Condanna definitiva per l'uomo finito sotto processo per il blitz messo a segno in un centro commerciale. Impossibile, secondo i Giudici, mettere in discussione l'aggravante prevista in caso di violenza sulle cose. L'azione compiuta dal ladro e consistita nello strappare via dal bene sottratto un'etichetta magnetica adesiva è assimilabile alla condotta che si concretizza nella rimozione della placca antitaccheggio.
Condanna più severa per il ladro che all'interno di un centro commerciale preleva di nascosto un bene e poi da esso strappa via l'etichetta magnetica adesiva utilizzata come segnalatore d'allarme in caso di furto. Va riconosciuta anche in questo caso, precisano i giudici, l'aggravante della violenza sulle cose, pur non avendo, il ladro, rimosso una vera e propria placca antitaccheggio. Scenario della vicenda è la provincia siciliana. Sotto processo finisce un uomo accusato di diversi fatti di furto. A rendere più precaria la sua posizione è, sanciscono i giudici in primo e in secondo grado, il riconoscimento della aggravante della violenza sulle cose, poiché durante un'azione predatoria «il ladro ha rimosso la placca antitaccheggio dal bene sottratto in un centro commerciale». Su quest'ultimo dettaglio si sofferma il difensore dell'uomo sotto processo. Nello specifico, il legale osserva che è illogico parlare di violenza sulle cose, poiché si è appurato che il suo cliente ha solo «rimosso dalla confezione» prelevata nel centro commerciale «un mero segnalatore d'allarme, ossia una etichetta magnetica adesiva, la cui asportazione non comporta alcun danneggiamento» del bene. Alle obiezioni difensive i Magistrati di Cassazione replicano richiamando il principio secondo cui va riconosciuta l'aggravante della violenza sulle cose nel caso in cui sia rimosso «l'apparato antitaccheggio applicato alla merce in vendita all'interno di un esercizio commerciale», in quanto «tale condotta determina una trasformazione oggettiva della res, che perde una componente essenziale e, sotto il profilo funzionale, è privata dello strumento di protezione». Ciò significa che «è indifferente che il dispositivo antitaccheggio sia costituito da una placca, da una etichetta magnetica o da altro strumento, posto che comunque la sua rimozione – che implica in ogni caso il ricorso ad energia fisica – comporta la compromissione della funzionalità e della integrità della cosa per come predisposta dal suo titolare», precisano i Giudici. In sostanza, «a seguito della eliminazione del sistema antitaccheggio, il bene viene a smarrire una sua componente essenziale per la sua protezione sotto il profilo strutturale, difatti, la rimozione dell'apparato antitaccheggio determina una trasformazione oggettiva della res, che smarrisce una sua componente essenziale e, sotto il profilo funzionale, viene precluso lo scopo di protezione della merce dal pericolo di furto, in quanto l'apparato antitaccheggio risulta inefficace ed inutile e il bene risulta più facilmente aggredibile». E questa prospettiva vale, in conclusione, anche se ad essere rimossa, come contestato all'uomo sotto processo, dal bene oggetto di furto è stata l'etichetta magnetica adesiva utilizzata come segnalatore d'allarme.
Presidente Pezzullo – Relatore Pistorelli Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Palermo ha confermato la condanna, pronunziata a seguito di giudizio abbreviato, di G.A. per più fatti di furto aggravato. 2. Avverso la sentenza ricorre l'imputato deducendo erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione. In particolare il ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe solo congetturalmente ritenuto, in relazione al furto di cui al capo c dell'imputazione, la sussistenza della contestata aggravante della violenza sulle cose, affermando che l'imputato avrebbe rimosso dal bene sottratto in un centro commerciale la placca antitaccheggio, quando dalle stesse dichiarazioni del denunciante riportate in sentenza risulta che ad essere rimosso dalla confezione sarebbe invece stato un mero segnalatore d'allarme, ossia una etichetta magnetica adesiva, la cui asportazione non comporta alcun danneggiamento. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato. 2. Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte sussiste l'aggravante della violenza sulle cose nel caso in cui sia rimosso l'apparato antitaccheggio applicato alla merce in vendita all'interno di un esercizio commerciale, in quanto tale condotta determina una trasformazione oggettiva della res che perde una componente essenziale e, sotto il profilo funzionale, è privata dello strumento di protezione ex multis Sez. 7, numero 2067 del 02/11/2022, dep. 2023, Romanelli, Rv. 283971 . In tal senso è indifferente che il dispositivo antitaccheggio sia costituito da una placca, da una etichetta magnetica o da altro strumento, posto che comunque la sua rimozione che implica in ogni caso il ricorso ad energia fisica - comporta la compromissione della funzionalità ed integrità della cosa per come predisposta dal suo titolare. In sostanza, a seguito della eliminazione del sistema antitaccheggio, il bene viene a smarrire una sua componente essenziale per la sua protezione sotto il profilo strutturale la rimozione dell'apparato antitaccheggio determina una trasformazione oggettiva della res, che smarrisce una sua componente essenziale e, sotto il profilo funzionale, viene precluso lo scopo di protezione della merce dal pericolo di furto, in quanto l'apparato antitaccheggio risulta inefficace ed inutile e il bene risulta più facilmente aggredibile. Ed infatti è insegnamento altrettanto consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello per cui l'aggravante di cui si tratta si realizza tutte le volte in cui il soggetto faccia uso di energia fisica provocando la rottura, il guasto, il danneggiamento, la trasformazione, il mutamento di destinazione della cosa altrui o il distacco di una componente essenziale ai fini della funzionalità, tali da rendere necessaria un'attività di ripristino per restituire alla res la propria funzionalità ex multis Sez. 5, Sentenza numero 13431 del 25/02/2022, Pirroncello, Rv. 282974 . 3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell'articolo 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro tremila alla Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.