Generi alimentari rubati nel supermercato: mendicante condannato

Lo stato di indigenza non rappresenta una giustificazione per l’azione criminosa compiuta. Anche tenendo conto del valore del bottino.

Nessuna giustificazione per il mendicante che ruba generi alimentari in un supermercato. A maggior ragione, poi, quando il bottino è così corposo da non poter essere collegato alla soddisfazione di un impellente bisogno alimentare. Ricostruito facilmente l’episodio, cioè il furto di generi alimentari in un supermercato, i giudici di merito ritengono sacrosanta la condanna dell’uomo - un mendicante senza fissa dimora - individuato come responsabile del ladrocinio. Col ricorso in Cassazione il difensore punta proprio sulla condizione di disagio vissuta dal suo cliente. E in questa ottica egli pone in rilievo lo stato di necessità che ha spinto il suo cliente a sottrarre beni di genere alimentare in un supermercato. Questo fondamentale dettaglio rende irrilevante, secondo il legale, anche il riferimento alla quantità dei beni sottratti , ritenuta dai giudici di merito non necessaria per soddisfare un bisogno primario . Alle obiezioni difensive i Giudici di Cassazione replicano in modo secco, cioè confermando la condanna del mendicante. Ciò perché, alla luce del quadro probatorio tracciato tra primo e secondo grado, va esclusa la configurabilità di un pericolo attuale di un danno grave alla persona del requisito dell’assoluta necessità della condotta e di quello dell'inevitabilità del pericolo non volontariamente causato . Senza dimenticare, poi, la mancanza di proporzione tra fatto e pericolo, trattandosi, tra l'altro, di un ben consistente quantitativo di generi alimentari . In generale, comunque, l'asserita situazione di indigenza non è di per sé idonea ad integrare la scriminante dello stato di necessità per difetto degli elementi dell'attualità e dell'inevitabilità del pericolo, atteso che alle esigenze delle persone che versano in tale stato è possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale . Difatti, lo stato di bisogno non può giustificare il mendicante che si trovi in ristrettezze economiche , alla luce della possibilità di ricorrere all'assistenza degli enti che la moderna organizzazione sociale ha predisposto per l'aiuto agli indigenti , possibilità che fa venir meno gli elementi dell'attualità e dell'inevitabilità del pericolo grave alla persona. Né la circostanza della destinazione del bene a soddisfare un bisogno alimentare esclude la configurazione del furto trattandosi pur sempre di un bene avente valore economico il cui impossessamento realizza un vero e proprio profitto laddove la destinazione al nutrimento si risolve nell'uso di cui l'autore dell'impossessamento fa del bene . Tirano le somme, i Giudici fissano il principio secondo cui in tema di operatività dello stato di necessità con riferimento al reato di furto di generi alimentari , pur dovendosi ritenere corretta una interpretazione di tale scriminante che si riferisca alla esigenza di far fronte a un bisogno quale può certamente essere anche quello alimentare, la cui mancata soddisfazione in determinate circostanze ben potrebbe compromettere la salute della persona, occorre potere escludere in modo assoluto la sussistenza di ogni altra concreta possibilità, priva di disvalore penale, di soddisfare diversamente quel bisogno evitando il danno altrui . Tornando al caso oggetto del processo, correttamente è stato escluso lo stato di necessità per un verso, in difetto degli elementi dell'attualità e inevitabilità del pericolo, atteso che alle esigenze delle persone che versano in stato di indigenza è possibile provvedere per mezzo degli istituti di previdenza sociale per altro verso, perché anche la quantità dei beni sottratti diverse confezioni di salumi e formaggi, per un valore complessivo di circa 102 euro non è compatibile con l'esigenza di soddisfare un impellente bisogno primario , osservano i Giudici, prima di concludere che la causa di giustificazione dello stato di necessità deve essere ricollegabile ad un bisogno impellente, e dunque a una sottrazione minimale, esigua, destinata ad una immediata soddisfazione dell'esigenza alimentare .

Presidente Miccoli – Relatore Sessa Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1.Con sentenza del 3.11.2022 la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia emessa in primo grado nei confronti di M.M., che lo aveva dichiarato colpevole del reato di furto, ha rideterminato la pena, riconoscendo la continuazione esterna con altro reato di furto, confermando nel resto. 2.Ricorre per cassazione l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all' art. 173 disp. att. c.p.p. , comma 1. 2.1.Col primo motivo deduce la mancanza di titolarità della qualifica necessaria per sporgere querela in capo a M.I., quale mera dipendente dell'esercizio commerciale ove è stato perpetrato il furto. La Corte di appello non coglie nel segno perché da un lato fa riferimento ad una delega e dall'altro al fatto che sarebbe stata la M. ad accorgersi del fatto laddove necessita la detenzione qualificata rispetto al bene secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte. 2.2.Col secondo motivo deduce vizio di motivazione ed erronea applicazione dell' art. 54 c.p. per non avere ravvisato la sentenza impugnata lo stato di necessità che ha spinto l'imputato a sottrarre beni di genere alimentare, assumendo che lo stato di fissa dimora non dimostra di per sé la sussistenza della scriminante e che la quantità dei beni sottratti non può essere ritenuta necessaria per soddisfare un bisogno primario. 3. Il ricorso è stato trattato, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 , senza l'intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto il Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa Sabrina Passafiume, presso questa Corte ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso. 4. Il ricorso è inammissibile. 4.1.1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La Corte d'appello, nel valutare il motivo di doglianza oggi riproposto dalla difesa, ha chiarito che la legittimazione a proporre querela, in capo alla dipendente M., discende sia dalla delega versata in atti rilasciata dal legale rappresentante di MD s.p.a., sia dalla circostanza che fu la stessa M., presente nell'esercizio commerciale nel momento in cui si consumava il fatto criminoso, ad accorgersi che un cliente si era repentinamente allontanato dal negozio, facendo scattare l'allarme fu la M. ad avvicinarsi all'uscita e a notare l'imputato allontanarsi velocemente in bicicletta, dopo avere guadagnato l'uscita . Sicché la censura afferente al difetto della condizione di procedibilità del delitto di furto, basata sulla mancanza della fonte dei poteri di rappresentanza , deve ritenersi manifestamente infondata, oltre che aspecifica rispetto al percorso motivazionale posto a fondamento della decisione assunta sul punto nella sentenza impugnata. Premessa l'esistenza di una delega in favore della M., la Corte d'appello, come osserva anche il Procuratore Generale nella requisitoria scritta, ha fatto, altresì, corretta applicazione del principio da tempo affermato dalle Sezioni Unite di codesta Corte, secondo il quale il bene giuridico protetto dal delitto di furto è individuabile non solo nella proprietà o nei diritti reali personali o di godimento, ma anche nel possesso - inteso come relazione di fatto che non richiede la diretta fisica disponibilità - che si configura anche in assenza di un titolo giuridico e persino quando esso si costituisce in modo clandestino o illecito, con la conseguenza che anche al titolare di tale posizione di fatto spetta la qualifica di persona offesa e, di conseguenza, la legittimazione a proporre querela Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013 , Sciuscio, Rv. 255975 . L'anzidetto principio è stato costantemente ribadito dalle sezioni semplici. In tema di truffa, in particolare, è stato affermato che il diritto di querela spetta, indipendentemente dalla formale attribuzione del potere di rappresentanza, anche all'addetto di un esercizio commerciale che si sia personalmente occupato, trovandosi al bancone di vendita, della transazione commerciale con cui si è consumato il reato, assumendo egli, in quel frangente, la responsabilità in prima persona dell'attività del negozio e rivestendo pertanto la titolarità di fatto dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice Sez. 2, n. 50725 del 04/10/2016 Filannino, Rv. 26838201 . In ogni caso nella fattispecie in esame la sentenza impugnata dà atto dell'esistenza della delega, non oggetto di specifica contestazione da parte del ricorrente. 4.2. Il secondo motivo è anch'esso manifestamente infondato e non si confronta specificamente con la motivazione della sentenza impugnata, che si presenta immune dai prospettati vizi di legittimità, avendo escluso la configurabilità dell'invocata causa di giustificazione alla stregua di puntuali considerazioni e in difetto finanche di allegazione di elementi specifici idonei ad integrarla. In ogni caso, di là dello specifico onere di allegazione incombente sull'imputato ai fini del riconoscimento della scriminante di cui all' art. 54 c.p. - come di ogni altra causa di giustificazione - si è correttamente ritenuto alla stregua delle emergenze in atti l'inconfigurabilità, nella fattispecie in esame, di un pericolo attuale di un danno grave alla persona, del requisito dell'assoluta necessità della condotta e di quello dell'inevitabilità del pericolo non volontariamente causato, la mancanza di proporzione tra fatto e pericolo, trattandosi tra l'altro di ben consistente quantitativo di generi alimentari. Né l'asserita situazione di indigenza è di per sé idonea ad integrare la scriminante dello stato di necessità per difetto degli elementi dell'attualità e dell'inevitabilità del pericolo, atteso che alle esigenze delle persone che versano in tale stato è possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale Sez. 5, n. 3967 del 13/07/2015 Ud. dep. 29/01/2016 Rv. 265888 - 01 Sez. 6, n. 27049 del 19/03/2008, Niang, Rv. 241014 . In effetti, si è ritenuto che lo stato di bisogno dell'imputato non possa integrare di per sé la scriminante di cui all' art. 54 c.p. e che non possa essere riconosciuto al mendicante che si trovi in ristrettezze economiche, perché la possibilità di ricorrere all'assistenza degli enti che la moderna organizzazione sociale ha predisposto per l'aiuto agli indigenti ne esclude la sussistenza, in quanto fa venir meno gli elementi dell'attualità e dell'inevitabilità del pericolo grave alla persona. Né la circostanza della destinazione del bene a soddisfare un bisogno alimentare esclude la configurazione del furto trattandosi pur sempre di un bene avente valore economico il cui impossessamento realizza un vero e proprio profitto laddove la destinazione al nutrimento si risolve nell'uso di cui l'autore dell'impossessamento fa del bene. Si deve quindi affermare che in tema di operatività dello stato di necessità con riferimento al reato di furto di generi alimentari, pur dovendosi ritenere corretta una interpretazione di tale scriminante che si riferisca alla esigenza di far fronte a un bisogno quale può certamente essere anche quello alimentare, la cui mancata soddisfazione in determinate circostanze ben potrebbe compromettere la salute della persona, occorre potere escludere in modo assoluto la sussistenza di ogni altra concreta possibilità, priva di disvalore penale, di soddisfare diversamente quel bisogno evitando il danno altrui. Sicché, in conclusione, si deve ribadire, il principio, tuttora attuale, secondo cui lo stato di necessita, quale causa di non punibilità di cui all' art. 54 c.p. , deve consistere in forze estranee alla volontà dell'agente, che costringono costui ad agire in modo contrario al diritto penale obbiettivo per sottrarre se stesso od altri al pericolo di un danno grave alla persona il soggetto, in altri termini, si deve trovare di fronte all'alternativa o di attendere inerte le conseguenze di un danno inevitabile alla propria od all'altrui persona ovvero di sottrarsi ad esso mediante un'azione od un'omissione prevista penalmente dalla legge. Non può pertanto integrare la esimente dell'art. 54 citato lo stato di bisogno attinente all'alimentazione eccetto i casi più gravi di indilazionabilità , perché la moderna organizzazione sociale, con vari mezzi ed istituti, appresta agli inabili al lavoro ed ai bisognosi quanto ad essi occorre, eliminando il pericolo di lasciarli privi di cure o di sostentamento quotidiano Sez. 6, n. 711 del 18/04/1967 Ud. dep. 13/06/1967 , Rv. 104604 - 01 conf. 103819, anno 1967 100667, 101577, anno 1966 . La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di stato di necessità e furto di generi alimentari, sopra richiamati, escludendo lo stato di necessità, per un verso, in difetto degli elementi dell'attualità e inevitabilità del pericolo, atteso che alle esigenze delle persone che versano in tale stato è possibile provvedere per mezzo degli istituti di previdenza sociale - circostanza rispetto alla quale nulla di concreto ha contrapposto il ricorrente -, per altro verso, perché anche la quantità dei beni sottratti diverse confezioni di salumi e formaggi, per un valore complessivo di circa Euro 102,00 non è compatibile con l'esigenza di soddisfare un impellente bisogno primario la causa di giustificazione dello stato di necessità deve essere, infatti, ricollegabile ad un bisogno impellente, e dunque a una sottrazione minimale, esigua, destinata ad una immediata soddisfazione dell'esigenza alimentare non diversamente soddisfabile e purché pur sempre imposta dalla necessità di evitare il pericolo di un danno grave alla persona . 5. Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 616 c.p.p. , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entità delle questioni trattate. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Motivazione semplificata.