ricorso al principio di equità integrativa, da alcuni criticato in quanto foriero di possibili disparità in tal senso tra gli altri B. Tassone, La Cassazione e le cause naturali 2.0. O forse no , in Foro IT, Gli Speciali 1/2020 è, in alcuni casi necessario, in quanto il danno non patrimoniale non può essere liquidato in termini puramente simbolici o irrisori o comunque non correlati all'effettiva natura o entità del danno, ma deve essere congruo la valutazione della congruità implica che il risarcimento deve tendere, in considerazione della particolarità del caso concreto e della reale entità del danno, alla maggiore approssimazione possibile all'integrale risarcimento e ciò in quanto il risarcimento del bene salute deve necessariamente tenere conto, degli aspetti personalistici che rendono necessariamente individuale e specifica la relativa quantificazione nel singolo caso concreto. Su tali presupposti la Corte di Cassazione accoglie dunque il ricorso, cassa la sentenza e rinvia alla Corte di Appello per la quantificazione del danno secondo i criteri enunciati nella sentenza in commento.

Presidente Travaglino – Relatore Condello Fatti di causa 1. Il Tribunale di Palermo, con sentenza n. 1788/2015, accogliendo parzialmente la domanda proposta dai coniugi G.R. e P.S. nei confronti della Provincia Religiosa di omissis , Ospedale omissis , detto omissis , con cui era stato richiesto il risarcimento dei danni patiti dall'attrice a causa dell'asportazione della tuba sinistra l'unica che le era rimasta a seguito dell'asportazione dell'altra in conseguenza di altro intervento chirurgico , con conseguente perdita della funzione riproduttiva, ritenne la responsabilità dei sanitari che avevano sottoposto la paziente ad un'isterosalpingografia ISG e liquidò la complessiva somma di Euro 109.000,00 in favore dell'attrice e la somma di Euro 50.000,00 in favore del coniuge. In particolare, il giudice di primo grado osservò, in esito alla c.t.u. espletata, che i sanitari non avevano acquisito il consenso informato della paziente prima di sottoporla all'esame, di natura invasiva, e che avevano proceduto senza attendere l'esito del tampone vaginale che aveva poi consentito di rilevare la presenza di ceppi di Escherichia Coli, che avrebbe dovuto sconsigliare l'effettuazione dell'accertamento a causa del rischio di contrarre una infezione escluse, invece, la responsabilità della ginecologa che aveva visitato la donna dopo qualche giorno dall'esecuzione della ISG, ritenendo che, per il quadro sintomatologico presente, non fosse possibile imputarle alcun errore diagnostico o di cura considerò che la G., già priva della tuba e dell'ovaio destri per altre cause, avesse subito, in conseguenza dell'asportazione della tuba sinistra, una cd. ‹‹lesione prolicrona concorrente›› ed applicò un coefficiente di maggiorazione al grado di invalidità permanente accertato dal c.t.u, addivenendo a valutare, utilizzando la cd. ‹‹formula di Gabrielli››, il danno sofferto in via equitativa nella misura del 22 per cento, comprensiva anche del danno estetico tenuto conto, inoltre, del danno sofferto dall'attrice a titolo di ITA e ITP e, al fine di ristorare anche l'ulteriore pregiudizio sofferto nella vita di relazione definito, sia pure impropriamente sotto il profilo strettamente lessicale, danno esistenziale , incrementò nella misura del 10 per cento la somma liquidata a titolo di danno biologico secondo le tabelle di Milano, già comprensive del danno morale determinò, infine, in via equitativa, il danno morale ed esistenziale patito dal P., tenendo conto ‹‹per la sua determinazione dell'importo ben maggiore liquidato a G.R., in relazione alla lesione all'integrità psico-fisica, medicalmente accertata››. 2. Interposto gravame principale dalla Provincia Religiosa e gravame incidentale dai coniugi G. P., la Corte d'appello di Palermo ha ridotto la somma dovuta a G.R. e P.S., riconoscendo in loro favore rispettivamente l'importo di Euro 48.214,37 e di Euro 20.000,00, oltre interessi, e confermando nel resto la sentenza impugnata. Considerando che la G. possedeva, a causa dell'assenza della tuba e dell'ovaio destri, metà della funzionalità riproduttiva, ha ritenuto congrua la percentuale di danno riconosciuta dal C.T.U. 10% inoltre, in ragione della sofferenza fisica dalla G. patita a causa dell'intervento chirurgico, del periodo di degenza e, soprattutto, della perdita della capacità procreativa e della perdita di chance di una positiva riuscita di una tecnica di procreazione medicalmente assistita, la Corte territoriale, facendo applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano, con la massima personalizzazione, ha ritenuto che il danno arrecato ammontasse ad Euro 32.902,18, somma alla quale doveva aggiungersi l'importo già liquidato dal giudice di primo grado a titolo di ITT e ITP, pari ad Euro 4.400,00 somme che, maggiorate di rivalutazione ed interessi compensativi in misura legale, questi ultimi da computarsi sulla somma prima devalutata al momento del sinistro e poi via via rivalutata fino alla data della decisione, ascendevano ad Euro 38.214,37. Essendo stato accertato in primo grado il mancato consenso informato in ordine ai rischi ed alla natura della ISG, i giudici di appello hanno pure ritenuto sussistente il diritto della G. al ristoro del danno conseguente, che è stato liquidato in via equitativa nella misura di Euro 10.000,00. Passando, quindi, all'esame delle doglianze riguardanti la liquidazione del danno in favore di P.S., la Corte, nel sottolineare che quest'ultimo aveva sostanzialmente subito un danno riflesso, da quantificarsi in rapporto a quello stimato per la G., ha concluso che il danno sofferto dal coniuge potesse essere stimato in ragione di circa il 50 per cento di quello biologico, morale ed esistenziale subito dalla moglie, e ha liquidato, in via equitativa, la somma di Euro 20.000,00, comprensiva di rivalutazione ed interessi. 3. G.R. e P.S. ricorrono per la cassazione della decisione d'appello, con tre motivi. La Provincia Religiosa di omissis - Ospedale omissis , detto omissis resiste con controricorso. 4. La trattazione è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell'art. 380-bis.1. cod. proc civ Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, deducendo la ‹‹violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223 e 1226 c.c. , in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 - Omessa applicazione del criterio legale per l'accertamento del nesso di causalità giuridica››, la ricorrente lamenta che la Corte territoriale, aderendo alle conclusioni del c.t.u., ha rideterminato il grado percentuale dell'invalidità permanente dalla stessa subito nella misura del 10 per cento, a fronte di un grado percentuale obiettivamente accertato nella misura del 20 per cento, sul presupposto che, prima dei fatti per cui era causa, possedesse la metà della funzionalità riproduttiva di una donna fertile. Così argomentando, prosegue la ricorrente, la Corte d'appello, ha considerato quale ‹‹concausa›› della menomazione subita il suo stato anteriore, al quale ha attribuito un'efficienza causale del 50 per cento, in violazione dell' art. 1223 c.c. , che impone di tenere conto di tutte le conseguenze pregiudizievoli subite dal danneggiato, immediatamente riconducibili all'inadempimento. Sottolinea, al riguardo, che, ove il danneggiato sia portatore di una pregressa menomazione, i principi della causalità giuridica richiedono un accertamento che valuti quali sarebbero state le conseguenze dell'illecito in assenza delle condizioni preesistenti e solo nel caso in cui si accerti che le conseguenze dell'illecito sono state più gravi in ragione della condizione preesistente, detta condizione può assumere rilevanza giuridica ai fini della determinazione dei danni. Tale accertamento, ad avviso della ricorrente, non è stato svolto dai giudici di appello. 2. Con il secondo motivo si denuncia ‹‹violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223 e 1226 c.c. , in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 - Erronea applicazione del criterio di calcolo del danno differenziale››. In via subordinata, la ricorrente sostiene che, ove si dovesse ritenere che lo stato anteriore costituisse causa ‹‹concorrente››, secondo i principi della causalità giuridica, il giudice d'appello avrebbe dovuto escludere dalla complessiva situazione finale di invalidità le conseguenze negative non eziologicamente attribuibili al fatto illecito in altri termini, avrebbe dovuto monetizzare il grado dell'invalidità complessiva al 100 per cento e sottrarre la monetizzazione del grado d'invalidità preesistente. Addebita, quindi, alla Corte territoriale di avere tenuto conto della concausa in sede di determinazione del punto di invalidità permanente, in tal modo liquidando un risarcimento inferiore a quello spettante, in violazione dell' art. 1223 c.c. , e di avere pure violato il principio di diritto secondo il quale le sofferenze e le conseguenti privazioni della vittima non aumentano in misura proporzionale, ma progrediscono con intensità geometricamente crescente rispetto al crescere dell'invalidità permanente. 3. Con il terzo motivo, rubricato ‹‹violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223,1226 e 2056 c.c. , in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3››, si censura anche il criterio di determinazione del danno riconosciuto al P. e si lamenta, in particolare, che la valutazione del danno riflesso deve necessariamente tenere conto delle variabili specifiche del caso concreto. Poiché la perdita della capacità di procreare della moglie aveva ingenerato in capo al coniuge lo stesso pregiudizio subito dalla prima, per avere il P. perso la possibilità di diventare padre, la Corte d'appello, secondo i ricorrenti, avrebbe dovuto applicare il criterio di calcolo della personalizzazione nella liquidazione del danno. 4. In controricorso, la Provincia Religiosa di omissis ha eccepito l'inammissibilità del primo e del secondo motivo d'impugnazione, sostenendo che le questioni prospettate sono ormai coperte dal giudicato, per non avere i ricorrenti impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva stimato l'entità del danno iatrogeno nella misura del 10 per cento della invalidità permanente, e che in ogni caso le censure rivolte alla sentenza impugnata sollecitano un nuovo giudizio di merito, perché volte ad una rivalutazione del pregresso stato in cui la G. versava prima dei fatti di causa. L'eccezione di giudicato deve essere disattesa, in quanto deve escludersi che, in presenza di un motivo di appello incidentale volto a contestare la determinazione del danno non patrimoniale con riguardo all'incremento applicato a titolo di personalizzazione, che mirava nel suo esito finale a privare di efficacia la liquidazione operata dal giudice di primo grado, possa reputarsi passata in cosa giudicata la decisione di primo grado in punto di stima del danno da invalidità permanente. Inoltre, quelle prospettate dai ricorrenti sono questioni di diritto, e non di mero fatto, giacché volte a denunciare il criterio giuridico utilizzato dalla Corte d'appello per individuare, dal novero delle conseguenze dannose provocate dalla lesione alla salute, quelle che, sole, possano dirsi risarcibili ai sensi dell' art. 1223 c.c. 5. I primi due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente perché strettamente connessi, sono fondati, dovendosi dare continuità ai principi affermati - da ultimo - da Cass. n. 28986/2019 , secondo cui in tema di risarcimento del danno alla salute, la preesistenza della malattia in capo al danneggiato costituisce una concausa naturale dell'evento di danno ed il concorso del fatto umano la rende irrilevante in virtù del precetto dell'equivalenza causale dettato dall' art. 41 c.p. sicché di essa non dovrà tenersi conto nella determinazione del grado di invalidità permanente e nella liquidazione del danno. Può costituire concausa dell'evento di danno anche la preesistente menomazione, vuoi coesistente vuoi concorrente rispetto al maggior danno causato dall'illecito, assumendo rilievo sul piano della causalità giuridica ai sensi dell' art. 1223 c.c. . In particolare, quella coesistente e', di norma, irrilevante rispetto ai postumi dell'illecito apprezzati secondo un criterio controfattuale vale a dire stabilendo cosa sarebbe accaduto se l'illecito non si fosse verificato , sicché anche di essa non dovrà tenersi conto nella determinazione del grado di invalidità permanente e nella liquidazione del danno viceversa, secondo lo stesso criterio, quella concorrente assume rilievo in quanto gli effetti invalidanti sono meno gravi, se isolata, e più gravi, se associata ad altra menomazione anche se afferente ad organo diverso sicché di essa dovrà tenersi conto ai fini della sola liquidazione del risarcimento del danno e non anche della determinazione del grado percentuale di invalidità che va determinato comunque in base alla complessiva invalidità riscontrata in concreto, senza innalzamenti o riduzioni . In tema di liquidazione del danno alla salute, l'apprezzamento delle menomazioni concorrenti in capo al danneggiato rispetto al maggior danno causato dall'illecito va compiuto stimando, prima, in punti percentuali l'invalidità complessiva, risultante cioè dalla menomazione preesistente sommata a quella causata dall'illecito e poi quella preesistente all'illecito, convertendo entrambe le percentuali in una somma di denaro, con la precisazione che in tutti quei casi in cui le patologie pregresse non impedivano al danneggiato di condurre una vita normale lo stato di invalidità anteriore al sinistro dovrà essere considerato pari al cento per cento procedendo infine a sottrarre dal valore monetario dell'invalidità complessivamente accertata quello corrispondente al grado di invalidità preesistente, fermo restando l'esercizio del potere discrezionale del giudice di liquidare il danno in via equitativa secondo la cd. equità giudiziale correttiva od integrativa, ove lo impongano le circostanze del caso concreto in senso conforme, Cass., sez. 6- 3, 29/09/2022, n. 28327 . Nello specifico, pur dando atto che la G. possedeva, prima dei fatti per cui è causa, ‹‹metà della funzionalità riproduttiva di una donna fertile in età inferiore ai trenta anni in una situazione di pieno benessere e perfetta salute e con ciclo mestruale regolare›› e che, in esito all'accertamento del c.t.u. era emersa ‹‹la perdita della capacità procreativa per vie naturali e la perdita di chance di una positiva riuscita di qualsivoglia tecnica di procreazione medicalmente assistita PMA ››, la Corte di merito ha rilevato che i postumi invalidanti subiti dalla ricorrente, tenuto conto dell'età dell'appellante incidentale alla data dell'evento 41 anni e della percentuale di danno riconosciutole 10% , secondo le Tabelle milanesi , ammontavano ad Euro 32.902,18 Euro 22.082,00 + 49% a titolo di personalizzazione , importo a cui doveva aggiungersi la somma già liquidata in primo grado a titolo di ITT e ITA, nell'importo complessivo di Euro 4.400,00. Così argomentando, la Corte ha però disatteso il criterio sopra individuato, che avrebbe comportato la necessità di calcolare il valore monetario dell'invalidità complessivamente accertata e di sottrare da tale valore quello corrispondente al grado di invalidità preesistente, fatta salva la possibilità di esercizio del potere discrezionale di applicare la cd. equità giudiziale correttiva od integrativa, ove lo impongano le circostanze del caso concreto Cass. n. 28896/2019 cit. . Non si evince, invero, dalla sentenza impugnata che la Corte territoriale abbia effettuato una quantificazione rapportata alla invalidità complessiva successiva al sinistro comprensiva delle menomazioni preesistenti e di quelle causate dal sinistro che, in rapporto policrono concorrente, hanno aggravato la precedente condizione della G. per poi pervenire, tramite sottrazione del valore monetario corrispondente alla patologia originaria, a determinare il differenziale risarcitorio spettante alla danneggiata. Come spiegato da questa Corte, l'adozione di tale metodo di calcolo si impone, in quanto ‹‹sono le funzioni vitali perdute dalla vittima e le conseguenti privazioni a costituire il danno risarcibile, non il grado di invalidità, che ne è solo la misura convenzionale tali privazioni e le connesse sofferenze progrediscono con intensità geometricamente crescente rispetto al crescere dell'invalidità la misura convenzionale cresce invece secondo progressione aritmetica. Ciò si riflette nel metodo di liquidazione che, dovendo obbedire al principio di integralità del risarcimento art. 1223 c.c. , opera necessariamente, sia quando è disciplinato dalla legge, sia quando avvenga coi criteri introdotti dalla giurisprudenza, con modalità tali che il quantum debeatur cresce in modo più che proporzionale rispetto alla gravità dei postumi ad invalidità doppie corrispondono perciò risarcimenti più che doppi. Tale principio resterebbe vulnerato se, nella stima del danno alla salute patito da persona già invalida, si avesse riguardo solo all'incremento del grado percentuale di invalidità permanente ascrivibile alla condotta del responsabile›› Cass., n. 28327/2022 , cit. . La Corte d'appello, in sede di rinvio, procederà, pertanto, ad una nuova liquidazione del danno, applicando i principi dapprima della causalità materiale art. 41 c.p. , e poi della causalità giuridica art. 1223 c.c. secondo i criteri differenziali sopra esposti, e valutando l'incidenza dell'evento sotto il duplice profilo del danno biologico e del danno da sofferenza morale - come legislativamente riconosciuto, nella sua ontologica autonomia, dal nuovo testo degli artt. 138 e 139 C.d.A. 6. Merita accoglimento anche il terzo motivo di ricorso. La Corte di merito, anche con riguardo alla posizione del P., avrebbe dovuto prendere in esame, ai fini della determinazione del danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, tutti i pregiudizi patiti dalla vittima, comprensivi anch'essi del generale, duplice aspetto della sofferenza interiore, intesa come strumento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est del danno morale, sia di quelli relativi agli aspetti dinamico-relazionali della vita del soggetto leso, intesi, nella specie, come proiezione esterna della denegata dimensione genitoriale, senza ricorrere ad automatismi risarcitori Cass., sez. 3, 27/03/2018, n. 7513 Cass., sez. 3, 11/11/2019, n. 28989 . 7. In conclusione, il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d'appello di Palermo, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Palermo, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.