Sì alla custodia in carcere per l’ex cappellano della casa circondariale indagato per cessione di droga e per detenzione di armi

Respinte le obiezioni difensive. Evidente, secondo i Giudici, la gravità rappresentata dallo sfruttamento della posizione istituzionale del religioso, il quale – secondo il compendio indiziario – aveva un’articolata rete di contatti criminali, anche in ambito mafioso, tale da consentirgli la commissione dei reati contestati, che sono svariati e di notevole rilevanza.

Deve restare in carcere il frate cappuccino ex cappellano della casa circondariale. Non però nel ruolo istituzionale affidatogli tempo addietro dal Vescovo, bensì in quello – molto meno gradevole – di persona indagata per detenzione di sostanze stupefacenti fini di cessione e per ricettazione e detenzione di armi. Evidente, secondo i Giudici, il pericolo di una reiterazione dei reati da parte del frate, nonostante sia stato sospeso, su decisione della Curia, in via cautelare dal proprio ministero religioso. Scenario della vicenda è una casa circondariale . A finire nel mirino è il cappellano della struttura, un frate cappuccino, fermato e arrestato dagli agenti della Polizia penitenziaria mentre consegnava un panetto di hashish ad un detenuto. Consequenziale l’applicazione, nei confronti del frate, della misura cautelare della custodia in carcere . Su questo punto concordano Gip e Tribunale, ritenendo inequivocabili gli addebiti ipotizzati a carico del religioso, ossia detenzione di sostanze stupefacenti a fini di cessione, detenzione e ricettazione di arma clandestina , detenzione abusiva di una seconda arma e delle relative munizioni . Ancora più in dettaglio, il frate cappuccino è indiziato di avere sfruttato la propria posizione istituzionale come cappellano del carcere al fine di favorire un traffico illecito di stupefacenti, anche fra soggetti di notevole spessore criminale . Per il Gip e per il Tribunale non vi sono dubbi sul concreto e attuale pericolo di reiterazione del reato e sulla conseguente necessità di tenere il frate in carcere. Inutile il ricorso proposto in Cassazione dal legale che rappresenta il religioso. I Giudici di terzo grado confermano, difatti, l’applicazione della custodia cautelare in carcere a carico del frate. Non in discussione, in sostanza, la disamina compiuta in Tribunale degli elementi emersi dalle indagini . A questo proposito, i magistrati sottolineano la gravità rappresentata dallo sfruttamento della posizione istituzionale del frate, il quale – secondo il compendio indiziario – aveva un’articolata rete di contatti criminali , anche in ambito mafioso, tale da consentirgli la commissione dei reati contestati, che sono svariati e di notevole rilevanza . Solida, perciò, la posizione accusatoria, secondo cui la sola custodia cautelare è idonea a prevenire il pericolo di reiterazione dei reati. Respinte le obiezioni difensive, mirate a valorizzare una presunta valenza positiva delle ammissioni rese dal frate in sede di arresto in flagranza di reato . Su questo punto, difatti, i Giudici osservano che il frate si è limitato ad ammettere solo quanto emerso chiaramente nell’attività investigativa, nel tentativo di ridimensionare la propria responsabilità penale mentre ha evitato di fornire un contributo reale all’accertamento dei fatti, non riferendo, ad esempio, chi gli avesse fornito le armi in suo possesso . Né può assumere rilevanza positiva la circostanza che il frate sia stato sospeso in via cautelare dal ministero religioso, essendo i reati, per i quali si procede, comunque commessi nell’ambito di un circuito criminale di spaccio, a cui il frate continua ad appartenere . Infine, quanto alla scelta della misura custodiale carceraria, essa appare logicamente giustificata dalla spiccata insensibilità del frate rispetto all’efficacia dissuasiva della norma penale, vista la pluralità e la gravità dei reati dei quali è indiziato, reati che ne connotano l’inserimento in ambienti malavitosi anche di notevole spessore, come emerge, tra l’altro, dal suo rapporto diretto con un esponente di un’associazione mafiosa , concludono i magistrati.

Presidente Andreazza – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 3 novembre 2022, il Tribunale di Caltanissetta ha rigettato la richiesta di riesame proposta dall'interessato avverso l'ordinanza del Gip del Tribunale di Enna del 15 ottobre 2022, con cui era stata applicata al medesimo la misura cautelare della custodia in carcere, per detenzione a fini di cessione di sostanze stupefacenti, detenzione di arma clandestina, ricettazione della predetta arma, detenzione abusiva di una seconda arma e delle relative munizioni. In particolare, l'indagato, frate cappuccino cappellano presso la casa circondariale di […], era indiziato di avere sfruttato la propria posizione istituzionale al fine di favorire un traffico illecito di stupefacenti anche fra soggetti di notevole spessore criminale e ciò rappresentava uno degli elementi da cui desumere il concreto e attuale pericolo di reiterazione del reato. 2. Avverso l'ordinanza l'indagato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 2.1. Con un primo motivo di impugnazione, si censura il vizio di motivazione in relazione al ritenuto pericolo di reiterazione del reato. Si sostiene che il pericolo e, di reiterazione deve essere concreto che dagli atti non emerge un inserimento dell'indagato in un contesto criminale, in presenza di un unico precedente penale risalente nel tempo. 2.2. In secondo luogo, si prospettano vizi della motivazione circa l'adeguatezza della misura cautelare carceraria, per la mancata considerazione del fatto che le armi oggetto di imputazione erano detenute presso l'abitazione e che lo stesso indagato aveva rilasciato dichiarazioni spontanee, ammettendo di avere introdotto all'interno del carcere un involucro contenente stupefacente, oltre ad ammettere le circostanze che l'avevano indotto a cedere lo stupefacente stesso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 1.1. Quanto alla prima doglianza, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, la valutazione operata dal Tribunale deve considerarsi adeguata e coerente, perché frutto di una disamina completa degli elementi emersi dalle indagini, a fronte di mere affermazioni difensive che non prendono in considerazione la motivazione del provvedimento impugnato. In particolare, la difesa non considera la gravità rappresentata dallo sfruttamento della posizione istituzionale del soggetto, il quale - secondo il compendio indiziario - aveva un'articolata rete di contatti criminali anche in ambito mafioso , tale da consentirgli la commissione dei reati per cui si procede, i quali sono svariati e di notevole rilevanza. 1.2. La seconda doglianza è inammissibile per genericità, essendo priva di allegazioni idonee a smentire la prospettazione accusatoria - fatta propria dal Tribunale - secondo cui la sola custodia cautelare è idonea a prevenire il pericolo di reiterazione. Neanche in questo caso la difesa richiama puntualmente la motivazione del provvedimento, limitandosi a formulare isolate considerazioni circa una pretesa valenza positiva delle ammissioni rese dall'indagato in sede di arresto in flagranza. In particolare, il ricorso non si confronta con la considerazione dell'ordinanza secondo cui il prevenuto si era limitato ad ammettere solo quanto emerso chiaramente nell'attività investigativa, nel tentativo di ridimensionare la propria responsabilità penale, avendo evitato di fornire un contributo reale all'accertamento dei fatti, non riferendo, ad esempio, chi gli avesse fornito le armi in suo possesso. E non può assumere rilevanza positiva la circostanza che il soggetto sia stato sospeso in via cautelare dal ministero religioso, essendo i reati per i quali si procede comunque commessi nell'ambito di un circuito criminale di spaccio, a cui il soggetto continua ad appartenere. Quanto alla scelta della misura custodiale carceraria, la stessa appare logicamente giustificata dalla spiccata insensibilità del ricorrente rispetto all'efficacia dissuasiva della norma penale, vista la pluralità e la gravità dei reati dei quali è indiziato, che ne connotano l'inserimento in ambienti malavitosi anche di notevole spessore, come emerge, tra l'altro, dal suo rapporto diretto con tale R., esponente di un'associazione mafiosa. 2. Per questi motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell' art. 616 c.p.p. , l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all 'art. 94, comma Iter, disp. att. c.p.p .