Niente assegno all’ex moglie: colpevole di fraudolenta spoliazione dei propri beni

Evidente, secondo i Giudici, come l’uomo si sia cancellato dall’albo dei commercialisti e abbia ceduto le quote immobiliari alla sorella con il chiaro scopo di potersi liberare dall’obbligo verso l’ex consorte. Confermata, quindi, la pena detentiva, invece di una mera multa.

Colpevole l’uomo che rinuncia alla propria professione e cede i propri beni immobiliari alla sorella solo per poter evitare di versare l’assegno di mantenimento all’ ex moglie. Decisiva la tappa giudiziaria in Corte d’appello lì viene ribaltata l’assoluzione pronunciata in Tribunale e l’uomo sotto processo viene ritenuto colpevole di violazione degli obblighi di assistenza familiare per omessa corresponsione, in favore della moglie divorziata, dell’assegno mensile di mantenimento stabilito dal giudice civile e viene condannato alla pena di due mesi di reclusione, oltre alle statuizioni disposte in favore della ex moglie costituitasi parte civile. Per i giudici di secondo grado non è comprovata l’incapacità economica assoluta dell’uomo ad adempiere all’obbligazione alimentare in favore dell’ex moglie. Inutile il ricorso proposto in Cassazione dall’uomo. Inutili le obiezioni rivolte alla decisione presa dai giudici d’Appello. Inequivocabile, secondo i magistrati, il quadro complessivo. In sostanza, l’uomo non ha offerto alcuna dimostrazione di versare in una situazione di assoluta ed incolpevole indigenza , mentre egli, pur svolgendo la professione di commercialista, ha deliberatamente cessato l’attività , cancellandosi dall’albo professionale ed ha intestato alla sorella le proprie quote immobiliari, così da figurare privo di redditi e di cespiti patrimoniali e conseguentemente sottrarsi all’obbligazione alimentare verso l’ex moglie. Impossibile, infine, mettere in dubbio la legittimità della sanzione decisa in Appello. Ciò perché l’uomo si è reso responsabile della citata fraudolenta spoliazione dei propri beni al fine di non versare l’assegno di mantenimento alla ex consorte. Giustificata, quindi, la pena detentiva stabilita in secondo grado, invece di una semplice multa.

Presidente Di Stefano – Relatore Villoni Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Ancona, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, ha ritenuto M.F. responsabile del reato di cui all' art. 570-bis c.p. , per omessa corresponsione in favore della moglie divorziata P.M. dell'assegno mensile di mantenimento stabilito dal giudice civile, condannandolo alla pena di due mesi di reclusione, oltre alle statuizioni disposte in favore della costituita parte civile. Previa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale mediante escussione della persona offesa dal reato, la Corte di merito ha ritenuto non comprovata l'incapacità economica assoluta dell'imputato ad adempiere all'obbligazione alimentare. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, che affida l'impugnazione a due distinti atti, deducendo i motivi di seguito esposti. Violazione di legge in relazione all' art. 570-bis c.p. e vizi congiunti di motivazione per averne i giudici di appello ritenuto la responsabilità, senza verificare che l'inadempimento fosse doloso e non già determinato dalla impossibilità di fare fronte all'obbligazione alimentare. Violazione dell' art. 133 c.p. e mancanza di motivazione riguardo alla scelta di applicare la pena della reclusione in luogo della multa. 3. Con atto recante data dell'8 marzo 2023 il ricorrente ha poi introdotto il seguente motivo aggiunto. Violazione di legge in relazione all' art. 416 c.p.p. , comma 2, art. 419 c.p.p. , comma 3, art. 442-bis c.p.p., comma 1, art. 438 c.p.p. , comma 5 e art. 441 c.p.p. , comma 5. La Corte di merito ha prestato fede alle dichiarazioni della persona offesa, costituitasi parte civile, in particolare affermando, sulla scorta dei documenti da costei prodotti, che il ricorrente avrebbe accettato l'eredità della madre, donando però la quota dell'immobile in cui attualmente abita unitamente alla sorella ed inoltre proventi dalla vendita di libri da lui scritti sotto pseudonimo. I dati precisi e puntuali contenuti in tale parte della motivazione, già costituenti oggetto del ricorso principale, non possono, tuttavia, che essere stati ricavati dai documenti prodotti dalla parte civile ed il loro contenuto è risultato certamente decisivo ai fini della condanna dell'imputato. Poiché, tuttavia, egli Stato giudicato con le forme del rito abbreviato, la documentazione attestante le sopra riferite circostanze non avrebbe potuto essere introdotta nel giudizio dalla parte civile e se la stessa, come dovuto, fosse stata ritenuta inutilizzabile dalla Corte di merito, la decisione sarebbe stata di diverso tenore rispetto a quella impugnata. La produzione documentale ha, pertanto, determinato la violazione dell'art. 442-bis c.p.p., comma 1, secondo cui, ai fini della deliberazione, il giudice utilizza gli atti contenuti nel fascicolo di cui all'art. 416, comma 2, la documentazione di cui all'art. 419, comma 3 e le prove assunte nell'udienza. Dal momento che le prove di cui all'art. 416, comma 2 e art. 419, comma 3 sono quelle provenienti dal Pubblico Ministero atti delle indagini preliminari e delle indagini investigative e che quelle assunte nell'udienza potevano esserlo solo ai sensi dell' art. 438 c.p.p. , comma 5, non è dato individuare alcuna base normativa per acquisire i documenti prodotti dalla parte civile né gli stessi, quand'anche inseriti nel fascicolo del giudice mediante deposito in cancelleria, prima della richiesta di giudizio abbreviato, divengono automaticamente utilizzabili. Nel presente procedimento e', per contro, entrata nel fascicolo del dibattimento la prova delle argomentazioni svolte dalla parte civile, la quale non ha, però, facoltà di controprova, essendo questa riservata al solo Pubblico Ministero ai sensi dell' art. 438 c.p.p. , comma 5. Ne' detta documentazione è stata acquisita in forza del potere di integrazione probatoria attribuita dall' art. 441 c.p.p. , comma 5, al giudice, che esercitando tale facoltà può effettivamente acquisire ex officio prove messe a disposizione anche dalla parte civile. La decisione si fonda, quindi, su prove inutilizzabili poiché illegittimamente acquisite agli atti del processo in violazione di un chiaro, ancorché implicito, divieto art. 438, comma 5 e va pertanto annullata. Considerato in diritto 1. Il ricorso va dichiarato inammissibile. 2. I primi due motivi di impugnazione, affidati al ricorso originario, sono intrinsecamente inammissibili. Il primo di essi, infatti, non solo verte direttamente sul merito della regiudicanda, ma si rivela generico in quanto costituisce la pedissequa riproposizione di quello già articolato con l'atto di gravame e concernente la pretesa impossibilità economica ad adempiere all'obbligazione stabilita dal giudice civile contestualmente al provvedimento di scioglimento del matrimonio. La Corte di appello ha, invero, osservato che l'imputato non ha offerto alcuna dimostrazione di versare in una situazione di assoluta ed incolpevole indigenza , risultando dagli atti come, pur svolgendo la professione di commercialista, avesse deliberatamente cessato l'attività, cancellandosi dall'albo professionale ed intestando alla sorella le proprie quote immobiliari, così da figurare privo di redditi e di cespiti patrimoniali e conseguentemente sottrarsi all'obbligazione alimentare. A tali rilievi il ricorrente oppone elementi di fatto diversi esposizione debitoria verso l'Agenzia delle Entrate, clausole accessorie alla donazione patrimoniale in favore della sorella che, secondo la sua prospettazione, non sarebbero stati adeguatamente apprezzati dalla Corte territoriale, ma non evidenzia alcun profilo di contraddittorietà o illogicità manifesta della motivazione della pronunzia impugnata. Quanto al secondo motivo, esso si risolve in una mera critica al potere del giudice di determinare la natura e la misura della pena, in questo caso detentiva, dalla Corte di merito irrogata alla strega dei criteri di commisurazione di cui all' art. 133 c.p. , del resto non prima di avere argomentato che l'imputato si era reso responsabile della citata fraudolenta spoliazione dei propri beni al fine sopra ricordato. Deve, del resto, ritenersi adempiuto l'obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena, allorché siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell'ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all' art. 133 c.p. Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013 , dep. 2014, Waychey ed al., Rv. 258410 Sez. 6, n. 9120 del 02/07/1998 , Urrata e al., Rv. 211582 . 3. Parimenti affetto da vizio di inammissibilità è il motivo nuovo introdotto con l'atto del 8 marzo 2023, dovendosi, infatti, preliminarmente rilevare come esso non presenti alcun collegamento rispetto a quelli contenuti nel ricorso originario. Non può in proposito che riaffermarsi il principio da tempo formulato dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui, in materia di impugnazioni, la facoltà del ricorrente di presentare motivi nuovi incontra il limite del necessario riferimento ai motivi principali, di cui i primi devono rappresentare mero sviluppo o migliore esposizione, ma sempre ricollegabili ai capi e ai punti già dedotti sicché sono ammissibili soltanto motivi aggiunti con i quali si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori, ma non anche motivi con i quali si intenda allargare l'ambito del predetto petitum, introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l'impugnazione in tal senso v. ex plurimis, Sez. 6, n. 36206 del 30/09/2020 , Tobi, Rv. 280294 Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, dep. 2013, Platamone, Rv. 254301 Sez. 6, n. 73 del 21/09/2011 , dep. 2012, Aguì, Rv. 251780 . Il motivo va, inoltre, ritenuto generico. Per quanto corretta appaia la ricostruzione della cornice normativa in tal senso v. Sez. 4, n. 42117 del 27/10/2021 , Mocetti, Rv. 282103 nonché Sez. 6, n. 24771 del 17/02/2022 , B., Rv. 283605 , il ricorrente ha omesso, tuttavia, di indicare quali sarebbero i documenti introdotti dalla parte civile, che la Corte di appello avrebbe utilizzato a sostegno della sua decisione, atteso che, scorrendo la motivazione della sentenza, non v'e' alcun cenno all'utilizzo di elementi di valutazione probatoria di natura documentale. A pag. 4 si legge solo che Prima ancora di entrare nel merito della valutazione delle risultanze processuali, ulteriori anche rispetto alle puntuali e precise dichiarazioni rese dalla ex moglie sentita in sede di rinnovazione istruttoria , espressione che sembra presuppore l'esistenza di elementi probatori ulteriori e aggiuntivi rispetto alle dichiarazioni rese dalla parte civile, ma in difetto di più precise indicazioni, vuoi contenute nella sentenza vuoi precisate dal ricorrente, non v'e' possibilità di stabilire in cosa effettivamente essi siano consistiti. 4. Alla dichiarazione d'inammissibilità dell'impugnazione segue, come per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento ciascuno di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che stimasi equo quantificare in Euro tremila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.