La persistente costituzione di parte civile equivale alla volontà di punire e quindi alla sussistenza della querela?

Protagonista della vicenda in esame è un imputato, accusato di aver minacciato un maresciallo a riceverlo” per potergli riferire del sequestro di ombrelloni da noleggio compiuto nei confronti della cognata.

È di particolare interesse analizzare, nella controversia in esame, il mutato regime di procedibilità del delitto di violenza privata , avvenuto in seguito alla c.d. Riforma Cartabia d.lgs. n. 150/2022 , secondo il quale per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del decreto in questione, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato . La questione che si pone nel caso di specie è se la persistente costituzione di parte civile equivalga alla volontà di punire e quindi alla sussistenza della querela . Le SS.UU. Salatino Cass. n. 40150/2018 sono già intervenute sul tema occupandosi degli effetti del mutato regime di punibilità introdotto per alcuni reati dal d.lgs. n. 36/2018 , sui fatti commessi prima e per i quali era già iniziato il procedimento penale, ed hanno avuto modo di spiegare come fosse stata predisposta a riguardo, una disciplina transitoria art. 12 per regolare le modalità con le quali, in relazione ai reati per i quali era mutato il regime di procedibilità, la persona offesa veniva posta nelle condizioni di valutare l'opportunità di esercitare nei termini il diritto di formulare l'atto propulsivo . Tale disciplina doveva interpretarsi secondo i principi già indicati dalle SS.UU. Corapi Cass. n. 5540/1982 in relazione alla corrispondente norma, formulata in termini sovrapponibili, nel contesto della l. n. 689/1981 art. 99 . Nel caso di specie, la persona offesa si è costituita parte civile ed ha partecipato ai giudizi d'appello , ottenendo la condanna degli imputati alla rifusione delle spese sostenute anche in quel grado giudizio. Dunque, una chiara volontà di punizione nei confronti dell'accusato in ordine ai fatti per cui si procede. Per tutti questi motivi, il Collegio rigetta il ricorso dell'imputato.

Presidente Petruzzellis – Relatore Silvestri Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Palermo, in riforma della sentenza di assoluzione, ha condannato D.L.A. per i reati previsti dagli artt. 56 - 610 e 341 bis c.p. All'imputato è contestato -di avere con minacce tentato di costringere il maresciallo R.T. a riceverlo per potergli riferire del sequestro di ombrelloni da noleggio compiuto il giorno precedente nei confronti della cognata M.I. capo a - di avere, sulla pubblica via e in presenza di più persone, offeso l'onore e il prestigio del maresciallo R. con una serie di frasi, riportate nella imputazione. 2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato articolando tre motivi. 2.1. Con il primo si deduce violazione di legge quanto al reato di tentata violenza privata di cui al capo a , aggravato ai sensi dell' art. 61, n. 10, c.p. , di cui non sarebbero configurabili i requisiti strutturali, non essendo stato peraltro contestati i reati previsti dagli artt. 336 e 337 c.p. , tipicamente destinati alla incriminazione dei comportamenti minacciosi nei confronti di un pubblico ufficiale. L' art. 610 c.p. , si evidenzia, farebbe riferimento a condotte commesse in danno di privati. 2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge quanto all' art. 341 bis c.p. sostiene l'imputato che, nel caso di specie, il pubblico ufficiale non sarebbe stato impegnato in nessuna attività d'ufficio al momento della condotta, commessa, in realtà, con modalità estemporanee, mentre il pubblico agente transitava su una via, verso l'arenile. 2.3. Con il terzo motivo si deduce vizio di motivazione quanto al giudizio di responsabilità per il capo a . Dalle stesse dichiarazioni del Maresciallo R. , sentito dalla Corte, emergerebbe come la condotta dell'imputato fosse inidonea a determinare una forma di costrizione dell'agire del destinatario. R. , abituato a gestire situazioni del genere, non avrebbe nutrito nessun timore nei riguardi dell'imputato e avrebbe voluto solo scongiurare la circostanza che alcuni forestieri continuassero ad assistere ad un turpiloquio nei confronti di un pubblico ufficiale in divisa vengono riportate alcune delle dichiarazioni della parte civile . 3. Sono state depositate note nell'interesse dell'imputato con cui si evidenzia che, a seguito della entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 10 ottobre 2022 , il delitto di violenza privata è divenuto a procedibilità condizionata e si chiede pertanto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è nel complesso infondato, ai limiti della inammissibilità. 2. La Corte di appello ha ricostruito i fatti spiegando come, a seguito del sequestro, eseguito il 6 agosto 2015, da parte della Guardia Costiera di OMISSIS comandata dal Maresciallo R. - di ombrelloni e lettini ad alcuni esercenti titolari di concessione demaniale, tra cui anche prossimi congiunti dello stesso D.L. , l'imputato il giorno successivo si presentò presso gli uffici della delegazione di spiaggia della Guardia Costiera al fine di chiedere a R. spiegazioni del suo operato. Ha chiarito la Corte come l'imputato, con una condotta oltraggiosa e minacciosa-puntualmente descritta in sentenza - pretendeva di costringere il militare a dare spiegazioni quanto al sequestro si è aggiunto che i fatti si verificarono alla presenza di più persone. 3. Sulla base della ricostruzione dei fatti, il primo e il terzo motivo rivelano la loro inammissibilità. È stato spiegato come gli atti compiuti fossero idonei ed univocamente volti a condizionare il militare dalla ricostruzione fattuale emerge inoltre come la condotta non fosse volta a costringere il pubblico ufficiale a compiere un atto contrario ai doveri d'ufficio o ad omettere un atto dell'ufficio, quanto, piuttosto, a ricevere spiegazioni , non, dunque, ad inquinare la funzione pubblica. Nè dubbi possono sussistere sulla idoneità della minaccia, neppure contestata dal ricorrente, dovendo questa essere valutata ex ante , tenendo conto delle circostanze oggettive e soggettive del fatto, con la conseguenza che l'impossibilità di realizzare il male minacciato, a meno che non tolga al fatto qualsiasi parvenza di serietà, non esclude il reato, dovendo riferirsi alla potenzialità costrittiva del male ingiusto prospettato tra le tante, Sez. 6, n. 32705 del 17/04/2014, Coccia, Rv. 260324 . È irrilevante, quindi, che il pubblico ufficiale possa non essere stato in concreto intimorito. 3. Inammissibile è anche il secondo motivo, non avendo dedotto il ricorrente alcunché di specifico e non essendosi confrontato con la motivazione della sentenza impugnata 4. Quanto al mutato regime di procedibilità del delitto di violenza privata, assume rilievo l' art. 85 del D.Lgs. n. 150 del 2022 , secondo il quale per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del decreto in questione, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato. Il tema che si pone è se, come nel caso di specie, la persistente costituzione di parte civile equivalga alla volontà di punire e quindi alla sussistenza della querela. Le Sezioni unite della Corte n. 40150 del 21/06/2018, Salatino sono intervenute sul tema allorché si sono occupate degli effetti del mutato regime di punibilità introdotto per alcuni reati dal D.Lgs. n. 36 del 10 aprile 2018 , sui fatti commessi prima e per i quali era già iniziato il procedimento penale. Nell'occasione le Sezioni hanno spiegato come, per effetto del mutato regime di procedibilità, fosse stata predisposta una disciplina transitoria art. 12 per regolare le modalità con le quali, in relazione ai reati per i quali era mutato il regime di procedibilità, la persona offesa veniva posta nelle condizioni di valutare l'opportunità di esercitare nei termini il diritto di formulare l'atto propulsivo. In particolare, la Corte ha chiarito come la disciplina transitoria indicata dovesse interpretarsi secondo i principi già indicati da Sez. U, n. 5540 del 17/04/1982, Corapi, Rv. 154076 in relazione alla corrispondente norma, formulata in termini sovrapponibili, nel contesto della L. 24 novembre 1981, n. 689 art. 99 . Si è affermato come già condivisibilmente posto in evidenza nella sentenza Corapi, onde evitare conseguenze aberranti derivanti da una interpretazione formalistica della norma transitoria, l'avviso alla persona offesa non debba essere dato quando risulti dagli atti che il diritto di querela sia già stato formalmente esercitato che l'offeso abbia, in qualsiasi atto del procedimento, manifestato la volontà di instare per la punizione dell'imputato . In senso conforme, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa, non richiedendo formule particolari, può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione ne consegue che tale volontà può essere riconosciuta anche nell'atto con il quale la persona offesa si costituisce parte civile, nonché nella persistenza di tale costituzione nei successivi gradi di giudizio cfr., Sez. 2, n. 19077 del 03/05/2011 , Maglia, Rv. 250318 Sez. 5, n. 15691 del 06/12/2013 , dep. 2014, Anzalone, Rv. 260557 Sez. 5, n. 21359 del 16/10/2015 , dep. 2016, Giammatteo, Rv. 267138 Sez. 5, n. 29205 del 16/02/2016 , Rahul Jetrenda, Rv. 267619 Sez. 2, n. 8823 del 04/02/2021 , Sanfilippo, Rv. 280764 Sez. 2, n. 12410 del 13/02/2020 , De Giorgio, Rv. 279057 . 5. Nel caso in esame, la persona offesa si è costituita parte civile e ha partecipato al giudizio di appello, ottenendo la condanna degli imputati alla rifusione delle spese sostenute anche in quel grado di giudizio. Dunque una chiara volontà di punizione nei confronti dell'imputato in ordine ai fatti per cui si procede. 6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.