Il clima di sfiducia porta alla rottura della coppia: impossibile addebitare la separazione a uno dei coniugi

Confermata in Cassazione la valutazione compiuta in appello e centrata sui comportamenti ambivalenti e non trasparenti da parte di ciascun coniuge verso l’altro, comportamenti che hanno consentito di dedurre il sopravvento di una situazione di reciproco venir meno delle aspettative riposte l’uno nell’altro, cosa che ha finito per minare la fiducia di coppia e l’unione matrimoniale.

Sfiducia reciproca e mancanza di armonia portano alla rottura della coppia . Impossibile, perciò, addebitare a uno solo dei due coniugi la colpa della crisi culminata nella separazione. Ufficializzata la separazione tra Tizio e Caia, i giudici di merito respingono le reciproche domande di addebito e, inoltre, riconoscono alla moglie un assegno mensile di 1.500 euro a titolo di mantenimento. In particolare, in Appello, viene precisato che l’istruttoria espletata non ha consentito di accertare a quale dei due coniugi sia da ascrivere la responsabilità della crisi irreversibile dell’unione , soprattutto perché sono emersi comportamenti ambivalenti e non trasparenti da parte di ciascun coniuge verso l’altro, comportamenti che non rendono verosimile un’univoca responsabilità dell’uno o dell’altro coniuge ma consentono di dedurre il sopravvento di una situazione di reciproco venir meno delle aspettative riposte l’uno nell’altro , cosa che ha finito per minare la fiducia di coppia e l’unione matrimoniale . Per quanto concerne il mantenimento in favore della donna, i giudici d’Appello sottolineano che ella aveva, prima di sposarsi, una attività lavorativa nel settore del commercio e durante la convivenza, protrattasi per sei anni, dopo un breve periodo in cui aveva lavorato part-time, aveva cessato ogni forma di impiego, continuando tuttavia a ricevere dalla famiglia la disponibilità di 2.500 mensili . Ciò significa, secondo i giudici, che il tenore di matrimoniale vita era stato elevato, provvedendo il marito ad assicurare alla coniuge e alle figlie di quest’ultima, frutto di un precedente matrimonio, una complessiva serie di benefici viaggi, formazione-studio, affitto, casa, permanenza all’estero e a coltivare la propria passione per cani e gatti di razza, presenti in quantità presso la villa di famiglia . Per chiudere il cerchio, infine, i giudici d’Appello osservano che Caia è onerata di un canone locativo di circa 700 euro mensili e svolge lavori occasionali mentre Tizio è, insieme al fratello, contitolare di un’azienda agricola risulta essere comproprietario della nuda proprietà di numerosi immobili, terreni ed edifici di cui i genitori risultano usufruttuari seppure estromesso dalla gestione diretta dell’azienda, continua a beneficiare del sostegno economico – non quantificato – da parte della famiglia d’origine, la quale trae le proprie risorse dall’azienda e dagli immobili . A fronte di tale quadro, è corretta, sanciscono i giudici d’Appello, in favore di Caia l’attribuzione dell’emolumento nella misura riconosciuta dal Tribunale, avuto riguardo alle complessive condizioni dei coniugi, al sostegno familiare fornito in costanza di matrimonio, alle risorse attuali di Tizio, alla breve durata del matrimonio, alla capacità lavorativa prolungata e specifica di Caia . Inutile la scelta di Caia e di Tizio di approdare in Cassazione. I Magistrati di terzo grado hanno difatti confermato in toto le decisioni prese nel giugno del 2021 dai giudici d’Appello. Per quanto concerne il possibile addebito della separazione tra Caia e Tizio, viene fatto riferimento alla ricostruzione dei fatti che hanno portato alla rottura della coppia. Nello specifico, le dichiarazioni testimoniali raccolte non hanno consentito di ricondurre la responsabilità della fine dell’unione ad alcuno dei coniugi . In particolare, la rappresentazione data dai testi introdotti dalla donna, ossia di una coppia in persistente armonia, è stata smentita dai testi del marito i quali hanno riferito di un rapporto in crisi a causa delle condotte di sofferenza della donna rispetto all’acuirsi del disturbo depressivo dell’uomo e della drastica riduzione delle risorse economiche, riduzione provocata dall’esclusione dell’uomo dall’azienda di famiglia . Inoltre, è emerso un clima di sfiducia , come certificato dalle parole dell’avvocato di Caia il legale ha spiegato di avere trovato anomala la prospettazione, fornitale dalla cliente, di un periodo in cui i coniugi, stante il disturbo depressivo del marito, avrebbero vissuto l’una in una città e l’altro in un’altra città per poi ricongiungersi nella stessa città . In sostanza, anche per i Giudici di Cassazione è impossibile ipotizzare una piena armonia della coppia , proprio alla luce delle condotte ambivalenti tenute da entrambi i coniugi, i quali non hanno fornito la prova del nesso di causalità tra la situazione di intollerabilità della convivenza e la violazione dei doveri coniugali dell’uno e dell’altra . Per quanto concerne, poi, il capitolo relativo al mantenimento riconosciuto a Caia, i Magistrati di Cassazione ritengono corretta la decisione presa dai giudici d’Appello, poiché poggiata sulle concrete condizioni economiche dell’uomo e sul tenore di vita goduto dalla coppia in costanza di matrimonio . In questa prospettiva sono state comparato le due posizioni economiche e ciò ha consentito di rilevare uno squilibrio a livello patrimoniale e di reddito tra Tizio e Caia, e per la quantificazione dell’emolumento nella misura di 1.500 euro mensili sono state tenute in considerazione le potenzialità lavorative e l’attitudine al lavoro della donna , tenendo conto dello svolgimento di lavori occasionali e della capacità lavorativa pregressa e specifica, nonché della durata del matrimonio e dell’attuale condizione economica dell’uomo , il quale è stato sì estromesso dall’azienda familiare ma continua a beneficiare di un totale sostegno della famiglia, che, a sua volta, attinge risorse dall’azienda e dal patrimonio immobiliare .

Presidente Antonio – Relatore Caprioli Svolgimento del processo Considerato che Con sentenza n. omissis la Corte di appello di Roma rigettava l'appello principale proposto da S.P. e quello incidentale proposto da S.E. avverso la decisione n. omissis del Tribunale di Velletri con cui era stata dichiarata la separazione dei coniugi e rigettate le reciproche domande di addebito nonché attribuito in favore della moglie, a titolo di mantenimento, l'assegno di Euro 1.500,00 mensile. Il Giudice del gravame rilevava, per quanto riguarda le reciproche domande di addebito, che l'istruttoria espletata non aveva consentito di accertare a quale dei due coniugi fosse da ascrivere la responsabilità della crisi irreversibile dell'unione. Riteneva infatti che erano emersi comportamenti ambivalenti e non trasparenti da parte di ciascun coniuge verso l'altro, che non rendevano verosimile un'univoca responsabilità dell'uno o dell'altro coniuge ma il sopravvento di una situazione di reciproco venir meno delle aspettative riposte l'uno nell'altro, cosa che aveva finito per minare la fiducia di coppia e l'unione matrimoniale. Con riguardo al contributo per il mantenimento della moglie rilevava che la decisione non fosse censurabile. Osservava al riguardo che la ricorrente, prima di sposarsi, aveva svolto una attività lavorativa nel settore del commercio e durante la convivenza, protrattasi per 6 anni, dopo un breve periodo nel quale aveva lavorato part-time, aveva cessato ogni forma di impiego continuando tuttavia a ricevere dalla famiglia la disponibilità di Euro 2.500,00 mensili. Rilevava che il tenore di vita era stato elevato, provvedendo il marito ad assicurare alla coniuge e alle figlie di quest'ultima, frutto di un precedente matrimonio, una complessiva serie di benefici viaggi, formazione-studio, affitto, casa, permanenza all'estero e a coltivare la propria passione per cani e gatti di razza, presenti in quantità presso la villa di famiglia. Sottolineava che attualmente l'appellante viveva a Firenze ed era onerata di un canone locativo di circa Euro 700,00 mensili e svolgeva lavori occasionali mentre l'appellato insieme al fratello. era contitolare dell'azienda agricola omissis , comproprietario della nuda proprietà di numerosi immobili, terreni ed edifici di cui i genitori risultano usufruttuari e, seppure estromesso dalla gestione diretta dell'azienda, continuava a beneficiare del sostegno economico non quantificato da parte della famiglia d'origine, la quale traeva le proprie risorse dall'azienda e dagli immobili. In questo quadro, riteneva corretta l'attribuzione in favore dell'appellante dell'emolumento nella misura riconosciuta dal Tribunale, avuto riguardo alle complessive condizioni dei coniugi, al sostegno familiare fornito dallo S. in costanza di matrimonio, alle risorse attuali del coniuge obbligato, alla breve durata del matrimonio, alla capacità lavorativa prolungata e specifica della beneficiaria. Avverso tale sentenza, S. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui ha resistito S.E., con controricorso e ricorso incidentale, fondato su due motivi. Entrambe le parti hanno redatto memorie illustrative in prossimità dell'udienza. Ragioni della decisione Considerato che Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione di un omesso fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti in relazione all' art. 360 comma 1 n. 3 e 5 c.p.c. per non avere la Corte di appello esaminato il programma di vita convenuto con la scrittura del 11 maggio 2016 in base al quale il marito avrebbe dovuto raggiungere la moglie a Firenze al più presto, circostanza che non si realizzò proprio a causa del deposito del ricorso per separazione in data 31.5.2016 da parte dello S Con un secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 143,144 e 146 c.c. e del dovere di coabitazione, per non avere la Corte di appello individuato nell'abbandono del tetto coniugale da parte del marito la causa determinante della fine dell'unione. Si sostiene che il giudice di secondo grado aveva accertato che la comunicazione, attraverso il messaggio telefonico inviato nel giugno del omissis e preceduto dal deposito in data omissis del ricorso per separazione, doveva considerarsi un comportamento contrario ai doveri matrimoniali. Si afferma pertanto, in questo quadro, che il nuovo programma di vita , con cui S.E. progettava sue venute a […] sino al omissis , avrebbe rappresentato un mero pretesto per allontanare subdolamente la S Con un terzo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell' art. 156 primo e comma 2 c.c. , carenza, illogicità e genericità della motivazione in ordine al quantum del mantenimento. Si duole in particolare che la Corte di appello avrebbe non correttamente applicato i parametri normativi fissati dall' art. 156 c.c. che impongono di determinare l'entità dell'assegno di mantenimento in relazione alle circostanze e ai redditi dell'obbligato. Il ricorrente incidentale, dal canto suo, denuncia l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione in relazione all'art. 360 comma 1 nr 3 e 5 c.p.c Lamenta infatti che il Tribunale, pur dando atto che il documento datato omissis sottoscritto dalla moglie rappresentava un chiaro sintomo di una volontà di rottura dell'unione ancora prima del deposito del ricorso per separazione da parte del marito, non ne avrebbe tratto conseguenze coerenti con la premessa non riconoscendo che tale scrittura rappresentava la sintesi di tutto il comportamento posto in essere dalla S.P. dal gennaio omissis da quanto abbandonava il marito a sé stesso lasciando prima il letto coniugale e poi la Casa di omissis . Con un secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 548 e 156 c.c. per non avere la Corte di appello valutato correttamente i fatti che hanno determinato la fine del rapporto e gli elementi oggettivi della condizione economica dello S I primi due motivi del ricorso principale possono essere esaminati congiuntamente al primo di quello introdotto dal ricorrente in via incidentale in quanto diretti a contestare l'iter argomentativo che ha condotto la Corte di appello a rigettare la domanda di addebito, sono inammissibili. Il Giudice di merito ha operato una ricostruzione dei fatti storici che avevano portato alla separazione dando conto degli esiti delle prove orali. In proposito ha evidenziato che le dichiarazioni testimoniali raccolte non consentivano di ricondurre la responsabilità della fine dell'unione ad alcuno dei coniugi. Il giudice del merito ha infatti osservato che, la rappresentazione data dai testi introdotti dalla S. ossia di una coppia in persistente armonia, era smentita da quelli del marito i quali avevano riferito di un rapporto in crisi a causa delle condotte di sofferenza della moglie rispetto all'acuirsi del disturbo depressivo dello S. e della drastica riduzione delle risorse economiche provocata dall'esclusione di quest'ultimo dall'azienda di famiglia. La Corte distrettuale ha poi messo in luce che l'esistenza di un clima di sfiducia era emersa dalla deposizione resa dallo stesso avvocato della S., la teste D.P. la quale, incaricata della predisposizione della scrittura dell' omissis , aveva trovato anomala la prospettazione, fornitale dalla S., di un periodo in cui i coniugi, stante il disturbo depressivo del marito, avrebbero vissuto l'una a […] l'altro a […] per poi ricongiungersi in […] . La stessa redazione di una tale scrittura è stata ritenuta dalla Corte come un elemento che contrastava con la piena armonia della coppia , sino al messaggio telefonico del omissis inviato dal marito. Con riguardo alla posizione di quest'ultimo ha escluso poi che la fine dell'unione fosse riconducibile alla presunta mancata assistenza della moglie rilevando come gli esiti delle prove orali e la stessa condotta ambivalente tenuta da quest'ultimo non consentisse di ricondurre alla responsabilità esclusiva della moglie la crisi irreversibile dell'unione. Le impugnate conclusioni si rivelano pertanto sostenute da logiche ed esaurienti ragioni, dunque, non apparenti, ancorate alle emerse ed esaminate risultanze istruttorie. Come ormai noto, tale normativa, circoscrivendo il vizio di motivazione deducibile mediante il ricorso per cassazione all'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituisce espressione della volontà del legislatore di ridurre al minimo costituzionale l'ambito del sindacato spettante al Giudice di legittimità in ordine alla motivazione della sentenza, restringendo l'anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità ai soli casi in cui il vizio si converte in violazione di legge, per mancanza del requisito di cui all' art. 132 c.p.c. , n. 4, ossia ai casi in cui la motivazione manchi del tutto sotto l'aspetto materiale e grafico, oppure formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere d'individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum, e tale vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza cfr. Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014 nn. 8053 e 8054 Cass., Sez. 6. 8 ottobre 2014, n. 21257 , ipotesi nella specie non ravvisabili. Al riguardo va ribadito il principio secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale, ma solo la facoltà del controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge cfr. Cass.331/2020 , Cass. 21098/2016 , Cass. 27197/2011 . Neppure può dirsi integrato l'omesso esame di un fatto decisivo rappresentato dalla scrittura del omissis che invero è stata oggetto di approfondita valutazione e la censura si risolve in un mero dissenso rispetto a un apprezzamento di fatto che, essendo frutto di una determinazione discrezionale del giudice di merito, non è sindacabile da questa Corte. Peraltro va ricordato che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie Cass. Sez. U, 07/04/2014, nn. 8053 e 8054 . Con riferimento al ricorrente incidentale le censure si rivelano generiche e per di più volte a far valere condotte diverse abbandono del tetto coniugale e mancanza di assistenza durante la malattia da quelle poste originariamente a base della domanda di addebito fondata unicamente sulla sottoscrizione del documento 11.5.2016 e quindi volte ad introdurre elementi di novità rispetto alle originarie allegazioni. Le critiche svolte dalla ricorrente principale e da quello incidentale, al di là della formale denuncia di violazione di legge, non censurano i principi interpretativi applicati dal giudice di merito cfr. Sez. Un. 2494/1982 Cass., n. 3923/2018 Cass., n. 2059/2012 , ma l'esito dell'apprezzamento di fatto, senza confrontarsi con la ratio decidendi sottesa al provvedimento impugnato, secondo cui nessuno dei coniugi aveva fornito la prova del nesso di causalità tra la situazione di intollerabilità della convivenza e la violazione dei doveri coniugali dell'uno e dell'altra. Passando al terzo motivo del ricorso principale ed al secondo di quello incidentale entrambi diretti a contestare unicamente la misura dell'assegno di mantenimento, non avendo lo S. censurato l'an del diritto se non al limitato fine dell'addebito, si rivelano inidonee a scalfire il decisum. La decisione qui impugnata infatti ha fatto corretta applicazione dei parametri di legge valutando le concrete condizioni economiche del coniuge obbligato e le altre circostanze richiamate dall' art. 156 c.c. , comma 2 ed ha ricostruito il tenore di vita goduto dalla coppia in costanza di matrimonio. In questa prospettiva la Corte distrettuale ha comparato le due posizioni economiche compiutamente descritte a pag 9 della sentenza impugnata ed ha rilevato, all'esito, uno squilibrio tra le suddette posizioni ed ha quindi considerato ai fini della quantificazione dell'emolumento nella misura di Euro 1.500,00 mensili le potenzialità lavorative e l'attitudine al lavoro della richiedente tenendo conto dello svolgimento di lavori occasionali e della capacità lavorativa pregressa e specifica nonché dell'attuale condizione economica del marito e della durata del matrimonio. Tale giudizio di fatto riservato al giudice di merito, non può essere rivisitato in questa sede mediante una denuncia di omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5, tale non potendo considerarsi le risultanze istruttorie Cass. Sez. U., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054 Cass., 29/10/2018, n. 27415 . Con riguardo poi alle critiche fatte valere dal ricorrente in via incidentale relative al peggioramento della sua situazione economica documentata dal pignoramento delle sue quote e delle sue condizioni di salute si tratta di elementi già esaminati dalla Corte di appello la quale ha messo in risalto che lo S., pur estromesso dalla società, continua a beneficiare di un totale sostegno della famiglia non quantificabile sottolineando che l'intera famiglia attinge le sue risorse dall'azienda e dal patrimonio immobiliare. Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso principale e quello incidentale vanno rigettati. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione fra le parti delle spese di legittimità. P.Q.M. La corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale compensa fra le parti le spese del giudizio di legittimità dispone che in caso di diffusione della presente siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 5 2. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1 , comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quello incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato se dovuto.