Anche il padre-avvocato può ottenere l’indennità di maternità

La Corte d’Appello di Milano rigettava il gravame proposto da Cassa Forense avverso la sentenza del Tribunale milanese, che aveva accolto la domanda di un avvocato, dichiarando il diritto di quest’ultimo di ricevere l’indennità di maternità per il periodo richiesto.

Anche la Corte di Cassazione è dello stesso parere dei giudici di prime e seconde cure. Infatti, con sentenza n. 385/2005 , la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli artt . 70 e 72, d.lgs. n. 151/2001 , laddove non prevedono che al padre libero professionista spetti in alternativa alla madre , l'indennità di maternità , estesa alle ipotesi di adozione e affidamento , parificando così, ai fini del godimento dell'indennità di maternità , le due figure genitoriali , in particolare, il diritto del padre anche libero professionista, e richiamando il principio di parità di trattamento tra le figure genitoriali e tra lavoratori autonomi e dipendenti. Quindi, il principio stabilito in quest'ultima sentenza, può avere un'applicazione diretta e non solo programmatica, senza necessità di un'interposizione legislativa, con piena efficacia nel caso di specie.

Presidente Berrino – Relatore Solaini Rilevato che Con sentenza del giorno 29.1.2018 n. 70, la Corte d'appello di Milano rigettava il gravame proposto dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense in seguito, per brevità Cassa avverso la sentenza del tribunale di Milano che aveva accolto la domanda di R.P.M. , dichiarando il diritto di quest'ultimo di ricevere l'indennità di maternità per il periodo richiesto e a corrispondere al richiedente i ratei maturati e maturandi della prestazione, oltre interessi e rivalutazione monetaria. Il tribunale, alla luce del D.Lgs. n. 151-01, artt. 70 e 72, come integrato dalla pronuncia resa dalla Corte costituzionale con sentenza n. 385-05 , che ha dichiarato costituzionalmente illegittimi i predetti articoli laddove non prevedono che al padre libero professionista spetti in alternativa alla madre, l'indennità di maternità, estesa alle ipotesi di adozione e affidamento, ha ritenuto fondato il diritto azionato in giudizio dal ricorrente, perché la Corte costituzionale aveva espressamente parificato, ai fini del godimento dell'indennità di maternità, le due figure genitoriali, in particolare, il diritto del padre anche libero professionista, attesa la natura precettiva della sentenza della Corte Cost. n. 385 cit. e richiamando il principio di parità di trattamento tra le figure genitoriali e tra lavoratori autonomi e dipendenti. Il tribunale aveva, infine, riconosciuto il diritto alla corresponsione sia degli interessi che della rivalutazione n monetaria, perché la L. n. 412 del 1991, art. 16 comma 6 non poteva applicarsi alla Cassa, in quanto ente privatizzato non destinatario di finanziamenti pubblici. La Corte d'appello ha confermato la sentenza di primo grado. Avverso la sentenza della Corte d'appello, la Cassa ricorre per cassazione, sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, mentre R.P.M. resiste con controricorso anch'esso illustrato da memoria. Il collegio riserva ordinanza, nel termine di sessanta giorni dall'adozione della decisione in camera di consiglio. Considerato che Con il primo motivo di ricorso, la Cassa deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, del D.Lgs. n. 151-01, artt. 70 e 72, anche in riferimento a quanto statuito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 385 del 2005 , in relazione all' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3., perché erroneamente, la Corte d'appello era pervenuta a una lettura delle disposizioni che troverebbe supporto e fondamento nel principio, affermato dalla Corte costituzionale nella predetta sentenza n. 385 del 2005, della parità di trattamento tra uomini e donne e che consentirebbe al giudice ordinario di riconoscere al libero professionista, genitore affidatario di un minore, di percepire l'indennità di maternità in luogo della moglie. Con il secondo motivo di ricorso, avente analoga rubrica del primo, la Cassa lamenta la violazione delle norme nella medesima rubrica indicate, perché erroneamente la Corte d'appello aveva ritenuto conforme a costituzione un'interpretazione delle stesse volta a garantire l'assoluta fungibilità tra i coniugi nel richiedere l'indennità di maternità, sulla cui base sarebbe rimesso esclusivamente al loro arbitrio in ragione di calcoli di convenienza economica incompatibili con la natura pubblicistica e solidaristica della tutela previdenziale , la scelta di quale dei due genitori debba beneficiare della predetta indennità. Con il terzo motivo di ricorso, la Cassa deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, della L. n. 412 del 1991, art. 16 comma 6, della L. n. 196 del 2009, art. 1 comma 2 e della L. n. 724 del 1994, dell'art. 22 comma 36, in relazione all' art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. , in quanto erroneamente, la Corte d'appello aveva riconosciuto il cumulo di rivalutazione ed interessi, ai sensi delle norme di cui in rubrica, quando il cumulo previsto dall' art. 429 c.p.c. non riguarda i gestori di forme di previdenza obbligatoria quali la Cassa forense. Il primo e secondo motivo, sono inammissibili, per carenza d'interesse, in quanto rinunciati - nei termini di cui in appresso - in sede di memoria, all'esito della pronuncia della Corte costituzionale n. 105/18 che ha chiarito la portata del precedente arresto della medesima Corte n. 385/05 di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 151-01, artt. 70 e 72 che ha sancito il principio di alternatività e fungibilità nella fruizione dell'indennità di maternità, del padre rispetto alla madre e ciò, secondo la sentenza della Consulta del 2018, a partire dal giorno successivo alla pubblicazione della predetta sentenza n. 385-05 quindi, il principio stabilito in quest'ultima sentenza, può avere un'applicazione diretta e non solo programmatica, senza necessità di un'interposizione legislativa, con piena efficacia nella presente vicenda. Residua la questione posta in memoria, ex art. 380 bis c.p.c., ai sensi del D.Lgs. n. 151-01, art. 26 comma 6, per cui l'indennità da corrispondere nel caso di affidamento di minore, può essere fruita entro 5 mesi dall'affidamento, per un periodo massimo di tre mesi la cui corrispondente somma la Cassa ha dichiarato di aver già corrisposto, ritenendo che sia cessata la materia del contendere sul punto . Tale ultima questione è da respingere, perché risulta nuova e, comunque, non documentata. Il terzo motivo di ricorso principale è fondato, in quanto, la L. n. 412 del 1991, art. 16 comma 6 prevede che gli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria sono tenuti a corrispondere gli interessi legali, sulle prestazioni dovute a decorrere dalla data di scadenza del termine previsto per l'adozione del provvedimento sulla domanda L'importo dovuto a titolo di interessi è portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subito dal titolare della prestazione per la diminuzione del valore del suo credito . Inoltre, secondo la Corte costituzionale n. 7 del 2017 , la trasformazione delle Casse professionali, pur avendo inciso sulla forma giuridica dell'ente e sulle modalità organizzative delle sue funzioni, non ha modificato il carattere pubblicistico dell'attività istituzionale di previdenza e assistenza, per cui il divieto di cumulo si applica anche alla Cassa forense, in quanto appartiene alla categoria degli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, per i quali valgono le medesime ragioni di salvaguardia del bilancio dello Stato. Va, pertanto, accolto il terzo motivo di ricorso e rigettati il primo e secondo motivo ed in conseguenza la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il terzo motivo e rigetta il primo e il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d'appello di Milano, in diversa composizione.