Processo civile: le Sezioni Unite si esprimeranno sulla validità del ricorso telematico privo di sottoscrizione digitale

Con l'ordinanza in esame, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione concernente la validità del ricorso per Cassazione nativo digitale notificato a mezzo PEC in caso di mancata sottoscrizione digitale.

Il caso Nel caso  sub iudice , il convenuto ha eccepito l' inesistenza  del ricorso nativo digitale notificato dall'Agenzia delle Entrate, giacché privo di sottoscrizione digitale da parte dell'avvocato dello Stato titolare del fascicolo. Nel controricorso si richiama Cass. numero 3379/2019   in  CED Cass. , Rv. 652381 , ove è stato affermato che il ricorso per Cassazione – analogico – privo della sottoscrizione dell'avvocato deve considerarsi giuridicamente inesistente e, quindi, inammissibile, in applicazione del principio generale sancito dall' articolo 161, comma 2, c.p.c. , estensibile a tutti gli atti processuali per i quali sia richiesta la sottoscrizione della parte se abilitata a stare in giudizio in proprio o del suo difensore. I due precedenti Il Collegio cita due precedenti. In Cass., 4 dicembre 2014, numero 14338 in  CED Cass. , Rv. 633628 si afferma quanto segue «l'atto introduttivo del giudizio redatto in formato elettronico e privo di firma digitale è  nullo , poiché detta firma è equiparata dal d.lgs. numero 82/2005 alla sottoscrizione autografa, che costituisce, ai sensi dell' articolo 125 c.p.c. , requisito di validità dell'atto introduttivo anche del processo di impugnazione in formato analogico». In Cass., 24 settembre 2018, numero 22438 in CED Cass., Rv. 650462 si sostiene che, «in tema di giudizio per Cassazione, in caso di ricorso predisposto in originale in forma di documento informatico e notificato in via telematica, l'atto nativo digitale notificato deve essere ritualmente sottoscritto con firma digitale, potendo la mancata sottoscrizione determinare la nullità dell'atto stesso,  fatta salva la possibilità di ascriverne comunque la paternità certa , in applicazione del principio del raggiungimento dello scopo». In tale secondo precedente le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si soffermano sul problema della assenza della stessa firma digitale del ricorso per Cassazione, affermando che «ove si accedesse all'interpretazione che ammette la notificazione di un ricorso in originale informatico privo di firma digitale verrebbe, addirittura, a mancare un originale sottoscritto, giacché a tanto non potrebbe sopperire l'attestazione di conformità della copia analogica del ricorso depositata in luogo dell'originale digitale attestazione che postula, per l'appunto, che l'originale digitale sia stato, a sua volta, ritualmente sottoscritto». È necessario un nuovo intervento delle Sezioni Unite Nell'ordinanza interlocutoria il Collegio ritiene che il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite nella sentenza numero 22438/2018 debba essere contestualizzato rispetto alle specificità della fattispecie  sub iudice , giacché «neppure vi sarebbe possibilità di ricorrere – ai fini dell'attribuzione della paternità certa dell'atto - alla firma per autentica in calce alla procura speciale, non essendo essa necessaria nell'ipotesi in cui la parte sia abilitata ad avvalersi dell'Avvocatura dello Stato, come nella specie». A ciò si aggiunga che il vizio  de quo  viene riferito alla categoria della  nullità  e non a quello della insistenza. Inoltre, per effetto della qualificazione di nullità opera il  principio di raggiungimento dello scopo . Infine, non viene indagata la possibilità di indagare sulla paternità dell'atto in forza di  elementi esterni  all'atto processuale e diversi dalla sottoscrizione comunque apposto sull'atto ad altri fini. Il principio di non discriminazione del documento informatico Nell'ordinanza in rassegna la Sezione tributaria richiama il c.d. principio di non discriminazione del documento informatico, rispetto a quello analogico o tradizionale cfr. articolo 23, comma 2, e 20, 1  bis , CAD  articolo 25, §§ 1 e 2, Regolamento eIDAS «se è del tutto comprensibile che, nell'ottica della sempre maggiore digitalizzazione del processo di recente realizzata anche per il giudizio di legittimità , l'ordinamento – con disposizioni come quelle che precedono – si sforzi di condurre e segnare un percorso di piena equiparazione tra il documento digitale e quello che, tradizionalmente, ha costituito il substrato delle relative categorie concettuali espresse anche in ambito processuale, ossia il documento analogico, ciò non può certo implicare una sorta di “discriminazione al contrario». Si vuole cioè dire che il documento informatico – al di là delle sue intrinseche ed intuitive peculiarità “fisiche” – non può di per sé avere un “peso” superiore rispetto alla corrispondente categoria di riferimento, in ambiente analogico. In buona sostanza, secondo il Collegio «un atto processuale, sol perchéinformatico, non può di per sé supplire al deficit strutturale da cui esso sia eventualmente affetto, rispetto ai requisiti di forma richiesti dalla norma, salvo che detti requisiti siano direttamente evincibili dal suo corredo informativo» in tal caso, «la ricerca aliunde della paternità certa del ricorso, mancante della firma digitale, appare dunque ancor più problematica, essendo ben difficile che essa possa desumersi, di per sé, dai dati identificativi informatici del documento stesso cioè, dalle sue “proprietà” , o anche e al di là di quanto prima evidenziato circa l'utilizzabilità di elementi esterni all'atto processuale dall'utilizzo di una casella PEC inequivocabilmente riferibile all'avvocato che avrebbe apparentemente redatto il ricorso il che, specie con riferimento a tale ultimo aspetto, vale sia nel caso di un avvocato del libero foro , sia nel caso della stessa Avvocatura dello Stato , non potendo comunque escludersi un accesso alla medesima casella PEC del mittente da parte di soggetto diverso dal suo titolare e, per di più, privo della necessaria qualifica , a prescindere dal fatto che si tratti di soggetto autorizzato o meno. Del resto, è solo l'utilizzo del dispositivo di firma elettronica qualificata o digitale a determinare la presunzione relativa di riconducibilità della stessa al suo titolare, ex articolo 20, comma 1- ter , del C.A.D., non anche l'uso della casella PEC del mittente, per quanto ovviamente personale».

Presidente Virgilio - Relatore Saija Considerato che a seguito di verifica condotta dalla G.d.F. di Sora, culminata in un PVC del 21.4.2016, l'Agenzia delle Entrate notificò a Unicar s.r.l., per l'anno d'imposta Omissis , un avviso di accertamento con cui si contestava la detrazione di IVA per l'acquisto di numero 12 autovetture usate, in quanto attinente ad operazioni soggettivamente inesistenti, stante l'interposizione fittizia della società cartiera Blue Eagle di Costa M. & C. s.a.s. La società contribuente presentò istanza di accertamento con adesione, che venne però respinta la stessa società propose quindi ricorso dinanzi alla C.T.P. di Frosinone, che lo rigettò con sentenza numero 959/2017. Avverso detta sentenza, la società propose appello, accolto dalla C.T.R. del Lazio, sez. st. di Latina, con sentenza del 25.6.2019, numero 3852/2019 nell'annullare, conseguentemente, l'avviso di accertamento impugnato, osservò il giudice d'appello che - ferma l'effettività oggettiva delle operazioni di acquisto - era irrilevante che, a monte, vi fossero aziende dalle quali i veicoli non erano transitati, o i cui rappresentanti erano noti alle forze dell'ordine o non avevano versato le imposte dovute, tanto più che dalle intercettazioni telefoniche non si evinceva alcun riferimento al legale rappresentante della Unicar, che non poteva comunque essere a conoscenza di quanto accadeva nella catena commerciale ciò tanto più che il numero di veicoli in discorso appena 12 era esiguo rispetto al totale commercializzato dalla società nel periodo considerato, e che l'acquisto degli stessi ad un prezzo vantaggioso rientrava nella normale politica aziendale in definitiva, secondo il giudice d'appello, il comportamento della Unicar non dimostrava la sua consapevolezza di inserirsi in un meccanismo di frode. Avverso detta sentenza l'Agenzia delle Entrate ricorre ora per cassazione, affidandosi a due motivi, cui resiste la società con controricorso. La causa, dapprima trattata dalla Sez. VI-T dinanzi alla quale la controricorrente ha anche depositato memoria è stata rimessa alla trattazione in pubblica udienza, dinanzi a questa Sezione, con ordinanza interlocutoria numero 13879/2022. Il P.G. ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo l'accoglimento del ricorso. Entrambe le parti hanno depositato ulteriore memoria. Ritenuto che 1.1 - con il primo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli articolo 2697,2727 e 2729 c.c. , nonché del D.P.R. 26 ottobre 1972, numero 633, articolo 19 e articolo 21, comma 7, in relazione all' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 3, per aver la C.T.R. affrontato le questioni con argomenti fuorvianti ed ultronei quali quello per cui le operazioni, dal punto di vista oggettivo, fossero esistenti, oppure quello per cui dalle intercettazioni telefoniche non fosse emerso alcun ruolo, nella frode, del legale rappresentante della Unicar, posto che in nessun atto processuale si era fatto riferimento ad una simile attività d'indagine , ed ha deciso la controversia sulla base di prove inesistenti e non offerte dalle parti, anche giungendo ad invertire l'onere della prova, posto che l'Ufficio aveva dimostrato la natura di cartiera della Blue Eagle di Costa M. & C. s.a.s. 1.2 - Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, numero 633, articolo 19 e articolo 21, comma 7, in relazione all' articolo 360 c.p.c. , comma 1, numero 3, per non essersi la C.T.R. attenuta ai principi sanciti dalla giurisprudenza Eurounitaria e nazionale circa l'onere di diligenza esigibile dall'operatore accorto, omettendo di considerare che la Unicar non aveva affatto dimostrato di aver improntato la propria condotta, nella vicenda in questione, a tale parametro. 2.1 - Il ricorso è stato rimesso a questa Sezione dalla Sez. VI-T con l'ordinanza interlocutoria numero 13879/2022, non essendosi ravvisata l'evidenza decisoria circa l'eccezione di nullità rectius, di inesistenza del ricorso notificato dall'Agenzia delle Entrate, giacché privo di sottoscrizione digitale da parte dell'avvocato dello Stato titolare del fascicolo. La società contribuente, sul punto, ha infatti invocato il precedente di Cass. numero 3379/2019 , attinente a ricorso analogico o cartaceo, così massimata Il ricorso per cassazione privo della sottoscrizione dell'avvocato deve considerarsi giuridicamente inesistente e, quindi, inammissibile, in applicazione del principio generale sancito dall' articolo 161 c.p.c. , comma 2, estensibile a tutti gli atti processuali Rv. 652381-01 . Il ricorso che qui occupa, invece, è nativo digitale, ossia è stato redatto e interamente confezionato in ambiente informatico, e così notificato dall'Agenzia alla società controricorrente, tuttavia privo di firma da parte dell'avvocato dello Stato il cui nominativo è speso in calce al ricorso stesso, quale patrono erariale. A dimostrazione dell'assunto, la società contribuente ha anche prodotto un CD, contenente la PEC di notificazione ricevuta, in formato.xml, ed in effetti risulta confermato che il ricorso che occupa è privo di firma digitale d'altra parte, ciò è nella sostanza pacifico, tanto è vero che, nella memoria depositata dall'Agenzia delle Entrate il 23.9.2022, l'Avvocatura Generale dello Stato giunge ad asseverare che il ricorso e la relata di notificazione di cui trattasi sono state redatte e notificate dall'assegnatario del fascicolo Avv. F.S. . Il che, all'evidenza, può solo spiegarsi con la piena consapevolezza che la sottoscrizione non sia stata apposta nell'atto. 2.2.1 - Ne', del resto, appare condivisibile quanto ritenuto, in proposito, dal P.G., secondo il quale Dagli atti trasmessi a quest'Ufficio segnatamente, il dettaglio della spedizione del messaggio risulta che gli allegati - relata e ricorso - sono in formato pdf spediti a mezzo p.e.c., sicché, stante l'attestazione della sottoscrizione con firma digitale dall'Avvocato dello Stato ivi riportata, trova applicazione il principio di sufficienza di tale attestazione espresso da Sez. 3, 19/12/2016, numero 26102 e successive conformi . Stando a tale arresto Rv. 642339-01 , Ai sensi della L. numero 53 del 1994, articolo 3-bis , comma 3 e articolo 6, comma 1, come modificata dal D.L. numero 179 del 2012, articolo 16-quater introdotto dalla L. numero 228 del 2012 , per la regolarità della notifica del ricorso per cassazione costituito dalla copia informatica dell'atto originariamente formato su supporto analogico, non è necessaria la sottoscrizione dell'atto con firma digitale, essendo sufficiente che la copia telematica sia attestata conforme all'originale, secondo le disposizioni vigenti ratione temporis nella specie, D.Lgs. numero 82 del 2005, articolo 22, comma 2 . Qualora il deposito del ricorso per cassazione non sia fatto con modalità telematiche, ai sensi dell' articolo 369 c.p.c. , dell'avvenuta sua notificazione per via telematica va data prova mediante il deposito - in formato cartaceo, con attestazione di conformità ai documenti informatici da cui sono tratti - del messaggio di trasmissione a mezzo PEC, dei suoi allegati e delle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna previste dal D.P.R. numero 68 del 2005, articolo 6, comma 2 . 2.2.2 - Tuttavia, dalla attestazione di conformità del 29.1.2020, rilasciata dall'Avvocatura dello Stato ai sensi del combinato disposto della L. numero 53 del 1994, articolo 6 e 9 e del D.Lgs. numero 82 del 2005 , articolo 23 Codice dell'Amministrazione Digitale - C.A.D. in relazione alla notifica del ricorso e degli atti ad essa collegati, si evince che l'atto venne spedito nel suo originale informatico e che esso stando a detta attestazione sarebbe stato firmato digitalmente. Pertanto, il fatto che, dalle ricevute dei messaggi rilasciati dal sistema di gestione della PEC, risulti che gli allegati siano in formato pdf e non già in formato p7m , non è dirimente, perché la questione potrebbe assumere rilievo solo ai fini di una eventuale verifica della esistenza della firma analogica sull'originale del ricorso. Il che, per quanto prima evidenziato, è da escludere nella specie, posto che è la stessa ricorrente a riconoscere che si è fuori da tale ipotesi, trattandosi appunto di ricorso nativo digitale. La giurisprudenza suindicata non è quindi pertinente. 2.2.3 - Considerazioni in tutto analoghe, infine, possono svolgersi riguardo alla ulteriore giurisprudenza invocata in memoria dall'Agenzia delle Entrate Cass. numero 3805/2018 , Rv. 647092-01, nonché Cass., Sez. Unumero , numero 7665/2016 , Rv. 63928501 non si tratta, nella specie, della mera invalidità del procedimento di notificazione, di cui è tradizionalmente ritenuta possibile la sanatoria in forza del principio del raggiungimento dello scopo, ex articolo 156 c.p.c. , comma 3, come appunto affermato dalle citate pronunce sul punto, si veda comunque, per tutte, Cass., Sez. Unumero , numero 23620/2018 , Rv. 650466-02 , bensì di un possibile deficit strutturale dell'atto processuale, posto che l' articolo 365 c.p.c. stabilisce che Il ricorso è diretto alla Corte e sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un avvocato iscritto in apposito albo , ribadendo la regola dettata per determinati atti processuali tra cui lo stesso ricorso , sul piano generale, dall' articolo 125 c.p.c. Del resto, è stato anche ritenuto, condivisibilmente, che la causa di inammissibilità non può essere trattata come una causa di nullità cui applicare il criterio del raggiungimento dello scopo così, Cass. numero 18623/2016 il principio è stato affermato, in verità, in relazione ai requisiti di contenuto-forma del ricorso, di cui all' articolo 366 c.p.c. , comma 1, ma è ben suscettibile di valenza generale . 2.3 - Ora, la pronuncia di legittimità su cui si fonda l'eccezione sollevata dalla controricorrente ossia la citata Cass. numero 3379/2019 , singolarmente emessa da questa Sezione su ricorso proposto dall'Avvocatura dello Stato nell'interesse della stessa Agenzia delle Entrate, benché in modalità analogica fa esplicito riferimento alla categoria della inesistenza dell'atto, richiamando il principio generale circa la sorte della sentenza priva di sottoscrizione da parte del giudice, ex articolo 161 c.p.c. , comma 2, in quanto estensibile a tutti gli atti processuali per i quali sia richiesta la sottoscrizione della parte se abilitata a stare in giudizio in proprio o del suo difensore nella motivazione di detta pronuncia, vengono richiamati i precedenti arresti di Cass. numero 4078/1986 , Rv. 446884-01, nonché di Cass., Sez. Unumero , numero 11632/2003 , Rv. 565474-01 . Si tratta, peraltro, di orientamento del tutto consolidato e costantemente affermato così, si veda, in particolare, Cass. numero 1275/2011 , Rv. 616037-01, secondo cui Poiché l' articolo 125 c.p.c. prescrive che l'originale e le copie degli atti ivi indicati devono essere sottoscritti dalla parte che sta in giudizio personalmente oppure dal procuratore, il difetto di sottoscrizione quando non desumibile da altri elementi, quali la sottoscrizione per autentica della firma della procura in calce o a margine dello stesso è causa di inesistenza dell'atto nella specie, di appello , atteso che la sottoscrizione è elemento indispensabile per la formazione dello stesso conf. Cass. numero 2691/1994 , Rv. 485827-01 Cass. numero 6111/1999 , Rv. 527657-01 Cass. numero 4116/2001 , Rv. 545014-01 . In buona sostanza, quand'anche l'atto processuale non sia ritualmente sottoscritto, come di regola, nella sua parte finale, occorre comunque che la sottoscrizione sia almeno apposta in altra parte dell'atto come la firma per autentica della procura ad litem , onde attribuire all'estensore la sua paternità, che è il fine ultimo dell'adempimento richiesto. Non mancano, per vero, precedenti di segno contrario si veda, in particolare, Cass. numero 9490/2007 , Rv. 597541-01, che ha ritenuto non inesistente, bensì nullo, un ricorso in opposizione agli atti esecutivi ex articolo 617 c.p.c. , privo di firma autografa del difensore dell'opponente, in quanto questi aveva comunque compiuto atti quali il deposito della nota di iscrizione a ruolo, la richiesta di copie del ricorso con il provvedimento di sospensione, la richiesta di notificazione del ricorso e la partecipazione alle udienze davanti al giudice dell'esecuzione in presenza dell'opponente , ma si tratta di impostazione assolutamente isolata, non idonea a determinare, sul punto, vero e proprio contrasto di giurisprudenza. 2.4.1 - Ciò posto, la specifica questione dell'atto introduttivo del giudizio anche d'impugnazione nativo informatico, ma privo di sottoscrizione digitale, nel panorama della giurisprudenza di legittimità, è stata finora affrontata - se non si erra - con due sole pronunce. Con la prima Cass. numero 14338/2017 , Rv. 633628-01 , si è statuito che L'atto introduttivo del giudizio redatto in formato elettronico e privo di firma digitale è nullo, poiché detta firma è equiparata dal D.Lgs. numero 82 del 2005 alla sottoscrizione autografa, che costituisce, ai sensi dell' articolo 125 c.p.c. , requisito di validità dell'atto introduttivo anche del processo di impugnazione in formato analogico . Con detta decisione, questa Corte - nel dichiarare inammissibile il ricorso per cassazione proposto dalla parte già appellante, che aveva a suo tempo notificato l'atto di gravame privo di sottoscrizione digitale - ha precisato in motivazione che il requisito in parola attiene alla formazione dell'atto stesso, nonché alla sua riconducibilità a chi lo ha formato nella specie, necessariamente al difensore munito di procura pertanto, s'e' ritenuto che, in quel caso, il ricorrente non avesse colto la ratio decidendi della sentenza impugnata, giacché l'inammissibilità dell'appello derivava già da siffatta carenza strutturale, esplicitamente considerata da questa Corte non suscettibile di sanatoria tanto da aver contestualmente disposto la correzione ex articolo 384 c.p.c. , u.c. , essendo a tal punto irrilevanti le doglianze mosse col ricorso e fondate sulla pretesa regolarità e completezza della notifica effettuata via PEC, il che - nella prospettiva del ricorrente - avrebbe comunque consentito di superare ogni questione. In buona sostanza, il citato arresto si muove senz'altro nell'egida dell'orientamento tradizionale prima riportato circa il difetto di sottoscrizione dell'atto analogico, tanto da richiamare per tutte in motivazione la già citata Cass. numero 1275/2011 , e da ritenere inconferente il principio affermato da Cass. numero 26102/2016 , anch'essa già citata e richiamata nella requisitoria del P.G., come s'e' visto , in quanto attinente non già alla sottoscrizione dell'originale del ricorso per cassazione, ma alla notificazione della copia informatica dell'atto originariamente formato su supporto analogico . 2.4.2 - Senonché, la successiva Cass., Sez. Unumero , numero 22438/2018 , Rv. 65046203, ha affermato che In tema di giudizio per cassazione, in caso di ricorso predisposto in originale in forma di documento informatico e notificato in via telematica, l'atto nativo digitale notificato deve essere ritualmente sottoscritto con firma digitale, potendo la mancata sottoscrizione determinare la nullità dell'atto stesso, fatta salva la possibilità di ascriverne comunque la paternità certa, in applicazione del principio del raggiungimento dello scopo . Ora, la sentenza indicata - adottata in linea generale ai sensi dell' articolo 363 c.p.c. , comma 3, in relazione al tema della improcedibilità ex articolo 369 c.p.c. , comma 1, del ricorso nativo informatico firmato digitalmente, ma depositato in copia cartacea priva di attestazione di conformità - si sofferma, tra l'altro, in motivazione par. 20 , sul problema della assenza della stessa firma digitale del ricorso per cassazione detta questione era necessario affrontare proprio per escludere la stessa possibilità astratta di distinguere tra originale informatico sottoscritto digitalmente rimasta in possesso del ricorrente e copia informatica notificata all'intimato, ma priva di firma digitale sul punto, le Sezioni Unite affermano, claris verbis, che in tal caso si tratterebbe, in realtà, di due atti nativi digitali diversi e non dello stesso unico atto sottoscritto con firma digitale , e si aggiunge, ancor più significativamente ai fini che qui interessano che ove si accedesse all'interpretazione che ammette la notificazione di un ricorso in originale informatico privo di firma digitale verrebbe, addirittura, a mancare un originale sottoscritto, giacché a tanto non potrebbe sopperire l'attestazione di conformità della copia analogica del ricorso depositata in luogo dell'originale digitale attestazione che postula, per l'appunto, che l'originale digitale sia stato, a sua volta, ritualmente sottoscritto si noti che, nel caso qui in esame, l'Agenzia ricorrente propugna proprio questa ultima tesi, appunto disattesa dalle Sezioni Unite . Posto, dunque, che l'atto processuale nativo informatico, notificato alla controparte, è esso stesso l'originale, e non ne è una mera copia, il punto è che, stando alla massima sopra riportata Rv. 650462-03 , le Sezioni Unite ascrivono esplicitamente il difetto di sottoscrizione digitale dell'atto alla sua mera nullità così come la stessa Cass. numero 14338/2017 , già citata , affermando però che il vizio sia suscettibile di sanatoria per raggiungimento dello scopo, ove sia possibile attribuirne la paternità certa. Nel ritenere ciò, il Massimo Consesso sembra discostarsi non solo dall'unico precedente sull'atto introduttivo nativo digitale, poc'anzi citato, ma anche dalla stessa precedente giurisprudenza sul difetto di firma dell'atto processuale analogico o cartaceo, che pressoché univocamente volge verso la categoria dell'inesistenza dell'atto stesso, di per sé non suscettibile di sanatoria. 2.4.3 - Al riguardo, è ben vero che, rispetto a pronunce precedentemente rese da questa Corte sia a Sezione semplice, che a Sezioni Unite , non sia tecnicamente configurabile alcun contrasto di giurisprudenza sul punto, per effetto della stessa Cass., Sez. Unumero , numero 22438/2018 , posto che il Massimo Consesso di questa Corte è deputato, per legge, a segnare la corretta interpretazione delle norme di diritto, nell'ambito della funzione di nomofilachia, sicché in linea di principio l'arresto da ultimo citato dovrebbe tendenzialmente costituire il punto di partenza per la soluzione della questione che qui occupa, e peraltro con la vincolatività dello stare decisis per questo stesso Collegio, derivante dal disposto dell' articolo 374 c.p.c. , comma 3. Tuttavia, occorre anche considerare che a anzitutto, il principio in discorso è a ben vedere estrapolato dal contesto della motivazione - di cui costituisce ovviamente uno snodo logico-giuridico, e non un mero obiter dictum -, benché non sia specificamente riepilogato nell'ambito di quelli elencati nel par. 27 della stessa sentenza, come resi ai sensi dell' articolo 363 c.p.c. , comma 3 b in secondo luogo, le Sezioni Unite riportano il vizio in parola alla categoria della nullità, per quanto l' articolo 365 c.p.c. preveda il requisito della sottoscrizione del ricorso come dettato ai fini dell'ammissibilità dell'atto, tanto che la giurisprudenza - sia precedente, sia successiva al citato arresto del 2018 - riconduce il vizio stesso ad un deficit strutturale dell'atto medesimo, e dunque alla sua inesistenza c ancora, per effetto di detta qualificazione di nullità, la sentenza richiama il principio del raggiungimento dello scopo, ipotizzando il ricorso alla sanatoria del vizio, ove sia possibile attribuire la paternità certa dell'atto d infine, la pronuncia non si sofferma esplicitamente sulla necessità che una tale opzione debba pur sempre ricollegarsi ad una sottoscrizione comunque apposta sull'atto, anche se ad altri fini si veda, sul punto, la giurisprudenza riassunta supra, par. 2.3 , lasciando aperta - in difetto di approfondimento sul punto, evidentemente in quel caso non necessario - la possibilità di ipotizzare che una simile indagine possa anche condursi in forza di altri elementi, esterni all'atto processuale. 2.5.1 - I dubbi che, sul piano dell'ermeneutica dell' articolo 365 c.p.c. , pone l'eccezione sollevata dalla controricorrente, poi, risultano vieppiù amplificati per effetto delle ulteriori considerazioni che seguono. Invero, diverse disposizioni normative esprimono il c.d. principio di non discriminazione del documento informatico, rispetto a quello analogico o tradizionale. Così, in particolare, l'articolo 23, comma 2 C.A.D., stabilisce che Le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico, conformi alle vigenti regole tecniche, hanno la stessa efficacia probatoria dell'originale se la loro conformità non è espressamente disconosciuta analogamente, l'articolo 20 stesso C.A.D., prevede al comma 1-bis che il documento informatico cui sia apposta una firma digitale soddisfa il requisito della forma scritta e ha l'efficacia prevista dall' articolo 2702 c.c. per le scritture private. Con specifico riferimento al tema qui in rilievo, poi, deve anche richiamarsi l' articolo 25, parr. 1 e 2, del Regolamento UE numero 910/2014 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 23.7.2014 c.d. Regolamento eIDAS - electronic IDentification Authentication and Signature , secondo cui 1. A una firma elettronica non possono essere negati gli effetti giuridici e l'ammissibilità come prova in procedimenti giudiziali per il solo motivo della sua forma elettronica o perché non soddisfa i requisiti per firme elettroniche qualificate e 2. Una firma elettronica qualificata ha effetti giuridici equivalenti a quelli di una firma autografa . 2.5.2 - Ora, se è del tutto comprensibile che, nell'ottica della sempre maggiore digitalizzazione del processo di recente realizzata anche per il giudizio di legittimità , l'ordinamento - con disposizioni come quelle che precedono - si sforzi di condurre e segnare un percorso di piena equiparazione tra il documento digitale e quello che, tradizionalmente, ha costituito il substrato delle relative categorie concettuali espresse anche in ambito processuale, ossia il documento analogico, ciò non può certo implicare una sorta di discriminazione al contrario . Si vuole cioè dire che il documento informatico - al di là delle sue intrinseche ed intuitive peculiarità fisiche - non può di per sé avere un peso superiore rispetto alla corrispondente categoria di riferimento, in ambiente analogico. Il che, rapportato al tema che occupa, significa che un atto processuale, sol perché informatico, non può di per sé supplire al deficit strutturale da cui esso sia eventualmente affetto, rispetto ai requisiti di forma richiesti dalla norma, salvo che detti requisiti siano direttamente evincibili dal suo corredo informativo non è affatto casuale che la stessa Cass., Sez. Unumero , numero 22438/2018 , affermi perentoriamente, in motivazione, che l'originale del ricorso nativo digitale - in quanto atto processuale - è unico e per essere valido, alla luce di quanto dispone la legge processuale che è fonte condizionante, anche in via interpretativa, la portata stessa della disciplina recata dalle disposizioni regolamentari e tecniche sul p.c.t. , deve essere sottoscritto con firma ovviamente digitale l'atto così formato e sottoscritto e', quindi, l'atto che l'avvocato provvede a notificare, a mezzo p.e.c., all'indirizzo p.e.c., risultante da pubblici registri, della controparte . In siffatte condizioni, la ricerca aliunde della paternità certa del ricorso, mancante della firma digitale, appare dunque ancor più problematica, essendo ben difficile che essa possa desumersi, di per sé, dai dati identificativi informatici del documento stesso cioè, dalle sue proprietà , o anche e al di là di quanto prima evidenziato circa l'utilizzabilità di elementi esterni all'atto processuale dall'utilizzo di una casella PEC inequivocabilmente riferibile all'avvocato che avrebbe apparentemente redatto il ricorso il che, specie con riferimento a tale ultimo aspetto, vale sia nel caso di un avvocato del libero foro, sia nel caso della stessa Avvocatura dello Stato, non potendo comunque escludersi un accesso alla medesima casella PEC del mittente da parte di soggetto diverso dal suo titolare e, per di più, privo della necessaria qualifica , a prescindere dal fatto che si tratti di soggetto autorizzato o meno. Del resto, è solo l'utilizzo del dispositivo di firma elettronica qualificata o digitale a determinare la presunzione relativa di riconducibilità della stessa al suo titolare, ex articolo 20, comma 1-ter C.A.D., non anche l'uso della casella PEC del mittente, per quanto ovviamente personale. 2.5.3 - Si aggiunga infine che, sotto diverso ma concorrente profilo, con specifico riferimento all'Avvocatura dello Stato, è ben vero che la difesa da essa assunta ha carattere impersonale e che i suoi rappresentanti sono dunque pienamente fungibili nel compimento degli atti processuali nell'ambito di un medesimo giudizio, sicché l'atto introduttivo di questo è valido anche se la sottoscrizione è apposta da avvocato diverso da quello che materialmente ha redatto l'atto, unica condizione richiesta essendo la spendita della qualità professionale abilitante alla difesa Cass. numero 4950/2012 Cass. numero 13627/2018 . Tuttavia, pur in tale ipotesi, pare imprescindibile che l'atto processuale debba essere comunque riferibile con certezza ad avvocato dello Stato perfettamente identificabile anche se diverso dal suo materiale estensore, come s'e' visto , perché il patrocinio assunto dall'Avvocatura - sotto il profilo del rispetto delle forme processuali - solo esclude la necessità del rilascio della procura speciale ex articolo 365 c.p.c. si vedano le pronunce poc'anzi citate , non certo l'assunzione di paternità circa il contenuto dell'atto, riconducibile evidentemente alla sottoscrizione. Il principio affermato da Cass., Sez. Unumero 22438/2018, anche in relazione al profilo appena indicato, merita dunque di essere almeno opportunamente contestualizzato, posto che neppure vi sarebbe possibilità di ricorrere - ai fini dell'attribuzione della paternità certa dell'atto - alla firma per autentica in calce alla procura speciale, non essendo essa necessaria nell'ipotesi in cui la parte sia abilitata ad avvalersi dell'Avvocatura dello Stato, come nella specie. 2.6 - Così stando le cose, trattandosi comunque di questione di massima di particolare importanza, la Corte reputa dunque opportuno trasmettere gli atti al Primo Presidente, affinché valuti se investire le Sezioni Unite, su quanto prima prospettato. P.Q.M. la Corte trasmette gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.