Accolta in via definitiva la richiesta avanzata da un dipendente di Trenitalia. Inutile l'opposizione proposta dall'azienda e mirata a chiedere chiarimenti sulla effettiva gravità della condizione della madre del lavoratore.
Esonero dal lavoro notturno per il dipendente che a casa ospita la madre disabile. Assolutamente ininfluente, checché ne dica l'azienda, il riferimento alle condizioni gravi o meno della donna. Protagonisti della battaglia giudiziaria sono Trenitalia e un suo dipendente. Quest'ultimo si è visto riconoscere sia in Tribunale che in Corte d'appello il diritto a non prestare lavoro notturno sino a quando avrà a suo carico la madre disabile , e ciò in applicazione della legge numero 104 del 1992 , nonostante l'opposizione dell'azienda. In particolare, i giudici di secondo grado hanno sottolineato che la normativa non richiede, ai fini della possibilità di esonero dai turni notturni , la dichiarazione di gravità dello stato di handicap del familiare a carico del lavoratore . Su questo punto è centrato il ricorso proposto in Cassazione da Trenitalia, ricorso mirato a sostenere che l'accertamento dello stato di gravità dell'handicap è necessario per il riconoscimento dell'esenzione dal lavoro notturno e che, quindi, solo in caso di accertato stato di gravità dell'handicap può ritenersi provata e necessaria un'assistenza sistematica ed adeguata, effettiva appunto, alla persona del disabile e tale da giustificare la compressione di contrapposti obblighi lavorativi del dipendente. Prima di esaminare in dettaglio il caso, i Giudici di Cassazione ricordano che nell'ambito delle limitazioni al lavoro notturno previste per particolari esigenze familiari e assistenziali la normativa prevede che non sono obbligati a prestare lavoro notturno la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile , alla luce della legge numero 104 del 5 febbraio 1992 . Proprio la legge numero 104 del 1992 chiarisce che è persona handicappata quella che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione e che la persona handicappata ha diritto alle prestazioni stabilite in suo favore in relazione alla natura e alla consistenza della minorazione, alla capacità complessiva individuale residua e alla efficacia delle terapie riabilitative, e qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità . In sostanza, per fruire dell'esonero dall'obbligo di prestare lavoro notturno occorre che si sia in presenza di un soggetto disabile , sottolineano i Giudici, mentre è non rilevante la connotazione di gravità della condizione di disabilità della persona a carico del lavoratore. A questo proposito, per maggiore chiarezza, i Giudici spiegano che essendo sufficiente la condizione di disabilità al fine di fruire dell'esonero dal lavoro notturno, la necessità che, invece, il disabile sia stato riconosciuto come in situazione di gravità non può trarre decisivo argomento dalla circostanza che la disposizione normativa preveda che il disabile sia a carico del lavoratore o della lavoratrice . Ciò perché l'essere a carico , precisano i Giudici, nulla di dirimente lascia inferire sul grado di invalidità di cui debba essere affetto la persona con handicap, più o meno grave, ma indica una relazione di assistenza che deve evidentemente sussistere tra lavoratore e disabile . Difatti, non può certo negarsi che si possa avere cura e fare carico di una persona che presenti una minorazione che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione, anche quando tale minorazione non renda necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione . Proprio per questo, in conclusione, va riconosciuto l'esonero dai turni notturni al dipendente di Trenitalia che a casa ospita la madre disabile. E introdurre un requisito aggiuntivo, quale la gravità della situazione di handicap della persona assistita dal lavoratore, si tradurrebbe in una indebita limitazione di tutela del soggetto disabile , concludono i Magistrati.
Presidente Tria Relatore Amendola Rilevato che 1. la Corte di Appello di Milano, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado con la quale era stato accertato il diritto di B.D., nei confronti della datrice di lavoro omissis Spa, a non prestare lavoro notturno sino a quando avrà a suo carico la madre disabile ai sensi delle L. n. 104 del 1992 2. la Corte, in sintesi, ha condiviso l'interpretazione fornita dal giudice di primo grado del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, art. 53, comma 3, e dal D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, art. 11, comma 2, lett. c , nel senso che gli stessi non richiedono, ai fini della possibilità di esonero dai turni notturni, la dichiarazione di gravità dello stato di handicap del familiare a carico del lavoratore 3. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la soccombente società con due motivi ha resistito con controricorso l'intimato entrambe le parti hanno comunicato memorie. Considerato che 1. il primo motivo di ricorso denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 151 del 2001, art. 53 e D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 11 anche in relazione alla L. n. 104 del 1992, artt. 3 e 33 Art. 360 c.p.c. , n. 3 si sostiene che sia corretta l'interpretazione secondo cui, pur nella apparente mancata specificazione della L. n. 151 del 2001, art. 53 l'accertamento dello stato di gravità dell'handicap è necessario per il riconoscimento altresì dell'esenzione dal lavoro notturno , adducendo che solo in caso di accertato stato di gravità dell'handicap può ritenersi provata e necessaria un'assistenza sistematica ed adeguata, effettiva appunto, alla persona del disabile tale da giustificare la compressione di contrapposti obblighi lavorativi col secondo motivo si lamenta Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti Art. 360 c.p.c. , n. 5 si sostiene che la sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare che il B. non avrebbe mai offerto la prova dell'assistenza sistematica e adeguata effettivamente garantita alla persona bisognosa perché a carico , tale da determinare una maggiore difficoltà nella vita lavorativa, non essendo sufficiente la sola circostanza della convivenza, di per sé sterile a tal fine, se non commisurata al grado di impegno assistenza che la condizione gravità di handicap può comportare 2. il Collegio giudica il primo motivo di ricorso infondato 2.1. nell'ambito delle limitazioni al lavoro notturno previste per particolari esigenze familiari e assistenziali, il D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, art. 11, comma 2, lett. c , prevede che non sono obbligati a prestare lavoro notturno la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della L. 5 febbraio 1992, n. 104 , e successive modificazioni la medesima disposizione è presente nel D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, art. 53, comma 3, in quanto già contenuta nella L. n. 903 del 1977, art. 5, comma 2, lett. c si tratta di un esonero dall'obbligo di prestare lavoro notturno cfr. Cass. n. 10203 del 2020 rimesso alla volontà del lavoratore che si trovi nelle condizioni elencate dalla legge, il quale può far valere il suo dissenso espresso in forma scritta e comunicato al datore di lavoro entro 24 ore anteriori al previsto inizio della prestazione, con precetto assistito anche da sanzione penale cfr. D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 18 bis , comma 1 secondo la L. n. 104 del 1992, art. 3 1 . È persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione. 2. La persona handicappata ha diritto alle prestazioni stabilite in suo favore in relazione alla natura e alla consistenza della minorazione, alla capacità complessiva individuale residua e alla efficacia delle terapie riabilitative. 3. Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità. Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici 2.2. dal disposto testuale della prima disposizione richiamata emerge che, per fruire dell'esonero dall'obbligo di prestare lavoro notturno, occorre che si sia in presenza di un soggetto disabile ai sensi della L. 5 febbraio 1992, n. 104 , e successive modificazioni dalla seconda disposizione, poi, si evince chiaramente che, ai sensi della L. n. 104 del 1992 , è in condizione di disabilità già chi presenta le menomazioni descritte dall'art. 3, comma 1 di detta legge, risultando la connotazione di gravità di cui al comma 3 un carattere ulteriore ed aggiuntivo 2.3. essendo sufficiente, sulla base del solo dato testuale, la condizione di disabilità al fine di fruire del beneficio in parola, la necessità che, invece, il disabile sia stato riconosciuto come in situazione di gravità non può trarre decisivo argomento dalla circostanza che la disposizione preveda che il disabile sia a carico del lavoratore o della lavoratrice l'essere a carico nulla di dirimente lascia inferire sul grado di invalidità di cui debba essere affetto la persona con handicap, più o meno grave, ma indica una relazione di assistenza che deve evidentemente sussistere tra lavoratore e disabile infatti, non può certo negarsi che si possa avere cura e fare carico di una persona che presenti una minorazione che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione, anche quando la stessa non renda necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione 2.4. a conferma dell'esegesi qui condivisa soccorre il tradizionale canone ermeneutico secondo cui Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit Cass. n. 1867 del 1982 Cass. n. 1248 del 1984 Cass. n. 5085 del 1991 Cass. n. 20898 del 2007 infatti, laddove il legislatore ha inteso subordinare la concessione di un beneficio alla circostanza che sussistesse una situazione di handicap con connotato di gravità, lo ha esplicitamente richiesto, come nel caso dei permessi giornalieri e mensili ovvero dei limiti al trasferimento cfr. L. n. 104 del 1992, art. 33 2.5. peraltro la giurisprudenza di questa Corte, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata alla tutela del disabile - alla luce dell' art. 3 Cost. , comma 2, dell'art. 26 della Carta di Nizza e della Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 sui diritti dei disabili, ratificata con L. n. 18 del 2009 - ha ritenuto che il trasferimento senza consenso del lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, L. n. 104 del 1992, ex art. 33, comma 5, è vietato anche quando la disabilità del familiare non si configuri come grave - anche se la situazione di gravità è testualmente richiesta con il rinvio al comma 3 del medesimo articolo - a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica del familiare, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive ed urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte Cass. n. 9201 del 2012 Cass. n. 25379 del 2016 Cass. n. 29009 del 2020 in un caso si è ritenuto del tutto ininfluente, ai fini della valutazione dell'illegittimità del suo trasferimento, che la lavoratrice non godesse dei benefici di cui alla L. n. 104 del 1992, art. 3 considerando, in fatto, che non risultava contestato che la stessa assistesse la madre, presente nel certificato dello stato di famiglia, invalida al 100% cfr. Cass. n. 22421 del 2015 l'insieme di tali orientamenti di legittimità è espressamente ispirato alla giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale ha evidenziato come la L. n. 104 del 1992 abbia preso in particolare considerazione l'esigenza di favorire la socializzazione del soggetto disabile, predisponendo strumenti rivolti ad agevolare il suo pieno inserimento nella famiglia, nella scuola e nel lavoro, in attuazione del principio, secondo il quale la socializzazione in tutte le sue modalità esplicative è un fondamentale fattore di sviluppo della personalità ed un idoneo strumento di tutela della salute del portatore di handicap, intesa nella sua accezione più ampia di salute psico-fisica cfr. Corte Cost. n. 215 del 1987 Corte Cost. n. 350 del 2003 ma anche Corte Cost. n. 167 del 1999 , n. 226 del 2001 e n. 467 del 2002 è stato altresì sottolineato che una tutela piena dei soggetti deboli richiede, oltre alle necessarie prestazioni sanitarie e di riabilitazione, anche la cura, l'inserimento sociale e, soprattutto, la continuità delle relazioni costitutive della personalità umana Corte Cost. n. 203 del 2013 questa Corte ha di recente preso atto che i propri precedenti orientano per una valorizzazione dell'esigenza di tutela del disabile al di là di ogni condizionamento derivante dal mancato accertamento di uno status o da preclusioni collegate all'inesistenza di un provvedimento formale che confermi la ricorrenza della situazione di fatto che conferisce fondamento al diritto del familiare che presta assistenza al disabile in termini Cass. n. 29009 del 2020 2.6. nel descritto contesto di diritto vivente una interpretazione che, pur nel silenzio della norma e in difetto di inequivoche indicazioni sistematiche, introduca surrettiziamente un requisito aggiuntivo, quale la gravità della situazione di handicap, si tradurrebbe in una indebita interpolazione ermeneutica del testo, tanto più ingiustificata in un ambito, quale quello dei diritti dei disabili, insuscettibile di limitazioni di tutela al di fuori di una chiara presa di posizione del legislatore 2.7. naturalmente neanche soccorre la tesi qui non accolta di una prassi amministrativa che, oltre ad essere di certo priva di portata normativa, si fonda su circolari assertive prive di adeguato supporto argomentativo 2.8. alla stregua di tutte le argomentazioni esposte la censura non può trovare accoglimento 3. il secondo motivo è inammissibile perché in parte ripropone, sotto altra veste, l'assunto, qui disatteso, secondo cui sarebbe necessaria un'assistenza qualificata dalla gravità dell'handicap ed in parte invoca il vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5 in una ipotesi preclusa dall'esistenza di una cd. doppia conforme ex art. 348 ter c.p.c. , u.c., e, comunque, per essere formulato al di fuori dei limiti posti dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014 4. conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo, con distrazione al procuratore Avv. Franceschinis dichiaratosi antistatario ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per spese, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%, con distrazione. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 , comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1 , comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.