Quando la modifica della scala a chiocciola e della tettoia in ferro possono ritenersi legittime?

La nozione di pari uso della cosa comune non va intesa nel senso di uso identico tra compartecipi ma deve essere intesa in riferimento al potenziale utilizzo che detta cosa detiene su ciascun condomino.

Tizio, proprietario di un immobile ad uso abitativo, adiva il Tribunale di Pavia al fine di essere tutelato nel libero godimento del bene di proprietà comune, seriamente compromesso dall'utilizzo illegittimo da parte di Caio, responsabile, a suo dire, di aver realizzato pertinenze del fabbricato comune in assenza delle necessarie autorizzazioni amministrative. Sempre secondo l'attore, dette pertinenze avrebbero alterato la destinazione degli ambiti comuni e ne avrebbero impedito il suo libero e pacifico godimento. Ne chiedeva pertanto la rimozione invocando la disciplina di cui all' art. 1102 c.c. Si costituiva in giudizio Caio, contestando la ricostruzione ex adverso fornita ed eccependo il difetto di legittimazione attiva in capo all'attore, a vantaggio dell'amministrazione comunale. Dopo aver osservato che le opere oggetto di contestazione fossero preesistenti rispetto all'acquisto dell'immobile da parte di Tizio, il Tribunale, nel rigettare il ricorso in esame, ricorda che quando sia prevedibile che gli altri compartecipi non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata deve ritenersi legittima . Nel caso di specie, non è emerso in alcun modo che parte attrice avesse subito una qualche limitazione nel godimento del bene in ragione dell'occupazione degli spazi comuni da parte del convenuto nello specifico, ad avviso del giudice, parte attrice non avrebbe dimostrato l'utilizzo più intenso che avrebbe potuto fare sull'area comune occupata. Il Tribunale, pertanto, rigetta la domanda attorea volta alla demolizione e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite.

Giudice Forcina Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. omissis ha convenuto in giudizio omissis allegando - di essere proprietario di un'unità immobiliare ad uso abitativo sita al civico della via in Frazione San Biagio nel comune di Garlasco composta da un piano seminterrato e un piano fuori terra - che l'immobile di cui sopra è inserito in un fabbricato di tre piani un piano seminterrato e due fuori terra nel quale la convenuta è proprietaria dell'unità posta al primo piano - che le proprietà delle parti condividono spazi ad uso comune ma essendo state le stesse nel passato in capo ad una sola parte non esiste una tabella regolante la ripartizione delle spese condominiali - che la convenuta è anche proprietaria di una tettoia e di una scala a chiocciola che sono prive di qualsiasi titolo abilitativo, oltre ad alterare l'estetica dell'edificio, e ledono il libero, pacifico ed integrale godimento da parte dell'attore dei beni comuni - nella memoria n. 1 depositata ai sensi dell' art. 183 sesto comma cod. proc. civ. l'esistenza nel cortile di una rimessa garage utilizzata in via esclusiva dalla convenuta. 1.1. Si è costituita in giudizio la convenuta eccependo il difetto di legittimazione processuale della parte attrice in relazione alla domanda di demolizione dei manufatti in quanto quest'ultima sarebbe una prerogativa della pubblica amministrazione e contestando la sussistenza di qualsivoglia limitazione delle facoltà di godimento di parte attrice. Parte convenuta non si è però opposta alla domanda dell'attore circa la predisposizione di una tabella millesimale volta a regolare il riparto delle spese di gestione del compendio comune. 2. Venendo proprio a tale ultima questione si evidenzia che le parti anche nei loro scritti conclusivi hanno dichiarato di accettare la tabella millesimale predisposta dal ctu nominato in corso di causa ed allegata alla relazione definitiva cfr. allegato n. 2 relazione ctu . Pertanto, si deve affermare che ai sensi dell' art. 1123 cod. civ. le spese di gestione del condominio in essere tra le odierne parti processuali devono essere ripartite in base alla tabella millesimale predisposta dal ctu ed allegata sub n. 2 alla sua relazione definitiva. 3. In ordine alla legittimazione attiva di parte attrice ad ottenere la demolizione delle opere indicate nei suoi atti processuali in quanto edificate in violazione della normativa urbanistica si osserva che la disposizione dell' art. 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 ora, art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 , in base alla quale l'esecuzione di interventi edilizi in assenza, totale difformità o variazione essenziale della concessione ora, permesso importa l'ordine di demolizione da parte dell'autorità comunale, opera ai fini della repressione dell'illecito e, quindi, esclusivamente nel rapporto pubblicistico tra proprietario e responsabile dell'abuso, da un lato, ed amministrazione deputata al controllo del territorio, dall'altro, mentre non attribuisce al comproprietario dell'immobile un credito al ripristino del bene nei confronti di altro comproprietario cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18823 del 31/10/2012 . Pertanto, parte attrice non può ottenere la demolizione dei beni a servizio della proprietà della convenuta soltanto perché non in regola con la normativa urbanistica. 3.1. L'attore ha comunque chiesto la rimozione dei beni dianzi descritti invocando la disciplina di cui all' art. 1102 cod. civ. e perché lesivi del decoro condominiale. 3.1.1. Quanto a quest'ultimo aspetto si evidenzia che le opere oggetto di contestazione erano già esistenti all'epoca in cui l'odierno attore è divenuto proprietario e fanno parte dell'edificio da molto tempo si vuole, pertanto, sostenere che le stesse non costituendo delle innovazioni non sono soggette alla disciplina di cui all' art. 1120 cod. civ. che appunto vieta quelle che sono lesive del decoro architettonico dell'edificio. 3.1.2. l' art. 1102 cod. civ. stabilisce che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso. La nozione di pari uso della cosa comune che ogni compartecipe, nell'utilizzare la cosa medesima, deve consentire agli altri non va intesa nel senso di uso identico perché l'identità nello spazio o addirittura nel tempo potrebbe importare il divieto per ogni condomino di fare della cosa comune un uso particolare e a proprio esclusivo vantaggio ne deriva che per stabilire se l'uso più intenso da parte di un condomino venga ad alterare il rapporto di equilibrio fra i partecipanti al condominio - e perciò da ritenersi non consentito a norma dell' art. 1102 cod. civ. - non deve aversi riguardo all'uso fatto in concreto di detta cosa da altri condomini in un determinato momento, ma a quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 11870 del 06/05/2021 Sez. 2 - , Ordinanza n. 9278 del 16/04/2018 Sez. 2, Sentenza n. 22341 del 21/10/2009 . Ne consegue che, quando sia prevedibile che gli altri compartecipi non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa da un condomino deve ritenersi legittima, atteso che, in una materia nella quale è consentita la massima espansione dell'uso, il limite al godimento di un condomino si riscontra negli interessi degli altri, che costituiscono impedimento alla modifica soltanto se sia ragionevole prevedere che altri comproprietari vogliano accrescere il pari uso cui hanno diritto Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8808 del 30/05/2003 . Applicando tale quadro interpretativo al caso di specie si osserva che per ottenere la rimozione dei beni di parte convenuta occorre che dall'attività istruttoria sia emerso il potenziale uso che l'attore potrebbe fare in relazione agli spazi comuni occupati dalla convenuta onde verificare se l'uso più intenso operato da quest'ultima impedisca quello potenziale dell'attore. Ciò implica, innanzitutto, l'individuazione delle aree comuni occupate dalla convenuta. In relazione alla tettoia il ctu ha specificato che il bene e la relativa struttura di sostegno appoggiano in parte sul balcone di proprietà della convenuta, in parte sul muro perimetrale dell'edificio che ai sensi dell' art. 1117 cod. civ. costituisce un bene comune. Si deve evidenziare che parte attrice non ha neppure in minima parte allegato circostanze di fatto dalle quali dedurre che l'area di muro perimetrale occupata dalla struttura di sostegno della tettoia possa essere oggetto di un suo uso più intenso e in cosa potrebbe consistere questo uso. Stessa considerazione vale per la scala a chiocciola e la rimessa garage. Dalla consulenza emerge che questi ultimi due beni insistono sul cortile comune la scala a chiocciola, invero, come emerge dalle relative rappresentazioni fotografiche, insiste anche sul muro perimetrale dell'edificio. Tuttavia, anche rispetto a questi manufatti parte attrice non ha minimamente allegato quale potrebbe essere l'uso più intenso che egli potrebbe fare dell'area comune occupata ovvero non ha dimostrato che un pari uso da parte sua risulti impedito. Non può, infatti, trascurarsi che l'intero castello argomentativo dell'attore si fonda sulla deduzione per la quale un uso esclusivo del bene comune è semplicemente impedito tuttavia, per quanto finora motiva, tale argomentazione non è condivisibile. In definitiva, la domanda di parte attrice volta ad ottenere la rimozione dei manufatti attribuiti a parte convenuta deve essere rigettata. 4. In relazione al riparto delle spese di lite si osserva che la mancata opposizione della convenuta alla stesura delle tabelle millesimali comporta che per questa parte del giudizio le spese debbano essere compensate non è stato, infatti, dimostrato che la mancata adozione delle medesime tabelle nella fase stragiudiziale sia dipesa da una condotta colposa della convenuta. Il rigetto della domanda di demolizione comporta la condanna dell'attore al pagamento delle spese di lite. In definitiva, le spese processuali devono essere compensate nella misura del 50% la restante parte delle spese deve essere posta a carico di parte attrice e viene liquidata nel dispositivo secondo i parametri medi del D.M. n. 55 del 2014 calcolati per tutte le fasi processuali, tenuto conto della misura prevista per le cause aventi un valore compreso tra 26.000 e 52.000 euro non essendo il valore della causa determinabile. 3.1. Le spese di ctu devono essere compensate al 50% la restante parte deve essere posta a carico di parte attrice. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così dispone - accerta e dichiara che la ripartizione delle spese di gestione del condominio costituito dagli immobili oggetto di causa avvenga sulla base della tabella millesimale predisposta dal ctu ed allegata alla sua relazione sub n. 2 - rigetta la domanda di parte attrice volta alla rimozione dei manufatti attribuiti a parte convenuta ed insistenti sul bene comune - condanna parte attrice a rimborsare alla convenuta le spese di lite, che si liquidano, al netto della indicata compensazione, in € 3.808 per compensi professionali, oltre spese generali pari al 15% dei compensi, c.p. a., nonché i.v.a., se prevista, secondo le aliquote di legge.