La decadenza dall’accertamento non impedisce all’ufficio di contestare la debenza del rimborso

Per il rimborso del credito fiscale non basta che questo sia esposto in dichiarazione. Il contribuente ha l’onere di fornire la prova dei fatti costitutivi del diritto al rimborso e l’omesso esercizio del potere di controllo da parte dell’amministrazione finanziaria non equivale al riconoscimento implicito delle somme.

Lo ha stabilito la Cassazione con sentenza n. 17750/2023 del 21 giugno, con cui ha rigettato il ricorso di una società avverso il diniego di rimborso del credito emergente in parte da una dichiarazione ed in altra parte per eccedenze risultanti dalle dichiarazioni precedenti, a titolo di ritenute subite e crediti di imposta. Esposizione del credito in dichiarazione e termini di contestazione per l'amministrazione finanziaria Con sentenza n. 21765/2021, le Sezioni Unite della Cassazione hanno stabilito che in tema di rimborso dell'eccedenza detraibile di IVA, l'amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente in dichiarazione, che non derivi dalla sottostima dell'imposta dovuta, anche qualora siano scaduti i termini per l'esercizio del potere di accertamento o di rettifica dell'imponibile e dell'imposta dovuta, senza che abbia adottato alcun provvedimento. In sostanza è stato esteso all'IVA quanto già affermato nel 2016 dalle stesse Sezioni unite – sentenza n. 5096 – in relazione all'IRES. Sul punto si ricorda che la Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 5069/2016, risolvendo il contrasto giurisprudenziale sorto sul tema del diritto al rimborso e del consolidamento del diritto di credito del contribuente, ha preferito aderire al vecchio orientamento per cui i termini decadenziali sono apposti solo alle attività di accertamento di un credito della Amministrazione e non a quelle con cui la Amministrazione contesti la sussistenza di un suo debito. Ancorchè una simile soluzione provochi una certa disarmonia e disparità nel sistema infatti, decorso il termine per l'accertamento, alla Amministrazione viene consentito di contestare comunque una pretesa del contribuente consentendogli di evitare un esborso ciò in virtù del principio civilistico quae temporalia ad agendum perpetua ad excipiendum che consente di opporre come eccezione l'annullamento del contratto anche quando è prescritta l'azione per farla valere i giudici hanno ritenuto che viene ad ogni modo salvaguardato il principio di certezza del diritto nonché il diritto di difesa del contribuente in quanto quest'ultimo ben può impugnare il silenzio della Amministrazione che non dia seguito alla istanza di rimborso, ottenendo sul punto una pronuncia giudiziale. Fino alla pronuncia delle Sezioni Unite, per quanto concerne l' IVA , si era formato anche un altro orientamento fondato sull'art. 57 secondo cui nel caso di richiesta di rimborso dell'eccedenza d'imposta detraibile risultante dalla dichiarazione annuale, se tra la data di notifica della richiesta di documenti da parte dell'ufficio e la data della loro consegna intercorre un periodo superiore a quindici giorni, il termine di decadenza, relativo agli anni in cui si è formata l'eccedenza detraibile chiesta a rimborso, è differito di un periodo di tempo pari a quello compreso tra il sedicesimo giorno e la data di consegna . Facendo leva su tale differimento alcune pronunce della Cassazione hanno ritenuto che il termine decadenziale ivi previsto si riferisca anche al controllo dell'Ufficio sulla pretesa del rimborso cfr. Cass. n. 17969/2013 , n. 8460/2005 . La decadenza non opererebbe nella sola ipotesi in cui la contestazione ricadesse non sui fatti costitutivi del diritto al rimborso ma sui presupposti dello stesso contemplati dai commi 2 e 3 dell' art. 30 del dpr 633/1972 cfr. Cass. civ. n. 8810/2013 e n. 25036/2014 . Le Sezioni Unite, con la pronuncia del 2021, hanno invece aderito all'altro orientamento secondo cui il provvedimento con cui l'amministrazione finanziaria neghi il diritto del contribuente al rimborso dell'eccedenza detraibile, regolato dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 30, per insussistenza dei fatti costitutivi del diritto al rimborso indicati nella norma citata, senza contestare l'esistenza stessa di un'eccedenza d'imposta dovuta, non ha, neppure sostanzialmente, natura di avviso di accertamento che presuppone necessariamente una pretesa tributaria nuova . Ne consegue che il detto provvedimento di diniego non è soggetto al termine decadenziale stabilito dal D.P.R. n. 633/1972, art. 57, per gli avvisi di accertamento, potendo sempre essere emanato finché il contribuente abbia il diritto di ottenere il rimborso dell'eccedenza cfr. Cass. 12144/2021 , n. 7132/2019 , n. 25464/2018 e n. 5069/2016 . Il caso concreto È irrilevante la mancata rettifica , da parte dell'Agenzia delle entrate, del credito esposto in dichiarazione al fine di invertire l'onere probatorio posto a carico, nei giudizi di rimborso, del contribuente istante. Infatti, spetta al contribuente che avanza l'istanza di rimborso di un tributo, l'onere di allegare e di provare i fatti ai quali la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato nella domanda e che le argomentazioni con le quali l'ufficio nega la sussistenza dei fatti, o la qualificazione ad essi attribuita dal contribuente, costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salvo la formazione del giudicato interno o - dove in concreto ne ricorrono i presupposti - l'applicazione del principio di non contestazione cfr. Cass. civ. n. 17580/2022 , 31626/2018 . Inoltre, in tema di rimborso di imposte , l'amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l'esercizio del suo potere di accertamento, senza che abbia adottato alcun provvedimento, atteso che tali termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei suoi crediti e non dei suoi debiti. Non è sufficiente ai fini del rimborso del credito che esso sia esposto in dichiarazione. Né l'inerzia dell'ufficio può equivalere al riconoscimento implicito del credito, per l'assenza di fatti impeditivi o preclusivi del rimborso, in ragione di un obbligo dell'amministrazione di attivarsi. L'omesso esercizio del potere di controllo non determina, quindi, alcun effetto accertativo del credito vantato. Inoltre, lo svolgimento senza rilievi del controllo automatizzato ai sensi dell'art. 36- bis d.P.R. n. 600/1973 non equivale a riconoscimento implicito del credito esposto in dichiarazione, potendo questo essere contestato anche dopo la scadenza dei termini per l'accertamento cfr. Cass. SS.UU. 5069/2016 . Anche in tema di IVA le Sezioni Unite hanno precisato che il provvedimento con cui l'amministrazione finanziaria neghi il diritto del contribuente al rimborso dell'eccedenza detraibile, regolato dal d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 30, per insussistenza dei fatti costitutivi del diritto al rimborso indicati nella norma citata, senza contestare l'esistenza stessa di un'eccedenza d'imposta dovuta, non ha, neppure sostanzialmente, natura di avviso di accertamento che presuppone necessariamente una pretesa tributaria nuova . Ne consegue che il detto provvedimento di diniego non è soggetto al termine decadenziale stabilito dal D.P.R. n. 633/1972, art. 57, per gli avvisi di accertamento, potendo sempre essere emanato finché il contribuente abbia il diritto di ottenere il rimborso dell'eccedenza cfr. Cass. SS.UU. 21765/2021 e 12144/2021 , 7132/2019 , cass. civ. 25464/2018 e 5069/2016 . Nel caso in esame, è legittimo , dunque, l' accoglimento parziale della domanda di rimborso , in quanto dalla documentazione concretamente prodotta dalla società contribuente si evinceva che questa non era in grado di dimostrare documentalmente la spettanza integrale del credito.

Presidente Cirillo – Relatore Lume Fatti di causa 1. Swiss Re Europe s.a. Rappresentanza per l'Italia proponeva istanza di rimborso per Irpeg per complessivi Euro 21.471.386,79, emergente in parte dalla dichiarazione per l'anno di imposta 2000 ed in altra parte per eccedenze risultanti dalle dichiarazioni degli anni 1997, 1998, 1999, a titolo di ritenute subite e crediti di imposta. L'istanza era oggetto di diniego dell'amministrazione. 2. La Commissione tributaria provinciale di Roma accoglieva il ricorso della società contribuente. 3. La Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva in parte l'appello dell'Ufficio. In particolare, la C.T.R. premetteva che nel giudizio di rimborso il contribuente è attore in senso anche sostanziale e che quindi su di lui gravi l'onere di provare i fatti costitutivi della domanda evidenziava che non potesse ritenersi consolidato il credito esposto in dichiarazione e non rettificato e che la documentazione prodotta desse la prova del credito nella inferiore misura di Euro 7.523.434,75. 2. Contro tale sentenza propone ricorso per cassazione Swiss Re Europe s.a. con quattro motivi, illustrati da successiva memoria. Resiste l'Agenzia delle entrate con controricorso. Il pubblico ministero ha presentato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso. La causa è stata trattata all'udienza pubblica del 16/03/2023, svoltasi ex art. 23, comma 8-bis, D.L. 28 ottobre 2020, n. 137 , convertito dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176 , prorogato dall' art. 8 del D.L. 29 dicembre 2022, n. 198 , conv. in l. 24/02/2023, n. 14 . Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo d'impugnazione, proposto in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5, la società deduce l'omesso esame dell'atto di ricognizione del debito decisivo per il giudizio e oggetto di discussione, evidenziando in particolare che la C.T.R. avrebbe omesso di esaminare la comunicazione ricevuta dall'Agenzia delle entrate che attestava il riconoscimento del rimborso nella misura uguale a quella dichiarata. In particolare, dopo aver esposto in dichiarazione i propri crediti, la società aveva formulato istanza di accesso agli atti del procedimento, ai sensi dell' art. 25 della l. n. 241 del 1990 , ricevendo una comunicazione dell'Agenzia delle entrate, ufficio provinciale di Roma 1, datata 30 marzo 2004, che attestava l'esito favorevole della liquidazione della dichiarazione per un importo del credito pari a quello in essa esposto, comunicazione che, ad avviso della ricorrente, costituirebbe riconoscimento del debito. Col secondo motivo la società, ai sensi dell' art. 360, comma 1 n. 4, c.p.c. , deduce la nullità della sentenza per omessa motivazione, in violazione degli artt. 112,132, comma 2, n. 4, c.p.c., e 36, comma 2, n. 4, D.Lgs. n. 546 del 1992, in relazione alla natura e agli effetti dell'atto emesso dall'Agenzia delle entrate, censurando la motivazione apparente della C.T.R. Con il terzo motivo deduce, sotto il profilo dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell' art. 116 c.p.c. e degli artt. 1988 e 2697 c.c. nonché 36-bis e 36-ter D.P.R. n. 600 del 1973 , in particolare evidenziando che la C.T.R. abbia errato laddove ha richiesto che la società contribuente dovesse dare la prova dei fatti costitutivi del diritto al rimborso, dovendo invece operare, in seguito alla comunicazione resa dall'ufficio costituente riconoscimento del debito, una inversione dell'onere della prova. Con il quarto motivo la società deduce la violazione e falsa applicazione dell' art. 2697 c.c. e degli art. 36-bis, 36-ter, 40,43 e 67 del D.P.R. n. 600 del 1973 nonché degli artt. 14 e 92 del D.P.R. n. 917 del 1986 per non aver il giudice d'appello riconosciuto il consolidamento del credito chiesto a rimborso e falsamente applicato il principio di diritto enunciato da Cass., Sez. U., n. 5069 del 2016 , relativo solo ad agevolazioni fiscali e non applicabile a crediti di imposta sui dividendi, non avendo l'amministrazione esercitato il potere di rettifica delle dichiarazioni in cui essi erano esposti, nonché essendo la stessa amministrazione in possesso della documentazione e non potendosi ritenere il contribuente tenuto a conservare documenti sine die infine per l'effetto violando il divieto di doppia imposizione. 2. Il primo motivo, con cui la ricorrente deduce l'omesso esame della comunicazione dell'ufficio che assume costituisse riconoscimento del debito, è infondato. La C.T.R. ha in più passaggi della sentenza, che vanno necessariamente letti unitariamente ed in rapporto di conseguenzialità e non possono essere isolati dalla parte propriamente motiva, citato l'esistenza di tale documento pagina 1, secondo capoverso, nell'esposizione dell'oggetto della lite , la valenza che gli aveva attribuito il giudice di primo grado pagina 2, primo capoverso, ove si evidenzia che i primi giudici avevano ritenuto esistente un riconoscimento del debito , la sua rilevanza nei motivi di appello pagina 2, quarto periodo, ove si evidenzia che l'ufficio sosteneva che non potesse equivalere a riconoscimento del debito il mancato controllo della dichiarazione o la certificazione di regolarità formale della dichiarazione , ed evidentemente tenuto conto del medesimo nelle ragioni proprie della decisione fondata sull'assunto che il consolidamento del credito esposto in dichiarazione e non rettificato, che non può che essere inteso se non con riferimento a quanto in precedenza esposto, non potesse prevalere sul generale principio dell'onere della prova . Ciò è confermato da quanto dedotto dalla ricorrente nella memoria di costituzione dei nuovi difensori ove si evidenzia che la C.T.R. ??abbia omesso di valutare in modo corretto la comunicazione del 2004, il cui contenuto è del tutto insindacabile??, il che non attiene, evidentemente, all'errore dell'omesso esame del documento ma alla sua valutazione che si assume non corretta . Del resto, tale conclusione è confermata dalla trascrizione della comunicazione dell'Ufficio compiuta da parte ricorrente da cui emerge che essa attestava l'esito della liquidazione. 3. Il secondo motivo è infondato. La mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell' art. 132 n. 4 c.p.c. e nel caso di specie dell' art. 36, comma 2, n. 4, D.Lgs. n. 546 del 1992 e riconducibile all'ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, si configura quando la motivazione ??manchi del tutto - nel senso che alla premessa dell'oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l'enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione - ovvero essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata?? Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053 successivamente tra le tante Cass. 25/09/2018, n. 22598 Cass. 01/03/2022, n. 6626 . In particolare si è in presenza di una ??motivazione apparente?? allorché la motivazione, pur essendo graficamente e, quindi, materialmente esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l'iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull'esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture, così da non attingere la soglia del ??minimo costituzionale?? richiesto dall' art. 111, comma 6, Cost. Ciò non ricorre nel caso di specie ove la motivazione della sentenza è pienamente comprensibile e si fonda sulla ritenuta irrilevanza della mancata rettifica, da parte dell'Agenzia, del credito esposto in dichiarazione al fine di invertire l'onere probatorio posto a carico, nei giudizi di rimborso, del contribuente istante, accogliendo l'appello erariale fondato sulla tesi che la predetta comunicazione non costituisse una ricognizione del debito e quindi non operasse la invocata inversione dell'onere probatorio né la parte ha dedotto degli specifici motivi per cui tale interpretazione del documento sia da considerarsi errata. 4. Il terzo e il quarto motivo, da trattarsi congiuntamente, sono infondati. 4.1. In primo luogo, in tema di contenzioso tributario, ove la controversia abbia ad oggetto l'impugnazione del rigetto dell'istanza di rimborso di un tributo avanzata dal contribuente, quest'ultimo riveste la qualità di attore in senso non solo formale - come nei giudizi di impugnazione di un atto impositivo - ma anche sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l'onere di allegare e di provare i fatti ai quali la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato nella domanda e che le argomentazioni con le quali l'Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita dal contribuente, costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salvo la formazione del giudicato interno o - dove in concreto ne ricorrono i presupposti - l'applicazione del principio di non contestazione Cass. 31/05/2022, n. 17580 Cass. 06/12/2018, n. 31626 Cass. 21/11/2016, n. 23587 Cass. 02/07/2014, n. 15026 Cass. 29/12/2011, n. 29613 Cass. 15/10/2010, n. 21314 Cass. 21/05/2007, n. 11682 . Cass. 18/05/2018, n. 12291 ed in precedenza in tal senso anche Cass. 25/11/2010, n. 23974 ha evidenziato, ai fini di tale prova, l'irrilevanza dell'obbligo, previsto dall' art. 2220 c.c. , di conservare le scritture contabili solo per un periodo di dieci anni, poiché l'onere di conservazione della documentazione deve essere distinto da quello della prova in giudizio, che segue le regole generali di cui all' art. 2697 c.c. Cass. 12/10/2018, n. 25464 , nel confermare il principio, ha anche escluso che ciò contrasti con l'art. 1 del I Protocollo addizionale alla CEDU , in quanto tale norma garantisce tutela sul piano convenzionale ai soli crediti già accertati, nonché liquidi ed esigibili, ossia a quelli che possano ritenersi parte del patrimonio dell'individuo. 4.2. In secondo luogo, la giurisprudenza di questa Corte ha escluso che l'espletamento senza rilievi della procedura di controllo ex art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973 e la scadenza dei termini per l'accertamento equivalgano di per sé a cristallizzazione, cioè riconoscimento implicito del credito esposto in dichiarazione. Pare opportuno rammentare, peraltro, che sino al 2016 la materia per cui è causa risultava controversa, profilandosi in seno alla giurisprudenza di legittimità due orientamenti. Il primo indirizzo giurisprudenziale, favorevole al contribuente, affermava che, qualora il credito si fosse consolidato per effetto di un ??riconoscimento esplicito?? in sede di liquidazione, ovvero a seguito di un ??riconoscimento implicito?? derivante dal mancato esercizio nei termini del potere di rettifica, l'Amministrazione era tenuta ad eseguire, in favore del contribuente, il rimborso del relativo credito, e che quest'ultimo era soggetto alla ordinaria prescrizione decennale, decorrente dal riconoscimento del credito stesso. La Corte aveva, infatti, ritenuto che il contribuente, qualora avesse evidenziato nella dichiarazione dei redditi un credito d'imposta, non avrebbe dovuto, al fine di ottenerne il rimborso, compiere alcun altro adempimento, ma avrebbe solo dovuto attendere che l'Amministrazione finanziaria esercitasse, sui dati esposti in dichiarazione, il potere-dovere di controllo secondo la procedura di liquidazione delle imposte prevista dall' art. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 , ovvero, ricorrendone i presupposti, secondo lo strumento della rettifica della dichiarazione. In tale orientamento, peraltro, si iscrivono gli arresti citati dalla ricorrente Cass. 08/06/2012, n. 9339 Cass. 21/01/2008, n. 1154 Cass. 23/02/2005, n. 3718 Cass. 06/08/2002, n. 11830 . Giurisprudenza successiva, di contrario avviso, riteneva invece che il termine di cui al disposto art. 36-bis cit. nel testo, applicabile ratione temporis, introdotto dall' art. 1 del D.P.R. n. 506 del 1979 , entro il quale l'Amministrazione deve provvedere alla liquidazione dell'imposta, avesse natura ordinatoria, e che pertanto il credito esposto in dichiarazione non avrebbe potuto consolidarsi con lo spirare del termine predetto, neppure nell'ipotesi in cui l'Amministrazione avesse omesso di procedere ad accertamento e rettifica nel termine fissato dall' art. 43 del D.P.R. n. 600 del 1973 . Le Sezioni Unite di questa Corte Cass., Sez. U., 15/03/2016, n. 5069 , a soluzione del contrasto, hanno affermato il principio secondo il quale In tema di rimborso di imposte, l'Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l'esercizio del suo potere di accertamento, senza che abbia adottato alcun provvedimento, atteso che tali termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei suoi crediti e non dei suoi debiti, in applicazione del principio quae temporalia ad agendum, perpetua ad excepiendum , desumibile dall' art. 1442, ultimo comma, c.c. Tale principio, peraltro, a differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente non attiene ai soli crediti di natura agevolativa o per i quali occorra una manifestazione di volontà da parte del contribuente. A detto principio si è uniformata la successiva giurisprudenza di questa Corte cfr., tra le altre, Cass. 17/06/2016, n. 12557 Cass. 31/01/2018, n. 2392 Cass. 06/02/2019, n. 3404 Cass. 13/03/2019, n. 7132 Cass. 30/10/2019, n. 27841 e di recente esso è stato ribadito da Cass., Sez. U., 29/07/2021, n. 21766 , con la precisazione che ciò non vale ove il credito sia scaturito dalla sottostima dell'imposta dovuta che in realtà era maggiore e che è stata evasa il che non rileva nel caso di specie in tale ultima decisione, che ha peraltro esteso il principio anche all'IVA, non è sufficiente ai fini del rimborso del credito che esso sia esposto in dichiarazione. Ne' l'inerzia può equivalere al riconoscimento implicito del credito, per l'assenza di fatti impeditivi o preclusivi del rimborso, in ragione di un obbligo dell'amministrazione di attivarsi, derivante anche dalla combinazione dei commi 2 e 5 dell' art. 6 dello Statuto dei diritti del contribuente disposizioni in parte anche richiamate nel caso di specie dalla società ricorrente nel corpo del motivo . Al contrario, il legislatore prende sì in considerazione l'inerzia, ma assegna ad essa il significato di rifiuto tacito, in quanto tale impugnabile l' art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 31/12/1992, n. 546 ammette il ricorso contro il silenzio rifiuto opposto dall'amministrazione a qualsiasi richiesta di rimborso e il silenzio rifiuto funge ??da anello di congiunzione tra la procedimentalizzazione del diritto al rimborso e la sua tutela in sede giudiziale. L'omesso esercizio del potere di controllo non determina, quindi, alcun effetto accertativo del credito vantato, che può derivare soltanto dalla positiva verifica di rispondenza alla realtà di quanto dichiarato, evidenziando altresì le Sezioni Unite che il credito di cui si discute, anche non dovuto, divenga incontrovertibile soltanto perché è indicato in una dichiarazione non più assoggettabile al potere di accertamento o verifica, striderebbe con la matrice costituzionale dell'azione impositiva, presidiata dai precetti della riserva di legge art. 23 Cost. , del principio di capacità contributiva art. 53 Cost. , e anche dell'imparzialità dell'azione amministrativa art. 97 Cost . Successivi plurimi interventi hanno ulteriormente precisato che lo svolgimento senza rilievi del controllo automatizzato ex art. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 del resto, finalizzato esclusivamente a ??ridurre i crediti di imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalla dichiarazione?? non equivale a riconoscimento implicito del credito esposto in dichiarazione, potendo questo essere contestato anche dopo la scadenza dei termini per l'accertamento Cass. 13/03/2019, n. 7132 Cass. 18/02/2022, n. 5446 Cass. 19/10/2022, n. 30804 . Ne' rileva il tema della doppia imposizione che non incide sugli oneri probatori in tema di rimborso volto alla sua eliminazione. 4.3. La C.T.R., pertanto, ha fatto corretta applicazione dei predetti principi una volta esclusa la rilevanza ricognitiva della comunicazione resa in sede di accesso agli atti, ha correttamente posto a carico del ricorrente l'onere probatorio, esaminando poi la documentazione concretamente prodotta dalla società contribuente ed evidenziando che essa aveva ammesso in sede di conciliazione di non essere in grado di dimostrare documentalmente la spettanza integrale del credito, concludendo per un accoglimento parziale della domanda di rimborso. 5. Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna Swiss Re Europe s.a. Rappresentanza per l'Italia al pagamento delle spese di lite in favore dell'Agenzia delle entrate, per Euro 20.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater, inserito dall 'art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 201 2, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.