Con le sentenze depositate in data 8 giugno, la CGUE ha affermato che uno Stato membro non può escludere l’obbligo di rimborso integrale in caso di cancellazione di un pacchetto turistico per la pandemia e che un volo di rimpatrio organizzato nel contesto di una misura di assistenza consolare, sempre durante la pandemia, deve essere pagato dal passeggero.
Pacchetti turistici e pandemia di COVID-19. Con le sentenze rese nelle cause C-407/21 ECLI EU C 2023 449 e C-540/21 ECLI EU C 2023 450 la Corte ha affermato che «uno Stato membro non può addurre il timore di difficoltà interne per giustificare l'inosservanza degli obblighi discendenti dal diritto dell'Unione quando tale inosservanza non è conforme ai requisiti della forza maggiore». In altre parole, gli Stati membri non possono invocare la forza maggiore «per esentare, quand'anche temporaneamente, gli organizzatori di pacchetti turistici dall'obbligo di rimborso previsto dalla direttiva». Per rimborso si deve intendere una restituzione sotto forma di denaro e «il legislatore dell'Unione non ha previsto la possibilità di sostituire tale obbligo di pagamento con una prestazione che rivesta un'altra forma, come la proposta di buoni. L'obiettivo perseguito dalla direttiva in questione consiste nella realizzazione di un livello elevato e il più uniforme possibile di protezione dei consumatori». Di fatto, il rimborso sotto forma di denaro è il più idoneo a contribuire alla tutela degli interessi del viaggiatore, il che evidentemente non esclude che il viaggiatore accetti, su base volontaria, un rimborso sotto forma di un buono. Pandemia e voli di rimpatrio. «Un passeggero che si registri da sé su tale volo di rimpatrio e versi allo Stato che l'ha organizzato un contributo obbligatorio alle spese non dispone, sul fondamento del diritto dell'Unione, di un diritto al rimborso di tali spese a carico del vettore aereo che doveva effettuare il volo inizialmente previsto». Così la Corte di Giustizia nella sentenza dell'8 giugno 2023 nella causa C-49/22 ECLI EU C 2023 454 . Una coppia di cittadini austrici rimasta bloccata alle Mauritius a causa della cancellazione del volo di ritorno da parte della compagnia di bandiera per il COVID-19, è riuscita a tornare in patria grazie ad un volo di rimpatrio predisposto dal Ministero per gli affari esteri versando un importo di 500 euro a testa. La coppia chiedeva quindi alla compagnia aerea il rimborso di tale cifra ma senza avere successo. La decisione è stata confermata anche dalla Corte di Giustizia. Infatti il volo di rimpatrio «organizzato da uno Stato membro nel contesto di una misura di assistenza consolare, a seguito della cancellazione di un volo, non costituisce un «riavviamento verso la destinazione finale, in condizioni di trasporto comparabili», ai sensi del regolamento sui diritti dei passeggeri aerei, che deve essere offerto dal vettore aereo operativo al passeggero il cui volo è stato cancellato». La Corte precisa inoltre che «un passeggero il quale, a seguito della cancellazione del suo volo di ritorno, si registri da sé per un volo di rimpatrio organizzato da uno Stato membro nel contesto di una misura di assistenza consolare, e a tale titolo sia tenuto a versare a detto Stato un contributo obbligatorio alle spese, non dispone di un diritto al rimborso di tali spese a carico del vettore aereo operativo sul fondamento del regolamento sui diritti dei passeggeri aerei». Il passeggero può però far valere il mancato rispetto da parte del vettore aereo operativo, da un lato, del suo obbligo di rimborsare il biglietto al prezzo al quale è stato acquistato, nonché, dall'altro, del suo obbligo di assistenza, ivi compreso del suo dovere di informazione, e ciò al fine di ottenere un risarcimento a carico di tale vettore aereo operativo.
CGUE, sentenza 8 giugno 2023, causa C-407/21 CGUE, sentenza 8 giugno 2023, causa C-540/21 CGUE, sentenza 8 giugno 2023, causa C-49/22