I Giudici sottolineano, nella vicenda presa in esame, che si è trattato di un rifiuto ripetuto - non essendosi l’uomo presentato per l’esecuzione del prelievo ematico dopo essere stato più volte convocato dal consulente tecnico - e ingiustificato.
Impossibile mettere in discussione la paternità attribuita a un uomo dalla ex compagna poiché lui ha ripetutamente e immotivatamente rifiutato il test del DNA e ha ammesso, in sostanza, l’esistenza di una relazione con tanto di rapporti sessuali con la donna. Infruttuose le osservazioni proposte in primo e in secondo grado da un uomo che si è visto attribuito la paternità di un bambino dalla donna con cui ha avuto una relazione durata ben tre anni. L’uomo ha richiamato «la pluralità di relazioni intrattenute dalla donna all’epoca del concepimento» e ha poi sostenuto che l’ex compagna «aveva approfittato delle sue precarie condizioni di salute fisiche e psichiche, frutto di un grave incidente capitatogli» poco tempo dopo l’inizio della relazione. Ciò però non basta, secondo i giudici d’appello per mettere in discussione la paternità attribuita all’uomo, poiché si è appurato che quest’ultimo ha intrattenuto una lunga relazione, durata tre anni, con la donna, ma soprattutto per «il rifiuto opposto senza fondato motivo dall’uomo» all’ipotesi di «sottoporsi alle indagini genetiche». Sulla stessa linea dei giudici d’appello si attesta anche la Cassazione, respingendo le ulteriori obiezioni proposte dall’uomo. Nello specifico, i magistrati richiamano il principio secondo cui «nel giudizio promosso per l'accertamento della paternità naturale, il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche costituisce un comportamento valutabile dal giudice e di così elevato valore indiziario da poter da solo consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda». Tornando alla vicenda oggetto del processo, i Giudici di terzo grado sottolineano che «si è trattato di un rifiuto ripetuto - non essendosi l’uomo presentato per l’esecuzione del prelievo ematico dopo essere stato più volte convocato dal consulente tecnico - e ingiustificato». E «la rilevanza probatoria del rifiuto» opposto dall’uomo all’esame del DNA è confortata da un ulteriore dettaglio, ossia «la incontestata relazione intrattenuta tra l’uomo e la donna in periodo compatibile con la procreazione, senza che l’uomo abbia mai escluso di aver avuto rapporti sessuali con la donna», concludono i magistrati della Cassazione.
Presidente Genovese – Relatore Lamorgese Rilevato che il signor T.I., impugnando in appello la sentenza che aveva dichiarato la sua paternità nei confronti di S.N., nato il omissis , deduceva la pluralità di relazioni intrattenute dalla madre di S.N., S.E.H. e, all'epoca del concepimento e il fatto che la stessa aveva approfittato delle sue precarie condizioni di salute fisiche e psichiche, in conseguenza di un grave incidente occorsogli nel […] che il gravame è stato rigettato dalla Corte d'appello di Milano, con sentenza del 4 gennaio 2021, alla luce del fatto accertato che il T. e la S. avevano intrattenuto una relazione nel periodo tra il 1997 e il 2000 e del rifiuto opposto dal T., in entrambi i gradi di giudizio, di sottoporsi alle indagini genetiche senza fondato motivo che il T. ha proposto ricorso per cassazione, resistito dalla S. Considerato che, con il primo motivo di ricorso, il T. imputa alla sentenza impugnata omessa motivazione sull'intero thema decidendum e falsa applicazione di norme di diritto indicate negli articolo 2697 c.c. e 115 c.p.c. la S. non avrebbe provato i fatti a fondamento della sua domanda e la Corte d'appello non avrebbe ammesso, prima di disporre una nuova consulenza tecnica d'ufficio, le prove orali necessarie a conoscere le circostanze nelle quali sarebbe avvenuto il preteso concepimento egli assume che, a quell'epoca, era fisicamente e psicologicamente succube della S. , la quale gli faceva assumere droghe che lo intontivano e gli annebbiavano la mente che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta omessa o insufficiente motivazione e omesso esame di fatti decisivi per il giudizio , avendo la sentenza impugnata ritenuto la prova biologica come unica prova della paternità, senza ricorrere ad ulteriori elementi probatori che il terzo motivo deduce omessa motivazione su fatti rilevanti da parte del c.t.u. , il quale avrebbe dovuto inquadrare il motivato rifiuto del ricorrente di sottoporsi all'esame del d.numero a. nel contesto dei fatti caratterizzanti la sua relazione con la S. che i predetti motivi, da esaminare congiuntamente, sono inammissibili ex articolo 360 bis numero 1 c.p.c. avendo la sentenza impugnata deciso conformemente al consolidato principio secondo cui, nel giudizio promosso per l'accertamento della paternità naturale, il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche costituisce un comportamento valutabile dal giudice, ex articolo 116, comma 2, c.p.c., di così elevato valore indiziario da poter da solo consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda ex plurimis, Cass. numero 7092/2022, numero 28886/2019, numero 6025/2015 che si è trattato di un rifiuto ripetuto non essendosi il T. presentato per l'esecuzione del prelievo ematico dopo essere stato più volte convocato dal consulente tecnico e ingiustificato, secondo l'accertamento di fatto compiuto e argomentato dai giudici di merito, per tal ragione incensurabile in questa sede che, inoltre, la rilevanza probatoria del predetto rifiuto è confortata dall'ulteriore valutazione compiuta nella sentenza impugnata circa la incontestata relazione intrattenuta tra le parti in periodo compatibile con la procreazione, senza che il T. abbia mai escluso di aver avuto rapporti sessuali con la S. che il ricorso è inammissibile che le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. P.Q.M. La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in € 5200,00, di cui € 200,00 per esborsi. Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del dPR numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla legge numero 228 del 2012, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13. Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nell'ordinanza.