Un lavoro stabile e una casa legittimano la protezione per lo straniero

I giudici ritengono evidente l’integrazione raggiunta in Italia dal cittadino extracomunitario. Ciò significa che farlo ritornare in patria provocherebbe danni alla sua vita relazionale.

Contratto di lavoro a tempo indeterminato e alloggio stabile certificano le radici messe dallo straniero in Italia e rendono palese la lesione che egli subirebbe in caso di ritorno in patria. Confermato perciò, nonostante il ricorso del Ministero dell’Interno, il riconoscimento della protezione umanitaria. Radicamento. A portare il caso in Cassazione è, infatti, il Ministero dell’Interno che contesta la decisione con cui in Appello è stata riconosciuta a un cittadino extracomunitario la protezione umanitaria, a fronte del possesso, da parte sua, di un contratto di lavoro tempo indeterminato e di un alloggio stabile . Questi due dati sono sufficienti, secondo i giudici d’Appello, per ritenere dimostrato il radicamento dello straniero nel tessuto sociale italiano, con la conseguenza che la rottura di quel radicamento determinerebbe una lesione per lo straniero. Di parere opposto, ovviamente, il Ministero dell’Interno, che con il ricorso in Cassazione ricorda che la protezione umanitaria presuppone seri motivi risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano e rappresentati da situazioni di vulnerabilità caratterizzate da un’esigenza qualificabile come umanitaria . Vita relazionale. Prima di prendere in esame il caso, i giudici di Cassazione ribadiscono che nell’ottica della protezione umanitaria occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva dello straniero con riferimento al Paese di origine in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato . E tale valutazione comparativa va poi condotta attribuendo alla condizione dello straniero nel Paese di provenienza un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione da lui raggiunto nella società italiana , ricordano ancora i giudici. Fatte queste premesse, i magistrati osservano che nel caso oggetto del processo va accolta la domanda di protezione umanitaria presentata dallo straniero, poiché in ragione del livello di integrazione raggiunto in Italia egli potrebbe ricevere, in sostanza, un danno alla propria vita relazionale in caso di ritorno in patria .

Presidente Acierno - Relatore Falabella Fatti di causa 1. - E' impugnata per cassazione la sentenza con cui la Corte di appello di Ancona ha respinto il gravame proposto dal Ministero dell'interno e accolto l'impugnazione incidentale del richiedente asilo R.P., alias P.C. la pronuncia di appello ha avuto ad oggetto quanto statuito con l'ordinanza ex art. 702 bis c.p.c. , dal Tribunale del capoluogo marchigiano e ha investito i diversi profili del riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. La Corte distrettuale, per quanto qui rileva, ha ritenuto sussistenti le condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria in considerazione del possesso in capo all'appellato di un contratto di lavoro tempo indeterminato e di un alloggio stabile , onde risultava dimostrato il radicamento dello stesso istante nel tessuto sociale, la cui rescissione determinerebbe un vulnus . 2. - Il ricorso per cassazione si fonda su di un motivo. L'intimato non ha svolto difese. Il giudizio, avviato alla trattazione camerale, è stato rimesso alla pubblica udienza con ordinanza n. 7966 del 2022 di questa Corte. Il Pubblico Ministero ha concluso per l'accoglimento del ricorso. Ragioni della decisione 1. - Il Ministero dell'interno denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Rileva, in breve, che la protezione accordata dalla Corte di merito presuppone seri motivi risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano rappresentati da situazioni di vulnerabilità caratterizzate da un'esigenza qualificabile come umanitaria. 2. - Il ricorso, che è svolto avendo riguardo al vizio di cui all' art. 360 c.p.c. , n. 3, è infondato. In tema di protezione umanitaria, l'orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d'integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l'esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459 . Tale valutazione comparativa va poi condotta attribuendo alla condizione del richiedente nel paese di provenienza un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nella società italiana, fermo restando che situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel paese originario possono fondare il diritto alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione in Italia qualora poi si accerti che tale livello è stato raggiunto e che il ritorno nel paese d'origine renda probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata o familiare tali da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall' art. 8 della Convenzione EDU , sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per riconoscere il permesso di soggiorno Cass. Sez. U. 9 settembre 2021, n. 24413 . Ciò detto, il provvedimento impugnato ha reputato fondata la domanda di protezione umanitaria ancorandola alla proposizione per cui, in ragione del livello di integrazione raggiunto nel paese di accoglienza dal richiedente, questi riceverebbe, in sostanza, un danno alla propria vita relazionale in caso di rimpatrio affermazione, questa, che non contraddice, in sé, la regula iuris appena richiamata e che poggia su di una valutazione di fatto sindacabile in questa sede sul solo versante motivazionale, che è però estraneo all'impugnazione proposta. 3. - Nulla è da statuire in punto di spese processuali. Secondo le Sezioni Unite di questa Corte, il giudice dell'impugnazione che emetta una delle pronunce previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, non è tenuto a dare atto della sussistenza del presupposto processuale per il versamento dell'importo ulteriore del contributo unificato c.d. doppio contributo quando la debenza dello stesso sia esclusa dalla legge in modo assoluto e definitivo Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020, n. 4315 ciò che accade nella fattispecie, visto che le Amministrazioni statali sono esentate, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, dal versamento del detto contributo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.