Vettura sottratta dal garage a pagamento: la denuncia di una rapina non salva il titolare della struttura

Confermato il diritto del proprietario del veicolo ad ottenere un adeguato risarcimento dei danni patiti. Impossibile, secondo i Giudici, mettere in discussione la responsabilità del titolare dell'autorimessa.

Risarcimento per il proprietario della vettura sottratta dall'autorimessa dove l'aveva parcheggiata, ovviamente dietro regolare pagamento. Fragile la giustificazione addotta dal titolare del garage e centrata sulla denuncia presentata ai carabinieri in merito a una rapina a mano armata effettuata, a suo dire, all'interno della struttura. Scenario dell'episodio è la provincia napoletana. A dare il via alla vicenda giudiziaria è il proprietario della vettura scomparsa dal garage a pagamento egli chiede che il titolare dell'autorimessa gli versi un adeguato risarcimento, quantificabile, a suo dire, in almeno 12mila euro, a fronte del danno patito per per effetto della sottrazione della sua autovettura, sottrazione avvenuta mentre il veicolo era custodito presso l'autorimessa . In primo grado, però, l'istanza risarcitoria viene respinta. I giudici del Tribunale ritengono solida, difatti, la tesi difensiva proposta dal titolare del garage e confermata dalle prove assunte in sostanza, l'autovettura è stata sottratta nel corso di una rapina e quindi, secondo i giudici, si deve parlare di perdita della cosa – la vettura – per fatto non imputabile al depositario , cioè il titolare del garage. Di parere opposto, invece, i giudici d'Appello, i quali riconoscono il diritto del proprietario della vettura scomparsa a percepire 10mila e 800 euro dal titolare dell'autorimessa come risarcimento dei danni. Questo ribaltamento rispetto al primo grado è così motivato viene negata valenza probatoria alla deposizione testimoniale di uno dei custodi dell'autorimessa, rilevando, in primo luogo, l'irritualità dell'assunzione della deposizione – consistita nella lettura al teste della denuncia da lui precedentemente resa ai carabinieri e nella conferma del contenuto della denuncia da parte del teste medesimo – e, in secondo luogo, l'inattendibilità della deposizione, avendo il teste operato una ricostruzione dei fatti – e cioè della rapina presso l'autorimessa — affetta da contraddizioni ed incoerenze . Tirando le somme, per i giudici d'Appello la circostanza della rapina non è stata adeguatamente provata e quindi non si può escludere la responsabilità del titolare del garage per la sottrazione della vettura lasciata in sosta – dietro regolare pagamento – nella struttura. Assolutamente inutile il ricorso proposto in Cassazione dal legale che ha rappresentato il titolare dell'autorimessa. Anche i Giudici di terzo grado, difatti, ha ritenuto palese la responsabilità addebitabile al proprietario della struttura per l'imprevedibile sottrazione della vettura. Confermato, quindi, il risarcimento in favore del proprietario del veicolo. Corretta, in sostanza, la valutazione compiuta in Appello, ossia il giudizio negativo in ordine alla deposizione del teste che aveva confermato la veridicità della rapina a mano armata effettuata nella struttura da alcuni malviventi. Per essere precisi, da un lato la deposizione è stata assunta in modo irrituale e, dall'altro lato, la deposizione non è risultata attendibile poiché caratterizzata da palesi incongruenze o contraddizioni . Tutto ciò basta, anche secondo i Giudici di Cassazione, a inchiodare il titolare dell'autorimessa, poiché è mancata un'adeguata prova del verificarsi della rapina da lui denunciata.

Presidente Carrato - Relatore Rolfi Ritenuto in fatto 1. C.B. convenne, dinanzi al Tribunale di Napoli, F.G., chiedendo la condanna di quest'ultimo al risarcimento dei danni - quantificati in almeno Euro 12.000,00 - pretesi dall'attore stesso per effetto della sottrazione della sua autovettura, avvenuta mentre il veicolo era custodito presso l'autorimessa del convenuto. Il Tribunale di Napoli, nella regolare costituzione di F.G., respinse la domanda, ritenendo che le prove assunte in giudizio avessero confermato la tesi difensiva del convenuto, e cioè che l'autovettura era stata sottratta nel corso di una rapina, concludendo, pertanto, che tale circostanza veniva ad integrare la prova liberatoria contemplata dall' art. 1780 c.c. , e cioè la perdita della cosa per fatto non imputabile al depositario. 2. Proposto appello da parte di C.B., la Corte d'appello di Napoli, nella regolare costituzione dell'appellato, in integrale riforma della sentenza di primo grado, accoglieva parzialmente il gravame, condannando F.G. al risarcimento dei danni - quantificati in Euro 10.800,00 - mentre ha disatteso le ulteriori pretese risarcitorie dell'appellante. La Corte territoriale negava valenza probatoria alla deposizione testimoniale di uno dei custodi dell'autorimessa M. , rilevando, in primo luogo, l'irritualità dell'assunzione della deposizione - consistita nella lettura al teste della denuncia da lui precedentemente resa ai Carabinieri e nella conferma del contenuto della denuncia da parte del teste medesimo - e, in secondo luogo, l'inattendibilità della deposizione medesima, avendo il teste operato una ricostruzione dei fatti - e cioè della rapina presso l'autorimessa - che la Corte riteneva affetta da contraddizioni ed incoerenze. La Corte, quindi, rilevava che la circostanza della rapina non fosse stata adeguatamente provata, escludendo conseguentemente la sussistenza della prova liberatoria richiesta dall' art. 1780 c.c. . 3. Per la cassazione della sentenza della Corte d'appello di Napoli ricorre ora F.G Resiste con controricorso C.B 4. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, nelle forme previste dall'art. 380-bis.1. c.p.c 5. Le parti hanno depositato memoria. Considerato in diritto 1. Il ricorso è affidato a tre motivi. 1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all' art. 360 c.p.c. , n. 4, la nullità della sentenza per error in procedendo. Il ricorrente denuncia, in particolare, la violazione degli artt. 231 e 253 c.p.c. per avere la Corte territoriale dichiarato l'irritualità dell'assunzione della deposizione del teste M., essendosi il giudice di prime cure limitato a chiedere al teste la conferma del contenuto del verbale di denuncia ai Carabinieri. Oltre a dedurre il fatto che tale irritualità è stata dichiarata sulla scorta di un motivo di appello che doveva ritenersi inammissibile, in quanto nel corso del giudizio di primo grado nessuna eccezione era stata sollevata sul punto dalla difesa dell'odierno controricorrente, il ricorrente invoca il disposto di cui ai citati artt. 231 e 253 c.p.c. al fine di argomentare la piena ritualità della deposizione, lamentando, altresì, la concreta assenza di motivazione a sostegno del giudizio di irritualità espresso dalla Corte d'appello. 1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all' art. 360 c.p.c. , n. 5, l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare il fatto storico costituto dalla rapina a mano armata che avrebbe condotto alla sottrazione del veicolo dell'odierno controricorrente, laddove tale fatto storico avrebbe trovato piena conferma da parte del teste escusso nel giudizio di primo grado. 1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all' art. 360 c.p.c. , n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. . Il ricorrente si duole del fatto che, nonostante il rigetto della domanda in primo grado e l'accoglimento solo parziale della domanda all'esito del giudizio di appello, la Corte territoriale non abbia ritenuto la sussistenza di idonee ragioni per disporre la compensazione delle spese di lite. 2. Rileva il collegio che il primo motivo di ricorso è inammissibile. La Corte territoriale, infatti, ha basato il proprio giudizio negativo in ordine alla deposizione del teste M. su un duplice profilo da un lato, la Corte ha ritenuto che la deposizione fosse stata assunta in modo irrituale dall'altro, ha comunque ritenuto che, al di là del primo profilo, la deposizione non fosse attendibile si veda l'esordio dell'ultimo paragrafo di pag 3 ciò nondimeno, pur in presenza di siffatta modalità di assunzione della prova testimoniale del M., diversamente da quanto opinato in sentenza dal tribunale, è dato scorgere palesi incongruenze o contraddizioni nella sua testimonianza . . Il motivo di ricorso, pur spendendosi in ampie argomentazioni volte a contrastare l'affermazione di irritualità della deposizione operata dalla Corte partenopea, non impugna, invece, il secondo profilo su cui si è fondato il giudizio finale della Corte d'appello, e cioè, appunto, quello riguardante la valutazione di inattendibilità della deposizione testimoniale, profilo peraltro ampiamente illustrato e motivato dalla Corte di merito, fermo quanto si osserverà in relazione al secondo motivo di ricorso. Da ciò consegue l'applicazione del principio per cui qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l'intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa cfr., tra le tante, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012 Cass. Sez. 5 - Ordinanza n. 11493 del 11/05/2018 Cass. Sez. 6 - L, Ordinanza n. 22753 del 03/11/2011 Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12372 del 24/05/2006 . 3. Il secondo motivo di ricorso è, invece, infondato. È sufficiente osservare che, contrariamente a quanto con esso asserito, il profilo della sussistenza di una prova liberatoria ex art. 1780 c.c. derivante dal verificarsi di una rapina a mano armata, ben lungi dall'essere stato trascurato dalla Corte d'appello, ha costituito il fulcro attorno al quale sono venuti a ruotare entrambi i gradi di merito, pur se con esiti conclusivi difformi. Al giudice di appello, quindi, non può imputarsi di aver negletto quello che, invece, è stato l'oggetto primario della sua analisi, avendo, semmai, la Corte napoletana escluso la sussistenza di un'adeguata prova del verificarsi di detta rapina, esercitando il potere di interpretazione e valutazione del materiale probatorio, nonché di controllo dell'attendibilità e della concludenza delle prove ad essa riservato ed in questa sede insindacabile in quanto non oggetto di adeguate censure e, comunque, con il raggiungimento di un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice Cass. Sez. 2 - Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019 Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004 . Il motivo di ricorso - e ciò va sottolineato a completamento di quanto osservato in relazione al primo motivo - cerca, in realtà, di attingere indirettamente proprio il giudizio di inattendibilità della deposizione testimoniale espresso dalla Corte d'appello, proponendo come omesso esame quello che è, invece, è un esame del tutto diretto, anche se ritenuto insoddisfacente da parte del ricorrente. 4. Infondato, parimenti, è il terzo motivo di ricorso. È sufficiente, al riguardo, richiamare due principi reiteratamente affermati da questa Corte I il criterio della soccombenza, al fine di attribuire l'onere delle spese processuali, non si fraziona a seconda dell'esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all'esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole v., ex multis, Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 13356 del 18/05/2021 Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 9785 del 25/03/2022 Cass. Sez. 3 - Sentenza n. 27606 del 29/10/2019 Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 6369 del 13/03/2013 II in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l'eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 11329 del 26/04/2019 Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 24502 del 17/10/2017 . 5. Il ricorso deve, quindi, essere respinto, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo, con distrazione a favore dell'Avv. Antonio Chianese. 6. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto , spettando all'amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge, da distrarsi in favore dell'Avv. Antonio Chianese. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 1 3 comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1 , comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.