Negato il permesso premio al boss mafioso per andare in Chiesa: la Cassazione annulla la decisione

Il magistrato di sorveglianza rigettava l’istanza di un boss mafioso di poter usufruire di un permesso premio, al fine di partecipare ad una funzione religiosa, nonostante la sussistenza di sicuri indici di un percorso carcerario esemplare , non sufficienti, secondo il magistrato, a dimostrare la recisione dei legami associativi e la mancata ripresa della relazione con il gruppo criminale.

L'imputato ricorre, quindi, in Cassazione deducendo la violazione dell' art. 30- ter , l. n. 354/1975 e il vizio della motivazione del provvedimento impugnato sull' assenza del pericolo di ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata , secondo la lettura offerta dalla pronuncia della Corte Cost. n. 253/2019 . La doglianza è fondata. La Consulta , con la sentenza cit., ha dichiarato l' illegittimità costituzionale dell' art. 4- bis , comma 1, l. n. 354/1975 ord. pen. , nella parte in cui non prevedeva che ai detenuti per i delitti ivi elencati potessero essere concessi permessi premio , anche in assenza di collaborazione con la giustizia , in assenza di elementi che consentano di ritenere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata ovvero il pericolo di un loro ripristino . Indi per cui, ne consegue che grava sui giudici di sorveglianza l'onere di effettuare questa duplice verifica, prima di poter valutare negativamente la richiesta di permesso premio . Nel caso di specie, ciò è avvenuto, infatti, il Tribunale di sorveglianza ha esaminato la relazione di sintesi del carcere e le note informative degli organismi di vigilanza, evidenziando la natura esemplare del percorso del boss. Inoltre, il luogo in cui il permesso avrebbe dovuto essere goduto non coincide affatto con il territorio di origine del detenuto. Ne consegue, quindi, l'annullamento dell'ordinanza in oggetto.

Presidente Mogini Relatore Filocamo Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Catanzaro ha rigettato il reclamo proposto dal detenuto A.F. - in esecuzione pena per un omicidio aggravato dal metodo mafioso commesso nel - avverso il provvedimento con cui il Magistrato di sorveglianza di aveva rigettato la sua istanza volta alla concessione di un permesso premio per partecipare a una funzione religiosa presso la diocesi di OMISSIS . Il Tribunale ha rilevato la sussistenza di sicuri indici di un percorso carcerario esemplare , posto che dalla relazione di sintesi del carcere emergeva la partecipazione alle attività trattamentali più varie , un serio percorso di istruzione , e una profonda revisione critica del proprio passato con adesione convinta ai principi religiosi cattolici . Dalle note della Direzione Distrettuale Antimafia, della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza, inoltre, risultava l'assenza di elementi successivi alla carcerazione - di tipo socio familiare, patrimoniale o giudiziario - sintomatici di un persistente legame con l'organizzazione criminale di appartenenza . Tuttavia, il Tribunale ha rilevato che detti elementi non fossero sufficienti a dimostrare la recisione dei legami associativi e l'esistenza delle condizioni che escludano in radice la ripresa della relazione con il gruppo criminale . Tale conclusione era raggiunta dal Tribunale tenendo conto delle informative di Polizia che avevano ribadito l'operatività attuale del clan, anche se il detenuto non risultava essere stato raggiunto da alcuna misura custodiale nè erano emersi elementi indiziari ulteriori da quando egli era ristretto, pur essendo stato considerato quale personaggio di rilievo nell'ambito della OMISSIS . Il giudice a quo ha sottolineato, infine, che le modalità con cui si sarebbe dovuto svolgere il permesso richiesto, connotate dalla costante partecipazione della Diocesi, fossero da ritenersi irrilevanti ai fini di un diverso giudizio, atteso che il beneficio richiesto è finalizzato a testare i progressi trattamentali proprio nel territorio di origine del detenuto, sicché non può prescindersi, sia pure astrattamente, dalla sussistenza delle condizioni legittimanti la concessione del beneficio nella sua forma più ampia . 2. Ricorre per cassazione A. , con il ministero del difensore di fiducia, censurando con un unico motivo la violazione della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 30-ter ord. penit. e il vizio della motivazione del provvedimento impugnato sull'assenza del pericolo di ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata, secondo la lettura offerta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 253 del 2019. Il ricorso evidenzia che l'ordinanza è da considerarsi illogica e contraddittoria, atteso che il Tribunale, dopo aver rimarcato il formidabile percorso rieducativo del detenuto e l'esclusione di collegamenti con la criminalità organizzata, subito dopo ha valorizzato in chiave ostativa l'attuale operatività del clan, così escludendo l'attendibilità delle informative di Polizia in ragione dello status detentionis. Peraltro, il Tribunale, con l'ultimo passaggio dell'ordinanza, riteneva erroneamente che il detenuto fosse di origine calabrese, mentre è proveniente dalla Regione Puglia, così che il beneficio non avrebbe trovato esecuzione nella sua terra d'origine, come erroneamente affermato dal provvedimento impugnato. 3. Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso, e il conseguente annullamento del provvedimento con rinvio per nuovo esame, avendo rilevato la manifesta illogicità della motivazione, nella parte in cui ritiene perduranti i collegamenti del detenuto con l'organizzazione criminale di cui era stato partecipe, senza considerare il lodevole percorso carcerario e la totale assenza di elementi relativi a un coinvolgimento attuale del detenuto alle vicende del clan mafioso, nonché ove il Tribunale, errando, definisce coincidente o comunque vicino il territorio di riferimento del gruppo mafioso X e quello di ove si sarebbe dovuta svolgere la funzione religiosa per la quale era stato richiesto il permesso negato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato, quindi, meritevole di accoglimento. 1. La Corte costituzionale, con sentenza n. 253 del 2019 , ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 4-bis , comma 1, ord. penit. , nella parte in cui non prevedeva che ai detenuti per i delitti ivi elencati potessero essere concessi permessi premio, anche in assenza di collaborazione con la giustizia, in assenza di elementi che consentano di ritenere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata ovvero il pericolo di un loro ripristino. Per effetto di tale pronuncia, sui giudici della Sorveglianza grava il compito di effettuare questa duplice verifica, prima di poter valutare negativamente la richiesta di permesso premio, come nella fattispecie qui in esame. 2. Il Tribunale di sorveglianza, infatti, nel compiere detta verifica, ha esaminato la relazione di sintesi del carcere e le note informative degli organismi di sicurezza, evidenziando la natura esemplare del percorso risocializzante dell'A. e l'insussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, ma poi ha espresso un giudizio negativo sulla prognosi di non ripristino dei legami associativi criminali, motivando sull'attuale operatività del sodalizio di cui all' art. 416-bis c.p. . Questa valutazione, contenuta nella seconda parte dell'ordinanza, è totalmente avulsa dal giudizio personologico - assolutamente positivo - effettuato nella prima parte del provvedimento, con l'effetto che la motivazione risulta evidentemente illogica, e in parte mancante, dato che il Tribunale ha compiuto un giudizio astratto, senza tener adeguatamente in considerazione il contenuto delle informative di Polizia, dalle quali, come evidenziato nel provvedimento, non risultava neppure un indice di possibile futura ripresa dei collegamenti criminali. L'ordinanza, in sostanza, si risolve nella surrettizia reintroduzione parziale della presunzione assoluta di pericolosità sociale che era stata censurata dalla Consulta. Invero, negando il permesso premio al detenuto per reati ostativi in ragione della sola operatività del clan mafioso nel contesto del quale era l'A. , nonostante il suo esemplare percorso detentivo e l'assenza di indici di appartenenza all'associazione o di una sua attuale vicinanza agli affiliati, implicitamente si afferma, inaccettabilmente, che, finché il clan risulterà essere attivo, l'unica condizione che potrebbe consentire al detenuto di ottenere la concessione di un permesso premio è la collaborazione con la giustizia. È da ritenersi infine errata, perché smentita dalla lettura degli atti del procedimento, la valenza attribuita al luogo - - nel quale il permesso avrebbe dovuto essere goduto, poiché esso non coincide affatto con il territorio di origine del detenuto e con il territorio di riferimento dell'associazione che invece sono indicate nella Regione Puglia. 3. Per le considerazioni fin qui espresse, l'ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di sorveglianza per nuovo esame. Il giudice del rinvio, senza avere vincoli sul merito del giudizio, è tenuto a riesaminare la richiesta di parte, senza ripetere i censurati vizi della motivazione, applicando i principi di diritto sopra enunciati. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Catanzaro.