La notizia di reato alla base del decreto autorizzatorio delle intercettazioni può essere desunta anche da precedenti intercettazioni inutilizzabili, in specie quando da un'intercettazione erroneamente autorizzata in presenza di gravi indizi dei reati di omicidio colposo e di epidemia colposa emergano gli estremi di un delitto di corruzione.
Il caso di specie Il GIP del Tribunale di Civitavecchia ha applicato a due soggetti indagati la misura degli arresti domiciliari il primo A , indagato per il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all' art. 319-quater c.p. e per il reato di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio art. 319 c.p. , e, il secondo B , indagato per il reato di omicidio colposo art. 589, commi 1 e 4, c.p. e per il reato di corruzione nell'ipotesi di cui all' art. 321 c.p. In particolare, secondo l'ipotesi accusatoria, B, in qualità di amministratore e gestore di cinque residenze per anziani, avrebbe colposamente provocato il decesso di alcuni ospiti, omettendo sistematicamente di adottare le regole precauzionali per prevenire la diffusione del COVID 19 all'interno delle strutture e tenendo condotte imprudenti, quale, ad esempio, far Iavorare dipendenti positivi al virus, per effetto dei quali si sarebbe sviluppato all'interno delle strutture un cluster pandemico con infezione di quasi tutti gli anziani e con la morte di alcuni di essi, tra la metà di gennaio e la metà di febbraio 2021. Nel corso delle indagini sono state autorizzate le intercettazioni telefoniche dalle quali sono emersi rapporti tra B e il primo imputato, luogotenente della Guardia di Finanza, nell'ambito dei quali il primo prometteva o elargiva utilità economiche in favore del secondo, che si impegnava ad acquisire informazioni su eventuali indagini a carico di B o ad influire sui controlli sulle sue strutture tramite altro luogotenente dei Carabinieri. Il Tribunale di Roma, in funzione di Giudice del riesame cautelare, ha confermato l'ordinanza cautelare previa riqualificazione, per l'indagato A, del reato di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all' art. 319-quater c.p. nel reato di corruzione per l'esercizio della funzione di cui all' art. 318 c.p. Entrambi gli indagati hanno proposto separati ricorsi per cassazione. I motivi di ricorso L'indagato A ha eccepito, tra i diversi motivi, l'inutilizzabilità delle intercettazioni disposte nel procedimento e i vizi di violazione di legge e di illogicità della motivazione in ordine al quadro indiziario con riferimento alla riqualificazione del reato di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all' art. 319-quater c.p. nel reato di corruzione per l'esercizio della funzione di cui all' art. 318 c.p. In particolare, in merito all'inutilizzabilità delle intercettazioni, l'indagato A ha rilevato, quanto alle intercettazioni autorizzate inizialmente a carico del solo B, l'illegittimità di tali intercettazioni in quanto autorizzate per il reato di omicidio doloso nonostante nella stessa informativa di polizia giudiziaria si ipotizzassero a carico di quest'ultimo i diversi reati di omicidio colposo e di epidemia colposa. Quanto alle intercettazioni successive, la Difesa di A ha prospettato un'inutilizzabilità derivata in quanto le stesse sarebbero state fondate su una conversazione captata nell'ambito delle intercettazioni illegittimamente autorizzate per i reati di omicidio doloso. L'indagato B, sempre tra i vari motivi, ha eccepito la violazione degli artt. 110, 319 e 321 c.p. in relazione alla contestazione del reato di corruzione propria e i vizi di motivazione e di travisamento della prova . In particolare, il Tribunale sarebbe incorso nel travisamento di una delle conversazioni intercettate, desumendone elementi indiziari a conferma della disponibilità del luogotenente della Guardia di Finanza. I presupposti di legittimità delle intercettazioni In relazione alle intercettazioni autorizzate per il reato di omicidio doloso nonostante la prospettazione dei diversi reati di omicidio colposo e di epidemia colposa a carico del gestore delle residenze per anziani nell'informativa di polizia giudiziaria, la Corte di Cassazione ha ritenuto viziato il ragionamento del Tribunale. Il Tribunale di Civitavecchia aveva confermato il primo decreto autorizzativo delle intercettazioni considerando che al momento della sua adozione sussistevano gravi indizi del reato doloso desumibili dalle dichiarazioni di alcune dipendenti dell'indagato B in merito alle gravi e sistematiche irregolarità nella gestione del COVID all'interno delle residenze e, in particolare, al fatto che questi aveva costretto degli operatori positivi al COVID a rimanere in servizio. Ebbene la Corte di Cassazione ha richiamato alcuni fondamentali principi in materia di intercettazioni affermati dalla giurisprudenza di legittimità in plurime occasioni. In primis la legittimità di una intercettazione deve essere verificata al momento in cui la captazione è richiesta ed autorizzata, non potendosi procedere al controllo della sua ritualità sulla base delle risultanze derivanti dal prosieguo delle captazioni e dalle altre acquisizioni Cass. Pen., Sez. 6, n. 21740, del 01/03/2016 , Masciotta, Rv. 266922 . In secondo luogo, al fine di evitare indebite strumentalizzazioni del mezzo intercettivo , la legittimità dell'autorizzazione deve essere valutata con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di uno dei reati previsti dall' art. 266 c.p.p. , rubricato limiti di ammissibilità, ed alla assoluta indispensabilità del mezzo di ricerca della prova ai fini della prosecuzione delle indagini. Più precisamente, l'intento del Legislatore è quello di prevenire il rischio di autorizzazione in bianco e di impedire, altresì, che l'intercettazione da mezzo di ricerca della prova si trasformi in mezzo per la ricerca della notizia di reato. Con riferimento al caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto che la verifica di serietà dell'iniziale ipotesi accusatoria di omicidio doloso, posta a fondamento della prima richiesta di autorizzazione delle intercettazioni, sia mancata. Infatti, ad avviso della Corte, le dichiarazioni delle dipendenti del gestore delle residenze in merito alle gravi e sistematiche irregolarità nella gestione del COVID non apparirebbero sintomatiche della diretta volizione dell'evento morte da parte dell'indagato B né tantomeno della rappresentazione e accettazione del rischio di tale evento, trattandosi, piuttosto, di una condotta negligente ed imperita pienamente riconducibile al paradigma della colpa , come confermato anche dalla successiva riqualificazione del reato in omicidio colposo. Tale ricostruzione ha osservato il Collegio risulta inoltre coerente con l'iniziale ipotesi già formulata nell'informativa di reato. In conclusione, la Corte ha ritenuto inutilizzabili le intercettazioni autorizzate in relazione al reato di omicidio doloso inizialmente ipotizzato a carico dell'indagato B poiché il mezzo intercettivo è stato autorizzato in presenza di gravi indizi del solo reato di omicidio colposo per il quale non è consentito il ricorso a tale mezzo di ricerca della prova. L'inutilizzabilità derivata non sussiste La Suprema Corte ha ritenuto privo di pregio il motivo di ricorso inerente alla inutilizzabilità derivata delle successive intercettazioni. In buona sostanza il Collegio ha ritenuto che il Tribunale avesse correttamente considerato sufficiente, come notizia di reato, la conversazione captata nell'ambito delle intercettazioni illegittimamente autorizzate per i reati di omicidio doloso di cui al punto precedente. È stato infatti ribadito che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, ciascun decreto autorizzativo è dotato di autonomia e può ricevere impulso da qualsiasi notizia di reato, ancorché desunta da precedenti intercettazioni inutilizzabili. La configurabilità e la qualificazione delle condotte di corruzione Con riferimento alle doglianze riguardanti la configurabilità e la corretta qualificazione delle condotte di corruzione, la Corte di Cassazione ha affrontato in modo unitario i motivi di ricorso dei due indagati. In merito alle condotte qualificate in origine come induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all' art. 319-quater c.p. e poi inquadrate nel reato di corruzione per l'esercizio della funzione di cui all' art. 318 c.p. , la Suprema Corte ha escluso la rilevanza della mancata assunzione della cognata del luogotenente da parte dell'indagato B ai fini della configurabilità del reato. Infatti, i delitti di corruzione costituiscono reati a duplice schema che si perfezionano alternativamente con l'accettazione della promessa ovvero con la dazione-ricezione dell'utilità. La mancata assunzione dunque ha concluso la Corte non impedisce la configurabilità del reato e il motivo di ricorso non è fondato. Circa i comportamenti ricondotti a un'ipotesi di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio di cui all' art. 319 c.p. , il Collegio ha evidenziato molteplici criticità. In primo luogo ha riscontrato una lettura parcellizzata degli elementi fattuali e una frattura logica derivante dal non aver individuato l'atto contrario ai doveri d'ufficio compiuto o promesso dal luogotenente della Guardia di Finanza. In secondo luogo, dal punto di vista probatorio, il Tribunale ha omesso di analizzare gli atti oggetto del mercimonio e le competenze dell'ufficio dell'indagato A, appunto in servizio presso la Guardia di Finanza. A tal proposito la Corte ha richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui elemento di tipicità del fatto dei reati di corruzione è che l'atto o il comportamento oggetto del mercimonio rientri nelle competenze o nella sfera di influenza dell'ufficio al quale appartiene il soggetto corrotto Cass. Pen. Sez. 6, n. 33435, del 4/5/2006 , Battistella, Rv. 234359 . In ultimo il Collegio ha osservato che il Tribunale non ha preso in adeguata considerazione il principio secondo cui Io stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi , con episodi sia di atti contrari ai doveri d'ufficio che di atti conformi o non contrari a tali doveri, configura un unico reato permanente, previsto dall' art. 319 c.p. in cui è assorbita la meno grave fattispecie di cui all' art. 318 c.p. , nell'ambito del quale le singole dazioni eventualmente effettuate, sinallagmaticamente connesse all'esercizio della pubblica funzione, si atteggiano a momenti consumativi di un unico reato di corruzione propria, con conseguente decorrenza del termine di prescrizione dall'ultima di esse Cass. Pen., Sez. 6, n. 51126, del 18/07/2019 , Evangelisti, Rv. 278192 05 Cass. Pen., Sez. 6, n. 40237, del 07/07/2016 , Giangreco, Rv. 267634 . La decisione Sul crinale delle considerazioni sopra espresse, la Suprema Corte ha dunque annullato l'ordinanza impugnata e ha rinviato per nuovo esame al Tribunale di Roma competente ai sensi dell' art. 309, comma 7, c.p.p.
Presidente Fidelbo Relatore Tripiccione Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Civitavecchia è stata applicata a D.G.C. ed a D.F. la misura degli arresti domiciliari, quanto al primo, per i reati di cui agli artt. 319-quater c.p. capo b e 319 c.p. capo c , e, quanto al secondo, per i reati di cui agli artt. 589, commi primo e quarto, c.p. capo a e 321 c.p In particolare, secondo l'ipotesi accusatoria, il D., quale amministratore e gestore di cinque residenze per anziani ubicate nel Comune di omissis , avrebbe colposamente provocato il decesso di alcuni ospiti, omettendo sistematicamente di adottare le regole precauzionali per prevenire la diffusione del COVID 19 all'interno delle strutture e tenendo condotte imprudenti, quale, ad esempio, far lavorare dipendenti positivi al COVID 19, per effetto dei quali si sarebbe sviluppato all'interno delle strutture un cluster pandemico con infezione di quasi tutti gli anziani, molti dei quali perivano tra la metà di gennaio e la metà di febbraio 2021. Nel corso delle indagini relative a tale delitto, inizialmente iscritto come omicidio volontario, sono state autorizzate le intercettazioni telefoniche dalle quali sono emersi rapporti tra il D. e il D.G., luogotenente della Guardia di Finanza, nell'ambito dei quali il primo prometteva o elargiva utilità economiche in favore del secondo, che si impegnava ad acquisire informazioni su eventuali indagini a carico del D. o ad influire sui controlli sulle sue strutture tramite il luogotenente dei Carabinieri T.M Le risultanze delle intercettazioni telefoniche comportavano l'iscrizione nel registro degli indagati del D.G. per i reati di cui agli artt. 319-quater e 319 c.p. . Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Roma, in funzione di Giudice del riesame cautelare, ha confermato l'ordinanza cautelare previa riqualificazione per il D.G. del reato ascritto al capo b nel reato di cui all' art. 318 c.p. . 2. Propongono separati ricorsi per cassazione entrambi gli indagati. 2.1 D.G.C. deduce quattro motivi di ricorso. Con il primo motivo deduce il vizio di violazione o erronea applicazione degli artt. 8, 9 e 16 c.p.p. avendo il Tribunale rigettato l'eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Civitavecchia sulla base di un dato presuntivo, ovvero che al momento della conversazione telefonica relativa alla promessa di assunzione della cognata del D.G. i due indagati si trovassero nelle proprie sedi di lavoro. Così facendo, oltre a determinare l'inversione delle regole stabilite dall' art. 9 c.p.p. , il Tribunale ha omesso di considerare che la sede di lavoro del D.G. è [ ], e che, dovendosi applicare al patto illecito sanzionato dall' art. 319-quater c.p. le regole civilistiche dettate dall' art. 1326 c.c. in tema di perfezionamento del contratto, il reato si è consumato a [ ] ovvero nel momento in il Pubblico Ufficiale, a seguito della propria attività persuasiva, ha avuto notizia dell'accettazione da parte del privato. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi, secondo la tesi difensiva, anche in relazione al reato di cui all' art. 319 c.p. , perfezionatosi, non con la promessa o con il pagamento del prezzo, ma con la successiva dazione dell'utilità, rappresentata dal mobilio consegnato presso l'abitazione romana del D.G Con il secondo motivo deduce vizi cumulativi di violazione degli artt. 266, 267 e 271 c.p.p. e di illogicità della motivazione nella parte in cui il Tribunale, da un lato, sottolinea il tono amichevole della conversazione tra il D.G. ed il D. nella conversazione del 16 dicembre 2021 e, dall'altro, ritiene che detta conversazione contenga sufficienti indizi per disporre una nuova intercettazione sull'utenza in uso al D.G Il motivo ripropone l'eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni disposte nel procedimento, sia di quelle iniziali, relativa al D., che di quelle successivamente autorizzate sull'utenza del D.G Quanto alle prime, si sottolinea che la riqualificazione da omicidio doloso in colposo dell'ipotesi di reato a carico del D. non è frutto delle risultanze delle indagini, ma di una rivisitazione statica degli elementi agli atti, tanto che la stessa informativa a carico del D. ipotizzava nei suoi confronti i reati di omicidio colposo e di epidemia colposa. Da ciò consegue che, non essendo autorizzabili le intercettazioni in relazione a tale reato, sono parimenti inutilizzabili le successive intercettazioni autorizzate sull'utenza del D.G. sul presupposto del rinvenimento nelle prime della notitia criminis inerente ai suoi rapporti con il D Con il terzo motivo deduce vizi cumulativi di violazione di legge e di illogicità della motivazione in ordine al quadro indiziario. Si afferma, in particolare, che la riqualificazione del reato di cui all' art. 319-quater c.p. in quello di cui all' art. 318 c.p. ha comportato una inversione della dinamica negoziale, essendo il D.G., non proponente, ma soggetto che accetta la proposta corruttiva del D. si omette, tuttavia, di considerare la carenza di una correlazione tra l'assunzione, peraltro, mai avvenuta, della cognata del ricorrente, e l'esercizio della funzione del D.G., apoditticamente affermata dal Tribunale sulla base di un mero potere di influenza del D.G Si deduce, inoltre, che anche in relazione al reato di cui all' art. 319 c.p. difetta una correlazione funzionale fra oggetto e prezzo del rapporto corruttivo atteso che a dalla documentazione agli atti risulta che l'ordine del mobilio risale al novembre 2021 ed è stato pagato nel febbraio 2022 b solo l'8/2/2022 il D.G., parlando con il D., si offrì di contribuire al pagamento dei mobili e questo rispose che si trattava di un regalo. Con il quarto motivo deduce il vizio di mancanza di motivazione in ordine alle esigenze cautelari ed alla scelta della misura, stante il ridimensionamento, in termini di minore gravità, del quadro indiziario a carico del ricorrente. 2.2 D.F. deduce tre motivi. Con il primo motivo deduce vizi cumulativi di violazione degli artt. 110, 319 e 321 c.p. capo c e di motivazione per mancanza di corrispondenza temporale fra la promessa dell'utilità e la presunta attivazione del pubblico ufficiale, nonché vizio di travisamento della prova in relazione alla ritenuta generalizzata disponibilità del D.G Si afferma che il Tribunale sarebbe incorso nel travisamento della conversazione intercettata tra D.G. e la segretaria di D., desumendone elementi indiziari a conferma della disponibilità del primo, mentre, in realtà, tale conversazione attiene ad un unico isolato rapporto relativo all'interessamento del Pubblico Ufficiale alla vicenda rappresentata dalla donna. Partendo da tale errata premessa, il Tribunale ha, inoltre, erroneamente ritenuto la sussistenza del rapporto sinallagmatico reputando scarsamente significativa la dedotta non corrispondenza temporale tra promessa e attivazione del pubblico ufficiale. Si è, infatti, valorizzato il momento del pagamento del prezzo dei mobili, avvenuto 15 giorni dopo tale conversazione, anziché quello della promessa risalente a quattro mesi prima. Con il secondo motivo deduce vizi di violazione di legge ed omessa motivazione sulla richiesta di riqualificazione della condotta ai sensi dell' art. 346-bis c.p. Con il terzo motivo deduce vizi cumulativi di violazione di legge, contraddittorietà ed illogicità della motivazione relativa alle esigenze cautelari, fondata, quanto al pericolo di reiterazione del reato corruttivo, sulla indimostrata premessa della non occasionalità della condotta e sulla ritenuta debolezza delle dipendenti del D. che, tuttavia, non sono più tali. Considerato in diritto 1. Vanno, innanzitutto, esaminate le questioni processuali poste da D.G. con i primi due motivi di ricorso. 2. L'eccezione di incompetenza per territorio va rigettata sia pure per ragioni parzialmente diverse da quelle enunciate dal Tribunale. Va, infatti, considerato che nell'ordinanza impugnata si dà atto della connessione esistente tra le due fattispecie di corruzione di cui ai capi b e c. Tenuto conto di tale dato, non contestato dai ricorrenti, e, soprattutto, della riqualificazione della condotta contestata al capo b come corruzione per l'esercizio della funzione, rileva il Collegio che, in applicazione della regola di giudizio dettata dall' art. 16 c.p.p. , la competenza per territorio va attribuita al giudice competente per il reato più grave, da individuare nel caso in questione nel reato di corruzione propria. Quanto al luogo di consumazione di tale reato, va, innanzitutto, ribadito che il delitto di corruzione è reato a schema duplice che si perfeziona alternativamente con l'accettazione della promessa ovvero con la dazione-ricezione dell'utilità, e, tuttavia, ove alla promessa faccia seguito la dazione-ricezione, è solo in tale ultimo momento che, approfondendosi l'offesa tipica, il reato viene a consumazione Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010 , Mills, Rv. 246583 . L'ordinanza impugnata, con argomentazioni coerenti con tale principio, ha considerato quale luogo di consumazione della corruzione omissis , facendo riferimento alla dazione del denaro, avvenuta attraverso il pagamento dei mobili acquistati a nome di D.G. presso l'esercizio commerciale omissis di omissis . 3. L'eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche prospetta due profili di censura. Una prima questione attiene alla legittimità delle intercettazioni autorizzate inizialmente nei confronti del solo D. per il reato di omicidio doloso nonostante nella stessa informativa di polizia giudiziaria si ipotizzassero a suo carico i reati di omicidio colposo e di epidemia colposa. Il Tribunale ha confermato la legittimità del primo decreto autorizzativo, considerando che al momento della sua adozione sussistevano gravi indizi del reato doloso desumibili dalle dichiarazioni di alcune dipendenti del D. in merito alle gravi e sistematiche irregolarità nella gestione del COVID all'interno delle R.S.A. e, in particolare, al fatto che questo aveva costretto degli operatori positivi al COVID a rimanere in servizio. Tale ragionamento appare viziato. Va, innanzitutto, premesso che la legittimità di una intercettazione deve essere verificata al momento in cui la captazione è richiesta ed autorizzata, non potendosi procedere al controllo della sua ritualità sulla base delle risultanze derivanti dal prosieguo delle captazioni e dalle altre acquisizioni Sez. 6, n. 21740 del 01/03/2016 , Masciotta, Rv. 266922 si è, pertanto, affermato che nel caso in cui una intercettazione di comunicazione è disposta applicando la disciplina prevista dall' art. 13, comma 1, D.L. 13 maggio 1991 n. 152 convertito dalla L. 12 luglio 1992 n. 203 , con riguardo ad un'originaria prospettazione di reati di criminalità organizzata, le relative risultanze possono essere utilizzate anche quando il prosieguo delle indagini impone di qualificare i fatti come non ascrivibili alla suddetta area. Trattandosi, infatti, di un mezzo di ricerca della prova non può escludersi che la fattispecie di reato in relazione alla quale sono stati reputati sussistenti i gravi indizi richiesti dall' art. 267 c.p.p. non trovi nel contenuto delle conversazioni captate ulteriori riscontri idonei a sostenere l'accusa ovvero venga diversamente qualificata proprio in ragione dei nuovi elementi fattuali emersi dal compendio intercettivo. In entrambi i casi si tratta, infatti, di un fisiologico dinamismo dell'attività investigativa che non vizia l'originaria legittimità del provvedimento autorizzativo né compromette l'utilizzabilità delle intercettazioni eseguite. Necessaria precondizione affinché tale conclusione non si presti ad indebite strumentalizzazioni del mezzo di ricerca della prova è la legittimità dell'autorizzazione del mezzo intercettivo con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di uno dei reati previsti dall' art. 266 c.p.p. ed alla assoluta indispensabilità del mezzo di ricerca della prova ai fini della prosecuzione delle indagini art. 267 c.p.p. . In particolare, il requisito dei gravi indizi di reato , così come quello dei sufficienti indizi , allorché si verta in ipotesi di reati di criminalità organizzata ex art. 13 D.L. 13 maggio 1991 n. 152 , convertito dalla L. 12 luglio 1991 n. 203 , è stato costantemente interpretato come vaglio di particolare serietà delle ipotesi delittuose configurate, che non devono risultare meramente ipotetiche da ultimo, Sez. 3, n. 14954 del 02/12/2014 , dep. 2015, Carrara, Rv. 263044 . Tale verifica investe, dunque, la consistenza dell'ipotesi accusatoria, prescindendo dal quantum di colpevolezza, e va, pertanto, svolta, non con riferimento alla responsabilità di ciascun indagato, ma in relazione all'indagine nel suo complesso Sez. 6, n. 28252 del 06/04/2017 , Di Palma, Rv. 270565 Sez. 2, n. 42763 del 20/10/2015 , Rv. 265127 . Si è, infatti, escluso che a tale presupposto possa essere attribuito un connotato di tipo probatorio in chiave di prognosi, seppure indiziaria, di colpevolezza, necessitando solo l'esistenza - in chiave altamente probabilistica, o, nel caso dei reati di criminalità organizzata, del più ristretto ambito della sufficienza indiziaria - di un fatto storico integrante una determinata ipotesi di reato, il cui accertamento imponga l'adozione del mezzo di ricerca della prova. Il decreto autorizzativo, dunque, pur non dovendo formulare alcuna delibazione, nel merito, di una ipotesi accusatoria, che può ancora non avere trovato una sua consistenza, deve tuttavia effettuare un vaglio di effettiva serietà del progetto investigativo che non deve risultare meramente ipotetico Sez. 5, n. 41131 del 08/10/2003 , Liscai, Rv. 227053 . Nella valutazione dei gravi indizi di reato il giudice è, pertanto, chiamato a formulare un giudizio prognostico, non ipotetico e astratto, ma in concreto, sulla base degli elementi investigativi acquisiti, in merito alla probabilità che sia stato commesso uno dei reati previsti dall' art. 266 c.p.p. per legittimare un'intercettazione cfr. Sez. 6, n. 23148 del 20/01/2021 , Bozzini, Rv. 281501, in motivazione . Ciò al fine di prevenire il rischio di autorizzazione in bianco e di impedire, altresì, che l'intercettazione da mezzo di ricerca della prova si trasformi in mezzo per la ricerca della notizia di reato. 3.1 Tale verifica di serietà dell'iniziale ipotesi accusatoria di omicidio doloso, posta a fondamento della prima richiesta di autorizzazione delle intercettazioni, è mancata nel caso in esame. Emerge, infatti, dall'ordinanza impugnata che tale valutazione era fondata sulle dichiarazioni di alcuni dipendenti del D. in merito alle irregolarità nella gestione del COVID all'interno delle RSA e, in particolare, al fatto che questo aveva costretto taluni operatori risultati positivi a rimanere in servizio. Ad avviso del Collegio, tale unico elemento valorizzato dal Tribunale rivela, invece, l'inconsistenza dell'ipotesi accusatoria dolosa, non apparendo sintomatico della diretta volizione dell'evento morte da parte del D. né tantomeno della rappresentazione e accettazione del rischio di tale evento, trattandosi, piuttosto, di una condotta negligente ed imperita pienamente riconducibile al paradigma della colpa, come confermato anche dalla successiva riqualificazione del reato in omicidio colposo. Ciò, peraltro, in coerenza con l'iniziale ipotesi già formulata nell'informativa di reato. Nel caso concreto, dunque, la riqualificazione del reato non costituisce un effetto della progressione dell'attività investigativa, ma della diversa valutazione dei medesimi elementi fattuali che sin dall'origine non consentivano di valutare come seria la tesi investigativa della dolosa causazione dei decessi all'interno della R.S.A. Si è già detto della possibilità che, a seguito delle captazioni, muti la qualificazione giuridica del fatto-reato autorizzato in altro reato. Qualora si tratti, come nel caso in esame, di una riqualificazione in una fattispecie di reato per la quale non erano autorizzabili le intercettazioni, va ribadito che l'utilizzabilità delle intercettazioni è condizionata alla sussistenza, al momento dell'emissione del decreto autorizzativo, dei presupposti per l'autorizzazione del mezzo di ricerca della prova cfr. Sez. 6, n. 23148 del 2021 Bozzini , Rv. 281501 . Ne consegue che, qualora, come nel caso in esame, tali presupposti fossero ab origine insussistenti, le intercettazioni sono inutilizzabili, non costituendo la riqualificazione il risultato del successivo sviluppo fisiologico del procedimento, quanto, piuttosto, un modo per aggirare i limiti di ammissibilità del mezzo di ricerca della prova. Venendo alla fattispecie in esame, ritiene il Collegio che le intercettazioni autorizzate in relazione al reato di omicidio doloso per il quale è stato inizialmente indagato D. sono inutilizzabili in quanto, in realtà, autorizzate in presenza di gravi indizi del solo reato di omicidio colposo per il quale non è consentito il ricorso a tale mezzo di ricerca della prova. 3.2 Il secondo profilo di censura che pone il motivo in esame attiene alla prospettata inutilizzabilità derivata anche delle intercettazioni autorizzate in relazione ai delitti di cui ai capi b e c dell'imputazione provvisoria in quanto fondate sulla conversazione del 16/12/2021 in cui D.G. rammenta a D. la promessa di assumere la cognata , captata nell'ambito delle intercettazioni illegittimamente autorizzate per i reati di omicidio doloso. L'eccezione è infondata. L'ordinanza impugnata, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, ha ritenuto utilizzabili le intercettazioni autorizzate nell'ambito del secondo filone investigativo considerando tale conversazione quale notizia di reato sufficiente ad autorizzare le nuove intercettazioni per i reati di cui agli artt. 318 e 319 c.p. . Ritiene il Collegio che tale motivazione è ineccepibile dovendosi, al riguardo, ribadire che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, ciascun decreto autorizzativo è dotato di autonomia e può ricevere impulso da qualsiasi notizia di reato, ancorché desunta da precedenti intercettazioni inutilizzabili. Si è, infatti, condivisibilmente escluso che, in materia di inutilizzabilità, possa operare il principio, stabilito per le nullità dall' art. 185 c.p.p. , della trasmissibilità del vizio agli atti consecutivi a quello dichiarato nullo Sez. 1, n. 12685 del 06/03/2008 , Imperato, Rv. 239373 . Ne consegue che il vizio da cui sia affetto l'originario decreto intercettativo non si comunica automaticamente a quelli successivi correttamente adottati, e che, pertanto, non è inutilizzabile la prova che non sarebbe stata scoperta senza l'utilizzazione della prova inutilizzabile Sez. 6, n. 3027 del 20/10/2015 , dep. 2016, Ferminio, Rv. 266496 Sez. 5, n. 4951 del 05/11/2010 , dep. 2011, Armano, Rv. 249240 . 4. Il terzo motivo del ricorso presentato da D.G. può essere esaminato congiuntamente al primo e secondo motivo dedotto da D., investendo tutti la gravità del quadro indiziario e la qualificazione giuridica delle condotte. Quanto alla riqualificazione delle condotte ascritte al capo b, l'ordinanza impugnata ha considerato che dalle intercettazioni è emersa una sistematica promessa o dazione di utilità da parte di D. in favore del D.G. che aveva messo a disposizione del primo la sua funzione, interessandosi di organizzare l'incontro tra questo e il T. in cambio della promessa di assunzione della cognata e di assumere, anche pagando terzi, informazioni su eventuali intercettazioni a carico di D Al riguardo non colgono nel segno i rilievi difensivi in merito alla rilevanza, al fine di escludere la configurabilità del reato, della mancata assunzione della cognata. Va, infatti, richiamato il principio già affermato al par. 2 in merito al duplice schema di perfezionamento del reato di corruzione ed alla sufficienza, a tal fine, della accettazione della promessa da parte del pubblico ufficiale. 4.1 Quanto al reato di corruzione propria di cui al capo c , secondo il Tribunale vi sarebbe stato un primo accordo concluso a novembre 2021 in cui il D. aveva ordinato i mobili destinati al D.G. a tale accordo sarebbe seguito, nel corso di una conversazione con la segretaria di D., l'impegno del D.G. ad ottenere l'intervento di T. per ammorbidire gli operanti che avevano proceduto al controllo e ad ottenere da altri pubblici ufficiali informazioni su eventuali intercettazioni in corso. Seguivano, quindi, secondo la ricostruzione del Tribunale, l'organizzazione di una cena da parte di D.G. con T. successivamente alla quale D. si mostrava reticente a parlare al telefono atteggiamento letto dal Tribunale quale indice della rivelazione delle intercettazioni in corso e, infine, il pagamento dei mobili, avvenuto quindici giorni dopo la telefonata di cui sopra, da parte del D Ad avviso del Collegio la qualificazione di tali condotte come corruzione propria appare viziata da una lettura parcellizzata degli elementi fattuali e, soprattutto, da una significativa frattura logica laddove conferma la gravità del quadro indiziario senza, tuttavia, individuare l'atto contrario ai doveri di ufficio compiuto o promesso dal D.G Va, in primo luogo, considerato che l'intera vicenda descritta dall'ordinanza appare ruotare intorno al controllo eseguito in una delle strutture gestite da D. dai N.A.S. dei Carabinieri ed all'interessamento del D.G. per ottenere sia la mediazione di T. che informazioni in merito alle eventuali intercettazioni in corso. Tale impegno assume una duplice rilevanza nella ricostruzione del Tribunale sia ai fini della riqualificazione della condotta di cui al capo b , in quanto espressione dello stabile asservimento del D.G. a fronte delle numerose utilità corrisposte dal D., tra cui considera anche, a p. 11, il pagamento dei mobili, che quale atto contrario ai doveri d'ufficio, remunerato con il pagamento dei medesimi mobili, rilevante ai fini della corruzione propria contestata al capo c. In disparte ogni considerazione sulla legittimità della duplicazione della contestazione della medesima condotta, tale percorso argomentativo appare carente sotto diversi profili. Innanzitutto, omette di analizzare il rapporto tra gli atti oggetto del mercimonio - rientranti nelle competenze, ora dei N.A.S. dei Carabinieri, ora della polizia giudiziaria investita delle indagini su D. - e le competenze dell'ufficio del D.G., in servizio presso la Guardia di Finanza. Va, al riguardo, richiamato il consolidato orientamento secondo cui il reato di corruzione rientra tra i reati propri funzionali perché elemento necessario di tipicità del fatto è che l'atto o il comportamento oggetto del mercimonio rientrino nelle competenze o nella sfera di influenza dell'ufficio al quale appartiene il soggetto corrotto Sez. 6, n. 17973 del 22/01/2019 , Caccuri, Rv. 275935 - 02 Sez. 6, n. 23355 del 26/02/2016 , Margiotta, Rv. 267060 Sez. 6, n. 33435 del 4/5/2006 , Battistella, Rv. 234359 . In particolare, nella sentenza Battistella la Corte ha affermato che è necessario che l'atto o il comportamento siano espressione, diretta o indiretta, della pubblica funzione esercitata da quest'ultimo, con la conseguenza che non ricorre il delitto di corruzione passiva se l'intervento del pubblico ufficiale in esecuzione dell'accordo illecito non comporti l'attivazione di poteri istituzionali propri del suo ufficio o non sia in qualche maniera a questi ricollegabile, e invece sia destinato a incidere nella sfera di attribuzioni di pubblici ufficiali terzi rispetto ai quali il soggetto agente è assolutamente carente di potere funzionale. Altro aspetto critico non esaminato dall'ordinanza impugnata attiene, inoltre, alla valutazione complessiva della condotta del D.G. ed alla sua possibile riconducibilità all'unico paradigma della corruzione propria, ove venga individuato, secondo le coordinate ermeneutiche sopra esposte, l'atto contrario ai doveri di ufficio promesso o tenuto da D.G., ovvero ad un unico contesto di asservimento della funzione ai sensi dell' art. 318 c.p. . Va, infatti, considerato che, come condivisibilmente affermato da questa Corte, lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, con episodi sia di atti contrari ai doveri d'ufficio che di atti conformi o non contrari a tali doveri, configura un unico reato permanente, previsto dall' art. 319 c.p. , in cui è assorbita la meno grave fattispecie di cui all'art. 318 stesso codice, nell'ambito del quale le singole dazioni eventualmente effettuate, sinallagmaticamente connesse all'esercizio della pubblica funzione, si atteggiano a momenti consumativi di un unico reato di corruzione propria, con conseguente decorrenza del termine di prescrizione dall'ultima di esse Sez. 6, n. 51126 del 18/07/2019 , Evangelisti, Rv. 278192 - 05 Sez. 6, n. 40237 del 07/07/2016 , Giangreco, Rv. 267634 . 5. Il quarto motivo di ricorso presentato da D.G. è stato proposto per la prima volta in questa Sede e non è, dunque, ammissibile. 6. L'esame del terzo motivo di ricorso proposto da D. deve, invece, ritenersi assorbito dall'accoglimento dei motivi sulla gravità indiziaria. 7. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, va disposto l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Roma competente ai sensi dell' art. 309, comma 7, c.p.p. . P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Roma competente ai sensi dell 'art. 309, comma 7, c.p.p .