Maltratta i familiari: l’abuso di droga non ne mette in dubbio la consapevolezza

Condanna definitiva per l’uomo finito sotto processo per i comportamenti vessatori tenuti tra le mura domestiche ai danni dei familiari. Irrilevante il richiamo difensivo all’abuso di sostanze stupefacenti da parte dell’uomo.

Il prolungato abuso di sostanze stupefacenti non rende automaticamente non consapevoli le azioni vessatorie compiute ai danni dei propri familiari. Ricostruita, grazie ai racconti fatti dalle persone offese, la delicata vicenda, i giudici di merito ritengono confermata, sia in primo che in secondo grado, la condanna dell’uomo sotto processo, poiché colpevole di condotte vessatorie ai danni dei familiari, catalogabili come maltrattamenti in famiglia . Respinta in Appello la tesi difensiva mirata a sostenere l’incapacità dell’uomo di comprendere la portata del proprio comportamento a fronte di una condizione di cronica intossicazione da sostanze stupefacenti . Sul presunto vizio di mente dell’uomo, vizio connesso all’ abuso di sostanze stupefacenti , è centrato il ricorso proposto in Cassazione dal legale. Ma anche i Giudici di terzo grado ritengono impossibile mettere in dubbio la consapevolezza dell’uomo in merito alle condotte tenute tra le mura domestiche in danno dei familiari. Ciò perché non si ravvisa alcun elemento per ritenere sussistente uno stato di tossicodipendenza inquadrabile nella cronica intossicazione, che è l’unica condizione rilevante ai fini del riconoscimento del vizio di mente, totale o parziale . Al contrario, bisogna parlare di assunzione volontaria di sostanze psicotrope da parte dell’uomo, assunzione che non può, in quanto actio libera, incidere sull’imputabilità , precisano i Giudici. Per maggiore chiarezza poi, i Giudici ricordano, come già fatto in Appello, che il dolo richiesto per la configurabilità del delitto di maltrattamenti è generico, non richiedendosi che il soggetto sia animato dal fine di maltrattare la vittima, bastando, invece, la coscienza e la volontà di sottoporla alla propria condotta abitualmente offensiva . E tale elemento è emerso nel caso preso in esame, alla luce delle circostanze dei fatti e alla luce delle modalità della condotta dell’uomo , che era consapevole che la sistematicità dei propri comportamenti vessatori stava ingenerando sofferenze per i familiari conviventi e stava creando un clima insostenibile , sottolineano i Giudici. Per chiudere il cerchio, infine, viene chiarito che l’uso prolungato di droga non influisce necessariamente in maniera grave sulla psiche del soggetto, e in questa vicenda l’uomo sotto processo non ha prodotto documentazione idonea a dare conto dei presupposti cui deve ricollegarsi un vizio di mente dipendente da intossicazione cronica da sostanze stupefacenti.

Presidente Ricciarelli – Relatore Pacilli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 19 ottobre 2022 la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza emessa il 2 febbraio 2022 dal Tribunale di Frosinone, con cui M.S. è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all'art. 572, commi primo e secondo, c.p 2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, che ha dedotto i seguenti motivi 2.1 carenza e insufficienza della motivazione della sentenza impugnata, in quanto, nel confermare integralmente la sentenza di primo grado, ne avrebbe recepito il vizio consistente nella genericità del fatto storico ricostruito, carente di determinatezza e concreti riferimenti temporali 2.2 mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione della sentenza impugnata, per aver ritenuto coerente e credibile il narrato delle persone offese, senza valutare criticamente l'attendibilità intrinseca delle dichiarazioni 2.3 violazione e falsa applicazione degli artt. 88 e 89 c.p. . Essendo emerso il ragionevole dubbio sullo stato dell'imputato di cronica intossicazione da sostanze stupefacenti, si sarebbe dovuto disporre una perizia in ordine all'incapacità di comprendere la portata del suo comportamento 2.4 violazione e falsa applicazione dell' art. 99, comma 4, c.p. , per avere la sentenza impugnata confermato la sussistenza della recidiva reiterata in assenza dei presupposti di legge, in quanto nessuna delle pregresse sentenze di condanna aveva mai riconosciuto e dichiarato l'imputato quale recidivo 2.5 violazione dei criteri di proporzionalità e di adeguatezza della pena ex art. 133 c.p. nonché violazione e falsa applicazione dell' art. 69 c.p. relativamente al mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche rispetto alle circostanze aggravanti, in ragione della gravità dello stato di dipendenza dell'imputato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è, nel complesso, infondato. 2. Il primo e il secondo motivo del ricorso non sono consentiti. Con l'atto di appello, infatti, l'imputato aveva censurato l'omessa applicazione degli artt. 88 e 89 c.p. nonché la mancata esclusione della recidiva e il trattamento sanzionatorio. Nessun rilievo era stato mosso alla ricostruzione dei fatti e alla valutazione dell'attendibilità delle persone offese, operati dal Tribunale, con la conseguenza che, come disposto dall' art. 606, comma 3, c.p.p. , è precluso al ricorrente far valere tali profili con il proposto ricorso per cassazione. 3. Il terzo motivo è privo di specificità a fronte delle argomentazioni formulate dal Collegio di appello, che, muovendo dai principi affermati da questa Corte, ha evidenziato, per escludere sia un difetto di imputabilità che la necessità di una perizia, che, nel caso in esame, non si ravvisava alcun elemento per ritenere sussistente uno stato di tossicodipendenza inquadrabile nella cronica intossicazione, che è l'unica condizione rilevante ai fini del riconoscimento del vizio di mente, totale o parziale, di cui agli artt. 88 e 89 c.p. , così che le condotte dell'imputato erano da sussumere nella fattispecie dell'assunzione volontaria di sostanze psicotrope, che, in quanto actio libera in causa, non può incidere sull'imputabilità. La Corte territoriale ha aggiunto che il dolo, richiesto per la configurabilità del delitto di maltrattamenti, è generico, non richiedendosi che l'agente sia animato dal fine di maltrattare la vittima, bastando, invece, la coscienza e volontà di sottoporre la stessa alla propria condotta abitualmente offensiva. Tale elemento emergeva nel caso in esame dalle stesse circostanze del fatto e dalle modalità della condotta dell'imputato, atteso che egli era consapevole che la sistematicità dei propri comportamenti vessatori stava ingenerando sofferenze per i familiari conviventi e stava creando un clima insostenibile. Alla luce di siffatte argomentazioni è evidente che il Collegio del merito ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati da questa Corte Sez. 6, n. 25252 del 3/5/2018, B., Rv. 273389 - 01 , secondo cui la situazione di tossicodipendenza, che influisce sulla capacità di intendere e di volere, è solo quella che, per il suo carattere ineliminabile e per l'impossibilità di guarigione, provoca alterazioni patologiche permanenti, cioè una patologia a livello cerebrale implicante psicopatie che permangono indipendentemente dal rinnovarsi di un'azione strettamente collegata all'assunzione di sostanze stupefacenti, tali da fare apparire indiscutibile che ci si trovi di fronte a una vera e propria malattia psichica. La sentenza impugnata, quindi, ha colto gli elementi essenziali della questione sottoposta al suo esame, avendo rilevato sia che l'uso prolungato di droga non influisce necessariamente in maniera grave sulla psiche sia che l'imputato, di ciò onerato Sez. 5, n. 12896 del 30/1/2020, Mauro Carmine, Rv. 279039 - 01 , non aveva prodotto documentazione idonea a dare conto dei presupposti cui deve ricollegarsi un vizio di mente, dipendente da intossicazione cronica. D'altro canto, deve anche rilevarsi che le deduzioni difensive sul difetto dell'elemento psicologico risultano generiche, essendo in realtà connesse a quelle incentrate sul vizio di mente. 4. Il quarto motivo è infondato. Le Sezioni unite di questa Corte, all'udienza del 30 marzo 2023, hanno affermato che, ai fini del riconoscimento della recidiva reiterata, è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l'imputato risulti gravato da più condanne definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica e adeguata motivazione. Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, quindi, al fine del riconoscimento della recidiva reiterata, non occorre una precedente dichiarazione di recidiva. 5. Il quinto motivo è privo di specificità. La Corte di appello ha affermato che le attenuanti generiche erano già state concesse con giudizio di equivalenza e non potevano essere ritenute prevalenti, non ravvisandosi elementi di tale pregio da giustificare siffatto giudizio. Per di più, la pena inflitta era stata determinata partendo dal minimo edittale e non era suscettibile di ulteriori riduzioni. Trattasi di argomentazioni che denotano il corretto esercizio da parte della Corte territoriale del potere discrezionale di determinazione della pena, nel rispetto dei criteri dettati dall' art. 133 c.p. . Giova ricordare al riguardo che questa Corte ha già chiarito che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora - come nel caso di specie - non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto così Sez. U, n. 10713 del 25/2/2010, Contaldo, Rv. 245931 - 01 Sez. 2, n. 31543 dell'8/6/2017, Pennelli, Rv. 270450 -01 . 6. Il rigetto del ricorso comporta, ai sensi dell' art. 616 c.p.p. , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.