Assolto per maltrattamenti in famiglia, ma condannato per violazione della misura cautelare dell’allontanamento da casa

La Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d’appello ritenendo infondati i dubbi di legittimità costituzionale sollevati dalla difesa in relazione all’art. 387- bis c.p. e al principio dell’offensività.

La Corte d'appello di Torino confermava la pronuncia di prime cure con cui un imputato veniva assolto dal delitto di maltrattamenti ai danni della moglie , aggravati dalla presenza dei figli minorenni, mentre veniva dichiarata l'estinzione del delitto di cui all' art. 615- bis c.p. interferenze illecite nella vita privata per remissione della querela e veniva confermata la pena per tentata violenza privata e reiterata violazione della misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare . La difesa ha proposto ricorso per cassazione. Il ricorrente invoca l' illegittimità costituzionale dell' art. 387- bis c.p. in quanto la moglie era stata ritenuta inattendibile in relazione al delitto di maltrattamenti, tanto da determinare l'assoluzione del marito. Per il medesimo delitto era stata però applicata la misura cautelare del divieto di avvicinamento successivamente violata dal ricorrente, con conseguente sanzione pari a 3 mesi di reclusione. Secondo l'avvocato della difesa appare incoerente che l' art. 387- bis c.p. non preveda come condizione di punibilità la sussistenza del reato presupposto della misura cautelare violata in virtù del principio costituzionale dell'offensività. La questione viene ritenuta manifestamente infondata . Il Collegio ricorda infatti che ai fini della configurabilità del reato di cui all' art. 387- bis c.p. , introdotto dall' art. 4 l. n. 69/2019 , è ininfluente l'assoluzione dal reato per il quale è stata applicata la misura così come l'improcedibilità per remissione della querela o l'eventuale annullamento in sede di riesame della misura cautelare , anche alla luce del suo carattere plurioffensivo perché il bene giuridico protetto si individua sia nella tutela della vittima, sotto il profilo fisico, psichico ed economico, sia nella corretta esecuzione dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria . Infatti la ratio della norma risponde alla necessità di maggior tutela della vittima di reati di violenza di genere , conformemente a quanto previsto complessivamente dal c.d. codice rosso, laddove vengano applicate misure cautelari non custodiali artt. 282- bis e 282- ter c.p.p. o la misura precautelare di cui all' art. 384- bis c.p.p. , fondate esclusivamente sulla spontanea osservanza dell'indagato/imputato e hanno, quindi, una minore efficacia in termini di prevenzione e reiterazione della condotta criminosa. In conclusione, i dubbi di legittimità costituzionale vengono esclusi anche in relazione alla necessità di dare applicazione a plurimi articoli della Convenzione di Istanbul. Infine, viene esclusa anche l'applicabilità dell' art. 131- bis c.p. invocato dal ricorrente per la reiterata violazione delle misure cautelari, mentre viene accolto il motivo di ricorso relativo alle carenze motivazionali del provvedimento impugnato in relazione all'imputazione per tentata violenza privata. La sentenza viene dunque annullata limitatamente a tale profilo.

Presidente Di Stefano – Relatrice Di Nicola Travaglini Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Torino ha confermato la pronuncia con la quale il Tribunale aveva assolto V.M. dal delitto di maltrattamenti ai danni della moglie, aggravati dalla presenza dei figli minorenni capo a , dichiarato l'estinzione del delitto di cui all' art. 615-bis c.p. per remissione di querela capo b e condannato alla pena di tre mesi di reclusione per i delitti di tentata violenza privata e violazione reiterata della misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso V.M. , con atto sottoscritto dal difensore, deducendo i seguenti tre motivi. 2.1. Dichiarare l'illegittimità costituzionale dell' art. 387-bis c.p. in relazione alla Cost., artt. 2,13,25 e 27 in quanto, nel caso di specie, la persona offesa era stata ritenuta inattendibile in relazione al delitto di cui all' art. 572 c.p. , tanto da determinarne l'assoluzione di V. , delitto per il quale era stata applicata la misura cautelare del divieto di avvicinamento successivamente violata dal ricorrente. Alla luce di detto sviluppo processuale appare incoerente che l' art. 387-bis c.p. non preveda come condizione di punibilità la sussistenza del reato presupposto della misura cautelare violata, altrimenti difetta l'offensività in contrasto con la Carta costituzionale. 2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione, per mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all' art. 131-bis c.p. in quanto l'offensività del bene giuridico è particolarmente lieve alla luce del complessivo contesto in cui si sono sviluppati i fatti per come all'esito accertati, dell'occasionalità, della remissione di querela e revoca della costituzione di parte civile, dell'unicità della violazione articolatasi in pochi giorni. 2.3. Vizio di motivazione con riferimento al capo c in quanto la sentenza impugnata aveva erroneamente ritenuto sussistente il reato sulla base delle sole dichiarazioni della persona offesa che era stata ritenuta non credibile e nonostante l'opposta versione dell'imputato. 3. Il procedimento è stato trattato nell'odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalità di cui al D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, commi 8 e 9, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 . Considerato in diritto 1. I primi due motivi di ricorso sono inammissibili per manifesta infondatezza e genericità. 2. È necessario premettere che la sentenza di primo grado, confermata da quella impugnata, a fronte della denuncia della persona offesa per maltrattamenti fisici e psicologici, commessi nell'arco di anni dal marito tossicodipendente, odierno ricorrente, già da quando era incinta e poi anche alla presenza dei tre figli minorenni, ha assolto V. per insussistenza del fatto, ai sensi dell' art. 530, comma 2, c.p.p. , qualificando i fatti come rapporto conflittuale, particolarmente litigioso pag. 10 in quanto, da un lato, gli schiaffi erano stati descritti dalla moglie in modo generico e dall'altro la teste aveva omesso di riferire, nella fase iniziale dell'indagini, che il reale movente dell'aggressività del marito derivava da una relazione extra coniugale da lei intrattenuta. Invece erano stati accertati gli altri delitti, procedibili di ufficio, cioè la tentata violenza privata consistente nella minaccia di toglierle i figli se non avesse ritirato la querela capo c e la violazione continuata degli obblighi e dei divieti connessi alle misure cautelari non custodiali applicategli in ordine al delitto di maltrattamenti capo d . 3. Il primo motivo è manifestamente infondato. Il ricorso chiede a questa Corte di sollevare questione di legittimità costituzionale dell' art. 387-bis c.p. per violazione della Cost., artt. 2, 13, 25 e 27 in quanto il delitto di maltrattamenti contro familiari, per il quale erano state applicate le misure cautelari violate, si era concluso con l'assoluzione dell'imputato per la ritenuta inattendibilità della persona offesa, tanto da rendere sostanzialmente irragionevole la norma penale per contrasto con il principio di offensività. Ai fini della configurabilità del reato di cui all' art. 387-bis c.p. , introdotto dalla L. n. 69 del 2019, art. 4, è ininfluente l'assoluzione dal reato per il quale è stata applicata la misura così come l'improcedibilità per remissione della querela o l'eventuale annullamento in sede di riesame della misura cautelare , anche alla luce del suo carattere plurioffensivo perché il bene giuridico protetto si individua sia nella tutela della vittima, sotto il profilo fisico, psichico ed economico, sia nella corretta esecuzione dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria. La ratio della norma corrisponde alla necessità di maggior tutela della vittima di reati di violenza di genere, conformemente a quanto previsto dall'intera legge, allorché vengano applicate misure cautelari non custodiali artt. 282-bis e 282-ter c.p.p. o la misura precautelare di cui all' art. 384-bis c.p.p. che sono fondate esclusivamente sulla spontanea osservanza dell'indagato imputato e hanno, quindi, una minore efficacia in termini di prevenzione e reiterazione della condotta criminosa. Non vi sono profili di censura costituzionale non solo perché vi sono nell'ordinamento plurime disposizioni che sanzionano penalmente la violazione di obblighi imposti dall'autorità giudiziaria e dall'autorità amministrativa , come nell' art. 385, comma 4, c.p. , e d.lgs. n. 159/2011, art. 75, ma anche perché è volta a dare applicazione a plurimi articoli della Convenzione di Istanbul art. 51 e 52 , ma soprattutto l'art. 53 par. 3, secondo cui Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che la violazione delle ordinanze di ingiunzione o di protezione emesse ai sensi del par. 1 sia oggetto di sanzioni penali o di altre sanzioni legali efficaci, proporzionate e dissuasive . 4. Manifestamente infondato e reiterativo è il secondo motivo di ricorso. La Corte di appello, con sintetica ma completa e congrua motivazione, ha escluso di applicare la causa di non punibilità di cui all' art. 131-bis c.p. proprio alla luce delle reiterate violazioni delle misure cautelari, oltre che dell'essere il V. recidivo reiterato e specifico. Alla valutazione della sentenza impugnata il ricorrente, peraltro, non ha opposto alcun elemento concreto limitandosi ad una generica e apodittica asserzione circa la sussistenza dei presupposti della causa di non punibilità, riproposta negli stessi termini già valutati dai giudici di primo e secondo grado, per il ridimensionamento dei fatti dovuto soltanto a condotte riferite non a lui ma alla persona offesa che ha rimesso la querela e revocato la costituzione di parte civile. 5. Il terzo motivo di ricorso è fondato. Il delitto di tentata violenza privata di cui al capo c non è puntualmente motivato dalla sentenza impugnata alla luce delle censure del ricorrente. Infatti, a prescindere dal fatto che la testimonianza della persona offesa non sia stata ritenuta adeguata a supportare un altro delitto, quale l' art. 572 c.p. , i cui presupposti sono totalmente differenti e peraltro si collocano in ambiti temporali autonomi rispetto al delitto di cui agli artt. 56 e 610 c.p. , gli argomenti utilizzati dalla Corte di appello appaiono espressi in termini apodittici. Invero, la sentenza, a fronte della contestazione del fatto da parte di V. , da un lato si limita a ritenere lo stesso indubbio , senza delinearne in modo completo il contesto dall'altro a sostenere che potesse essere commesso solo con fare minaccioso , senza indicare nè il contenuto delle minacce, nè l'effetto di queste sulla vittima, nè la diversa valenza, anche processuale, tra la dichiarazione di questa e quella dell'imputato, che ha espressamente negato di averle rivolte. 6. In conclusione, il ricorso va accolto limitatamente a detto capo di imputazione, capo c , con conseguente annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino.