Fragile la tesi difensiva proposta dall’imprenditore e centrata sull’avere fatto eseguire l’attività di trasformazione ad una azienda che fornisce ampie garanzie di affidabilità e di rigore nei monitoraggi, trattandosi di realtà tenuta a conformarsi al prontuario dell’Associazione italiana celiachia.
Condanna confermata per il titolare dell’azienda alimentare che ha immesso in commercio prodotti caratterizzati da elevate percentuali di glutine, sostanza indicata sulla confezione come assente. Legittimo parlare di commercio di sostanze alimentari nocive. Inutile la sottolineatura, da parte dell’imprenditore, relativa all’essersi egli affidato ad un’azienda trasformatrice iscritta al prontuario dell’Associazione italiana celiachia. A finire nel mirino è il presidente del consiglio di amministrazione di «due società impegnate nella produzione e nella commercializzazione di generi alimentari a base di cereali ». A lui viene contestato di «avere distribuito per il consumo sostanze alimentari pericolose per la salute pubblica in quanto, all’esito di analisi eseguite su alcuni prodotti prelevati a campione presso un esercizio commerciale e presso la sede di una società produttrice, sono risultate percentuali elevate di glutine , a fronte di prodotto commercializzato come privo di glutine, nonché di aflatossine in misura superiore al consentito». Per i giudici di merito il quadro probatorio è chiaro così l’imprenditore si ritrova condannato, sia in primo che in secondo grado, per « commercio di sostanze alimentari nocive », con pena fissata in 6 mesi di reclusione e 500 euro di multa. In Appello viene addebitato all’imprenditore «un difetto di controllo della filiera attraverso la quale venivano selezionate e trasformate le materie prime impiegate per la produzione» e, in particolare, «una scarsa attenzione nelle analisi sulle farine , analisi che sono risultate avvenire a campione». Su questo fronte l’imprenditore si è difeso sostenendo che «le verifiche possono ritenersi rassicuranti e capillari, in considerazione dell’attenzione riservata dalla società alla filiera attraverso cui sono selezionate le ditte produttrici e, soprattutto, dell’affidabilità assicurata dall’azienda trasformatrice che, iscritta al prontuario dell’ Associazione italiana celiachia, garantiva che le materie prime trasformate erano prive di contaminazioni da micro-tossine o da altri allergeni, quali il glutine». Per i giudici d’Appello, però, tali dati non consentono di esonerare la società dell’imprenditore «da una verifica più puntuale del prodotto finito, in quanto l’assenza di glutine era il carattere distintivo dei prodotti commercializzati e, sotto diverso profilo, nessuna effettiva delega e, conseguentemente, nessun esonero di responsabilità poteva derivare dal ricorso ad una impresa trasformatrice affidabile e rinomata, in assenza di specifici accordi volti a conferire a quest’ultima l’incarico della puntuale verifica della presenza di tossine o della percentuale di glutine nella materia prima trasformata». Sempre ragionando in questa ottica, infine, i giudici d’Appello aggiungono che «la notevole percentuale di glutine e di sostanze nocive riscontrate nei campioni di prodotti analizzati costituisce riprova di un difetto di monitoraggio sulle caratteristiche qualitative del prodotto e indice di trascuratezza e comunque di lacune nella filiera di controlli». Col ricorso in Cassazione, però, l’imprenditore ripropone la tesi della propria buonafede, mettendo sul tavolo «la descrizione del processo produttivo che porta alla individuazione delle aziende agricole fornitrici dei cereali e alla successiva trasformazione della materia prima» e rappresentando come «i controlli a campione eseguiti dalla sua società, che commercializza il prodotto finito, costituiscono l’ultimo gradino di un monitoraggio che parte dall’accurata selezione delle imprese produttrici, le quali vengono sottoposte a un rigido protocollo di verifica della qualità del prodotto e dell’assenza di contaminazioni e di tossine, e passa attraverso l’attività di trasformazione di una azienda che fornisce ampie garanzie di affidabilità e di rigore nei monitoraggi , trattandosi di realtà tenuta a conformarsi al prontuario della ‘Associazione italiana celiachia’, attività di trasformazione che include la verifica dell’assenza di contaminazione di glutine nei cereali farine di cereali ». Secondo la difesa, quindi, «il prodotto commercializzato è sottoposto a un procedimento di verifica e di selezione che conduce ad escludere, con valutazione ex ante e in concreto, che l’imprenditore potesse prevedere la presenza di fattori nocivi nel prodotto» posto poi in commercio commercializzato, anche tenendo presente l’esistenza di «un processo produttivo sviluppato lungo una sequenza di controlli e verifiche progressive». Per i Magistrati di Cassazione, però, le osservazioni proposte dalla difesa non bastano per mettere in discussione la responsabilità dell’imprenditore . Su questo fronte, difatti, viene condiviso in toto il ragionamento compiuto dai giudici d’Appello, i quali hanno posto in evidenza «tutti i passaggi salienti, in termini causali, che hanno determinato la immissione sul mercato di prodotti cerealicoli potenzialmente dannosi per i consumatori in ragione della presenza di fattori allergenici ai danni di soggetti portatori di intolleranze alimentari al glutine , in ragione del superamento delle soglie regolamentari di tollerabilità in quanto quei fattori, all’esito delle analisi chimiche eseguite, sono risultati presenti in misura anche consistente». Per quanto concerne l’imprenditore, «egli è titolare di una posizione di garanzia che gli impone di governare il rischio connesso alla nocività del prodotto distribuito , laddove, in assenza di deleghe al controllo della qualità del prodotto, non può essere sufficiente», sanciscono i Magistrati, «l’affidamento riposto sulla impresa che si occupa della trasformazione delle materie prime, che garantisce di rispettare i protocolli dell’ Associazione italiana celiachia, trattandosi di mero anello intermedio nella catena di lavorazione che non può esonerare da responsabilità il distributore del prodotto finito, il quale deve attivare controlli capillari per impedire la commercializzazione di prodotti a base di cereali potenzialmente nocivi a causa di agenti tossici o allergenici». Per chiudere il cerchio, infine, i Giudici sottolineano che «i controlli non sono stati sistematici, in quanto svolti a campione, e sono stati comunque inadeguati, in quanto hanno consentito la commercializzazione di una percentuale non trascurabile di prodotto privo di alcun monitoraggio, se non quello assicurato dalla filiera commerciale, così da determinare, in sede di verifica tecnica, valori di glutine di molto superiori ai valori consentiti o tollerati».
Presidente Ferranti – Relatore Bellini Ritenuto in fatto 1.La Corte di Appello di Brescia ha confermato la decisione del Tribunale di Cremona che aveva riconosciuto G.M. colpevole del reato di commercio di sostanze alimentari nocive e lo aveva condannato alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro cinquecento di multa. 2. A G.M., in qualità di presidente del C.d.A. della società omissis s.r.l. e omissis S.R.L., impegnate nella produzione e nella commercializzazione di generi alimentari a base di cereali, veniva contestato di avere distribuito per il consumo sostanze alimentari pericolose per la salute pubblica in quanto, all'esito delle analisi eseguite su alcuni prodotti prelevati a campione presso un esercizio commerciale a omissis e presso la sede della società produttrice omissis , erano risultate percentuali elevate di glutine, a fronte di prodotto commercializzato come privo di glutine , nonché di aflatossine in misura superiore al consentito. 3. Il giudice distrettuale ha confermato il giudizio di responsabilità a carico del G. ravvisando nei suoi confronti un difetto di controllo della filiera attraverso la quale venivano selezionate e trasformate le materie prime impiegate per la produzione e, in particolare, una scarsa attenzione nelle analisi sulle farine che risultavano avvenire a campione . A fronte delle allegazioni della difesa dell'imputato, secondo cui le verifiche dovevano ritenersi rassicuranti e capillari, in considerazione dell'attenzione riservata dalla società omissis s.r.l. alla filiera attraverso cui erano selezionate le ditte produttrici e, soprattutto, dell'affidabilità assicurata dall'azienda trasformatrice omissis , iscritta al prontuario AIC Associazione Italiana Celiachia , la quale garantiva che le materie prime trasformate erano prive di contaminazioni da micro-tossine o da altri allergeni, quali il glutine, evidenziava come tali allegazioni non esoneravano la società di cui il G. era legale rappresentante da una verifica più puntuale del prodotto finito, in quanto l'assenza di glutine era il carattere distintivo dei prodotti commercializzati e, sotto diverso profilo, nessuna effettiva delega e, conseguentemente, nessun esonero di responsabilità poteva derivare dal ricorso ad una impresa trasformatrice affidabile e rinomata, in assenza di specifici accordi volti a conferire a quest'ultima l'incarico della puntuale verifica della presenza di tossine o la percentuale di glutine nella materia prima trasformata. Rilevava altresì che la notevole percentuale di glutine e di sostanze nocive riscontrate nei campioni di prodotti analizzati costituiva riprova di un difetto di monitoraggio sulle caratteristiche qualitative del prodotto, indice di trascuratezza e comunque di lacune nella filiera di controlli. Per tale ragione veniva escluso altresì il beneficio delle circostanze attenuanti generiche. 3. Il ricorrente deduce vizio motivazionale con riferimento al riconoscimento dell'elemento soggettivo del reato di cui all' articolo 452 c.p. Ribadita la descrizione del processo produttivo che portava alla individuazione delle aziende agricole fornitrici dei cereali e alla successiva trasformazione della materia prima, rappresentava come i controlli a campione eseguiti dalla società che commercializzava il prodotto finito costituissero l'ultimo gradino di un monitoraggio che partiva dall'accurata selezione delle imprese produttrici, le quali già erano sottoposte a un rigido protocollo di verifica della qualità del prodotto e dell'assenza di contaminazioni e di tossine, e passava attraverso l'attività di trasformazione di una azienda omissis s.r.l. che forniva ampie garanzie di affidabilità e di rigore nei monitoraggi trattandosi di realtà tenuta a conformarsi al prontuario AIC, che includeva la verifica dell'assenza di contaminazione di glutine nei cereali farine di cereali , mentre la presenza di aflatossine poteva dipendere dai cambiamenti climatici e dall'innalzamento del grado di umidità. Rileva pertanto che il giudice distrettuale aveva del tutto omesso di considerare che il prodotto commercializzato era sottoposto a un procedimento di verifica e di selezione che conduceva ad escludere, con valutazione ex ante e in concreto, che il titolare della società omissis s.r.l. potesse prevedere la presenza di fattori nocivi nel prodotto commercializzato. A fronte delle successive verifiche, che coprivano oltre il 70 per cento dello stesso, non era stato dato conto del reale rimprovero mosso al G. e in particolare quali fossero i termini di paragone della condotta doverosa, a fronte di processo produttivo che si era sviluppato lungo una sequenza di controlli e verifiche progressive. Considerato in diritto 1 II motivo di ricorso che assume vizio motivazionale in punto di coretto accertamento dell'elemento soggettivo del reato in capo al legale rappresentante dell'azienda che aveva distribuito o posto in commercio alimenti, a base di cereali, contenenti sostanze nocive per la salute dei consumatori e in particolare nei confronti dei soggetti affetti da intolleranze alimentari celiaci , risulta manifestamente infonda. 2. Deve a tale proposito considerarsi che la Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado che ha dichiarato l'imputata responsabile dei reati ascritti configurandosi quindi, nel caso che occupa, una c.d. doppia conforme di condanna, avendo entrambi i giudici di merito affermato la responsabilità del [ ] in relazione al reato ascritto in ragione di un difetto di controllo e di verifica tecnica sulla nocività dei prodotti commercializzati. Ne deriva che le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Ulteriore conseguenza della doppia conforme di condanna è che il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione solo nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti sez. 2, numero 5336 del 09/01/2018 , L. e altro, Rv. 27201801 . Nessuna di queste condizioni appare ravvisabile nel caso in disamina in cui il ricorso, sotto l'apparenza del vizio motivazionale, pretende di asseverare, su alcuni punti specifici, una diversa valutazione del compendio probatorio, richiamando aspetti di merito non deducibili in sede di legittimità e legittimare una lettura alternativa delle fonti di prova, rinnovando prospettazioni difensive già adeguatamente vagliate e disattese con motivazione lineare e priva di contraddizioni. 2.1 È noto infatti che esulano dal numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimità le doglianze che investano profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto, che sono riservati alla cognizione del giudice di merito le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell'iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre sez. U. numero 930 del 13/12/1995 - dep. 1996, Clarke, Rv. 203428-01 sez.4, numero 4842 del 2/12/2003 , Elia e altri, Rv.229369 . Più recentemente è stato riconosciuto che ricorre il vizio di motivazione manifestamente illogica nel caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse, nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono, e, invece, di motivazione contraddittoria quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice - conducenti ad esiti diversi - siano state poste a base del suo convincimento sez.5, numero 19318 del 20/01/2021 , Cappella, Rv.281105 . 3. Tanto chiarito, nel caso di specie, la Corte di Appello ha ricostruito la vicenda fattuale in modo logico e coerente, evidenziando in termini analitici tutti i passaggi salienti, in termini causali, che hanno determinato la immissione sul mercato di prodotti cerearicoli potenzialmente dannosi per i consumatori in ragione della presenza di fattori patogeni aflatossine , ovvero allergenici ai danni di soggetti portatori di intolleranze alimentari al glutine , in ragione del superamento delle soglie regolamentari di tollerabilità in quanto gli stessi, all'esito delle analisi chimiche eseguite, erano risultati presenti in misura anche consistente. 3.1 Invero il giudice di appello ha correttamente motivato sulla ricorrenza dell'elemento soggettivo del reato evidenziando che il G. era titolare di una posizione di garanzia che gli imponeva di governare il rischio connesso alla nocività del prodotto distribuito laddove, in assenza di deleghe al controllo della qualità del prodotto, non poteva essere sufficiente l'affidamento riposto sulla impresa che si occupava della trasformazione delle materie prime omissis , che garantiva di rispettare i protocolli AIC, trattandosi di mero anello intermedio nella catena di lavorazione, che non poteva esonerare da responsabilità il distributore del prodotto finito, il quale avrebbe dovuto attivare controlli capillari per impedire la commercializzazione di prodotti a base di cereali potenzialmente nocivi a causa di agenti tossici o allergenici. 3.2 Con argomenti lineari e privi di fratture logiche il giudice distrettuale, al pari della sentenza di primo grado, ha evidenziato come i controlli non erano stati sistematici, in quanto svolti a campione, e comunque inadeguati, in quanto consentivano la commercializzazione di una percentuale non trascurabile di prodotto privo di alcun monitoraggio, se non quello assicurato dalla filiera commerciale, così da determinare, in sede di verifica tecnica valori di aflatossine e glutini di molto superiori ai valori consentiti o tollerati. 3.3 Sotto questo profilo pertanto l'accertamento dell'elemento soggettivo è stato svolto nel rispetto dei principi tracciati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di causalità della colpa, nel senso che l'evento pericoloso che la norma incriminatrice mira a prevenire risultava prevedibile ed evitabile secondo una valutazione operata in concreto ed ex ante e tenuto conto dei profili soggettivi del venditore-distributore del prodotto sez.4, numero 21554 de15/05/2021 , Zoccarato, Rv.281374 numero 32216 del 20/06/2018 , Capobianco e altro, Rv.273568 . Invero in tema di delitti colposi, nel giudizio di prevedibilità , richiesto per la configurazione della colpa, va considerata anche la sola possibilità per il soggetto di rappresentarsi una categoria di danni sia pure indistinta potenzialmente derivante dal suo agire, tale che avrebbe dovuto convincerlo ad astenersi o ad adottare più sicure regole di prevenzione in altri termini, ai fini del giudizio di prevedibilità, deve aversi riguardo alla potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno e non anche alla specifica rappresentazione ex ante dell'evento dannoso, quale si è concretamente verificato in tutta la sua gravità ed estensione sez.4, numero 4675 del 16/05/2006 , PG in proc.Bartalini, Rv.235660-01 Sez.Unumero 38343 del 20/04/2014 , Espenhahn, Rv.261106 . 4. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ragioni di esonero per assenza di colpa, al pagamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende ai sensi dell' articolo 616 c.p.p. , che si reputa equa nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.