Fallimento: se la società insolvente ha sede in un Paese in cui non è prevista la procedura di ammissione al passivo, l'accertamento del credito va effettuato in Italia

Per la Suprema Corte, ove vi sia un fallimento in una nazione in cui non sia prevista una procedura analoga a quella del nostro ordinamento per la verifica dei crediti e per l'insinuazione al passivo, e ove sia già iniziata una causa tesa ad accertare il credito, questa deve proseguire e il giudice deve pronunciarsi nel merito.

Questo l'importante principio ribadito dalla Seconda Sezione della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza in esame. Il provvedimento ribadisce un importante principio di diritto, teso a garantire il creditore e a consentirgli di accertare il suo credito anche ove nel Paese in cui si svolge la procedura di fallimento non sia previsto un meccanismo di accertamento del credito e di insinuazione al passivo e sia già stato iniziato in Italia un procedimento di accertamento del credito e di condanna. Il caso La questione sottoposta alla Suprema Corte riguardava una vicenda nata con atto di citazione del 2012, preceduto da accertamento tecnico preventivo, con cui l'odierno ricorrente citava in giudizio dinanzi al tribunale di Udine una società tedesca, chiedendo la risoluzione per fatto e colpa di questa del contratto di compravendita di un'imbarcazione e la condanna della società venditrice al rimborso di quanto pagato nonché al risarcimento del danno. A seguito del fallimento della società convenuta, il giudizio di primo grado veniva interrotto e poi riassunto dall'attore il quale poi cercava di insinuarsi al passivo della procedura pendente in Germania, ottenendo un diniego, motivato dalla pendenza del giudizio in Italia, mentre la sua domanda veniva rigettata dal Tribunale, che sosteneva che l'unico modo di accertare il suo credito fosse quello di insinuarsi al passivo in Germania. La sentenza veniva impugnata dinanzi alla Corte d' A ppello competente, la quale però rigettava il gravame, condannando l'attore anche alle spese. Secondo la sentenza impugnata, essendo fallita la società, non era possibile proseguire il giudizio in Italia, essendo l'unica via percorribile quella dell' insinuazione al passivo in Germania . Di conseguenza, l'odierno ricorrente impugnava la sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione con ben otto motivi di ricorso, tra cui la violazione del regolamento 1346/2000 CE, in relazione agli articoli 43, 15, 16 e 25 l. fall ., e quello relativo alla violazione del principio del giusto processo, poiché la decisione assunta dal giudice di appello sostanzialmente si concederebbe in un diniego di giustizia, dato che chiede all'odierno ricorrente di conseguire dinanzi al giudice tedesco una forma di tutela non prevista da quello ordinamento giuridico, dato che in esso non esiste una verifica endo fallimentare dei crediti da ammettere al passivo della procedura concorsuale corrispondente alla verifica del passivo prevista dalla legge fallimentare italiana. Il ricorso è stato trattato all'udienza camerale, ma il PG, vista l'importanza della questione relativa, ha la possibilità che il giudizio di risoluzione per inadempimento e risarcimento del danno, instaurato in Italia prima del fallimento, possa proseguire o meno in funzione della normativa applicabile In Germania alla procedura di insolvenza. Entrambe le parti hanno poi hanno depositato memoria. La decisione della Corte La Suprema Corte ha accolto il ricorso sui primi due motivi, ritenendo assorbiti gli altri. Nella fattispecie, secondo la Suprema Corte, il fatto che nell'ordinamento tedesco non sussista una procedura analoga a quella italiana relativamente all'accertamento di un credito per l'insinuazione allo stato passivo, si va a concretizzare, nel caso di applicazione della norma che prevede come unico modo di accertamento del credito quello previsto dalla legge fallimentare , in un caso di denegata giustizia poiché non consente al creditore di vedere accertato il suo credito. A maggior ragione, dato che la causa per l'accertamento del credito e la condanna della società fallita era iniziata ben prima della dichiarazione di insolvenza. Di conseguenza, l'ordinanza in commento ha espresso il principio di diritto secondo il quale nelle procedure di insolvenza transfrontaliere, ove il giudizio di accertamento del credito sia iniziato prima della procedura stessa, questo d eve proseguire di fronte al giudice ordinario , il quale è tenuto a conoscere della domanda sottoposta alla sua cognizione, anche se la norma di diritto interno del suo Stato di appartenenza, in questo caso l'Italia, riservi al giudice della procedura di insolvenza l'accertamento dei crediti nei confronti del soggetto insolvente. Quindi, il giudice italiano dinanzi al quale sia pendente un giudizio avente ad oggetto una domanda di accertamento del credito promosso da un creditore nei confronti di un soggetto di diritto estero, che sia stato dichiarato fallito successivamente all'inizio della causa, non può dichiarare improcedibile la domanda , in applicazione della norma di diritto interno, ma deve applicare la disposizione prevista dalla legge dello Stato membro e dunque ove questa faccia salva, come nel caso che ci occupa, la cognizione del giudice ordinario, deve pronunciarsi nel merito . Dunque, nel caso di fallimento di una società straniera appartenente a un ordinamento in cui manchi un procedimento di verifica dei crediti insinuabili allo stato passivo, deve proseguire il giudizio già iniziato in Italia prima della dichiarazione di fallimento e teso all'accertamento del credito. La Suprema Corte ha quindi accolto il ricorso rinviando la causa a lla Corte di A ppello di Trieste in diversa composizione , la quale dovrà conformarsi al principio di diritto esposto nell'ordinanza.

Presidente Di Virgilio – Relatore Oliva Fatti di causa Con atto di citazione notificato il 5.9.2012, preceduto da una fase di accertamento tecnico preventivo, D.J. evocava in giudizio Performance Marine Gmbh innanzi il Tribunale di Udine, invocando la risoluzione, per fatto e colpa della convenuta, del contratto di compravendita di una imbarcazione intervenuto tra le parti il 4.5.2007 e la condanna della medesima società al pagamento della somma di Euro 730.142,47 corrispondente al prezzo di acquisto ed alle spese di manutenzione sostenute dall'attore, nonché al risarcimento del danno, quantificato in Euro 509.717,28. Si costituiva la convenuta, resistendo alla domanda e chiamando in garanzia la società Cartello Srl, la quale a sua volta si costituiva resistendo alla domanda di parte attrice. A seguito del fallimento della convenuta, il giudizio di primo grado veniva interrotto e successivamente riassunto a cura dell'attore, il quale tentava inutilmente di insinuarsi al passivo della procedura fallimentare pendente dinanzi il Tribunale di Monaco Germania , ottenendo un provvedimento di diniego motivato dalla pendenza del giudizio in Italia. Con sentenza n. 116/2016 il Tribunale dichiarava improcedibile la domanda, per effetto del fallimento della società convenuta, e condannava l'attore alla metà delle spese del grado, compensandole per la residua parte. Con la sentenza impugnata, n. 772/2017, la Corte di Appello di Trieste rigettava il gravame interposto dal D. avverso la decisione di prime cure, condannandolo alle spese del secondo grado di giudizio. Propone ricorso per la cassazione di detta decisione D.J., affidandosi ad otto motivi. Resiste con controricorso il Fallimento Omissis Gmbh in liquidazione già Performance Marine Gmbh . Cartello Srl, intimata, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità. Il ricorso è stato chiamato all'adunanza camerale del 2.11.2022, prima della quale il P.G. ha depositato conclusioni scritte, invocando la remissione della causa in pubblica udienza per la decisione della questione, di rilevanza nomofilattica, posta dal primo motivo, concernente l'applicazione del Regolamento CE n. 1346 del 29.5.2000 , relativo alle procedure di insolvenza transfrontaliera, e segnatamente alla possibilità che il giudizio di risoluzione per inadempimento e risarcimento del danno, instaurato in Italia prima del fallimento della società convenuta di diritto estero, possa proseguire, o meno, in funzione della normativa applicabile in Germania alla procedura di insolvenza. All'esito della Camera di consiglio, il ricorso è stato rinviato a nuovo ruolo, con ordinanza interlocutoria n. 36784/2022, per la trattazione in udienza pubblica. In prossimità di quest'ultima, ambo le parti hanno depositato memoria ed il P.G. ha depositato conclusioni scritte, insistendo per l'accoglimento del primo e del quinto motivo del ricorso. Ragioni della decisione Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 4,15,16 e 25 del Regolamento 1346/2000 CE, applicabile ratione temporis, in relazione alla L. Fall., artt. 43, 52 e 93, perché la Corte di Appello avrebbe travisato gli effetti del provvedimento reso dal Tribunale di Monaco di Baviera, con il quale il credito dell'odierna ricorrene era stato escluso dal passivo fallimentare, con temporanea sospensione di ogni decisione in merito, in attesa della definizione del giudizio pendente innanzi il giudice italiano. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta invece la violazione degli art. 42 e 112 c.p.c. , in relazione al principio del cd. giusto processo sancito dall' art. 111 Cost. , ed al diritto di azione e difesa in giudizio, affermato dall' art. 24 Cost. , poiché la decisione assunta dal giudice di appello si tradurrebbe in un sostanziale diniego di giustizia, nella misura in cui con essa si chiede all'odierna ricorrente di conseguire, dinanzi al giudice tedesco, una forma di tutela non prevista da quell'ordinamento giuridico, nel cui ambito non esiste una verifica endofallimentare dei crediti da ammettere al passivo della procedura concorsuale corrispondente alla verifica del passivo prevista dalla legge fallimentare italiana. Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono fondate. Come evidenziato anche dal P.G. nelle sue conclusioni scritte, l' art. 4 del Regolamento n. 1346/2000 CE del Consiglio del 29.5.2000, che disciplina le cd. procedure di insolvenza transfrontaliere -caratterizzate dal fatto che il debitore che vi è assoggettato possiede beni collocati nel territorio di diversi Stati membri dell'Unione Europea, ovvero dalla presenza, nel ceto creditorio, di soggetti non residenti nel territorio dello Stato in cui è stata aperta la procedura di insolvenza - prevede che quest'ultima sia regolata dalla legge dello Stato di apertura, la quale determina, tra l'altro, gli effetti della procedura di insolvenza sulle azioni giudiziarie individuali, salvo che per i procedimenti pendenti . L'inciso finale della norma va interpretato in coerenza con lo scopo del Regolamento, che è quello di uniformare il trattamento delle procedure di insolvenza in cui siano coinvolti più Stati membri, o soggetti appartenenti a più Stati membri, nel rispetto delle prerogative riservate al giudice nazionale dalla legge interna di ciascuno Stato membro. Non è infatti consentito alla legge di uno Stato membro - nella specie, quella che governa la procedura di insolvenza, in base al criterio della cd. legge di apertura di cui all'art. 4 del Regolamento - di obbligare il giudice di un diverso Stato ad adottare una determinata decisione. La salvezza dei procedimenti pendenti, dunque, va intesa nel senso che questi ultimi possono, ove occorra, proseguire, nel rispetto delle norme della legge applicabile alla procedura di insolvenza. Non, invece - come ha ritenuto la Corte distrettuale - nel senso che il giudizio in corso debba continuare ad essere regolato dalla legge nazionale, indipendentemente dal riferimento alla legge di apertura della procedura di insolvenza. Pertanto, ove la legge di apertura della procedura non preveda - come nel caso della legge tedesca - un procedimento di verificazione dei crediti in sede endofallimentare, il giudice dello Stato in cui penda un giudizio che coinvolge il soggetto dichiarato insolvente non può applicare la propria norma interna che, nel caso del diritto italiano, prescrive l'improcedibilità delle azioni individuali in forme diverse da quelle dell'ammissione al passivo, disciplinate dalla legge fallimentare ma deve uniformarsi alla legge di apertura e, dunque, proseguire nell'esame della controversia sottoposta alla sua cognizione. Diversamente argomentando, si produrrebbe un cortocircuito normativo, quale quello che nella fattispecie si e', in concreto, verificato, perché, da un lato, il giudice della procedura di insolvenza non ammette il credito litigioso al passivo, e, dall'altro lato, quello del diverso Stato membro presso cui penda il giudizio promosso dal creditore individuale dichiara improcedibile la domanda presupponendo, erroneamente, che essa possa essere esaminata in sede endofallimentare. Il creditore, di conseguenza, non ha alcuna possibilità di ricevere tutela, né da parte del giudice della procedura di insolvenza, né presso quello dello Stato membro di fronte al quale pende il giudizio individuale promosso prima dell'apertura della predetta procedura di insolvenza. In definitiva, dunque, l'inciso finale dell' art. 4 del Regolamento n. 1346/2000 CE va interpretato nel senso che il giudice adito dal creditore individuale prima dell'apertura della procedura di insolvenza conserva il diritto-dovere di conoscere della controversia sottoposta alla sua cognizione, ma deve tener conto non già delle disposizioni di diritto interno, bensì di quelle stabilite dalla legge della procedura di insolvenza, individuata secondo il criterio della legge di apertura fissato dall'art. 4. La Corte di Appello, dunque, avrebbe dovuto decidere la controversia, avente ad oggetto una domanda di risoluzione del contratto e di accertamento del connesso credito restitutorio e risarcitorio, applicando la norma del diritto tedesco, in quanto legge della procedura di insolvenza. Poiché quest'ultima non prevede la verifica del credito in sede endofallimentare, ma fa salva la competenza del giudice ordinario, ove la controversia sia pendente alla data di inizio della procedura, il giudice italiano avrebbe dovuto pronunciarsi sul merito della pretesa dell'odierno ricorrente. Ne discende che la statuizione adottata dalla Corte triestina, di improcedibilità della domanda, è errata, in quanto essa è stata adottata in coerenza con la norma di diritto interno, che tuttavia non poteva trovare applicazione nel caso concreto, giusta il criterio generale di individuazione della legge regolatrice della procedura di insolvenza fissato dall' art. 4 del Regolamento n. 1346/2000 CE. A ciò va aggiunto che, in ogni caso, anche sulla base della norma di diritto interno, la statuizione adottata dalla Corte distrettuale non può essere considerata corretta. Il D., infatti, aveva proposto, innanzi al Tribunale, non soltanto una domanda di restituzione del prezzo di acquisto dell'imbarcazione oggetto della compravendita del 4.5.2007 e di risarcimento del correlato danno, ma anche una richiesta di accertamento dell'intervenuta risoluzione di quel negozio, per fatto e colpa della società venditrice, poi assoggettata a procedura di insolvenza in Germania, con conseguente sua liberazione dagli obblighi derivanti dalla predetta convenzione. A norma della L. Fall., art. 72 la domanda di risoluzione proposta prima della declaratoria fallimentare, se diretta in via esclusiva a far valere le consequenziali pretese risarcitorie o restitutorie in sede concorsuale, non può proseguire in sede di cognizione ordinaria, ma deve essere interamente proposta secondo il rito speciale disciplinato dalla L. Fall., artt. 93 e segg. deve parimenti essere esaminata e decisa dal giudice fallimentare la domanda di risoluzione che costituisca antecedente logico-giuridico della domanda di risarcimento o restituzione, non essendo applicabile in via analogica l'istituto dell'ammissione con riserva ai sensi della L. Fall., art. 96, nn. 1 e 3, né potendosi disporre la sospensione necessaria ai sensi dell' art. 295 c.p.c. , in attesa della decisione della causa pregiudiziale di risoluzione in ipotesi proseguita in sede di cognizione ordinaria. Viceversa, la domanda di risoluzione diretta a conseguire finalità estranee alla partecipazione al concorso come la liberazione della parte in bonis dagli obblighi contrattuali o l'escussione di una garanzia di terzi è procedibile in sede di cognizione ordinaria, dopo l'interruzione del processo L. Fall., ex art. 43, e la sua riassunzione nei confronti della curatela fallimentare Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2990 del 07/02/2020 , Rv. 656647 . Poiché nel caso di specie la domanda di risoluzione non era stata proposta dal creditore al solo fine di conseguire una condanna a contenuto risarcitorio e restitutorio, ma anche per ottenere la propria liberazione dagli obblighi assunti con il contratto di compravendita di cui è causa, il giudice di merito avrebbe dovuto comunque, anche in applicazione della norma di diritto interno, separare le pretese risarcitorie e restitutorie, affidate alla competenza del giudice fallimentare in applicazione della L. Fall., art. 24, dalla domanda di risoluzione del contratto per grave inadempimento della società venditrice, che avrebbe invece potuto e dovuto esaminare. Anche sulla base della norma fissata dal diritto nazionale, dunque, la soluzione adottata nel caso concreto dalla Corte distrettuale è erronea. Va pertanto affermato il seguente principio di diritto Nelle procedure di insolvenza transfrontaliere, per tali dovendosi intendere le procedure aperte a carico di soggetti aventi beni collocati nel territorio di diversi Stati membri dell'Unione Europea, o nelle quali siano coinvolti creditori non residenti nello Stato di apertura della procedura, qualora la legge regolatrice di quest'ultima - da individuare in base al criterio della legge di apertura fissato dall' art. 4 del Regolamento n. 1346/2000 CE - preveda che il giudizio di accertamento del credito, che sia iniziato prima dell'apertura della procedura stessa, debba proseguire di fronte al giudice ordinario, questi è tenuto a conoscere della domanda sottoposta alla sua cognizione, anche se la norma di diritto interno del suo Stato di appartenenza riservi al giudice della procedura di insolvenza l'accertamento dei crediti nei confronti del soggetto insolvente. Di conseguenza il giudice italiano, dinanzi al quale sia pendente un giudizio avente ad oggetto una domanda di accertamento del credito, o di condanna, promosso da un creditore nei confronti di un soggetto di diritto estero che sia stato assoggettato, in altro Stato membro dell'Unione Europea, a procedura di insolvenza aperta successivamente all'inizio della causa di cui anzidetto, non può dichiarare improcedibile la domanda, in applicazione della norma di diritto interno, ma deve applicare la disposizione prevista dalla legge dello Stato membro in cui la procedura di insolvenza è stata aperta e dunque, ove questa faccia salva - come nel caso del diritto tedesco - la cognizione del giudice ordinario, deve pronunciarsi nel merito . Con il terzo motivo, il ricorrente denunzia la violazione dell' art. 112 c.p.c. , in relazione agli artt. 111 e 24 Cost. , perché la Corte di Appello avrebbe erronemente affermato la competenza del Tribunale tedesco, in luogo di quella del giudice italiano, senza esaminare la doglianza con la quale l'odierno ricorrente aveva impugnato la decisione di prima istanza, nella parte in cui la stessa aveva deciso la causa applicando soltanto l'art. 15, e non anche l'art. 25, del Regomento n. 1346/2000 CE. Con il quarto motivo, il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 43 e art. 303 c.p.c. , in relazione all' art. 25 del Regolamento n. 1346/2000 CE ed alla normativa tedesca applicabile, perché la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto della possibilità che il giudizio nei confronti del fallito prosegua, al fine di conseguire una sentenza che gli sia opponibile nel caso in cui lo stesso ritorni in bonis. Con il quinto motivo, il D. lamenta la violazione dell' art. 112 c.p.c. , perché la Corte distrettuale non si sarebbe pronunciata sul motivo di gravame con il quale l'odierno ricorrente aveva impugnato la sentenza del Tribunale, nella parte in cui il primo giudice non aveva considerato il diritto del creditore appellante di richiedere, sino all'udienza di precisazione delle conclusioni, di avvalersi della sentenza nei confronti del debitore tornato in bonis. Con il sesto motivo, il ricorrente denunzia la violazione della L. Fall., artt. 24 e 52, e art. 103 c.p.c. , perché la Corte triestina non avrebbe disposto la separazione della domanda svolta nei confronti del fallito da quella diretta nei riguardi del terzo chiamato, ancora in bonis, decidendo comunque sulla seconda, dovendosi configurare tra il fallito ed il terzo chiamato un litisconsorzio facoltativo. Con il settimo motivo, il ricorrente deduce altresì la fondatezza della sua domanda, nel merito, avendo l'istruttoria confermato l'esistenza di vizi dell'imbarcazione oggetto di causa, la loro non riparabilità, e la responsabilità tanto della convenuta principale, poi fallita, che della terza chiamata, Cartello S.r.l Ed infine, con l'ottavo ed ultimo motivo, il ricorrente invoca un nuovo governo delle spese di tutti i gradi del giudizio, per lui maggiormente favorevole di quello adottato dalla sentenza impugnata. Tutte le suesposte censure sono assorbite dall'accoglimento del primo e secondo motivo. La sentenza impugnata va di conseguenza cassata, in relazione alle censure accolte, e la causa rinviata alla Corte di Appello di Trieste, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità. Il giudice del rinvio si conformerà al principio di diritto esposto in motivazione. P.Q.M. la Corte accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia la causa alla Corte di Appello di Trieste, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.