Medico morto in servizio per infarto da stress: ASL condannata a risarcire i familiari

Per i Giudici non ci sono dubbi il decesso del medico poteva essere evitato se l’Azienda sanitaria locale avesse cambiato le sue mansioni, avendo già subito due infarti.

Risarcimento monstre per la famiglia del medico morto d’infarto a causa dello stress, per il contatto col pubblico, cui è stato sottoposto dall’Azienda sanitaria locale. All’origine della battaglia giudiziaria c’è la drammatica morte in servizio di un medico . I familiari, cioè la moglie e i due figli, ritengono colpevole la Sanità regionale e chiedono, di conseguenza il risarcimento dei danni patiti. A sostegno della loro istanza, comunque, la donna e i due figli sottolineano che il loro congiunto era primo medico di sezione presso l’Azienda sanitaria locale, con l’incarico di coordinare i servizi di ambulatorio ed il personale e che dopo aver riportato due infarti, nel marzo e nell’aprile 1988, veniva giudicato dalla Commissione medica sì idoneo a riprendere il servizio ma con prescrizioni, cioè escludendo attività lavorativa che potesse comportare contatto con numeroso pubblico, potendo tale condizione causare situazione di stress con possibile recidiva della patologia . A fronte di tale indicazione, però, l’amministrazione sanitaria è rimasta inerte , sostengono la donna e i due figli, e il loro familiare ha proseguito nello svolgimento della mansione originaria , finché, nel febbraio del 1991, è deceduto per ipertensione, infarto del miocardio, collasso cardiocircolatorio . Per i giudici di merito il quadro è inequivocabile le cause naturali non hanno avuto efficacia autonoma nella morte del medico, mentre la condotta omissiva dell’Azienda sanitaria locale si è posta come causa autonoma . Di conseguenza, la Sanità regionale viene condanna a risarcire i danni arrecati ai familiari del medico e quantificati in 395mila euro in favore della vedova e rispettivamente in 502mila euro e in 522mila euro per ciascuno dei figli . Inutile il ricorso in Cassazione proposto dall’assessorato regionale alla Sanità. Anche per i Giudici di terzo grado, difatti, è evidente la responsabilità dell’Azienda sanitaria locale per la morte del medico. Ciò perché l’amministrazione sanitaria ha ignorato le indicazioni della Commissione medica e ha mantenuto il medico nelle stesse mansioni svolte prima del verificarsi degli infarti , e questa condotta ha assunto il rilievo di causa autonoma sufficiente alla produzione della morte del medico . Nello specifico, i Giudici ritengono che il decesso del medico sia stato causato dal suo mantenimento, da parte dell’Azienda sanitaria locale, nello stesso servizio nello svolgimento del quale aveva subito due infarti, senza adibirlo - come indicato dalla Commissione medica - allo svolgimento di mansioni diverse, meno stressanti e non comportanti contatti con il pubblico . Correttamente, quindi, è stata esclusa ogni rilevanza causale del pregresso stato morboso del medico, quale antecedente privo di interdipendenza funzionale con l’accertata condotta colposa della Azienda sanitaria locale, nella verificazione della sua morte del medico .

Presidente Scarano – Relatore Moscarini Rilevato che P.S.V., L.M.M.C. e L.D., in proprio e quali eredi di L.P., convennero con distinti atti di citazione la Regione Sicilia, la Gestione Liquidatoria della soppressa Usl di […] e l'Assessorato alla Sanità della Regione Sicilia davanti al Tribunale di Gela per sentirne pronunciare la condanna al risarcimento dei danni da essi rispettivamente subìti in conseguenza della morte del congiunto, L.P., il quale, in qualità di primo medico di sezione presso la ex Uls di […] con l'incarico di coordinare i servizi di ambulatorio ed il personale, dopo aver riportato due infarti nel omissis , veniva giudicato dalla Commissione dell'ex omissis idoneo a riprendere il servizio con prescrizioni, ovvero escludendo attività lavorativa che potesse comportare contatto con numeroso pubblico, potendo tale condizione causare situazione di stress con possibile recidiva della patologia rimanendo l'amministrazione sanitaria inerte rispetto a tale prescrizione, il Dott. L. permaneva nello svolgimento della mansione originaria, finché in data omissis , decedeva per ipertensione, infarto del miocardio, collasso cardiocircolatorio . Chiesero pertanto che le convenute fossero ritenute responsabili ai sensi degli artt. 2043, 2059 c.comma e 40 c.p. per aver consentito al Dott. L. di prestare il servizio nel medesimo settore senza adottare le cautele necessarie in ragione delle sue condizioni di salute, benché prescritte dalla Commissione medica . Riassunto il giudizio davanti al Tribunale di Caltanissetta e svolta una CTU, tale giudice ritenne che, mentre, le cause naturali non hanno avuto efficacia autonoma nella produzione del danno, la condotta omissiva della ex Uls si è posta come causa autonoma nella produzione dell'evento morte del L., conseguentemente condannandola a risarcire i danni stimati in Euro 395.000.000 in favore del coniuge e rispettivamente in Euro 502.400.000 e in Euro 522.000.000 per ciascuno dei figli. Successivamente la Corte d'Appello di Caltanissetta ha rigettato il gravame interposto dall'Assessorato Avverso la sentenza l'Amministrazione soccombente ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. Hanno resistito L., L.D. e P. con controricorso La causa è stata assegnata per la trattazione in Adunanza Camerale ricorrendo i presupposti di cui all' art. 380 bis c.p.comma Entrambe le parti hanno depositato memoria. Considerato che Con il primo motivo di ricorso violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 41 c.p. , 1223 , 1226 , 1227 , 2043 , 2059 , 2055 , 2697 e 2909 c.comma nonché dei principi di giustizia retributiva. e di proporzionalità di cui alla Cost., art. 3, in relazione all' art. 360 c.p.comma , comma 1, n. 3 violazione e falsa applicazione dei principi iura novit curia di cui all' art. 113 c.p.comma della necessaria corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all' art. 112 c.p.comma , dell'art. 115 c.p.comma in relazione all' art. 360 c.p.comma , comma 1, n. 3 la ricorrente lamenta che, pur' in presenza di due concause nella produzione del danno, naturale ed umana, la corte di merito erroneamente non ha ridotto il risarcimento in ragione della presenza di cause naturali, non imputabili a fatto della convenuta, in contrasto con quanto affermato da Cass. n. 975 del 2009 . Con il terzo motivo di ricorso violazione dell' art. 112 c.p.comma e del principio di necessaria corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato in relazione all' art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c nullità della sentenza e del procedimento la ricorrente torna a censurare la pretesa illogica motivazione secondo cui la questione della causalità giuridica non sarebbe stata prospettata dall'appellante, pur avendo la corte del merito poi sostanzialmente deciso su di essa. I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono infondati. In applicazione del criterio del più probabile che non la corte di merito ha ritenuto che la condotta della Usl, che ignorando le indicazioni mediche ha mantenuto il L. nelle stesse mansioni svolte prima del verificarsi degli infarti, ha nella specie assunto il rilievo di causa autonoma sufficiente alla produzione dell'evento mortale. Come questa Corte, anche a Sezioni Unite, ha avuto modo di sottolineare, ai sensi degli artt. 40 e 41 c.p. un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo v. Cass., 8/7/2010, n. 16123 Cass., S.U. 11/1/2008 n. 576 ne consegue che debbono essere risarcite tutte le conseguenze dannose derivanti dall'evento di danno in base non solo ad un rapporto di regolarità giuridica v. già Cass., 11/1/1989 n. 65 ma anche di causalità specifica v. Cass 2/12/2021 n. 38076 Cass. 29/9/2015 n. 19213 Cass. 29/8/2011 n. 17685 Cass. 27/4/2011 n. 9404 Cass., S.U. 11/1/2008 n. 584 Cass., S.U. 11/1/2008 n. 582 v. anche Cass., 28/4/.2022 n. 13342 . In particolare, le conseguenze nella specie, la morte cui il defunto è rimasto esposto in ragione del mantenimento da parte della Usl del L. nello stesso servizio, nello svolgimento del quale aveva subito i due infarti, senza adibirlo come indicato dalla Commissione medica allo svolgimento di mansioni diverse, meno stressanti e non comportanti contatti con il pubblico. A tale stregua, correttamente i giudici del merito hanno escluso ogni rilevanza causale del pregresso stato morboso del L., quale antecedente, privo di interdipendenza funzionale con l'accertata condotta colposa della Usl nella verificazione del sinistro e del tutto correttamente hanno escluso la ricorrenza nella specie del concorso tra causa umana imputabile e concausa umana non imputabile cfr. Cass., 21/7/2011 n. 15991 Cass., 22/11/2019 n. 30521 Cass., 24/2/2023 n. 5737 . Orbene, nell'impugnata sentenza la Corte di merito, pur facendo Menzione di concause sul punto dovendo essa invero correggersi ha fatto sostanzialmente corretta applicazione dei suindicati principi, sia nella parte in cui ha valutato che la causa umana, costituita dalla condotta dell'azienda sanitaria, ha nella specie assunto un'autonoma efficacia causale nella produzione del danno evento, sia nella parte in cdi ha escluso di poter valutare, sotto il profilo della riduzione equitativa del danno, la presenza di una concausa ai sensi dell' art. 1227 C C. . Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta omesso esame, da parte della Corte d'Appello, di circostanze fattuali ed istruttorie, certamente controverse tra le parti, che se correttamente esaminate avrebbero certamente condotto il Giudice d'Appello ad un diverso decisum, nel senso di ridurre l'entità del quantum, in base al criterio della causalità giuridica, violazione e falsa applicazione dei principi iura novit curia di cui all' art. 113 c.p.comma della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all' art. 112 c.p.comma dell art. 115 c.p.comma degli artt. 2697 e 2909 c.comma illogicità, contraddittorietà ed incongruenza della motivazione della impugnata sentenza il tutto in relazione all' art. 360, comma 1 n. 5 c.p.comma . Il motivo è inammissibile, essendosi la ricorrente limitata a lamentare l'omesso esame di circostanze fattuali in violazione del requisito a pena di inammissibilità prescritto dall' art. 366, 1 co. n. 6 c.p.comma ed altresì in quanto la censura si sostanzia in una denuncia di errata valutazione del materiale probatorio acquisito dalla corte territoriale invero estranea al sindacato di legittimità Cass., n. 27197 del 2011 e n. 24679 del 2013 . All'inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso. La ricorrente va condannata a pagare, in favore di parte controricorrente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 18.400 di cui Euro 200 per esborsi , oltre ad accessori di legge e a spese generali al 15% ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, a norma del comma Ibis del citato art. 13, se dovuto.