Nei confronti della sentenza resa all’esito di concordato in appello è proponibile ricorso per Cassazione con cui si deduca l’omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di tale sentenza.
Risolto così il conflitto all'interno delle sezioni semplici di Cassazione. I fatti contestati Un uomo veniva condannato in primo grado per tentata estorsione perché, in qualità di gestore di un esercizio commerciale, con atteggiamenti intimidatori, minacciava di licenziamento i dipendenti qualora non avessero sottoscritto un contratto a progetto che, senza alcuna modifica dell'orario di lavoro, prevedeva una decurtazione dello stipendio e l'eliminazione delle mensilità aggiuntive, nel tentativo, non riuscito, di procurarsi un ingiusto profitto con altri danno. Concordato in appello e ricorso in Cassazione Interposto appello, all'udienza di seconde cure, veniva presentata richiesta di concordato – accolto dalla Corte territoriale, che emetteva sentenza in conformità dell'appello – che in riforma della decisione di primo grado, escludeva la recidiva e rideterminava la pena finale. Avverso tale pronuncia, l'imputato presentava ricorso per cassazione censurando l'omessa declaratoria di prescrizione del reato ascrittogli in quanto l'esclusione della recidiva era maturato il termine massimo di prescrizione molti anni prima della pronuncia della sentenza d'appello. Rimesso il contrasto alle Sezioni Unite Con ordinanza numero 17439/2022, la seconda sezione di legittimità sollecitava l'intervento del Supremo Collegio registrando un contrasto giurisprudenziale. Un orientamento ammette, infatti, la ricorribilità della sentenza di appello, emessa ai sensi dell'articolo 599-bis c.p.p., per dedurre la prescrizione del reato maturata anteriormente a detta sentenza e non oggetto di specifica rinunzia, in base ai principi espressi dalle Sezioni Unite numero 18953/2016 Piergotti. Un altro indirizzo, invece, formatosi dopo la riforma della Legge Orlando numero 103/2017, limita la possibilità di ricorrere avverso la predetta sentenza solo «per motivi attinenti all'espressione della volontà dell'imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all'erronea qualificazione giuridica del fatto ed alla illegalità della pena o della misura di sicurezza». Il percorso motivazionale del Massimo Consesso In accoglimento del motivo di ricorso della difesa e sulla conforme richiesta del P.G. di Cassazione, le Sezioni Unite annullano senza rinvio la sentenza per estinzione del reato, preso atto della prescrizione maturata anteriormente alla decisione di secondo grado. Il cuore della questione sottoposta alla sua attenzione è se la richiesta di concordato avanzata dall'imputato o il consenso manifestato dallo stesso a quella proposta dal PM possano costituire una dichiarazione legale tipica di rinuncia alla prescrizione non più revocabile. La rinuncia alla prescrizione richiede una forma espressa In termini negativi, per l'omologo istituto del patteggiamento in prime cure, si sono pronunciate le Sezioni Unite suindicate in quanto per il valido esercizio del diritto di rinuncia alla prescrizione presuppone una rinuncia espressa che non ammette equipollenti. Tale verifica va pertanto compiuta indipendentemente dalla piattaforma negoziale e sulla base delle risultanze processuali. Dopo tale arresto, si è formato un orientamento che ha esteso i suoi principi anche al concordato in appello, reintrodotto dalla l. numero 103/2017, non potendo trarre la rinuncia alla prescrizione da una volontà esternata per altri fini quelli, per l'appunto, di concordare la pena , ammettendosi il ricorso in Cassazione del vizio di violazione di legge per omessa declaratoria di estinzione del reato, qualora i termini siano decorsi prima della pronuncia del giudice d'appello Cass., numero 12285/2020 Cass., numero 38115/2019 . La richiesta di concordato non costituisce rinuncia alla prescrizione Ripercorso il travagliato iter normativo dell'istituto del concordato di pena introdotto nel codice di rito del 1988, ampliato dalla Corte Costituzionale, abrogato e poi reintrodotto dalla Legge Orlando , per le Sezioni Unite che la mancanza di una espressa rinuncia alla prescrizione, avverso la sentenza che raccoglie in secondo grado il concordato è senz'altro proponibile ricorso in Cassazione. Richiamando le omologhe Piergotti del 2016, fondamentale è la sequenza diacronica che caratterizza il modulo procedimentale del patteggiamento, laddove il paradigma procedimentale assegna priorità fondamentale alla verifica dell'insussistenza delle cause di non punibilità previste dall'articolo 129 c.p.p. da compiersi aliunde sulla base degli atti del fascicolo del PM. Il giudice non può esimersi dalla preliminare verifica di cause estintive del reato Soltanto in caso di negativa delibazione, il giudice può, poi, procedere, all'esame di legittimità della piattaforma negoziale offertagli dalle parti, al fine di verificare la correttezza del nomen iuris attribuito al fatto-reato, legalità e congruità dell'assetto sanzionatorio concordato. Sicché, in presenza di una richiesta di patteggiamento e di concordato in appello che non abbia tenuto conto delle maturate cause estintive del reato il giudice non è esentato dal dovere funzionale del pertinente rilievo, ai sensi dell'articolo 129 c.p.p., che segna il momento di criticità della tesi che non ammette equipollenti alla dichiarazione espressa di rinuncia. La rinuncia dei motivi non si estende alla prescrizione L'applicabilità del principio applicato dalla sentenza Piergotti, estesa dall'odierna pronuncia anche al concordato in appello, impone un ulteriore passaggio verificare l'individuazione dei limiti di ricorribilità della sentenza emessa a seguito di concordato in appello in relazione al principio espresso dalle Sezioni Unite Ricci Cass. numero 12602/2016 circa la generale ammissione della deduzione, mediante ricorso per cassazione, della prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di appello. Appoggiandosi sulla differenza funzionale e strutturale del patteggiamento e del concordato di pena ritiene non valevole la regola l'antica regola pacta sunt servanda secondo la specifica declinazione processuale per la quale il concordato processuale non può essere unilateralmente abbandonato attraverso la riproposizione, attraverso il ricorso per Cassazione, di questioni che con lo stesso concordato siano state rinunciate. Per gli odierni giudici di legittimità tale fondamento è condivisibile solo per le questioni su cui si è verificata preclusione o intervenuto giudicato sostanziale ma non coinvolge la prescrizione del reato che, come detto, non può intendersi rinunciata per il solo fatto della proposizione dell'accordo la cui valutazione è demandata al giudice del gravame. Le Sezioni Unite ampliano il perimetro della ricorribilità della sentenza che abbraccia il concordato. Altro passaggio fondamentale della sentenza in commento riguardo il rilevo, di respiro sistematico e più generale, che contesta gli arresti di legittimità per i quali, a seguito della legge numero 103/2017, ricavano dalla nuova formulazione dell'articolo 610, comma 5, c.p.p. l'esclusione del ricorso per Cassazione per la sentenza emessa in seguito al concordato in appello, limitandone l'impugnazione al solo ricorso straordinario. Non si tiene conto che, la predetta e novellata disposizione processuale individua i presupposti in presenza dei quali è prevista la procedura de plano per la trattazione del ricorso in Cassazione avverso la sentenza di patteggiamento e di concordato di pena. Ma non riguarda i presupposti di ammissibilità dei relativi ricorsi quelli per il patteggiamento sono infatti previsti dall'articolo 448-bis c.p.p. mentre nessuna novità è stata introdotta per il concordato in appello. Rilievi conclusivi Alla luce dell'indicato percorso motivazionale, per le Sezioni Unite, anche dopo la riforma del 2017, esclusa l'introduzione di speciali limiti di ricorribilità in Cassazione per la sentenza emessa a seguito del concordato in appello, può essere riaffermato il principio espresso dalle Sezioni Unite Ricci che nessun dato positivo induce a ritenere che non possa censurarsi, con il ricorso in Cassazione, l'errore del giudice che ha omesso di dichiarare la già intervenuta prescrizione del reato, pur se non eccepita dalla parte in quel grado, censurabile quale violazione di legge ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b , c.p.p.
Presidente Cassano – Relatore Capozzi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 9 luglio 2018 il Tribunale di Agrigento affermava la penale responsabilità di F.M. in ordine al delitto di cui agli articolo 81 comma 2, 56 e 629 c.p. - perché, in qualità di gestore subentrato nella conduzione di un esercizio commerciale, con atteggiamenti intimidatori minacciava di licenziamento i dipendenti qualora non avessero sottoscritto un contratto a progetto che, senza alcuna modifica dell'orario di lavoro, prevedeva una decurtazione dello stipendio e l'eliminazione delle mensilità aggiuntive, nel tentativo, non riuscito, di procurarsi un ingiusto profitto con altrui danno - e, ritenuta la contestata recidiva, lo condannava alla pena di anni due, mesi dieci e giorni venti di reclusione ed Euro 1.700,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. 2. La sentenza del Tribunale di Agrigento era impugnata dall'imputato innanzi alla Corte di appello di Palermo con un atto di appello affidato a quattro motivi - con il primo, chiedeva l'assoluzione sul rilievo che i dipendenti erano stati tutti licenziati dal precedente datore di lavoro, e che, pertanto, le nuove proposte di lavoro riguardavano un rapporto che doveva ancora sorgere, sicché non potevano essere considerate come minacce tese a coartare la volontà dei dipendenti - con il secondo, si doleva del diniego delle circostanze attenuanti generiche - con il terzo, censurava l'omessa esclusione della recidiva - con il quarto, infine, lamentava l'eccessività della pena inflitta. 3. All'udienza del 15 maggio 2020 veniva presentata l'istanza di concordato, mediante la quale l'imputato rinunciava ai motivi riguardanti la responsabilità e l'omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, insisteva sull'accoglimento del motivo in ordine alla insussistenza della recidiva, indicando la pena finale in anni uno e mesi otto di reclusione ed Euro 400 di multa con il consenso espresso dal Procuratore generale. La Corte territoriale emetteva, quindi, sentenza corredata da contestuale motivazione in conformità all'accordo e, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, escludeva l'aumento per la recidiva frutto di erronea annotazione nel certificato penale del precedente considerato a tal fine e rideterminava la pena inflitta all'imputato nella misura di anni uno e mesi otto di reclusione ed Euro 400,00 di multa. 4. Avverso la sentenza di appello l'imputato F.M., a mezzo del difensore di fiducia avv. Palmira Mirella Viscuso, ha proposto ricorso per cassazione, articolando le censure in due motivi. 4.1. Con il primo motivo, proposto per violazione di legge in relazione all'articolo 599-bis c.p.p., censura la sentenza per l'omessa declaratoria di esclusione della circostanza aggravante della recidiva, riguardante doglianza non rinunciata nella proposta di concordato. 4.2. Con il secondo motivo, proposto per violazione di legge in relazione agli articolo 161 c.p. e 129 c.p.p., censura l'omessa declaratoria di prescrizione del reato. Il giudice di appello, avendo sostanzialmente escluso la predetta recidiva reiterata e specifica, ha omesso di dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione, il cui maturato termine è il 31 gennaio 2016. 5. La Seconda Sezione, investita del ricorso, ha emesso l'ordinanza numero 17439 del 14 aprile 2022 depositata il 3 maggio 2022 con la quale ha sollecitato l'intervento delle Sezioni Unite registrando un contrasto giurisprudenziale. Un orientamento ammette la ricorribilità della sentenza di appello, emessa ai sensi dell'articolo 599-bis c.p.p., per dedurre la prescrizione del reato maturata anteriormente alla detta sentenza e non oggetto di specifica rinunzia, in base ai principi espressi da Sez. U, numero 18953 del 25/2/2016, Piergotti. Un altro indirizzo, affermatosi dopo la riforma introdotta con la L. 23 giugno 2017, numero 103, limita la ricorribilità della predetta sentenza solo per motivi attinenti all'espressione della volontà dell'imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all'erronea qualificazione giuridica del fatto ed alla illegalità della pena o della misura di sicurezza . 6. Con decreto del 7 settembre 2022 il Presidente aggiunto ha fissato l'udienza del 27 ottobre 2022 per la trattazione del ricorso nelle forme della pubblica udienza. 7. In data 3 ottobre 2022 è pervenuta memoria del Procuratore generale con la quale si condivide l'orientamento che ammette il ricorso per cassazione per i principi espressi da Sezioni Unite Piergotti e si chiede l'annullamento senza rinvio della sentenza per l'estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla decisione di secondo grado. 8. In data 21 ottobre 2022 è stata depositata memoria difensiva con la quale si insiste per l'accoglimento dei motivi di ricorso. Considerato in diritto 1. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite è la seguente se avverso la sentenza di concordato in appello ex articolo 599-bis c.p.p. sia consentito proporre ricorso per cassazione con il quale si deduca l'estinzione per prescrizione del reato, maturata anteriormente alla pronuncia di secondo grado . 2. Deve essere esaminato il primo motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione del concordato da parte del giudice di appello per non aver escluso la recidiva, in ordine alla quale le parti avevano convenuto per l'accoglimento del relativo motivo di appello. 3. Il motivo è manifestamente infondato, in quanto la sentenza impugnata ha escluso la contestata recidiva. Come si desume dalla motivazione, è stato specifico oggetto di accertamento il presupposto - costituito dalla sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Agrigento il 3 novembre 2011 e annotata come definitiva sul certificato del casellario giudiziale - sulla base del quale la prima decisione aveva giustificato la sussistenza della recidiva, oggetto di motivo di impugnazione al quale l'appellante non aveva rinunciato in sede di concordato e sul quale le parti si erano accordate sull'accoglimento così formulando la concorde pena da applicare. Del resto, è del tutto pacifico - in quanto lo riconosce lo stesso ricorrente che il mancato incremento di pena per la recidiva da parte della sentenza impugnata ha implicato la sua esclusione Sez. U, numero 20808 del 25/10/2018, dep. 2019, Schettino, Rv. 275319 Sez. U, numero 35738 del 27/05/2010, Calibe', Rv. 247838 . 4. In relazione alla seconda censura la ordinanza di rimessione osserva che, prima della riforma introdotta con la L. numero 103 del 23 gennaio 2017, le Sezioni Unite sono state chiamate a decidere se la presentazione della richiesta di applicazione della pena da parte dell'imputato e il consenso a quella proposta dal pubblico ministero possano costituire una dichiarazione legale tipica di rinuncia alla prescrizione non più revocabile . Con la sentenza numero 18953 del 25 febbraio 2016, Piergotti, le Sezioni Unite hanno escluso che, nel rito del patteggiamento regolato dagli articolo 444 ss. c.p.p., la richiesta di applicazione della pena da parte dell'imputato, o il consenso prestato alla proposta del pubblico ministero, possano, di per sé, valere come rinuncia, restando all'inverso prioritaria la verifica dell'insussistenza delle cause di non punibilità previste dall'articolo 129 c.p.p., tra cui l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione verifica da compiersi aliunde, ossia indipendentemente dalla piattaforma negoziale e sulla base delle risultanze processuali. In particolare hanno affermato che, ai fini del valido esercizio del diritto di rinuncia alla prescrizione, è sempre necessaria la forma espressa, che non ammette equipollenti e ciò, sia per l'espresso disposto dell'articolo 157, comma 7, c.p., sia in quanto la rilevanza dell'atto dismissivo e la pregnanza dei suoi effetti sono tali da richiedere una particolare modalità di manifestazione. Hanno, inoltre, negato l'esistenza di regimi differenziati in tema di rinuncia alla prescrizione, correlabili alle eventuali peculiarità del giudizio, considerato che la normativa in materia riveste carattere generale, essendo valida per tutti i casi e moduli procedurali, senza eccezioni o diversificazioni di sorta. 4.1. Dopo la citata decisione, si è formato un orientamento secondo il quale i principi enunciati da Sezioni Unite Piergotti devono valere anche per l'istituto del concordato in appello, introdotto con la novella del 2017 articolo 599-bis c.p.p. , con conseguente superamento dell'indirizzo esegetico formatosi in costanza della previgente normativa secondo il quale, dopo la definizione concordata della pena in appello, non può essere dedotta l'estinzione del reato per prescrizione maturata prima della pronuncia del giudice di appello o successivamente ad essa Sez. 5, numero 3391 del 15/10/2009, Camassa, Rv. 245920 . Questo perché la definizione concordata della pena in appello, conseguente al previo accordo delle parti sui relativi motivi, non può implicare la rinuncia alla prescrizione da parte dell'imputato, non essendo equiparabile alla rinuncia espressa, richiesta dall'articolo 157, comma 7, c.p. - norma di stretta interpretazione in considerazione delle sue ricadute sulla sfera di libertà del soggetto rinunciante -, una manifestazione di volontà orientata a tutt'altri fini in tal senso, Sez. 6, numero 12285 del 13/2/2020, Lika, non mass. Sez. 5, numero 38115 del 16/7/2019, Salvini, non mass. Sez. 1, numero 51169 del 11/06/2018, Porrà, Rv. 274384 . Secondo questo indirizzo, quindi, il concordato in appello ex articolo 599-bis c.p.p. non preclude la deduzione per cassazione del vizio di violazione di legge per omessa declaratoria di estinzione del reato, qualora i relativi termini siano decorsi prima della pronuncia del giudice di appello e la causa estintiva non sia stata erroneamente dichiarata dal giudice medesimo. 4.2. A tale indirizzo se ne contrappone un altro che esclude la ricorribilità della sentenza emessa a seguito di concordato in appello in relazione alla omessa rilevazione della prescrizione del reato anteriormente a detta sentenza. Questo indirizzo - in particolare espresso da Sez. 5, numero 4709 del 20/09/2019, dep. 2020, Ferrarini, Rv. 278142 - ritiene applicabili al concordato in appello introdotto dalla riforma del 2017 l'indicato principio espresso nella vigenza del precedente istituto previsto dall'articolo 599, comma 4, c.p.p. dalla citata sentenza Camassa in base all'argomento secondo cui l'adesione dell'imputato al concordato costituiva una dichiarazione legale di rinuncia alla prescrizione, non più revocabile. Secondo l'orientamento in esame, inoltre, la riforma del 2017 ha profondamente inciso sulla materia del controllo dell'osservanza delle condizioni di legalità non solo della sentenza di patteggiamento, ma anche di quella di concordato in appello. In tale ottica viene valorizzata, in particolare, la natura negoziale dei due istituti con conseguente interpretazione estensiva dell'articolo 448, comma 2-bis c.p.p., pur se riferito espressamente al solo patteggiamento. In base a questo orientamento, quindi, la mancata declaratoria di prescrizione da parte del giudice di appello non può essere dedotta con il ricorso per cassazione in coerenza con la previsione normativa che, per la sentenza di applicazione della pena, consente di far valere con il ricorso per cassazione solo motivi attinenti all'espressione della volontà dell'imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all'erronea qualificazione giuridica del fatto ed alla illegalità della pena o della misura di sicurezza . A sostegno dell'orientamento è stato precisato che le uniche doglianze proponibili contro una sentenza emanata all'esito del concordato ex articolo 599-bis c.p.p. sono quelle relative ad eventuali vizi della sentenza rispetto alla volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta, al contenuto difforme della pronuncia e all'applicazione di una pena illegale Sez. 2, numero 22002 del 10/04/2019, Mariniello, Rv. 276102 Sez. 2, ordinanza numero 30990 del 01/06/2018, Gueli, Rv. 272969 sulla scia di questo orientamento è collocata anche Sez. 2, numero 3587 del 6/11/2020, dep. 2021, Coco, non mass. per tale dovendosi intendere quella non conforme al paradigma normativo Sez. U, numero 877 del 14/07/2022, dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886 Sez. U, numero 47182 del 31/03/2022, Savini, Rv. 283818 Sez. U, numero 38809 del 31/3/2022, Miraglia, Rv. 283689 e non quella applicata per il reato prescritto. L'applicazione di pena frutto di concordato in appello per un reato prescritto integra, pertanto, un vizio di violazione di legge che non investe direttamente la legalità della pena e che, conseguentemente, non può integrare un motivo ammissibile di ricorso per cassazione, perché non riconducibile ai motivi tassativamente previsti dall'articolo 448, comma 2-bis, c.p.p. sia pure per il solo patteggiamento così Sez. 5, numero 4709 del 20/09/2019, Ferrarini, Rv. 278142 Sez. 6, numero 41254 del 04/07/2019, Leone, Rv. 277196-01 Sez. 6, numero 5210 del 11/12/2018, Chiumento, Rv. 275027-01 . Secondo tale indirizzo non può essere accolta una diversa e più estensiva interpretazione della nozione di illegalità della pena, perché, diversamente opinando, ogni vizio di legge sostanziale e processuale si tradurrebbe sempre in una illegalità della comminatoria finale della pena, quale effetto conclusivo del procedimento penale in senso lato viziato, con la conseguente assimilazione della illegalità della pena al genus del vizio di legge come disciplinato dall'articolo 606, comma 1, lett. b e c , c.p.p., in evidente contrasto con il carattere tassativo della indicazione normativa dei motivi ammissibili del ricorso per cassazione introdotta dalla novella del 2017. E' stato inoltre osservato che, una volta affermata l'inammissibilità del motivo di ricorso volto a ottenere la declaratoria di prescrizione del reato erroneamente non rilevata nel giudizio di merito, la prescrizione maturata prima della sentenza impugnata non può essere neppure rilevata di ufficio ex articolo 129 c.p.p. in sede di legittimità. Possono, infatti, essere rilevati di ufficio solo i casi di pena illegale che non può neppure determinare una revocabilità del giudicato in sede esecutiva, come invece accade nel caso di aboliti criminis o di pena dichiarata incostituzionale Sez. U, numero 877 del 14/07/2022, dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886 Sez. U, numero 47182 del 31/03/2022, Savini, Rv. 283818 Sez. U, numero 38809 del 31/3/2022, Miraglia, Rv. 283689 Sez. U, numero 33040 del 26/02/2015, Marcon, Rv. 264206 Sez. 5, numero 39764 del 29/05/2017, Rhafor, Rv. 271850 . Con la già citata sentenza Ferrarini della Quinta Sezione, alla presa d'atto che per il concordato in appello non è stata prevista una disciplina specifica sulle censure proponibili con ricorso per cassazione, essendo stata stabilita espressamente solo la declaratoria di inammissibilità de piano nell'articolo 610, comma 5-bis, c.p.p. segue, secondo un diretto quanto inesplicato nesso derivativo, l'affermazione secondo la quale le uniche doglianze proponibili siano quelle relative ad eventuali vizi della sentenza rispetto alla volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta, al contenuto difforme della pronuncia del giudice e all'applicazione di una pena illegale . Quest'ultimo riferimento evoca i limiti introdotti con l'articolo 448, comma 2-bis, c.p.p. per il diverso istituto della applicazione della pena su richiesta delle parti, escludendo dalla nozione di pena illegale quella inflitta per reato prescritto. Giustifica l'incensurabilità in sede di legittimità della pena irrogata in base alla sua conformità alla volontà delle parti ed ai limiti edittali per i reati in relazione ai quali non è decorso il termine prescrizionale alla data della pronunzia impugnata , così facendo valere a sostegno dell'indirizzo, e in consapevole contrasto con quello opposto, la preminente valenza dell'accordo in uno alla conformità edittale della pena inflitta. 4.3. Al medesimo indirizzo appena ricordato si ricollegano quelle pronunce che fanno leva, più radicalmente, in particolare, sull'articolo 610, comma 5-bis, c.p.p. introdotto dalla L. 23 giugno 2017, numero 103, articolo 1, comma 62, per escludere senz'altro il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa a seguito di concordato in appello, ammettendosi per tale sentenza il solo ricorso straordinario Sez. 2, numero 26984 del 12/06/2019, Vetrano, non mass. Sez. 2, numero 27566 del 17/05/2019, Festosi, nonumero mass. Sez. 6 numero 2450 del 07/01/2019, Daccò, non mass. Sez. 2, numero 27862 del 03/05/2019, Ballarin, non mass. Sez. 2, numero 2748 del 15/01/2019, Tornese, non mass. Sez. 6, numero 197 del 03/12/2018, Greco, non mass. Sez. 6, numero 53045 del 12/11/2018, Golloshi, non mass. Sez. 5, numero 54543 del 28/09/2018, Tornabene, non mass. Sez. 6, numero 45027 del 10/09/2018, Anastasio, non mass. Sez. 6, 06/7/2018, numero 32617, Dellerba, non mass. Sez. 5, numero 34513 del 22/06/2018, Capuzzì, non mass. Sez. 2, numero 26375 del 31/5/2018, Ferlito, non mass. Sez. 6, numero 20558 del 09/05/2018, Hyra, non mass. Sez. 6, numero 21558 del 07/05/2018, Sacco, non mass. Sez. 5, numero 6578 del 24/01/2018, Papappicco, non mass. . 5. Alla questione di diritto che le Sezioni Unite sono state chiamate a risolvere, deve premettersi un sintetico inquadramento generale dell'istituto del concordato in appello. Originariamente esso era stato concepito come ambizioso strumento flessibile, caratterizzato da una virtuale assenza di rischi. Se da un lato l'eventuale rigetto, da parte del giudice, dell'accordo raggiunto dalle parti determinava la riespansione del devoluto, riportando il giudizio d'impugnazione ai fini per cui era stato proposto, dall'altro, il suo perfezionamento produceva effetti deflattivi tanto sul processo di secondo grado, quanto sul giudizio di legittimità. Tuttavia, a breve distanza dall'entrata in vigore del nuovo codice di rito, l'istituto era oggetto dell'intervento della Corte costituzionale che, con sentenza numero 435 del 1990, dichiarava l'illegittimità costituzionale dei commi 4 e 5 dell'articolo 599 c.p.p. per eccesso di delega nella parte in cui veniva consentita la definizione del procedimento in camera di consiglio anche al di fuori dei casi elencati nel comma 1 dello stesso articolo 599 del codice di rito. In tal modo si incideva sulla possibilità di definire - negozialmente in grado d'appello e con le forme camerali - il giudizio avente ad oggetto non solo il quantum, ma anche l'an della responsabilità penale. Il Giudice delle leggi osservava che, se la ratio della norma è quella di accelerare la definizione del processo e se - come desumibile dai lavori parlamentari - esula dal suo ambito di applicazione la possibilità di dedurre questioni attinenti alla ricorrenza di circostanze attenuanti non generiche od aggravanti, trattandosi di questioni di tale importanza e di tale rilievo, da far ritenere opportuno addivenire al rito normale , considerazioni analoghe valgono quando si tratti di decidere sulla sussistenza o meno del o dei reati attribuiti all'imputato ovvero sul riconoscimento di cause di esclusione dell'antigiuridicità o della punibilità . Al dichiarato fine di superare gli ostacoli generati dalla sentenza della Corte costituzionale da ultimo citata, il legislatore, con L. 19 gennaio 1999, numero 14, Modifica degli articolo 599 e 602 del codice di procedura penale , interveniva sul comma 4 dell'articolo 599 c.p.p., consentendo l'applicazione dell'istituto anche al di fuori dei casi di cui al comma 1 e, quindi, quali che fossero i motivi di impugnazione, compresi quelli inerenti alla responsabilità dell'imputato, così recuperando, per ragioni di equità e di giustizia, quelle facoltà previste dall'articolo 599 c.p.p Con la disciplina reintrodotta nel 1999, si riproponeva il doppio modello processuale, camerale o dibattimentale, a seconda che la richiesta fosse formulata prima ovvero dopo l'emanazione del decreto di citazione del giudizio di appello. L'accordo - che, come chiarito dal novellato articolo 599, comma 4, c.p.p. aveva ad oggetto l'accoglimento in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi - si configurava come un istituto che, attraverso la volontà delle parti, necessariamente copriva tutti i temi devoluti alla cognizione del giudice di appello, tramite un meccanismo che combinava concordato e rinuncia ai motivi e che, in ragione del richiamo alle forme di cui all'articolo 589 c.p.p., richiedeva, per la validità dell'atto, che la dichiarazione di parte fosse manifestata personalmente, ovvero a mezzo di procuratore speciale. Dunque, il concordato in appello si prospettava come un istituto orientato dall'interesse alla pronta definizione del processo, senza una strutturale connotazione premiale. Nella formulazione della norma reintrodotta, in capo al giudice sussistevano ampi poteri cognitivi e decisionali, in quanto egli conservava una piena ed insindacabile autonomia nella valutazione dell'accordo intervenuto tra le parti, che legittimamente poteva non accogliere. In caso di recepimento dell'accordo, al giudice d'appello non era consentito discostarsi dal contenuto del medesimo né in punto di determinazione della sanzione, né di riconoscimento delle circostanze ovvero di loro bilanciamento, pena l'inefficacia della richiesta e della rinuncia ai motivi. Diversamente, in caso di mancata ratifica, il giudice era tenuto a ordinare la citazione dell'imputato in dibattimento, ai sensi dell'articolo 599, comma 5, c.p.p., e, qualora la stessa fosse già stata disposta, a ordinare la prosecuzione del dibattimento articolo 602, comma 2, c.p.p. . La dottrina - in conformità con le più approfondite riflessioni della giurisprudenza di legittimità - ha individuato nell'accordo sui motivi di appello una versione del modello consensuale di definizione del processo profondamente diversa rispetto al cd. patteggiamento. Ha, inoltre, osservato che la scarna normativa dedicata al concordato in appello rivela la sostanziale continuità tra il modello di cognizione tipico del secondo grado di giudizio e le modalità operative del congegno previsto dall'articolo 599 c.p.p. la cui regolamentazione postula l'integrazione con la disciplina generale in tema di appello. A poco meno di dieci anni dalla novella legislativa, il legislatore, in sede di conversione del D.L. 23 maggio 2008, numero 92 Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica , nella L. 24 luglio 2008, numero 125 abrogava integralmente il concordato in appello ritenendo che un giudizio di secondo grado aperto a soluzioni negoziali di mitigazione del trattamento sanzionatorio mal si conciliasse con esigenze di prevenzione generale e speciale. Le ragioni della scelta legislativa, se da un lato rispondevano alla necessità di garantire una maggiore severità del trattamento sanzionatorio, dall'altro perseguivano lo scopo di incentivare l'opzione per il patteggiamento in primo grado, soluzione poco praticata in considerazione dei maggiori ambiti applicativi possibili con il concordato sui motivi di appello. Tante furono le critiche alla soppressione di un istituto volto alla deflazione del carico giudiziario che si proponeva di potenziare l'efficienza dell'intero processo penale, di compendiare le rationes di economia processuale con quelle securitarie, di trovare una sintesi tra le contrapposte spinte che da sempre alimentavano le controverse sorti del concordato in appello. Di tali critiche si è fatto carico il legislatore che con L. 23 giugno 2017, numero 103, entrata in vigore il 3 agosto 2017, è nuovamente intervenuto sulla disciplina dell'appello reintroducendo nel codice di rito l'articolo 599-bis, rubricato Concordato anche con rinuncia ai motivi di appello . Diversamente da quanto previsto nel testo del 1999, con la riforma del 2017 il legislatore ha delimitato il campo d'applicazione dell'istituto, escludendone l'applicazione in relazione a un catalogo di reati gravi, in particolare associativi, nonché nei confronti di imputati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza. La L. numero 103 del 2017 è intervenuta anche sull'articolo 602 c.p.p., relativo al dibattimento in appello, introducendo il comma 1-bis, dal contenuto analogo a quello dei commi 1 e 3 dell'articolo 599-bis del codice di rito, così ripristinando anche per questa fase la previsione del concordato sui motivi in appello. Da ultimo, il D.Lgs. numero 10 ottobre 2022, numero 150 ha mantenuto le connotazioni strutturali dell'istituto in parola introducendo, con l'articolo 34, comma 1, lett. f , nell'articolo 599-bis, comma 1, c.p.p. il termine, a pena di decadenza, di quindici giorni prima dell'udienza di appello per la proposizione del concordato. Ha abrogato, con l'articolo 98, comma 1, lett. a , sia l'articolo 599-bis, comma 2, c.p.p., ovvero le ipotesi di esclusione correlate ai reati più gravi ed ai soggetti dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, sia l'articolo 602, comma 1-bis, c.p.p., ovvero la facoltà di proporre il concordato nella fase dibattimentale. 6. In ordine al quesito rimesso alle Sezioni Unite, la Corte ritiene che, in mancanza di una espressa rinuncia alla prescrizione, avverso la sentenza di concordato in appello sia proponibile il ricorso in cassazione con cui si deduca l'omessa dichiarazione di estinzione del reato maturata anteriormente a detta sentenza. In tale modo intende dare continuità al principio di diritto affermato da Sezioni Unite Piergotti in tema di rinuncia alla prescrizione e già espresso da Sez. U, numero 43055 del 30/09/2010, Dalla Serra, Rv. 248379. La formulazione della richiesta di concordato in appello non costituisce rinuncia alla prescrizione del reato eventualmente già verificatasi. A tal riguardo, è di centrale rilievo l'argomento espresso da Sez. U, Piergotti che designa l'irrilevanza della specialità del rito ex articolo 444 c.p.p. allorquando saggia la tenuta del principio affermato in tema di rinuncia alla prescrizione rispetto ad esso, osservando che la differenza strutturale rispetto al rito ordinario non e', però, tale da comportare, per il patteggiamento, un regime differenziato in tema di rinuncia alla prescrizione, posto che la norma di cui all'articolo 157, comma 7, c.p., è disposizione di carattere generale, valida per tutti i casi e moduli procedurali, senza eccezioni o diversificazioni di sorta . Sicuri riferimenti ulteriori alla esclusione di forme equipollenti a quella di rinuncia espressa alla prescrizione sono le disposizioni di cui agli articolo 444, comma 2, e 129 c.p.p., oltre alla previsione dell'articolo 157, comma 7, c.p. . Sez. U Piergotti hanno attribuito specifico rilievo - nel caso sottoposto al loro esame - all'articolo 444, comma 2, c.p.p. che detta la sequenza diacronica che caratterizza il modulo procedimentale del patteggiannento . Hanno osservato che, secondo Sez. U, numero 3 del 25/11/1998, dep. 1999, Messina, Rv. 212438 e Sez. U, numero 5 del 28/05/1997, Lisuzzo, Rv. 207877, il paradigma procedimentale assegna priorità alla verifica dell'insussistenza delle cause di non punibilità previste dall'articolo 129 c.p.p., da compiersi aliunde, ossia indipendentemente dalla piattaforma negoziale, e precisamente sulla base degli atti del fascicolo del pubblico ministero sulla scansione nelle due fasi della procedura del patteggiamento, anche Sez. U, numero 18 del 21/06/2000, Franzo, Rv. 216431 . Soltanto in caso di negativa delibazione il giudice può, poi, procedere all'esame di legittimità della piattaforma negoziale offertagli dalle parti, al fine di verificare correttezza del nomen iuris attribuito al fatto-reato, legalità e congruità dell'assetto sanzionatorio concordato. Sicché - proseguono Sez. U, Piergotti -solo sino ad un certo punto può dirsi esatta l'affermazione che il rito speciale si incentra nel potere dispositivo delle parti, posto che un ruolo centrale è pur sempre attribuito al giudice, chiamato, anche in questa speciale procedura, ad un compito attivo e vigile, che lo rende tutt'altro che spettatore inerme e silente di una vicenda negoziale inter partes, deputato ad una funzione meramente notarile - di semplice ratifica di un accordo privatistico - secondo l'efficace espressione della Corte Cost., sent. numero 313 del 1990 . Sicché anche in presenza di richiesta condivisa di patteggiamento, che, per qualsiasi ragione, non abbia tenuto conto di maturate cause estintive del reato, il giudice - in nessun modo condizionato dall'esercizio di un potere di rinuncia alla prescrizione, non espresso nelle forme di legge - non è comunque esentato dal dovere funzionale del pertinente rilievo, ai sensi del menzionato articolo 129 c.p.p., che segna, pertanto, il momento di criticità della tesi che ammette equipollenti alla dichiarazione espressa di rinuncia . L'esposto percorso argomentativo mantiene - a maggior ragione - la sua validità in relazione all'istituto ex articolo 599-bis c.p.p. che non costituisce procedimento speciale e non si discosta dal modello ordinario in relazione alla rinuncia ai motivi ed alla valutazione di quelli non rinunciati. 7. Non osta alla applicazione del principio il contesto in cui lo stesso è stato affermato, definito dalla ritenuta pacifica acquisizione giurisprudenziale secondo la quale l'omesso od erroneo esercizio del potere-dovere di verifica della sussistenza di cause estintive ex articolo 129 c.p.p. integra vizio di legittimità deducibile in cassazione vds. pag. 10 della sentenza Piergotti . Tale contesto risulta mutato a seguito della riforma del 2017 che con l'articolo 448-bis c.p.p. ha introdotto speciali motivi di ricorribilità della sentenza di cd. patteggiamento, al quale ha fatto seguito l'orientamento di legittimità secondo cui la maturata prescrizione del reato al momento della sentenza che omologa l'accordo raggiunto dalle parti non è deducibile in cassazione, in quanto non determina l'illegalità della pena ai sensi del novellato articolo 448, comma 2-bis, c.p.p., ma può essere rilevata dal giudice al quale è sottoposto l'accordo che non implica di per sé rinuncia alla prescrizione Sez. 5, numero 26425 del 30/04/2019, Parigi, Rv. 276517 conforme Sez. 6, numero 5210 del 11/12/2018, dep. 2019, Chiumento, Rv. 275027 . Purtuttavia, il rilevato mutamento non incide sull'istituto del concordato in appello una volta ribadito il principio per il quale la proposizione dell'accordo non implica di per sé rinuncia alla prescrizione, causa estintiva alla quale consegue l'obbligo di immediata declaratoria previsto dall'articolo 129, comma 1, c.p.p 8. L'esercizio di tale potere-dovere non si pone - ovviamente - in conflitto con il principio secondo il quale il giudice, qualora ritenga di accedere all'accordo, non può discostarsi dai termini in cui è stato prospettato. Invero, la pronuncia di un provvedimento difforme da quello richiesto dalle parti, si giustifica in quanto l'esercizio del predetto potere-dovere dà luogo a un provvedimento che si pone in rapporto di alternatività e di priorità logica rispetto a quello domandato dalle parti. La conclusione illustrata - è appena il caso di evidenziarlo - non è in contrasto con la tradizionale e tralatizia affermazione della giurisprudenza di legittimità secondo la quale il giudice di secondo grado, nell'accogliere la richiesta di pena concordata, non deve motivare sul mancato proscioglimento dell'imputato per una delle cause previste dall'articolo 129 c.p.p. né sull'insussistenza di ipotesi di nullità assoluta o di inutilizzabilità delle prove perché si deve rapportare l'obbligo della motivazione all'effetto devolutivo proprio dell'impugnazione in quanto, una volta che l'imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia vds. da ultimo, Sez. 4, numero 52803 del 14/09/2018, Bouachra, Rv. 274522 . 9. La applicabilità del principio espresso dalla sentenza Piergotti impone l'ulteriore verifica correlata all'individuazione dei limiti di ricorribilità della sentenza emessa a seguito del concordato in appello in relazione al principio espresso da Sezioni Unite Ricci circa la generale ammissibilità della deduzione, mediante ricorso per cassazione, della prescrizione maturata antecedentemente alla pronuncia di appello. L'incidenza di questo principio, espresso anteriormente alla riforma del 2017, sulla questione in esame implica invero la risoluzione della preliminare questione riguardante le regole di ammissibilità del ricorso avverso la sentenza emessa ex articolo 599-bis c.p.p. ristretto ad alcuni limitati casi dall'orientamento espresso dalla sentenza Ferrarini o escluso dalle altre già citate vds. paragrafo 4.3. . 10. Questi orientamenti non possono essere condivisi. 10.1. Il percorso ermeneutico individuato dall'indirizzo espresso dalla sentenza Ferrarini si correla ad una ratio desunta dalle speciali regole previste per il diverso rito di applicazione della pena su richiesta delle parti, nonostante sia patrimonio acquisito, in dottrina ed in giurisprudenza, anche costituzionale v. Corte Cost. sent. numero 448 del 1995 , la differenza funzionale e strutturale tra i due istituti e l'assenza di simmetria tra sentenza ex articolo 444 cod. proc. peni e pronuncia ex articolo 599-bis c.p.p Il fondamento di una siffatta osmosi ermeneutica può essere individuato in una perdurante e generalizzante precomprensione del fenomeno processuale interpretato, di volta in volta emergente nelle decisioni di legittimità, che echeggia l'antica regola pacta sunt servanda secondo la specifica declinazione processuale per la quale il concordato processuale non può essere unilateralmente abbandonato attraverso la riproposizione, con il ricorso per cassazione, di questioni che con lo stesso concordato siano state rinunciate. Ebbene, tale fondamento è certamente condivisibile in relazione alle questioni sulle quali si è verificata preclusione o intervenuto giudicato sostanziale, ma non coinvolge la prescrizione del reato che, come già detto, non può intendersi rinunciata per il solo fatto della proposizione dell'accordo, la cui valutazione è demandata al giudice del gravame. 10.2. Non ha, poi, fondamento la pretesa incidenza sul tema in esame della novella del 2017. A tal riguardo, la sentenza Ferrarini non tiene conto che, con la introduzione dell'istituto del concordato in appello - come per il previgente articolo 599, comma 4, c.p.p. e diversamente dall'istituto ex articolo 444 c.p.p. -, non è stato introdotto un regime speciale di ricorribilità della sentenza, scelta legislativa che fa ritenere immutato il relativo quadro sistematico. L'operazione ermeneutica volta a superare il regime generale di ricorribilità, estendendo i principi dall'uno all'altro istituto non è consentita per il principio di tassatività che governa i mezzi di impugnazione ed in relazione alla specialità del regime previsto dall'articolo 448, comma 2-bis, c.p.p., che è di stretta interpretazione. 10.3. Non merita, infine, alcuna condivisione l'orientamento secondo il quale l'articolo 610, comma 5-bis, c.p.p. esclude la ricorribilità della sentenza ex articolo 599-bis c.p.p L'argomentare assai stringato delle decisioni che sostengono tale orientamento si limita alla considerazione secondo la quale l'articolo 610 c.p.p., comma 5-bis c.p.p., come riformulato dall'articolo 1, comma 62 della L. 23 giugno 2017, numero 103, entrata in vigore il 3 agosto 2017, ha escluso la ricorribilità per cassazione avverso la sentenza di applicazione della pena concordata ai sensi dell'articolo 599-bis c.p.p., limitando l'impugnazione al solo ricorso straordinario di cui all'articolo 625 bis c.p.p. così, per tutte, Sez. 5, numero 54543 del 28/09/2018, Tornabene, non mass. . La dottrina ha interpretato questo orientamento individuando in esso la condivisione di un'opinione minoritaria, espressa subito dopo l'entrata in vigore della riforma del 2017, che si incentra su un significato del tutto peculiare attribuito al terzo periodo dell'articolo 610, comma 5-bis, c.p.p. per il quale contro tale provvedimento è ammesso il ricorso straordinario a norma dell'articolo 625-bis . Ritiene, quindi, che il legislatore con la locuzione contro tale provvedimento si sia riferito non alle pronunce di inammissibilità rese de piano dalla Corte, elencate nei primi due periodi dell'articolo 610, comma 5-bis, c.p.p., ma alle sentenze di concordato in appello, le quali sono l'ultima categoria di decisioni richiamate nel secondo periodo della medesima disposizione. Secondo altra prospettiva, la ratio dell'orientamento in parola potrebbe essere colta in base alla locuzione allo stesso modo la Corte dichiara l'inammissibilità del ricorso contro la sentenza di applicazione della pena e contro la sentenza pronunciata a norma dell'articolo 599-bis , interpretata quale esclusione tout court di ogni possibilità di ricorso nei confronti di tali tipologie di sentenze, per definizione ritenute non impugnabili. Queste prospettive ermeneutiche che individuano, in base alla richiamata disposizione dell'articolo 610, comma 5-bis c.p.p., una diretta ed indiscriminata previsione di inammissibilità del ricorso avverso la sentenza emessa a seguito di concordato in appello, non possono in alcun modo essere condivise, in quanto non tengono conto della univoca collocazione della disposizione in parola. Essa, invero, è posta nel contesto delle norme volte a disciplinare gli atti preliminari del procedimento in cassazione, fase per la quale è stabilito - secondo l'articolo 610, comma 1, c.p.p. - che il rilievo di una causa di inammissibilità del ricorso determina l'assegnazione di esso ad una apposita sezione per la decisione in camera di consiglio. Cosicché la disposizione dell'articolo 610, comma 5-bis c.p.p. individua i presupposti in presenza dei quali è prevista la procedura de piano per la trattazione del ricorso per cassazione avverso la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti e quella pronunciata a norma dell'articolo 599-bis del codice di rito. Pertanto, essa non riguarda i presupposti di ammissibilità dei rispettivi ricorsi quelli relativi al cd. patteggiamento sono previsti nell'articolo 448-bis c.p.p. nell'ambito della disciplina del rito speciale, mentre nessuna novità - come si è detto - è stata introdotta per il concordato in appello. L'articolo 610, comma 5-bis, c.p.p. accomuna, in rapporto all'individuato contesto e finalità semplificativa, le due tipologie di sentenza in ragione della agevole rilevazione dei più ristretti casi di inammissibilità dei ricorsi conseguenti ai limiti di ricorribilità stabiliti per la sentenza di cd. patteggiamento dall'articolo 448, comma 2-bis, c.p.p. e della novazione riduttiva del devoluto per quella di concordato in appello. 11. In conclusione, anche dopo la riforma del 2017, esclusa l'introduzione di speciali limiti di ricorribilità in cassazione per la sentenza emessa a seguito di concordato in appello, può essere riaffermato con le parole di Sezioni Unite Ricci che nessun dato positivo induce a ritenere che non possa censurarsi, con il ricorso per cassazione, l'errore del giudice di appello che ha omesso di dichiarare la già intervenuta prescrizione del reato, pur se non eccepita dalla parte interessata in quel grado. Il ricorso per cassazione, anche se strutturato su questo solo motivo, è certamente ammissibile, perché volto a fare valere l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. b L'error in iudicando si concretizza proprio nella detta omissione, che si riverbera sul punto della sentenza concernente la punibilità. L'impugnazione mira ad emendare tale errore. L'ammissibilità del ricorso non è pregiudicata dal fatto che il ricorrente, con le conclusioni rassegnate in appello, non ha eccepito la prescrizione maturata nel corso di quel giudizio né alcuna rilevanza preclusiva all'ammissibilità dell'impugnazione può attribuirsi, in caso di prescrizione verificatasi addirittura prima della proposizione dell'appello, alla mancata deduzione di parte con i relativi motivi articolo 606, comma 3, c.p.p. . L'articolo 129 c.p.p. impone al giudice, come recita la rubrica, l'obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità e a tale obbligo il giudice di merito non può sottrarsi e deve ex officio adottare il provvedimento consequenziale. Se a tanto non adempie, la sentenza di condanna emessa, in quanto viziata da palese violazione di legge, può essere fondatamente impugnata con atto certamente idoneo ad attivare il rapporto processuale del grado superiore, il che esclude la formazione del c.d. giudicato sostanziale . 12. Deve, quindi, essere affermato il seguente principio di diritto nei confronti della sentenza resa all'esito di concordato in appello è proponibile il ricorso per cassazione con cui si deduca l'omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di tale sentenza . 13. In applicazione del principio, nel caso sottoposto all'esame del Collegio, alla esclusione della recidiva doveva conseguire la rilevazione della intervenuta prescrizione del reato di tentata estorsione semplice, ai sensi degli articolo 157 e 161, comma 2, c.p., alla data del 22 maggio 2016 compresi 131 gg. Di sospensione del termine in primo grado dal 3/7/2017 al 13/11/2017, non rilevando le ulteriori sospensioni verificatesi in appello a termine ormai spirato con la declaratoria di estinzione del reato, ai sensi dell'articolo 129, comma 1, c.p.p 14. L'omessa rilevazione della prescrizione e la mancata declaratoria della estinzione del reato per tale causa, ritualmente dedotte dal ricorrente, conducono all'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.