Inutile l’istanza risarcitoria avanzata dalla madre del giovane tossicodipendente deceduto dopo essersi buttato nel vuoto dal terrazzo dell’immobile che ospita la comunità di recupero. Decisivo per i Giudici un dato la condotta suicida del giovane è stata imprevedibile e repentina.
Nessuna responsabilità addebitabile alla comunità di recupero, che accoglie alcolisti e tossicodipendenti, per l’imprevedibile suicidio di un ospite. Respinta, di conseguenza, l’istanza risarcitoria avanzata dalla madre del ragazzo deceduto dopo essersi buttato nel vuoto dal terrazzo dell’edificio che ospita la comunità. Ad essere presa in esame è la triste storia della morte di un giovane preda della droga e della sofferenza patita dalla madre. Il decesso del giovane si concretizza all’interno di una comunità di recupero. Nello specifico, egli «è precipitato nel vuoto da un terrazzo dell’edificio dell’associazione dove si trovava per un programma di disintossicazione e recupero dalla dipendenza di eroina», racconta la madre – che, perciò, cita in giudizio l’associazione deducendo che la fatale caduta del figlio «è avvenuta accedendo da una porta priva della vetrata che avrebbe dovuto avere e lasciata quindi aperta, senza vigilanza». Per la madre, quindi, non ci sono dubbi la morte del figlio è addebitabile ai responsabili della comunità di recupero. Questa visione viene però respinta dai giudici di merito, i quali ritengono impossibile sostenere che il suicidio del giovane si sia concretizzato per «una carente vigilanza». In sostanza, è vero che «in capo all’associazione sussisteva un obbligo di sorveglianza in quanto soggetto gestore di una casa di accoglienza con regole di condotta e uno specifico programma correlato alla qualità dell’ospite, soggetto debole vincolato a regole di permanenza», ma, osservano i giudici, «le risultanze processuali hanno dimostrato la predisposizione di misure organizzative idonee alla suddetta funzione di sorveglianza» mentre «le condizioni della vittima non avevano invece palesato indici che potessero far prevedere un gesto repentino come quello posto in essere». Inutile il ricorso in Cassazione proposto dal legale della madre del giovane. Anche i Giudici di terzo grado, difatti, ritengono non addebitabile alla comunità di recupero la responsabilità per la morte del ragazzo. Corretta e condivisa la valutazione compiuta in Appello, laddove si è presa in esame «la domanda risarcitoria» avanzata dalla madre «per omessa sorveglianza ovvero protezione cui l’associazione era tenuta in forza del contratto che la obbligava a erogare il servizio di recupero dalla tossicodipendenza». In particolare, viene chiarito che all’associazione è stato chiesto di «dimostrare di non aver potuto impedire il danno» e l’associazione ha certificato la correttezza della propria condotta, poiché ha chiarito che «gli ospiti della struttura accettano regole di permanenza stringenti, come perquisizioni, limitazioni dell’uso del denaro, del telefono, delle visite, delle uscite con l’accompagnamento di un operatore» e ha così «individuato le misure di sicurezza e disciplinari approntate e applicate» all’interno della struttura. Per completare il quadro, infine, viene rilevato che «sia l’assistente sociale che il medico che gli altri ragazzi presenti nella struttura avevano descritto il comportamento del giovane come del tutto privo, al tempo dei fatti, di indizi riferibili a condotte autolesionistiche o che potessero essere fonte di preoccupazione specifica». Tirando le somme, «la condotta suicida» del ragazzo «deve ritenersi essere stata imprevedibile quanto repentina», confermano i Magistrati, e ciò fa venire meno ogni ipotesi di responsabilità a carico della comunità di recupero.
Presidente Spirito – Relatore Porreca Rilevato che M.L., in proprio e quale erede di D.D., ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza numero 918 del 2018 della Corte di appello di Lecce, esponendo che - il figlio D.D. era deceduto precipitando nel vuoto da un terrazzo dell'edificio dell'Associazione omissis , dove si trovava per un programma di disintossicazione e recupero dalla dipendenza di eroina - aveva convenuto l'associazione deducendo che la caduta era avvenuta accedendo da una porta priva della vetrata che avrebbe dovuto avere e lasciata quindi aperta, senza vigilanza - non era risultato formato neppure il rapporto giornaliero sulle condizioni di salute anche psichica del paziente - erano stati dunque violati obblighi sia contrattuali che extracontrattuali di adempimento della prestazione di assistenza e di sorveglianza - il Tribunale aveva rigettato la domanda con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cui, in particolare - a al tema da decidere era estraneo sia quello della responsabilità ex articolo 2051, c.c., che quello della violazione delle norme antinfortunistiche, poiché nella citazione davanti al giudice di primo grado era stato allegato che il suicidio si era concretizzato per la carente vigilanza del paziente, rispetto alla quale l'accesso al terrazzo lasciato aperto e sprovvisto di misure di sicurezza era stato prospettato solo come fatto sintomatico di quella - b in capo all'associazione sussisteva un obbligo di sorveglianza in quanto soggetto gestore di una casa di accoglienza con regole di condotta e uno specifico programma correlato alla qualità dell'ospite, soggetto debole vincolato a regole di permanenza - c d'altra parte, le risultanze processuali avevano dimostrato la predisposizione di misure organizzative idonee alla suddetta funzione di sorveglianza, e le condizioni della vittima non avevano invece palesato indici che potessero far prevedere un gesto repentino come quello posto in essere - d il danno biologico genericamente prospettato era comunque rimasto indimostrato e la sollecitata perizia giudiziale era inammissibile perché meramente esplorativa in assenza di documentazione a supporto, anche medica resiste con controricorso l'Associazione omissis che ha depositato altresì memoria il Pubblico Ministero ha formulato conclusioni scritte. Rilevato che con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli articolo 1218 e 2051, c.c., e delle regole di riparto degli oneri probatori a carico del custode, posto che - la custodia sulle cose, ovvero del terrazzo, era stata oggetto di trattazione sia in primo che secondo grado, spettando poi al giudice la qualificazione giuridica dei fatti - l'omessa predisposizione di misure antinfortunistiche era stata argomentata in appello - avrebbe dovuto essere l'associazione a provare l'imprevedibilità del gesto nei termini di caso fortuito, come non avvenuto - la Corte territoriale aveva omesso di apprezzare gli episodi denunciati dalla ricorrente, come il camminare sul cornicione, farsi la doccia vestito, avere lo sguardo assente nel vuoto , indicati in appello, circostanze non contestate ed emergenti dalla prova testimoniale assunta, univoci indici della violazione dell'obbligo di protezione assunto dalla convenuta con il secondo motivo si prospetta la motivazione meramente apparente e la violazione in iudicando , poiché la Corte di appello avrebbe errato - affermando l'esistenza di un rapporto giornaliero sullo stato di salute della vittima, di cui si era allegata la mancanza, senza contestazioni, come evidenziato in comparsa conclusionale in secondo grado e come confermato dalla deposizione del teste A. - mancando di specificare quali fossero le idonee misure organizzative approntate dall'associazione - omettendo di valutare i sopra ricordati episodi, in uno a quelli di altri tentativi di suicidio e suicidi, e dunque mal valutando le prove assunte - omettendo di considerare che la violazione dell'obbligo di custodia del terrazzo era stata tanto più incidente tenuto conto delle condizioni dei soggetti come la vittima, tossicodipendenti psicolabili, che escludevano si potesse ipotizzare il caso fortuito imprevedibile per un evento come quello accaduto, con conseguente violazione degli articolo 1218 e 2051, c.c. con il terzo motivo si prospetta l'omessa pronuncia sull'allegazione della violazione degli obblighi derivanti dal contratto con effetti protettivi quale quello che vincolava la struttura e l'assistito Considerato che i motivi, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati deve premettersi che la sentenza gravata esclude la fondatezza della domanda per le ragioni da a a c riassunte in parte narrativa pag. 10, primo capoverso, della decisione , rilevando, in fine, la mancanza di supporto istruttorio per la quantificazione del danno biologico, in termini, non oggetto di specifica censura, aggiuntivi, a fronte del carattere assorbente dei prima estesi rilievi in ogni caso, la Corte territoriale ha interpretato la domanda escludendo fosse stata formulata nei termini della responsabilità custodiale ex articolo 2051, c.c. in specie ha affermato, come sopra ricordato, che l'accesso al terrazzo lasciato aperto e sprovvisto, oltre che di vetrata di chiusura, d'idonee misure di sicurezza, era stato prospettato solo come fatto sintomatico della carenza di sorveglianza personale effettivamente posta a base della pretesa pag. 6 della sentenza parte ricorrente afferma solo genericamente che il tema della custodia di cose, ovvero del terrazzo, era stata oggetto di trattazione sia in primo che secondo grado pag. 14 del ricorso , aggiungendo che l'ulteriore tema del difetto di misure antinfortunistiche era stato allegato in appello stessa pagina, in fine ora, premesso che le deduzioni in appello sono prive di significato concludente proprio perché la Corte di seconde cure ha rilevato la novità del tema rispetto a quello di primo grado, va sottolineato che quanto riportato della citazione stessa pagina del ricorso, secondo capoverso , è plausibilmente interpretabile come motivato dal Collegio di merito dev'essere ribadito che, escluse violazioni processuali e in specie quella dell'omessa pronuncia ovvero l'erronea qualificazione giuridica dei fatti, l'interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito ed è insindacabile se idoneamente motivata Cass., 10/06/2020, numero 11103, pag. 14, Cass., 09/05/2022, numero 14669 nel caso, non vi è alcuna omessa pronuncia posto che la Corte di merito - previa qualificazione dei fatti danno in conseguenza di morte ai sensi dell'articolo 2047, c.c. - ha scrutinato la domanda risarcitoria per omessa sorveglianza ovvero protezione cui l'associazione era tenuta in forza del contratto che la obbligava a erogare il servizio di recupero dalla tossicodipendenza e ha motivatamente ricostruito la pretesa formulata con riferimento oggettivo del correlato obbligo di sorveglianza, piuttosto che custodiale, alla persona vittima e non alla cosa terrazzo incustodito , ciò che costituisce il discrimine con l'ipotesi dell'articolo 2051, c.c. ciò posto, la Corte territoriale - ha imputato all'associazione l'onere di dimostrare di non aver potuto impedire il danno - ha ritenuto in fatto evaso l'onere in parola osservando che, secondo le risultanze, gli ospiti della struttura accettavano regole di permanenza stringenti, come perquisizioni, limitazioni dell'uso del denaro, del telefono, delle visite, delle uscite al contempo accompagnate da un operatore, così individuando le misure di sicurezza e disciplinari approntate e dunque implicitamente quanto presuntivamente applicate pagg. 7, penultimo capoverso, 9, penultimo capoverso, della sentenza - ha indicato inoltre che sia l'assistente sociale che il medico e altri ragazzi presenti in struttura, avevano descritto il comportamento della vittima al tempo dei fatti come del tutto privo di indizi riferibili a condotte autolesionistiche o che potessero essere fonte di preoccupazione specifica - ha di conseguenza rimarcato che la condotta suicida della vittima doveva ritenersi essere stata imprevedibile quanto repentina a fronte di questo, parte ricorrente afferma ma non dimostra specificatamente, ai sensi dell'articolo 366, numero 6, c.p.c., di aver allegato per tempo, negli atti assertivi, gli episodi dedotti nelle censure pag. 19, richiamando la comparsa conclusionale, meramente illustrativa pag. 26, richiamando complessivamente e genericamente l'atto di appello, e poi la memoria, anch'essa illustrativa, di replica cfr. Cass., Sez. U., 27/12/2019, numero 34469 , peraltro indicati come risultanti da una prova testimoniale non specificata pag. 22, terzo capoverso, in fine e comunque posti a base di una complessiva richiesta di rilettura istruttoria, estranea alla presente sede di legittimità deve aggiungersi che il ricorso, con una continua mescolanza di deduzioni contraddittorie articolo 1218, c.c., responsabilità contrattuale, articolo 2051, c.c., responsabilità aquiliana, con la vista estraneità alla ricostruita domanda giudiziale avanzata , fa ulteriore riferimento a non meglio specificati episodi di tentativi di suicidio e suicidi che non si spiega quando allegati e come emersi è del tutto evidente che, parimenti, in questo quadro, la questione del rapporto giornaliero non possa in alcun modo ex se risultare potenzialmente decisiva, ferma restando, più in generale, la preclusione del motivo di cui all'articolo 360 c.p.c., numero 5, derivante dalla c.d. doppia conforme di merito tornando, infine, sull'evocato caso fortuito, è evidente che la condotta della vittima, ricostruita come del tutto imprevedibile e repentina, integri equivalente causa assorbente di elisione del nesso eziologico astrattamente correlabile alla condotta del responsabile ex articolo 2047, c.c. Cass., 19/06/1997, numero 5485 arg. ex Cass., Sez. U., 30/06/2022, numero 20943 spese secondo soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di parte controricorrente liquidate in Euro 2.200,00 oltre a 200,00 Euro per esborsi, 15% di spese forfettarie e accessori legali. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, se dovuto, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.