Iure repraesentationis: alla stirpe non può essere attribuito più di quanto spetterebbe al capostipite

Ai sensi dell’articolo 552 c.c. il legittimario che rinuncia all’eredità ha diritto di ritenere le donazioni o di conseguire legati a lui fatti anche nel caso in cui operi la rappresentazione, senza che i beni oggetto dei legati o delle donazioni si trasmettano ai rappresentanti, fermo restando però l’onere di questi ultimi di dover imputare le stesse disposizioni alla quota di legittima nella quale subentrano iure repraesentationis .

La Corte di Cassazione ha quindi risolto il dubbio interpretativo e il contrasto dottrinale che ne era seguito sull'inciso quando non si ha rappresentazione” contenuto nell' art. 552 c.c. , tarpando le ali anche a coloro che avidamente miravano ad avere più di quanto concretamente gli spettasse. La norma infatti prevede che il legittimario che rinunzia all'eredità, quando non vi è rappresentazione, può sulla disponibile ritenere le donazioni o conseguire i legati a lui fatti ma quando non vi è stata espressa dispensa dall'imputazione, se per integrare la legittima spettante agli eredi è necessario ridurre le disposizioni testamentarie o le donazioni, restano salve le assegnazioni, fatte dal testatore sulla disponibile, che non sarebbero soggette a riduzione se legittimario avesse accettato l'eredità, e si riducono le donazioni e legati fatti a quest'ultimo. La disposizione mira, secondo la prevalente opinione dottrinale, ad evitare che le donazioni non dispensate da imputazione ricevute in vita dal legittimario che intende rinunciare non vadano a gravare sulla posizione degli altri legittimari , in quanto porrebbero essere in potenziale pericolo, ai fini della riduzione, tutte le donazioni ovvero le altre disposizioni mortis causa che, ove vi fosse stata accettazione di eredità, sarebbero state immuni dalla riduzione, in quanto gravanti sulla disponibile. La norma però pone un dubbio interpretativo su chi debba gravare la donazione senza espressa dispensa da imputazione nell'ipotesi in cui, per effetto della rinuncia e per il meccanismo della rappresentazione, subentrino i discendenti in luogo del rinunciante. A mente del terzo comma dell' art. 564 c.c. , il legittimario che subentra per la presentazione deve imputare alla propria quota di riserva le donazioni e legati dispensati da imputazioni fatte al proprio ascendente , ma ciò comporterebbe, secondo parte della dottrina, una situazione di iniquità in considerazione del fatto che i rappresentanti, pur non avendo tratto alcun beneficio dalle donazioni ricevute dal loro ascendente, dovrebbero comunque imputarle alla loro quota nel momento in cui intendano agire in riduzione. Al fine di rendere tollerabile tale apparente iniquità, alcuni autori hanno sostenuto che l'inciso contenuto nell' art. 552 c.c. , con il riferimento la rappresentazione, comporterebbe la possibilità per il donatario di ritenere le donazioni in caso di rinuncia solo in assenza di rappresentazione , mentre laddove operi questo istituto quanto ricevuto per donazione si trasmetterebbe automaticamente a favore dei rappresentanti. La Corte di Cassazione, invece, ha ritenuto di aderire all'opinione prevalente della dottrina la quale ritiene che, ove si verifichi il subentro dei discendenti del rinunciante, le stesse donazioni e i legati vanno fatti gravare sull' indisponibile e quindi sulla quota di legittima nel quale sono subentrati rappresentanti che, per effetto delle predette previsioni, sono tenuti a procederne all'imputazione. La Cassazione ha infatti sottolineato che in tale previsione non sussiste alcun profilo di iniquità in quanto la norma si pone in maniera coerente rispetto al principio secondo cui la divisione avviene per stirpi, e con la regola per cui ad una stirpe, ancorché in seguito dell'operatività della rappresentazione non può essere attribuito più di quanto sarebbe spettato il capostipite. Tutto quanto sopra premesso, la Suprema Corte ha quindi stabilito che, ai sensi dell' art. 552 c.c. , il legittimario che rinuncia all'eredità ha diritto di ritenere le donazioni o di conseguire legati a lui fatti, anche nel caso in cui operi la rappresentazione , senza che i beni oggetto dei legati o delle donazioni si trasmettano ai rappresentanti, fermo restando però l'onere di quest'ultimi di dover imputare le stesse disposizioni alla quota di legittima nella quale subentrano iure repraesentationis .

Presidente Di Virgilio – Relatore Criscuolo Motivi in fatto ed in diritto della decisione 1. Con atto di citazione del 13 aprile 2000 D.B.P. evocava in giudizio dinanzi al Tribunale di Bari - Sezione distaccata di Rutigliano, il fratello D.B.G. per procedere alla divisione di alcuni beni in comunione, in quanto oggetto di donazione in favore di entrambi da parte del genitore, con l'imputazione alla massa delle rendite prodotte e dei frutti derivanti dal godimento esclusivo. Evidenziava che il bene comune era un compendio immobiliare in Omissis composto da capannone industriale, per l'attività di produzione ed imbottigliamento di olio, da un fabbricato a tre piani adibito ad ufficio, da un silos e da due fabbricati di cui uno adibito a deposito e l'altro a garage. Inoltre, era in comunione, per la quota di 7/10 in capo all'attore e di 3/10 in capo al convenuto, un fondo rustico sito in Omissis . Nella resistenza del convenuto che eccepiva la non comoda divisibilità dei beni, veniva disposta la chiamata in causa di G.M. sul presupposto che la stessa vantasse un diritto di usufrutto ovvero di abitazione su parte dei beni comuni. Si costituiva la terza chiamata che assumeva l'invalidità della transazione con la quale aveva rinunciato al diritto e chiedeva accertarsi l'esistenza dello stesso. Il Tribunale con la sentenza n. 1555-2014 dichiarava lo scioglimento della comunione, assegnando la quota n. 1 all'attore e la quota n. 2 al convenuto, rigettando le altre domande proposte. Avverso tale sentenza ha proposto appello principale D.B.G. cui ha resistito con appello incidentale D.B.P La Corte d'Appello di Bari, con la sentenza n. 798 del 23 giugno 2017 ha rigettato il gravame principale, ed in accoglimento di quello incidentale ha affermato che la G. vantava sui beni un diritto di abitazione e non di usufrutto. In primo luogo, escludeva la fondatezza della deduzione dell'appellante secondo cui la comunione oggetto di causa avesse natura ereditaria, trattandosi di beni acquisiti dai germani per effetto di donazione, e non potendosi attribuire rilevanza alla circostanza che una volta deceduto il genitore, donante, entrambi avessero rinunciato all'eredità paterna, essendo subentrati per rappresentazione i figli di D.B.G Ciò escludeva anche la necessità di partecipazione di questi ultimi, il cui intervento in primo grado era stato dichiarato inammissibile. Passando alla valutazione dei beni, la Corte distrettuale rilevava come il complesso immobiliare, a causa anche della sua vetustà e dello stato di abbandono in cui versava, non fosse assolutamente idoneo a svolgere alcuna funzione produttiva. Il bene era stato dichiarato inagibile nel 1993 e sebbene nel 1995 fosse stata costituita una società volta alla produzione e commercializzazione di olio, nella realtà tale società non aveva mai operato. Doveva quindi accedersi alla soluzione cui era pervenuto il CTU in punto di divisione in natura dei beni, essendo quindi stato attribuito il lotto con funzione residenziale a D.B.P. e quello ab origine produttivo a D.B.G La differenza di quote tra i due condividenti, come si evinceva dalla differente misura delle quote vantate sul terreno, legittimava altresì la diretta attribuzione delle quote, senza dover far ricorso al criterio del sorteggio. Ribadita l'inammissibilità per la tardiva proposizione della domanda riconvenzionale del convenuto, la sentenza reputava altresì corretta la stima dei beni, che teneva conto delle loro attuali condizioni, indubbiamente deterioratesi nel corso del giudizio per lo stato di abbandono ed incuria in cui versavano. Rigettati anche i motivi relativi alla condanna alle spese ed alla richiesta di sospendere il giudizio in attesa della definizione del diverso giudizio avente ad oggetto la validità della transazione intervenuta con la G., la sentenza riteneva fondato l'appello incidentale volto unicamente a contestare la qualificazione del diritto vantato sui beni dalla G Il Tribunale aveva, infatti, ritenuto che si trattasse di un usufrutto, ma da una serie di elementi probatori, ed in particolare dal tenore dell'atto di donazione del 25/10/1991, con il quale era stato costituito dal dante causa, emergeva che invece si trattava di un diritto di abitazione, avendo il donante inteso esonerare la beneficiaria da qualsiasi concorso alle spese per le utenze varie. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso D.B.G. sulla base di quattro motivi. D.B.P. ha resistito con controricorso illustrato da memorie. G.M. non ha svolto difese in questa fase. 2. Preliminarmente, come già segnalato con la precedente ordinanza interlocutoria n. 34868-2022, nella vicenda si pone la questione il problema della ammissibilità del ricorso per la nullità della procura. Infatti, il ricorso risulta proposto da parte di difensori officiati in virtù di procura speciale per atto del Funzionario giudiziario del Tribunale di Bolzano, Dott. T. del 18 settembre 2017, autenticata avvalendosi della previsione di cui alla L. n. 445 del 2000, art. 21. Deve però escludersi che tale procura possa reputarsi valida, trattandosi di atto che esula dal novero di quelli per i quali il funzionario giudiziario possa validamente esercitare il potere di autenticazione, e ciò in ragione della natura negoziale della procura de qua. La L. n. 445 del 2000, art. 21 citato così recita 1. L'autenticità della sottoscrizione di qualsiasi istanza o dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà da produrre agli organi della pubblica amministrazione, nonché ai gestori di servizi pubblici è garantita con le modalità di cui all'art. 38, comma 2 e comma 3. 2. Se l'istanza o la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà è presentata a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1 o a questi ultimi al fine della riscossione da parte di terzi di benefici economici, l'autenticazione è redatta da un notaio, cancelliere, segretario comunale, dal dipendente addetto a ricevere la documentazione o altro dipendente incaricato dal Sindaco in tale ultimo caso, l'autenticazione è redatta di seguito alla sottoscrizione e il pubblico ufficiale, che autentica, attesta che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza, previo accertamento dell'identità del dichiarante, indicando le modalità di identificazione, la data ed il luogo di autenticazione, il proprio nome, cognome e la qualifica rivestita, nonché apponendo la propria firma e il timbro dell'ufficio. La norma risulta evidentemente limitativa de potere di autentica del pubblico funzionario, diverso dal notaio, specificamente per gli atti negoziali, e siffatta limitazione trova conforto anche nella previsione del successivo art. 38, il cui comma 3 bis conferma che deve trattarsi di atti che sebbene rivolti alla PA non hanno valore negoziale art. 38 Modalità di invio e sottoscrizione delle istanze. 1. Tutte le istanze e le dichiarazioni da presentare alla pubblica amministrazione o ai gestori o esercenti di pubblici servizi possono essere inviate anche per fax e via telematica. 2. Le istanze e le dichiarazioni inviate per via telematica, ivi comprese le domande per la partecipazione a selezioni e concorsi per l'assunzione, a qualsiasi titolo, in tutte le pubbliche amministrazioni, o per l'iscrizione in albi, registri o elenchi tenuti presso le pubbliche amministrazioni, sono valide se effettuate secondo quanto previsto dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, art. 65 . 3 . Le istanze e le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà da produrre agli organi della amministrazione pubblica o ai gestori o esercenti di pubblici servizi sono sottoscritte dall'interessato in presenza del dipendente addetto ovvero sottoscritte e presentate unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore. La copia fotostatica del documento è inserita nel fascicolo. La copia dell'istanza sottoscritta dall'interessato e la copia del documento di identità possono essere inviate per via telematica nei procedimenti di aggiudicazione di contratti pubblici, detta facoltà è consentita nei limiti stabiliti dal regolamento di cui alla L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 15, comma. 3-bis. Il potere di rappresentanza per la formazione e la presentazione di istanze, progetti, dichiarazioni e altre attestazioni nonché per il ritiro di atti e documenti presso le pubbliche amministrazioni e i gestori o esercenti di pubblici servizi può essere validamente-conferito ad altro soggetto con le modalità di cui al presente articolo. Nella giurisprudenza di questa Corte, sebbene manchino precedenti specificamente riferiti al potere di autentica delle procure alle liti da parte di funzionari giudiziari, è però maturato un orientamento nettamente contrario al riconoscimento del potere di autentica da parte di soggetti diversi dai notai. In tal senso rileva Cass. n. 19666/2013 , a mente della quale è nulla la procura speciale alle liti conferita mediante scrittura privata con firma autenticata dall'ufficiale dell'anagrafe del Comune, non potendosi ricavare dal sistema normativo un potere dell'incaricato comunale di autenticare la sottoscrizione di atti negoziali conf. Cass. n. 27356/2014 Cass. n. 12816/2017 . In motivazione, nell'esaminare un'ipotesi di procura speciale conferita dal Sindaco al difensore con scrittura privata autenticata, dall'ufficiale dell'anagrafe del Comune, ai sensi del D.P.R. n. 28 dicembre 2000, n. 445, art. 21, è stato sottolineato che il comma 2 dell' art. 83, c.p.comma prevede che la procura alle liti deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata. E' stato ricordato come in passato la Corte avesse avuto modo di occuparsi della procura alle liti conferita con scrittura privata autenticata dal segretario comunale e ne avesse escluso l'idoneità, sulla base della specificità del dettato della L. 4 gennaio 1968 n. 15, art. 20, che è in larga parte sovrapponibile alla norma sopra richiamata, concernente solo l'autenticazione di istanze da produrre ad organi amministrativi, nonché del R.D. 3 marzo 1934, n. 383, art. 89, concernente la possibilità per i segretari comunali di rogare, nell'esclusivo interesse dell'Amministrazione, gli atti e i contratti riguardanti alienazioni, locazioni, acquisti, somministrazioni od appalti di opere . Per l'effetto, ai fini della idoneità della procura rilasciata con separata scrittura privata, avente natura negoziale, è stato affermato che deve essere autenticata dal notaio, al quale spetta, ai sensi dell' art. 2703 c.comma , certificare l'autografia di tali sottoscrizioni, previo accertamento della identità personale delle parti, non limitato al controllo dei documenti identificativi Cass. 15 marzo 2001, Ricomma 2017 n. 23165 sez. S2 - ud. 27-04-2023 -9- n. 3757 , Cass. 3 aprile 1998, n. 3426 . Al notaio, ed in relazione ad ipotesi di procura rilasciata all'estero dalla parte al proprio difensore con scrittura privata, è stata ritenuta idonea l'autenticazione della firma da parte dell'autorità consolare italiana, in quanto titolare di competenze notarili, ai sensi del D.P.R. n. 5 gennaio 1967, n. 200, art. 19 Cass. 30 settembre 2005, n. 19214 . Ritiene il Collegio che tali conclusioni debbano essere confermate anche alla luce della disciplina del 2000, e che si estendano anche al caso, qui in esame, di autenticazione della sottoscrizione della procura da parte del funzionario giudiziario. A tal fine rileva la regola secondo cui, al di fuori degli atti espressamente previsti dalla legge, per i quali è specificamente conferita, al funzionario diverso dal notaio, il potere di autenticazione di determinati atti, tale potere non è generalizzato, ma è di volta in volta individuato dal legislatore cfr. Cass. n. 16266/2004 . Una volta quindi ribadita la natura negoziale della procura alle liti cfr. Cass. n. 8863/2021 Cass. n. 18450/2014 , al funzionario giudiziario è preclusa la possibilità di autenticare la sottoscrizione della procura alle liti, e ciò in quanto la L. n. 445 del 2000, art. 21 subordina il potere di autentica al ricorrere di due presupposti di cui uno oggettivo istanza rivolta alla PA o dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà , e l'altro relativo alla destinazione dello stesso. Solo in via di interpretazione offerta da circolari ministeriali il potere di autentica è stato esteso alle deleghe a terzi per la riscossione di un beneficio economico, ma sul presupposto che le stesse siano assimilabili ad un'istanza rivolta alla PA procedente per permettere ad un terzo la riscossione di una somma, estensione che però non può spingersi sino ad ammettere l'autentica della sottoscrizione per una procura alle liti, che costituisce un atto che presuppone una manifestazione di volontà negoziale con cui si attribuiscono poteri di agire al rappresentante. Attesa l'assenza di una valida procura speciale ex art. 365 c.p.comma , il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, senza che a tale esito ostino le conclusioni del Pubblico Ministero. Quetsi ha infatti sostenuto che è stato anche più volte affermato ed anche di recente ribadito che la mancata certificazione, da parte del difensore, dell'autografia della firma del ricorrente, apposta sulla procura speciale in calce o a margine del ricorso per cassazione, costituisce mera irregolarità, che non comporta la nullità della procura alla lite, perché tale nullità non è comminata dalla legge né tale formalità incide sui requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo dell'atto, individuabile nella formazione del rapporto processuale attraverso la costituzione in giudizio del procuratore nominato, salvo che la controparte non contesti, con valide e specifiche ragioni e prove, l'autografia della firma non autenticata Cfr Cass. civ. SU n 4191/96 , n 12625/98 , n 6959/00 , n 23994/04 , n 24894/15 , n 27774/11 , n 34748/19 . Ha quindi reputato che tali principi possano essere applicati anche alla procura redatta su un foglio materialmente congiunto al ricorso, come nel caso in esame, vista l'equiparazione da ultimo ribadita ai fini della specialità della procura con quella redatta in calce o a margine del ricorso. Pertanto l'invalidità colpirebbe esclusivamente la certificazione eseguita da un soggetto non abilitato, ma non si estenderebbe alla procura nell'ipotesi in cui, come nel caso in esame, sia regolarmente avvenuta la costituzione in giudizio del procuratore nominato e la controparte non abbia affatto contestato l'autografia della sottoscrizione non autenticata. La soluzione però non è condivisa dal Collegio. I precedenti ai quali mostra di richiamarsi l'Ufficio di Procura attengono alla mancata certificazione della sottoscrizione della firma del cliente rilasciata in relazione ad una procura apposta in calce o a margine dell'atto processuale e quindi di una procura che rientra nelle ipotesi per le quali il potere di certificazione è attribuito univocamente al difensore, che però, pur trascurando di attestare l'autenticità della firma per la procura, sottoscrive l'atto cui la procura stessa inerisce, essendo inserita nello stesso e facendone parte, anche in ragione delle fattispecie di congiunzione materiale individuate dal codice di rito. Qui invece siamo al cospetto di una procura conferita con atto separato, come riconosciuto nella stessa epigrafe del ricorso, così che per la stessa devono valere i requisiti formali posti dal comma 2 dell' art. 83 c.p.comma , che prevede che la procura sia rilasciata per atto pubblico o per scrittura privata autenticata. Il vizio investe quindi il potere di autenticazione del pubblico ufficiale al quale la parte si è rivolta, non ritenendo invece di far ricorso al potere di certificazione del difensore di cui al comma 3 dell' art. 83 c.p.comma , così che la mera sottoscrizione del ricorso non può supplire al difetto di procura valida che investe la procura che a monte non è stata affidata al potere di certificazione del difensore. Ad opinare diversamente, ne avremmo che basterebbe anche una procura rilasciata su di un foglio in carta semplice, priva di qualsivoglia attestazione di autenticità della firma, che sol perché richiamata in ricorso dal difensore, varrebbe come valida procura, e ciò con una interpretazione sostanzialmente abrogante dell' art. 83 comma 2 c.p.comma , che invece individua specifici requisiti di forma per le ipotesi di procura speciale, ove la parte non si affidi al potere di autentica del difensore ed in relazione a procure apposte in calce o a margine degli atti processuali individuati dal successivo comma 3. V quindi dichiarata l'inammissibilità del ricorso per l'assenza di una valida procura speciale, attenendo il vizio alla valida costituzione del rapporto processuale, vizio che è rilevabile anche d'ufficio Cass. n. 3757/2001 cit. e, che in ogni caso - cioè anche dopo la riforma dell' art. 182 c.p.comma ad opera della l. 69/2009 , comunque inapplicabile al presente giudizio introdotto nel 2000 - non è suscettibile di sanatoria occorrendo che la stessa sia rispettosa del principio di specialità, che ne impone, come si è visto, certo e specifico riferimento alla decisione impugnata, non è configurabile un rilascio tardivo per ordine del giudice Cass., Sez. Un., 21.12.2022, n. 37434 . 3. A fornte della declaratoria di inammissibilità del ricorso, tuttavia le questioni poste dai primi tre motivi di ricorso appaiono di particolare importanza, attesa anche l'assenza di specifici precedenti sul punto, sicché ai sensi dell' art. 363 comma 3 c.p.comma , ritiene il Collegio che debba procedersi alla loro disamina ancorché ai fini dell'affermazione del principio di diritto nell'interesse della legge. 3.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 521 e 552 c.comma , nella parte in cui la sentenza gravata ha escluso che nella comunione fossero subentrati anche i figli di D.B.G., d.b.A. e D.B.F., i quali, attesa la rinuncia espressa del genitore all'eredità del donante D.B.V., padre dei donatari, erano subentrati per rappresentazione. A tal fine era stato sottolineato che, a seguito della rinuncia, il rinunciante può ritenere la donazione nei limiti della disponibile, dovendosi altresì tenere conto del dettato dell' art. 552 c.comma , che tempera la previsione di cui all' art. 521 c.comma , disponendo che il legittimario che rinuncia all'eredità, quando non si ha rappresentazione, può sulla disponibile ritenere le donazioni e conseguire i legati a lui fatti. Dalla lettura combinata delle due norme si inferisce quindi che, ove invece operi la rappresentazione ed i rappresentati effettivamente adiscano l'eredità, tenuto anche conto di quanto disposto all' art. 564 comma 3 c.comma a mente del quale il legittimario che subentra per rappresentazione deve imputare le donazioni ed i legati fatti, senza espressa riserva, al suo ascendente , in realtà il legittimario donatario non ha la possibilità di trattenere nulla e trasmette automaticamente quanto ricevuto al soggetto che subentra per rappresentazione. Ne deriva quindi che i beni oggetto della donazione effettuata in favore del rappresentato sono pervenuti ex lege ai rappresentanti che dovevano quindi prendere parte al giudizio di divisione. Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione della Cost., art. 111 e 132 comma 2 n. 4 c.p.comma per carenza assoluta di motivazione, quanto all'affermazione del giudice di appello secondo cui la comunione oggetto di causa avrebbe conservato natura ordinaria, non avvedendosi delle ragioni che avevano indotto i rappresentati ad intervenire nel processo, mancando qualsivoglia argomentazione idonea a confutare la tesi che invece sorreggeva l'intervento. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 101 e 102 c.p.comma , in quanto, avuto riguardo a quanto esplicitato nei precedenti motivi di ricorso, i nipoti del donante, subentrati alla successione per rappresentazione, devono reputarsi proprietari dei beni oggetto di causa dovendo quindi prendere parte al giudizio nella qualità di litisconsorti necessari. 3.2 I tre motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, si fondano però su di una tesi che non può essere condivisa. Il complesso delle censure pone all'attenzione della Corte la questione, a quanto consta, non ancora espressamente affrontata dalla giurisprudenza di questa Corte, della corretta esegesi del comma 2 dell' art. 552 c.comma . La norma prevede che il legittimario che rinunzia all'eredità, quando non si ha rappresentazione, può sulla disponibile ritenere le donazioni o conseguire i legati a lui fatti ma quando non vi è stata espressa dispensa dall'imputazione, se per integrare la legittima spettante agli eredi è necessario ridurre le disposizioni testamentarie o le donazioni, restano salve le assegnazioni, fatte dal testatore sulla disponibile, che non sarebbero soggette a riduzione se il legittimario accettasse l'eredità, e si riducono le donazioni e i legati fatti a questo ultimo. La disposizione, che completa quanto già disposto dall' art. 521 c.comma , mira, secondo la prevalente opinione dottrinale, a sanzionare il legittimario che, avendo già ricevuto delle donazioni in vita non dispensate da imputazione, e quindi naturalmente in conto di legittima, preferisce rinunciare all'eredità, determinando in tal modo un aggravio della posizione degli altri legittimari, e ponendo potenzialmente in pericolo, ai fini della riduzione, le donazioni ovvero le altre disposizioni mortis causa, che, ove invece avesse accettato, sarebbero state immuni dalla riduzione, in quanto gravanti sulla disponibile. In questo caso il legislatore prevede che le pretese degli altri legittimari debbano essere indirizzate proprio nei confronti delle disposizioni che il rinunciante intendeva ritenere con la propria scelta, mettendo al riparo quelle altre donazioni o legati che invece sarebbero gravate sulla disponibile, ove vi fosse stata accettazione. La norma però pone un dubbio interpretativo nell'ipotesi in cui, per effetto della rinuncia, operi il meccanismo della rappresentazione con il subentro dei discendenti in luogo del rinunciante. Occorre, infatti, anche tenere conto dell'ulteriore previsione di cui al comma 3 dell' art. 564 c.comma che prevede che il legittimario che subentra per rappresentazione debba imputare alla propria quota di riserva le donazioni ed i legati dispensati da imputazione fatti al proprio ascendente. Se l'avvenuta rinuncia all'eredità da parte degli originari donatari esclude che possa dibattersi per loro di collazione, mancando l'attuale qualità di coeredi in capo ai medesimi, parte della dottrina, richiamata in ricorso, ritiene che l'insieme delle norme determinerebbe delle conseguenze inique a carico dei rappresentanti, i quali, pur non avendo tratto alcun beneficio dalle donazioni ricevute dal loro ascendente, dovrebbero comunque imputarle alla loro quota nel momento in cui agissero in riduzione nonché a portarle in collazione ai sensi dell' art. 740 c.comma . Al fine, quindi, di rendere tollerabile tale apparente iniquità, alcuni autori hanno sostenuto che l'inciso contenuto nell' art. 552 c.comma , con il riferimento alla rappresentazione, comporterebbe che la possibilità per il donatario di ritenere le donazioni in caso di rinuncia varrebbe solo in assenza di rappresentazione, ma laddove operi anche questo istituto, quanto ricevuto per donazione si trasmetterebbe automaticamente a favore dei rappresentanti. Solo in questa prospettiva ermeneutica sarebbe quindi meritevole di fondamento la tesi di parte ricorrente secondo cui della comunione oggetto della domanda di divisione sarebbero parti anche i figli di D.B.G. ma senza che ciò incida a ben vedere sulla qualificazione come ereditaria anziché ordinaria della comunione, sembrando al Collegio che il meccanismo come configurato dalla dottrina in esame, miri solo a prevedere un subentro dei rappresentanti nella titolarità dei beni donati, ma senza che muti la natura originaria dell'acquisto . Ritiene però la Corte che debba invece aderirsi all'opinione della prevalente dottrina che, senza prevedere un subentro dei rappresentanti in luogo del rappresentato conclusione questa che porrebbe evidentemente anche profili problematici quanto alla tutela dell'eventuale terzo acquirente dal donatario, in assenza di adeguate forme di pubblicità che consentano di avvedersi del mutamento di titolarità dei beni per effetto del meccanismo sopra delineato , reputa che la norma contempli in ogni caso il diritto del donatario di ritenere i beni oggetto della donazione che, in assenza di rappresentazione, gravano in ogni caso sulla disponibile. Ove invece si verifichi il subentro dei discendenti del rinunciante, le stesse donazioni e legati vanno invece fatti gravare sull'indisponibile e quindi sulla quota di legittima, nella quale sono subentrati i rappresentanti, che per effetto tale previsione sono appunto tenuti a procederne all'imputazione. Inoltre, non sussiste alcun profilo di iniquità in quanto la norma si pone in maniera coerente rispetto al principio secondo cui la divisione avviene per stirpi, e con la regola per cui ad una data stirpe, ancorché a seguito dell'operatività della rappresentazione, non può essere attribuito più di quanto sarebbe spettato al capostipite. In assenza, infatti, di una norma che appunto disponga l'onere di imputazione delle donazioni fatte all'ascendente anche al rappresentante, si potrebbero perpetrare delle iniquità in danno degli altri soggetti convolti nella successione, in quanto il rappresentato potrebbe rinunciare all'eredità ritenendo, quindi, le donazioni , ed i rappresentanti potrebbero far valere per intero la quota di legittima che sarebbe spettata al loro ascendente, senza che si debba tenere conto di quanto già ricevuto da quest'ultimo in conto di legittima in tal senso, e cioè di ritenere tale norma intesa alla tutela dei terzi e delle aspettative già consolidate, si veda anche la Relazione al Codice civile. Libro dele successioni e delle donazioni, n. 47 . Trattasi di conclusione che appare conforme al complessivo tenore letterale delle norme ed idonea a raggiungere un giusto equilibrio tra le esigenze dei vari soggetti coinvolti nella successione, impregiudicata in ogni caso la possibilità per i rappresentanti, ove anche a seguito dell'imputazione alla loro quota delle donazioni ricevute in vita dal loro ascendente, residui una lesione della quota di legittima, di poter avvalersi della previsione di cui all' art. 553 c.comma , ovvero, ove non vi sia spazio per la successione legittima ovvero non sia possibile, riequilibrare la misura delle quote ab intestato, agire in riduzione nei confronti delle disposizioni testamentarie ovvero delle donazioni compiute dal de cuius. Così intesa la portata precettiva delle norme richiamate dal ricorrente, resta confermata la natura ordinaria della comunione, e la conseguente correttezza della soluzione in punto di diritto raggiunta dal giudice di appello, la cui motivazione, in parte carente, non avendo apparentemente inteso il senso della critica mossa, deve essere integrata nei termini sovra esposti. La conferma della contitolarità dei beni in capo ai soli donatari rende altresì evidente l'infondatezza della denuncia di violazione delle regole del litisconsorzio necessario, attesa la partecipazione al giudizio degli effettivi comproprietari. 3.3 Deve quindi essere affermato il seguente principio di diritto Ai sensi dell'art. 552 il legittimario che rinuncia all'eredità ha diritto di ritenere le donazioni o di conseguire i legati a lui fatti, anche nel caso in cui operi la rappresentazione, senza che i beni oggetto dei legati o delle donazioni si trasmettano ai rappresentanti, fermo restando però l'onere di questi ultimi di dover imputare le stesse disposizioni alla quota di legittima nella quale subentrano iure repraesentationis. 4. Attesa la parziale novità della questione relativa al potere di autentica della procura speciale da parte del funzionario giudiziario, nonché della questione che è invece oggetto del principio di diritto di cui all' art. 363 comma 3 c.p.comma , si ritiene che ricorrano i presupposti per disporre tra le parti la compensazione delle spese del presente giudizio, nulla dovendosi invece disporre quanto alla parte rimasta intimata. 5. Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il comma 1-quater dell'art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. Dichiara il ricorso inammissibile, ed ai sensi dell 'art. 363 c.p.c ., enuncia il seguente principio di diritto Ai sensi dell'art. 552 il legittimario che rinuncia all'eredità ha diritto di ritenere le donazioni o di conseguire i legati a lui fatti, anche nel caso in cui operi la rappresentazione, senza che i beni oggetto dei legati o delle donazioni si trasmettano ai rappresentanti, fermo restando però l'onere di questi ultimi di dover imputare le stesse disposizioni alla quota di legittima nella quale subentrano iure repraesentationis Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 -quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1 , comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.