Misure di protezione dei minori: nessun riconoscimento alla decisione del giudice straniero se difetta la giurisdizione

Ove, in base all’art. 42, l. n. 218/1995 secondo cui la protezione dei minori è in ogni caso regolata dalla Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 , trovi applicazione ratione temporis la successiva Convenzione dell’Aja del 18 ottobre 1996, le condizioni sostanziali di riconoscimento delle misure di protezione dei minori disposte dalla giurisdizione straniera risultano fissate dall’art. 23 di detta Convenzione il quale prevede tra le condizioni ostative per il riconoscimento delle pronunce adottate dalle autorità di uno Stato contraente negli altri Stati contraenti, che la misura sia adottata da un’autorità la cui competenza non era fondata in base alle disposizioni convenzionali sulla competenza.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 18199 depositata il 26 giugno 2023. La ricorrente proponeva innanzi alla Corte di Appello territorialmente competente domanda di accertamento dei requisiti di riconoscimento di un provvedimento emesso dal giudice straniero ed avente ad oggetto disposizioni riguardanti l'affidamento in favore della stessa dei due figli minori di età con determinazione della residenza in Stato estero presso la di lei abitazione e fissazione degli orari di visita del padre. La Corte distrettuale adita rigettava con sentenza la domanda spiegata dalla ricorrente sul presupposto che, nella specie, la norma regolante la giurisdizione in Italia doveva intendersi quella della residenza abituale dei minori così come previsto dall'art. 8 Reg. CEE n. 2201/2003. Il Collegio, specificava inoltre che ostava al riconoscimento della sentenza la carenza del presupposto di cui all'art. 64 lett. a , l. n. 218/1995 secondo cui il giudice che l'ha pronunciata poteva conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento italiano e quindi, la circostanza che il Giudice straniero che aveva emesso la pronuncia non costituiva lo Stato di residenza abituale dei minori poiché all'epoca della proposizione del ricorso quest'ultimi erano residenti abitualmente in una città dell'Italia ove avevano anche la residenza anagrafica dalla nascita . Nell'ambito del giudizio era inoltre emerso che i minori si trovavano nello Stato estero dove era stata emessa la pronuncia solo per le vacanze estive, circostanza che non soddisfaceva la sussistenza dei criteri utili ai fini dell'identificazione della residenza abituale dei minori nella dimora stabile , non precaria, costituente il luogo dei più radicati legami affettivi e dei principali e reali interessi. La ricorrente propone, pertanto, ricorso per Cassazione sulla base di quattro motivi. I Giudici di legittimità hanno ritenuto infondati tutti i motivi di ricorso proposti dalla ricorrente e con i quali, questa ultima, denunciava violazione e falsa applicazione della Convenzione dell'Aja, nonché dell' art. 116 c.p.c. sotto il profilo dell'omessa valutazione della prova, omissione che avrebbe anche determinato la violazione dell' art. 2699 c.c. laddove le prove pretermesse sarebbero state costituite dalle pronunce dell'autorità giurisdizionale straniera. Nella specie, i magistrati, hanno evidenziato che le censure mosse dalla ricorrente ed esaminate congiuntamente, si palesavano inammissibili in quanto muovevano da un presupposto di fatto non accertato dal giudice del merito e cioè che la residenza abituale dei minori fosse stata trasferita nello Stato estero di appartenenza dell'Autorità giudiziale che aveva emesso la pronuncia oggetto di giudizio di riconoscimento in Italia . Il Collegio di legittimità, inoltre aggiunge che, nella specie, il giudizio di fatto espresso dal giudice del merito, in quanto tale non sindacabile nel giudizio di cassazione alla luce dei noti limiti del controllo di legittimità, aveva concluso nel senso che non vi era stato trasferimento della residenza abituale non potendosi considerare tale, come già detto, il periodo di permanenza di due mesi per le vacanze estive . Tale giudizio di fatto restava fermo in sede di legittimità perché, benchè l'art. 25 preveda che l'autorità dello Stato richiesto è vincolata dalle considerazioni di fatto sulle quali l'autorità dello Stato che ha adottato la misura ha fondato la propria competenza la ricorrente non aveva impugnato l'ordinanza della Corte distrettuale sotto il profilo della violazione dell'art. 25 della Convenzione suddetta. I Giudici di legittimità hanno affermato, quindi, che alla stregua dell'accertamento di fatto del giudice del merito doveva concludersi nel senso che il riconoscimento alla sentenza straniera doveva essere negato per essere stata emessa da autorità priva di competenza ai sensi dell'art. 23, paragrafo 2, lett. a della Convenzione, in quanto non appartenente allo Stato contraente di residenza abituale dei minori che il giudice del merito, come già visto, aveva accertato essere nel territorio dello Stato italiano.

Presidente Raimondi – Relatore Scoditti Fatti di causa 1. Y.E. propose innanzi alla Corte d'appello di Bologna domanda di accertamento dei requisiti di riconoscimento della sentenza del 13 giugno 2019, emessa sulla base del ricorso presentato in data 29 settembre 2018 dal Tribunale di omissis - Città di Federazione Russa , e mediante cui erano stati affidati i due figli nati nel corso della sua relazione con S.A. , entrambi minorenni, alla madre, determinando la residenza presso quest'ultima e fissando l'orario di visite per il padre. Si costituì la parte convenuta chiedendo il rigetto della domanda. 2. Con sentenza di data 21 giugno 2021 la Corte d'appello adita rigettò la domanda. Osservò la corte territoriale, premesso che la norma regolante la giurisdizione in Italia era quella della residenza abituale del minore, come previsto dall'art. 8 Reg. CEE n. 2201/2003, che ostava al riconoscimento della sentenza la carenza del presupposto di cui all'art. 64 lett. a l. n. 218 del 1995 il giudice che l'ha pronunciata poteva conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento italiano , ed in particolare la circostanza che la Federazione Russa non costituiva lo Stato di residenza abituale dei minori. Osservò in particolare che, all'epoca di proposizione del ricorso 29 settembre 2018 , i minori erano residenti abitualmente in Italia, avendo sempre abitato a omissis ove avevano anche la residenza anagrafica dalla nascita, e trovandosi nella Federazione Russa solo da un paio di mesi per le vacanze estive. Aggiunse che, dovendosi identificare il criterio della residenza abituale del minore nella dimora stabile, non precaria, costituente il luogo dei più radicati legami affettivi e dei principali e reali interessi, non poteva tale luogo essere identificato all'interno della Federazione Russa, in luogo dell'Italia, ove invece i minori fino al settembre 2018 erano cresciuti con i genitori. Osservò inoltre che i due mesi trascorsi nella Federazione Russa non potevano costituire un tempo apprezzabile per considerare radicata in quello Stato l'abituale residenza. Aggiunse che, se era vero che il padre non aveva eccepito innanzi al Tribunale della Federazione Russa il difetto di giurisdizione, ciò nondimeno trovava applicazione il principio di diritto di cui a Cass. Sez. U. n. 28 ottobre 2015, n. 21946 , secondo cui in tema di riconoscimento di sentenze straniere, ai sensi della L. n. 218 del 1995 , i vizi tra cui il difetto di competenza giurisdizionale, secondo i principi propri dell'ordinamento italiano, ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 64, comma 1, lett. a che, se tempestivamente dedotti avanti al giudice straniero, avrebbero inficiato il giudizio, non possono essere fatti valere, per la prima volta, davanti al giudice italiano . Osservò quindi che se il S. avesse eccepito il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria della Federazione Russa, invocando la norma di cui all' art. 8 del Regolamento CE n. 2201/03 , avrebbe visto respinta la sua eccezione, perché l'A.G. della Federazione Russa non era tenuta ad applicare il Reg. CE . 3. Ha proposto ricorso per cassazione Y.E. sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso la parte intimata. È stata depositata memoria di parte. 4. Con ordinanza interlocutoria n. 34969 del 28 novembre 2022 la Prima Sezione Civile ha rimesso il ricorso al Primo Presidente per l'eventuale sua assegnazione alle Sezioni Unite ai sensi dell' art. 374 c.p.c. , comma 3, affinché le stesse stabilissero se, nell'ambito di un giudizio di riconoscimento, in Italia, dell'efficacia di una sentenza straniera, la parte ivi convenuta, che si sia ritualmente costituita nel giudizio svoltosi innanzi al giudice a quo senza sollevare, in quella sede, alcuna eccezione circa la carenza della competenza giurisdizionale di quest'ultimo, possa ancora formulare una siffatta eccezione innanzi al giudice della invocata delibazione oppure se la stessa possa essere sollevata di ufficio da quest'ultimo . Il ricorso è stato quindi assegnato a queste Sezioni Unite. 5. Si dà preliminarmente atto che per la decisione del presente ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in camera di consiglio, senza l'intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, ai sensi dell' art. 8, comma 8, del D.L. 29 dicembre 2022, n. 198 , che ha prorogato fino alla data del 30 giugno 2023 l'applicazione delle disposizioni di cui all' art. 221, comma 8, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34 , convertito, con modificazioni, dalla L. 17 luglio 2020, n. 77 , e di cui all'art. 23, commi 8-bis, primo, secondo, terzo e quarto periodo, e 9-bis, del D.L. 28 ottobre 2020 , n. 137 , convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 . 6. Il Procuratore Generale ha presentato le conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso. È stata presentata memoria dalla ricorrente. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo si denuncia violazione dell' art. 42 l. n. 218 del 1995 , che rinvia ai principi della Convenzione dell'Aja del 5 Ottobre 1961 sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori, e dell'art. 64 lett. a della medesima legge. Lamenta la ricorrente che la corte territoriale ha ritenuto che il giudice della Federazione Russa non fosse competente a decidere della causa in base ai principi sulla competenza giurisdizionale dell'ordinamento italiano, tra i quali principi però non possono non rientrare anche quelli dettati dalla L. n. 218 del 1995, art. 42 e della Convenzione dell'Aja, e che nella specie è stato violato l'art. 5 della Convenzione dell'Aja del 1996 in base al quale, in caso di lecito trasferimento della residenza abituale di un minore, sono competenti giurisdizionalmente le Autorità del nuovo Stato di residenza, per cui sulla base del lecito trasferimento doveva intendersi come residenza abituale dei minori non quella anagrafica, ma quella corrispondente alla residenza di fatto nella Federazione Russa. Aggiunge che erroneamente è stato richiamato il Regolamento CE 2201/03 inapplicabile al caso di specie. 2. Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 116 c.p.c. e dell'art. 2699 c.c Osserva la ricorrente che la Corte d'appello ha omesso la valutazione di elementi probatori documentali in atti, ed in particolare gli elementi di prova documentali presenti nelle sentenze della Federazione Russa, parificabili agli atti redatti da un pubblico ufficiale e deponenti nel senso della residenza stabile dei minori in quel Paese o comunque suscettibile di diventare tale, e ha in ogni caso omesso la valutazione di ogni elemento presente in atti necessario a confermare che la residenza dei minori in Russia aveva carattere di abitualità. 3. Con il terzo motivo si denuncia violazione dell'art. 64 lett. a l. n. 218 del 1995. Osserva la ricorrente, con riferimento al rilievo che se il S. avesse eccepito il difetto di giurisdizione della Federazione Russa invocando l'art. 8 Regolamento CE cd. Bruxelles II bis, avrebbe vista respinta la sua eccezione in quanto la Federazione Russa non era obbligata ad applicare il predetto Regolamento Europeo, che il medesimo S. ben avrebbe potuto contestare la giurisdizione della Federazione Russa ai sensi della Convenzione dell'Aja del 1996, da applicare per la determinazione della giurisdizione in materia di affidamento di minori ai sensi della L. n. 216 del 1995 , ed alla quale la Federazione Russa era tenuta ad uniformarsi per averla ratificata. Aggiunge che non avendo egli opposto tale eccezione, che sarebbe stata decisa in base alle disposizioni della Convenzione medesima, risultava evidente che lo stesso fosse decaduto definitivamente da ogni eccezione in merito alla giurisdizione, anche ai sensi delle norme italiane di diritto internazionale privato. 4. Con il quarto motivo si denuncia violazione della l. n. 766 del 1985 Ratifica ed esecuzione della convenzione tra la Repubblica italiana e l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche sull'assistenza giudiziaria in materia civile , firmata a Roma il 25 gennaio 1979 , per avere la corte ignorato e disapplicato i dispositivi della predetta Convenzione che riconoscono la facoltà ai cittadini delle Parti contraenti di adire liberamente le autorità giurisdizionali di ciascuna parte e l'efficacia delle decisioni giurisdizionali delle parti contraenti. Precisa che in particolare sono stati disapplicati gli artt. 1, 19 e 24 della medesima Convenzione. 5. Nell'ordinanza interlocutoria, dopo avere premesso che la inapplicabilità del Reg. CE n. 2201/03 nei confronti della Federazione Russa non avrebbe escluso la necessità di verificare l'esito della suddetta eccezione alla stregua della disciplina sancita dalla Convenzione dell'Aja del 19 ottobre 1996 - ratificata dall'Italia con la L. 18 giugno 2015, n. 101 - cui ha aderito anche la Russia, viene revocato in dubbio il principio di diritto reso da Cass. Sez. U. n. 21946 del 2015 sul presupposto sia dell'art. 11 della l. n. 218 del 2015 , secondo cui il difetto di giurisdizione può essere rilevato, in qualunque stato e grado del processo, soltanto dal convenuto costituito che non abbia espressamente accettato la giurisdizione italiana mentre il giudice può rilevare d'ufficio il proprio difetto di giurisdizione se il convenuto è contumace , che dell'art. 4 della medesima legge, secondo cui il convenuto costituitosi in giudizio, qualora non proponga l'eccezione di difetto di giurisdizione nella propria comparsa di risposta, accetta, anche implicitamente, la giurisdizione italiana, decadendo dalla possibilità di contestarla in seguito. Il Collegio remittente mostra di non condividere l'opzione della corte territoriale di non conferire rilevanza alla costituzione dell'odierno intimato innanzi all'autorità giudiziaria straniera senza sollevare l'eccezione di giurisdizione alla luce del principio di diritto sopra richiamato, perché è il giudice a quo ad essere investito dei poteri di accertamento della pretesa fatta valere, per cui in quella sede processuale debbono essere valutate tutte le questioni di merito, ma anche di rito, preliminari o pregiudiziali, che attengono alla proponibilità e fondatezza della domanda giudiziale, mentre al Collegio della delibazione spetta la verifica del rispetto di principi fondamentali quali, ad esempio, il contraddittorio, la difesa e l'ordine pubblico, ma anche, sempre ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. a , proprio la competenza giurisdizionale del giudice a quo secondo, però, le norme interne. Ne consegue, per il Collegio remittente, che era inibito alla Corte d'appello di valutare il profilo della giurisdizione sulla base di un'eccezione che poteva essere proposta dalla parte ritualmente costituitasi, non potendosi far dipendere la possibilità di sollevare, di fronte al giudice italiano, l'eccezione di difetto di competenza giurisdizionale del giudice straniero dal fatto che, davanti a quest'ultimo, il medesimo potere processuale non avrebbe potuto essere esercitato efficacemente per l'inidoneità dell'eccezione ad inficiare il giudizio , così obbligando il giudice ad quem ad una verifica sull'ipotetico esito dell'eccezione, e dovendosi invece considerare il fatto che la questione non era stata sollevata nel giudizio a quo dalla parte diligente che pur astrattamente avrebbe potuto farlo, con conseguente automatica preclusione nel giudizio ad quem. 6. I motivi, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono infondati, conformemente alle conclusioni del Pubblico Ministero. 6.1. Deve essere premesso un chiarimento preliminare in ordine al principio di diritto da cui prende le mosse l'ordinanza interlocutoria. Al riguardo va subito detto che Cass. Sez. U. n. 21946 del 2015 non ha fatto applicazione del detto principio. Quest'ultimo, nei termini richiamati dall'ordinanza di rimessione, era stato formulato ed invocato dai ricorrenti in quel giudizio richiamando Cass. 29 maggio 2003, n. 8588 . A quest'ultima pronuncia hanno fatto riferimento le Sezioni Unite, tratteggiando il principio nei termini seguenti in tema di riconoscimento di sentenze straniere, ai sensi della L. n. 218 del 1995 , i vizi tra cui il difetto di competenza giurisdizionale, secondo i principi propri dell'ordinamento italiano, ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 64, comma 1, lett. a che, se tempestivamente dedotti avanti al giudice straniero, avrebbero inficiato il giudizio, non possono essere fatti valere, per la prima volta, davanti al giudice italiano . Non applicando il principio, le Sezioni Unite hanno escluso che l'eccezione di difetto di giurisdizione fosse stata sollevata tardivamente dai ricorrenti, rimasti contumaci dinanzi al giudice statunitense, e che per la prima volta in sede di riconoscimento della sentenza in Italia avevano sollevato l'eccezione di difetto di competenza giurisdizionale del detto giudice, secondo i principi propri del diritto italiano, ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 64, comma 1, lett. a . In particolare, il Collegio osservò che anche là dove i convenuti la Repubblica Islamica dell'Iran e il Ministero dell'informazione e della sicurezza dell'Iran avessero partecipato al giudizio dinanzi alla Corte distrettuale per il Distretto della Columbia, il difetto di giurisdizione del giudice statunitense non avrebbe potuto essere utilmente eccepito, in quanto l'immunità dalla giurisdizione dello Stato iraniano sarebbe stata rifiutata da quel giudice in ragione delle disposizioni di una normativa speciale di diritto interno del 1996, cioè la legge sull'immunità dalla giurisdizione degli Stati stranieri Foreign Sovereign Immunities Act - FSIA , che prevede sì una presunzione di immunità a favore degli Stati stranieri, ma con una eccezione art. 1605 a 7 , applicabile retroattivamente, per le domande di danni materiali introdotte da cittadini americani vittime di atti di terrorismo commessi ai loro danni con il supporto di agenti di Stati, incluso l'Iran, indicati ufficialmente dagli Stati Uniti come sponsor del terrorismo . Il principio di diritto, come si è detto, risale a Cass. n. 8588 del 2003 , nell'ambito di un giudizio di riconoscimento di sentenza sempre statunitense e della quale è opportuno qui richiamare la motivazione, afferente alla ritenuta inammissibilità del motivo in scrutinio. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell' art. 64 della Legge 218-95 nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, lamentando che la Corte d'Appello abbia riconosciuto la sentenza straniera, senza considerare che - il giudice che l'ha pronunciata non poteva conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento italiano art. 64 lett. a , avendo detta causa riguardato una responsabilità per fatto illecito frode ed istigazione fraudolenta che, in base all'art. 64 della legge in esame, è regolata dalla legge dello Stato in cui si è verificato l'evento ovvero il fatto che ha causato il danno, con la conseguenza che, essendo i fatti avvenuti in Italia, in relazione all'acquisto ed alla gestione un'azienda di abbigliamento di , competente doveva ritenersi il giudice italiano - l'atto introduttivo del giudizio svoltosi avanti alla Corte americana non era stato portato a conoscenza del convenuto secondo la legge del luogo in cui si era svolto il processo, essendo stato notificato anch'esso in alla via omissis ed inoltre il termine a comparire di venti giorni concesso per la sua costituzione avanti alla Corte Federale dello Stato di New York non poteva consentirgli, quale cittadino italiano residente oltre oceano, di esercitare il proprio diritto di difesa. Anche tale censura è inammissibile, non potendo i rilevati vizi che avrebbero inficiato il giudizio avanti al giudice straniero essere dedotti per la prima volta in questa sede, senza che mai in precedenza, nè avanti al giudice statunitense nonostante la notifica dell'atto di citazione fosse avvenuta a mani proprie nè avanti alla Corte d'Appello, fossero stati fatti valere. Ciò vale indubbiamente sia per la competenza giurisdizionale di cui all'art. 64 lett. a della Legge 21895, tenuto conto, oltre tutto, della sua derogabilità prevista dall'art. 4 della stessa legge, sia per la notifica dell'atto introduttivo di quel giudizio avvenuta peraltro a mani proprie, come si è già evidenziato e sia ai fini della valutazione della congruità del termine a comparire assegnato al convenuto, che richiede di volta in volta uno specifico esame in relazione alle particolari circostanze del caso concreto . Si ricava dalla motivazione in primo luogo che i vizi, inficianti il giudizio innanzi al giudice straniero e non dedotti in quella sede, dei quali viene rilevata l'impossibilità di dedurli con il ricorso per cassazione, sono due l'incompetenza giurisdizionale e l'irritualità della notifica dell'atto introduttivo del giudizio. L'impossibilità di dedurli in sede di legittimità riguarda quindi entrambi i vizi ed essi vengono ai fini della decisione unitariamente considerati, e non singolarmente valutati. In secondo luogo, l'inammissibilità della censura discende dalla mancata deduzione del vizio non solo innanzi al giudice straniero, ma anche innanzi alla Corte d'appello, per cui la novità rilevava anche quale proposizione dell'eccezione per la prima volta in sede di legittimità. Alla luce di tali considerazioni va detto che il principio di diritto in discorso non è mai stato originariamente enunciato come tale, ma è stato dedotto estrapolandolo da un'articolata motivazione di inammissibilità del motivo di ricorso nella sentenza n. 8588 del 2003, inammissibilità basata essenzialmente su due rationes decidendi, congiuntamente rilevanti ai fini della ritenuta inammissibilità. Del principio è stata invocata l'applicazione da parte dei ricorrenti nel giudizio innanzi alle Sezioni Unite e queste si sono limitate a negarne l'applicabilità. Non vi è dunque allo stato un principio di diritto che possa dirsi enunciato dalle Sezioni Unite, nel senso indicato nell'ordinanza di rimessione, nè tanto meno un principio che possa assurgere alla dignità prevista dal comma 2 dell' art. 374 c.p.c. 6.2. Ciò chiarito in ordine alla premessa da cui ha preso le mosse l'ordinanza interlocutoria, va detto che, avuto riguardo all'epoca di introduzione del giudizio innanzi al giudice straniero 29 settembre 2018 , trova applicazione nel caso di specie la Convenzione dell'Aja del 18 ottobre 1996 Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori , cui deve intendersi rinvii l' art. 42 della L. n. 218 del 1995 quale normativa succeduta alla Convenzione del 5 ottobre 1961 così in motivazione Cass. 12 settembre 2019, n. 22828 , in quanto disciplina internazionale ratificata non solo dallo Stato italiano con L. 18 giugno 2015 n. 101 , ma anche dalla Federazione Russa. Già la norma generale di cui all'art. 2 della L. n. 218 prevede che le disposizioni della presente legge non pregiudicano l'applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l'Italia , ma è soprattutto l'art. 42 a venire in gioco, in base al quale la protezione dei minori è in ogni caso regolata dalla Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961, sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori, resa esecutiva con la L. 24 ottobre 1980, n. 742 . Nel senso che il caso di specie ricada nella disciplina della detta Convenzione sono anche le conclusioni del Pubblico Ministero. Per ciò che concerne il riconoscimento della sentenza straniera l'art. 23 della Convenzione, premesso il riconoscimento di pieno diritto della misura adottata dalla autorità di uno Stato contraente negli altri Stati contraenti, prevede, fra le condizioni ostative del riconoscimento, che la misura sia stata adottata da un'autorità la cui competenza non era fondata in base alle disposizioni convenzionali sulla competenza, ed in particolare l'art. 5 della medesima Convenzione, secondo cui le autorità, sia giudiziarie che amministrative, dello Stato contraente di residenza abituale del minore sono competenti ad adottare misure tendenti alla protezione della sua persona o dei suoi beni . L'art. 24 prevede poi che senza pregiudizio dell'art. 23, paragrafo primo, ogni persona interessata può chiedere alle autorità competenti di uno Stato contraente che si pronuncino sul riconoscimento o il mancato riconoscimento di una misura adottata in un altro Stato contraente. La procedura è regolata dalla legge dello Stato richiesto . Si intende da tale disposizione convenzionale che la legge dello Stato richiesto per il riconoscimento trova applicazione limitatamente alle norme che disciplinano la procedura, mentre, per quanto riguarda i presupposti del riconoscimento, trova applicazione la disciplina convenzionale. Quest'ultima non prevede, contrariamente all'art. 64 l. n. 218 del 1998, requisiti costitutivi di efficacia l'art. 64 è formulato nei termini che si ha riconoscimento quando ricorrano i presupposti contemplati dalla norma , ma contempla il riconoscimento di pieno diritto della sentenza straniera, salvo la ricorrenza di condizioni ostative, ed in particolare, per quanto qui rileva, quella secondo cui la misura giurisdizionale non è stata adottata dalla autorità giudiziaria dello Stato contraente di residenza abituale del minore. La fattispecie resta così regolata, in funzione di disciplina sostanziale del riconoscimento, dall'art. 23 della Convenzione, mentre trova applicazione la legge italiana soltanto per ciò che riguarda la procedura, in particolare, in base alla legge applicabile ratione temporis, il rito sommario di cognizione a decorrere dal 28 febbraio 2023, il rito è quello semplificato di cognizione , con competenza della corte d'appello del luogo di attuazione del provvedimento straniero art. 30 d. lgs. n. 150 del 2011 , cui rinvia l'art. 67, comma 1-bis, della L. n. 218 . 6.3. Con il primo motivo di ricorso si invoca l'applicazione della Convenzione dell'Aja, ma allo scopo di fare applicazione dell'art. 5 della disciplina convenzionale, ed in particolare il secondo paragrafo, il quale prevede che, fatta salva l'ipotesi del trasferimento illecito, in caso di trasferimento della residenza abituale del minore in un altro Stato contraente, sono competenti le autorità dello Stato di nuova abituale residenza . La censura è inammissibile perché muove da un presupposto di fatto non accertato dal giudice del merito, e cioè che la residenza abituale del minore fosse stata trasferita nella Federazione Russa. Il giudizio di fatto del giudice del merito, in quanto tale non sindacabile nella presente sede alla luce dei noti limiti del controllo di legittimità, è stato nel senso che non vi è stato trasferimento della residenza abituale non potendosi considerare tale il periodo di permanenza di due mesi per le vacanze estive. Tale giudizio di fatto resta fermo nella presente sede di legittimità perché, benché l'art. 25 preveda che l'autorità dello Stato richiesto è vincolata dalle constatazioni di fatto sulle quali l'autorità dello Stato che ha adottato la misura ha fondato la propria competenza , la ricorrente non ha impugnato l'ordinanza della corte territoriale sotto il profilo della violazione dell'art. 25 della Convenzione. Alla stregua quindi dell'accertamento di fatto del giudice del merito deve concludersi nel senso che il riconoscimento alla sentenza straniera deve essere negato per essere stata emessa da autorità priva di competenza ai sensi dell'art. 23, paragrafo 2 lett. a , della Convenzione, in quanto non appartenente allo Stato contraente di residenza abituale dei minori. Inammissibile è anche la censura sollevata con il secondo motivo, essenzialmente per violazione dell' art. 116 c.p.c. , sotto il profilo dell'omessa valutazione della prova, omissione che, secondo l'assunto della ricorrente, avrebbe determinato pure una violazione dell' art. 2699 c.c. perché le prove pretermesse sarebbero le sentenze della Federazione Russa. Al riguardo è sufficiente rammentare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ed anche di queste Sezioni Unite, in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell' art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato - in assenza di diversa indicazione normativa - secondo il suo prudente apprezzamento , pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria come, ad esempio, valore di prova legale , oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione Cass. Sez. U. 30 settembre 2020, n. 20867 . È stato anche da ultimo affermato che il potere del giudice di valutazione della prova non è sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo della violazione dell' art. 116 c.p.c. , quale apprezzamento riferito ad un astratto e generale parametro non prudente della prova, posto che l'utilizzo del pronome suo è estrinsecazione dello specifico prudente apprezzamento del giudice della causa, a garanzia dell'autonomia del giudizio in ordine ai fatti relativi, salvo il limite che la legge disponga altrimenti Cass. 17 novembre 2021, n. 34786 . Conformemente a quanto osservato dal Procuratore Generale, il terzo motivo, su cui verte la questione per cui è intervenuta l'ordinanza di rimessione a queste Sezioni Unite, non è fondato. L'ordinanza interlocutoria richiama la problematica dell'integrazione del requisito di cui all'art. 64 lett. a della L. n. 218 con l'art. 4, comma 1, quanto alla sussistenza della giurisdizione del giudice italiano, per ipotesi mancante in base all'art. 3, per effetto della mancata sollevazione dell'eccezione di difetto della giurisdizione nel primo atto difensivo. Ne seguirebbe che fra i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento giuridico vi sarebbe anche la regola enunciata dall'art. 4, comma 1. Di qui, alla stregua del ragionamento dell'ordinanza di rimessione, l'inoperatività del criterio dell'esito che avrebbe avuto la sollevazione dell'eccezione innanzi al giudice straniero, su cui invece si è basata la corte territoriale richiamando Cass. Sez. U. n. 21946 del 2015 . Come osservato dal Procuratore Generale, l'articolazione normativa derivante dalla L. n. 218 cede il passo al criterio della residenza abituale del minore contemplato dalla Convenzione. Lo scrutinio del terzo motivo non può non sfociare nei termini dell'infondatezza proprio perché la fattispecie, sotto il profilo delle condizioni sostanziali di riconoscimento della sentenza straniera, è disciplinata dalla Convenzione e non dall'art. 64 della L. n. 218, trovando applicazione la legge italiana, come si è detto, solo limitatamente alla procedura, in forza di quanto previsto dalla medesima Convenzione. La sentenza della corte territoriale, nella misura in cui assume quale paradigma decisionale la consumazione del potere di eccepire l'incompetenza giurisdizionale per mancata sollevazione della relativa eccezione innanzi al giudice straniero, sia pure ravvisando l'assenza del presupposto di applicabilità di quel paradigma, è erroneamente motivata in diritto, benché sia conforme a diritto sul punto il dispositivo, e quindi la motivazione va corretta nel senso qui indicato ai sensi dell'ultimo comma dell' art. 384 c.p.c. . Infine, quanto al quarto motivo, con cui si denuncia la violazione della L. n. 766 del 1985 Ratifica ed esecuzione della convenzione tra la Repubblica italiana e l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche sull'assistenza giudiziaria in materia civile , firmata a Roma il 25 gennaio 1979 , e segnatamente degli artt. 1, 19 e 24 della medesima Convenzione, come esattamente osservato dal Procuratore Generale, la normativa richiamata non disciplina il riparto di giurisdizione, ma si limita a riconoscere il diritto dei cittadini di ciascuno Stato firmatario di adire gli uffici giudiziari dell'altro, a condizione che, in base ai criteri di collegamento previsti dalle norme di volta in volta applicabili, l'autorità giudiziaria adita sia munita di giurisdizione in ordine alla controversia si vedano in motivazione Cass. Sez. U. 19 ottobre 2022, n. 30903 e 12 aprile 2022 , n. 21351 . Il criterio di collegamento della giurisdizione previsto dalla Convenzione del 1996 è, come si è visto, quello della residenza abituale del minore, che il giudice del merito ha accertato essere nel territorio dello Stato italiano. 6.4. Va, in conclusione, enunciato il seguente principio di diritto ove, in base all'art. 42 L. n. 218 del 1995, trovi applicazione la Convenzione dell'Aja del 18 ottobre 1996, le condizioni sostanziali di riconoscimento delle misure di protezione dei minori disposte dalla giurisdizione straniera risultano fissate dall'art. 23 della detta Convenzione, e non dall' art. 64 L. n. 218 del 1995 , mentre il procedimento del riconoscimento innanzi al giudice italiano resta disciplinato, come previsto dall'art. 24 della medesima Convenzione, dalla legge italiana . 6.5. I profili di novità evocati dalla controversia, anche avuto riguardo alla questione interpretativa posta dalla decisione impugnata che ha sollecitato l'ordinanza di rimessione a queste Sezioni Unite, costituiscono ragione di compensazione delle spese processuali Poiché il ricorso viene disatteso, vi sono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1 - quater all'art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 , della sussistenza dei presupposti processuali dell'obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto. P.Q.M. Rigetta il ricorso dispone la compensazione delle spese processuali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater, inserito dall 'art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 201 2, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto. Dispone, per l'ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma dell 'art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 200 3.