Casa privata in una zona industriale: serve maggiore tolleranza per i fastidi provocati dai vicini opifici

Respinte le lamentele di una coppia che ha posizionato la propria abitazione, sfruttando un immobile destinato in origine ad ospitare un’attività produttiva, a poca distanza da un cementificio.

Necessaria maggiore tolleranza per i rumori provenienti dall’opificio vicino se l’immobile privato, anch’esso a vocazione produttiva, è stato adibito a casa familiare ed è collocato in una zona industriale. Scenario della vicenda è la provincia di Chieti. Sotto accusa finisce un cementificio , a causa di rumori, immissioni , esalazioni e scuotimenti ai danni di una casa privata posizionata a poca distanza dallo stabilimento. Per i giudici di merito, però, l’istanza presentata dai proprietari della casa e mirata ad ottenere una condanna dell’impresa, con annesso risarcimento, è priva di fondamento. Ciò soprattutto tenendo presente il contesto, ossia una zona industriale ove la casa è stata collocata partendo da un immobile destinato anch’esso, in origine, ad ospitare una attività produttiva. Inutile il ricorso in Cassazione proposto dal legale che rappresenta i proprietari della casa privata. I magistrati di terzo grado condividono in pieno, difatti, le valutazioni compiute dai giudici d’appello. In sostanza, nella valutazione della tollerabilità delle immissioni è imprescindibile tener conto di un particolare contesto, costituito da un'area destinata esclusivamente ad attività produttive artigianali ed industriali, come risulta dall'attestazione , risalente al 2004, dell'Ufficio Tecnico Comunale . Inoltre, deve considerarsi che il limite della normale tollerabilità costituisce un criterio oggettivo e relativo oggettivo, da un lato, perché la rumorosità deve essere valutata in relazione alla reattività dell'uomo medio, prescindendo da considerazioni attinenti alle singole persone interessate alle immissioni relativo, dall’altro lato, nel senso che deve aversi riguardo al caso concreto, alle condizioni naturali e sociali dei luoghi, alle abitudini della popolazione, al contesto produttivo, nel quale si svolge l'attività che si assume lesiva, e all'entità degli interessi in conflitto . Ebbene, nel caso preso in esame si è visto come la zona abbia una vocazione esclusivamente produttiva , nella quale , a poca distanza dal cementificio, l'immobile, anch'esso a vocazione originariamente produttiva, è stato adibito ad uso abitazione , sicché il limite della tollerabilità - il cui superamento, comunque, non può ritenersi provato - è inevitabilmente diverso e senz'altro maggiore di quello proprio di una zona residenziale , precisano i Giudici. Per completare il quadro, poi, viene anche sottolineato che nella zona in cui insistono il cementificio e la casa privata le costruzioni permesse non hanno destinazione residenziale, trattandosi di magazzini, rimesse, laboratori ecc. connessi all'attività di produzione, essendo consentita, e solo entro certi limiti, l'abitazione del titolare delle attività produttive .

Presidente Lombardo – Relatore Caponi Fatti di causa Nel 2007 O.A., O.B. e O.I. convenivano la Società O. dinanzi al Tribunale di Chieti per accertamento di illegittimità di immissioni da un cementificio, cessazione e condanna generica ai danni. La domanda è rigettata in primo grado e in appello. Ricorre in cassazione parte attrice con tre motivi, illustrati da memoria. Resiste parte convenuta con controricorso. Ragioni della decisione 1. - Con il primo motivo si censura sotto un primo profilo che si sia adottata un'interpretazione restrittiva dell' art. 844 c.c. , che contrasta con l' art. 32 Cost. , nonché, sotto un secondo profilo, si censura che si sia addossato agli attori l'onere della prova nonostante la raggiunta prova orale e tecnica dell'esistenza di rumori, immissioni, esalazioni, scuotimenti e simili propagazioni provenienti dall'opificio industriale e percepiti dagli attori all'interno della loro abitazione si deduce violazione degli artt. 844 c.c. , 32 Cost., 2697 c.c. e CEDU . Con il secondo motivo si censura che si sia rilevata l'inesistenza di altri edifici ad uso di abitazione oltre a quello degli attori e che la zona D1 di completamento sia stata qualificata come esclusivamente industriale, contrariamente alle previsioni del piano regolatore, nonché in contrasto con i rilievi del c.t.u. si deduce l'erronea interpretazione del piano regolatore comunale . Con il terzo motivo si denuncia l'inesistenza, l'incomprensibilità o totale illogicità della motivazione con riferimento alla valutazione degli atti di causa e del compendio probatorio si deduce violazione dell' art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c. . 2. - I tre motivi possono esaminarsi contestualmente. Essi sono da disattendere. Infatti, pur nella varietà dei profili che essi attaccano e nella diversità di tipo di censure in cui si articolano, sono ispirati da una medesima impostazione l'idea che si possa aprire la prospettiva di una terza cognizione di merito relativa alla stessa identica controversia dinanzi al giudice di rinvio, nonostante che l'apprezzamento della situazione giuridica rilevante compiuto nei due precedenti gradi di giudizio abbia trovato la propria espressione in una motivazione effettiva, resoluta e coerente, che quindi non si espone a censure in sede di giudizio di legittimità. 3. - Quanto al primo motivo, la parte censurata saliente della sentenza è la seguente nella valutazione della tollerabilità delle immissioni è imprescindibile tener conto di un particolare contesto, costituito da un'area destinata esclusivamente ad attività produttive artigianali ed industriali, come risulta dall'attestazione dell'Ufficio Tecnico Comunale del 27/10/2004. La tabella C di cui al d.p.m.c.m. 14/11/1997, allorché fissa i limiti assoluti di immissioni con riferimento alle aree prevalentemente industriali, li indica in ragione di 70 dB nel periodo diurno e di 60 nel periodo notturno , limiti che nel caso in esame non stati superati, come si evince dalla c.t.u. Gli appellanti erano onerati di fornire la prova non solo dell'esistenza delle immissioni, ma anche del superamento della normale tollerabilità e tanto non hanno fatto, posto che, se i testi hanno confermato il transito delle betoniere e il rumore prodotto dalle pompe - che venivano comunque spente al termine della giornata lavorativa, h. 17,00, e che non sono state mai trovate accese dai tecnici dell'Arta nei ripetuti sopralluoghi a sorpresa da questi effettuati negli anni teste D.R. , che ha riferito di un utilizzo solo iniziale delle pompe di aspirazione, poi cessato - non ne hanno descritto l'intensità e gli effetti sulle attività quotidiane nè le parti attrici hanno provato l'esistenza delle dedotte fessurazioni sul proprio vetusto fabbricato, nè che queste potrebbero in ipotesi essere ricondotte alle vibrazioni ed agli scuotimenti prodotti dal transito delle betoniere e non piuttosto agli eventi sismici che colpirono la zona nel 1984 e in relazione ai quali chiesero anche un contributo per le riparazioni delle lesioni asseritamente da questi derivate. Da ultimo, come ricordano gli stessi appellanti deve considerarsi che il limite della normale tollerabilità costituisce un criterio oggettivo e relativo oggettivo perché la rumorosità deve essere valutata in relazione alla reattività dell'uomo medio, prescindendo da considerazioni attinenti alle singole persone interessate alle immissioni relativo nel senso che deve aversi riguardo al caso concreto, alle condizioni naturali e sociali dei luoghi, alle abitudini della popolazione, al contesto produttivo, nel quale si svolge l'attività che si assume lesiva, e all'entità degli interessi in conflitto Cass. 17281/2005 . Nel caso in esame si è visto come la zona abbia una vocazione esclusivamente produttiva, nella quale l'immobile degli appellanti, anch'esso a vocazione originariamente produttiva, è stato adibito ad uso abitazione, sicché il limite della tollerabilità - il cui superamento, va ribadito, non può ritenersi provato - è inevitabilmente diverso e senz'altro maggiore di quello proprio di una zona residenziale . In punto di diritto tale dettagliata argomentazione resiste al secondo profilo del motivo di ricorso relativo all'onere della prova e con ciò resiste anche al primo, relativo alla ipotetica violazione dell' art. 32 Cost. , il cui esame presuppone logicamente che sia fondato il secondo. Il primo motivo è rigettato. 4. - Quanto al secondo motivo, la parte censurata saliente della sentenza è la seguente Deve confermarsi la decisione impugnata, posto che il c.t.u. ha considerato la zona come ‘mistà esclusivamente in ragione di una evidente errata interpretazione della destinazione di PRG, che individua l'abitazione della parte attrice in zona D1 - Zona completamento, nella quale sono consentiti interventi di realizzazione, ristrutturazione e riconversione funzionale, di edifici ed impianti per le attività produttive è consentita inoltre l'installazione di laboratori di ricerca e di analisi, magazzini, depositi, rimesse, uffici e mostre connesse all'attività di produzione nonché l'edificazione dell'abilitazione per il titolare, non superiore ai mc 600 , in ragione della circostanza che in essa sarebbero consentiti interventi edilizi con destinazione a residenza, il che non è, visto che le costruzioni permesse non hanno destinazione residenziale, trattandosi di magazzini, rimesse, laboratori ecc. connessi all'attività di produzione, essendo consentita, e solo entro certi limiti, l'abitazione del titolare delle attività produttive . Nel prosieguo della motivazione si aggiungono una serie di elementi minori, che corroborano tale centrale argomentazione, che è da sola idonea a sorreggere la decisione adottata in modo incensurabile in sede di legittimità. Il secondo motivo è rigettato. 5. - Quanto al terzo motivo, relativo al vizio di motivazione ex art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c. è sufficiente un richiamo congiunto ai due ampi passi della motivazione riportati nei due paragrafi precedenti per attestarne l'infondatezza. Il terzo motivo è rigettato. 6. - In conclusione, il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. Inoltre, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di una ulteriore somma pari al contributo unificato per il ricorso a norma dell'art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta ricorso condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore della parte controricorrente, che liquida in Euro 5.000, oltre a Euro 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi e agli accessori di legge. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un'ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.