Minacce di morte: condotta efficace anche se tenuta da una donna con un bambino in braccio

Condanna definitiva per una donna che ha aggredito, minacciato e tentato di rapinare un’agente di Polizia municipale. I Giudici sottolineano, in particolare, la gravità delle frasi minatorie pronunciate dalla donna.

Impossibile mettere in dubbio l’efficacia di alcune frasi minacciose solo perché pronunciate da una donna con in braccio un bambino. Ricostruito nei dettagli l’episodio oggetto del processo, i giudici di merito reputano corretta, sia in primo che in secondo grado, la condanna della donna sotto accusa e ritenuta colpevole dei reati di tentata rapina e lesioni aggravate ai danni di un’agente di Polizia municipale. I giudici di merito sono concordi anche sulla pena, fissata in due anni e tre mesi di reclusione, con l’aggiunta di 1.100 euro di multa. In Cassazione, però, il legale che rappresenta la donna sotto accusa prova a ridimensionare i fatti addebitati alla sua cliente. In questa ottica, egli sostiene che le frasi minatorie pronunciate dalla sua cliente non sono idonee a turbare la libertà psichica della vittima , soprattutto tenendo conto delle circostanze concrete , della personalità della donna e, infine, della condizione della vittima , la quale ha tenuto, secondo il legale, un comportamento inequivocabile, essendosi messa a gridare e avendo così fatto allontanare la donna sotto processo. Ampliando l’orizzonte, poi, il legale sostiene che la minaccia di morte pronunciata dalla sua cliente non era credibile, provenendo da una donna con in braccio un bambino e diretta nei confronti di un’agente di Polizia municipale . E poi le frasi incriminate erano frutto di un momentaneo accesso di rabbia della donna, che si era sentita accusata di sfruttare il figlio per fare l’elemosina e non erano finalizzate ad ottenere denaro dall’agente di Polizia municipale . Il ricorso si rivela assolutamente inutile. I Giudici di terzo grado confermano in pieno, difatti, la condanna pronunciata in appello. Impossibile, secondo i magistrati di Cassazione, ridimensionare le condotte minatorie e violente poste in essere dalla donna sotto accusa per costringere l’agente di Polizia municipale a consegnarle del denaro . In particolare, viene chiarito che le minacce di morte proferite dalla donna sotto processo erano idonee a turbare psicologicamente la persona offesa in quanto quest’ultima vive e lavora nel Comune in cui vive la donna responsabile dell’aggressione. Inoltre, non si può ignorare che le minacce sono state accompagnate da una condotta violenta , che ha causato la caduta della persona offesa con conseguenti lesioni personali giudicate guaribili in sette giorni . Palese, quindi, l’efficacia minatoria delle condotte contestate alla donna sotto processo, e ciò anche alla luce del principio secondo cui la minaccia necessaria ad integrare l’elemento oggettivo della rapina può consistere in qualsiasi comportamento deciso, perentorio e univoco del malvivente e idoneo, in astratto, a turbare o a diminuire la libertà psichica della persona offesa .

Presidente Agostinacchio – Relatore Cersosimo Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. H., a mezzo del suo difensore, propone ricorso avverso la sentenza del 7 marzo 2022 con la quale la Corte di Appello di Milano ha confermato la decisione del 17 settembre 2019 con la quale il Tribunale di Monza l'ha condannata alla pena di anni 2, mesi 3 di reclusione ed Euro 1.100,00 di multa in relazione ai reati di tentata rapina e lesioni aggravate. 2. La ricorrente lamenta, con il primo motivo di impugnazione, la violazione dell' art. 628 c.p. nonché la carenza di motivazione in ordine alla sussistenza del reato di rapina. Secondo la ricostruzione difensiva le frasi minatorie pronunciate dalla H. non sarebbero idonee a turbare la libertà psichica della vittima in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell'imputata ed alla condizione della vittima, affermazione che trova fondamento nel comportamento della persona offesa che si metteva a gridare così facendo allontanare la ricorrente. La minaccia di morte pronunciata dall'imputata non sarebbe credibile provenendo da una donna con in braccio un bambino e diretta nei confronti di un'agente della polizia municipale. Le frasi pronunciate dalla H. sarebbe frutto di un momentaneo accesso di rabbia della donna che si era sentita accusata di sfruttare il figlio per fare l'elemosina e non sarebbero finalizzate ad ottenere denaro dalla D. 3. Il ricorrente lamenta, con il secondo motivo di impugnazione, la violazione dell' art. 62-bis c.p. nonché la carenza di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La motivazione sarebbe inadeguata e contraddittoria in quanto i giudici di merito sarebbero giunti ad una pena del tutto sproporzionata alla gravità dei fatti, negando la concessione delle attenuanti generiche senza tener conto degli elementi favorevoli ad una mitigazione della pena risalenza nel tempo dei precedenti, stato di indigenza in cui versa la H., comportamento processuale collaborativo . 4. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per le ragioni che seguono. 5. Il primo motivo di ricorso è aspecifico e dedotto per motivi non consentiti restando estranei ai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione. La Corte territoriale, con motivazione coerente con le risultanze processuali e priva di contraddizioni ed illogicità manifeste, ha confutato l'identica doglianza dedotta con l'atto di appello, descrivendo le condotte minatorie e violente poste in essere dall'imputata per costringere la D. a consegnarle del denaro. I giudici di appello hanno, in particolare, ritenuto le minacce di morte proferite dalla ricorrente idonee a turbare psicologicamente la persona offesa in quanto la stessa vive e lavora nel comune di […] ed in considerazione del fatto che le stesse sono state accompagnate da una condotta violenta che ha causato la caduta della persona offesa e le conseguenti lesioni personali giudicate guaribili in sette giorni vedi pag. 3 della sentenza di appello . Si tratta di una motivazione persuasiva che identifica con chiarezza l'efficacia minatoria delle condotte contestati attraverso la analisi della testimonianza della persona offesa il percorso argomentativo censurato si presenta privo di vizi logici e non si presta ad alcuna censura in questa sede, anche tenuto conto dell'inidoneità dei rilievi difensivi, invero reiterativi di quelli proposti con l'appello, ad incidere sulla tenuta logica della motivazione contestata. La Corte di merito ha correttamente dato seguito all'orientamento giurisprudenziale secondo cui la minaccia necessaria ad integrare l'elemento oggettivo della rapina può consistere in qualsiasi comportamento deciso, perentorio e univoco dell'agente in astratto idoneo a turbare o diminuire la libertà psichica della persona offesa vedi Sez. 2, n. 48955 del 11/09/2019, R., Rv. 277783 - 01 Sez. 2, n. 14246 del 13/01/2022, Pagano, non massimata . La ricorrente, invocando una rilettura di elementi probatori estranea al sindacato di legittimità, chiede a questa Corte di entrare nella valutazione dei fatti e di privilegiare, tra le diverse ricostruzioni, quella a lei più gradita, senza confrontarsi con quanto motivato dalla Corte territoriale al fine di confutare le censure difensive prospettate in sede di appello e con le emergenze probatorie determinanti per la formazione del convincimento dei giudici di merito con conseguente aspecificità del motivo di impugnazione. 6. Il secondo motivo di ricorso è aspecifico. I giudici di merito hanno correttamente valorizzato, ai fini del diniego delle attenuanti generiche, la mancanza di elementi favorevoli alla mitigazione della pena e la capacità criminale della ricorrente desumibile dai plurimi precedenti penali vedi pag. 4 della sentenza impugnata e pag. 3 della sentenza di primo grado . Deve esser, in proposito, ribadito il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che, come nel caso di specie, la motivazione faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, Bianchi, Rv. 282693 - 01 Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 - 02 . 7. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro tremila, così equitativamente fissata. P.Q.M. Sentenza con motivazione semplificata. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.