Impossibile, secondo i Giudici, giustificare o ridimensionare la condotta tenuta da una donna che, malconcia e malnutrita, ha provato a portar via alcuni generi alimentari da una struttura commerciale. Colta sul fatto, ha prontamente restituito i beni prelevati dagli scaffali. Ad escludere l’ipotesi che il fatto sia dovuto ad un’esigenza esclusivamente personale è, secondo i Giudici, anche il valore dei beni, pari a quasi 100 euro.
Impossibile giustificare la clochard che prova a portar via generi alimentari, per un valore di quasi 100 euro, da un supermercato. Irrilevante, chiariscono i Giudici, il riferimento alle sue condizioni di vita, con annessa difficoltà di procurarsi cibo. All’origine della vicenda giudiziaria c’è il blitz provato, ma non realizzato, da una donna, una clochard, che in una struttura commerciale ha cercato di portare via generi alimentari – per un valore pari a 96 euro e 22 centesimi – ma è stata colta sul fatto e quindi ha restituito il bottino. Nonostante la restituzione dei prodotti prelevati dagli scaffali per portarli via senza pagare, la donna finisce sotto processo e si ritrova condannata, sia in primo che in secondo grado, per «tentato furto, aggravato dall’esposizione del bene sottratto – generi alimentari – alla pubblica fede». In Cassazione, però, l’avvocato che rappresenta la donna prova a ridimensionare la condotta oggetto del processo. In questa ottica, egli richiama le precarie condizioni di vita della sua cliente, «una malconcia clochard, malata e denutrita», e sostiene si debba parlare di «mero furto d’uso, mancando del tutto la finalità di lucro», essendo, secondo il legale, i generi alimentari sottratti destinati ad un consumo personale. E significativo è, secondo il legale, anche il fatto che «la merce sia stata restituita integra» dalla donna con «nessun ulteriore danno» per la struttura commerciale. Per i Giudici di Cassazione, però, va escluso, come già sancito in Appello, il presunto «stato di necessità» della clochard. Ciò perché, sebbene «possa parlarsi di uno stato di marginalità sociale» della donna sotto accusa, «nulla di specifico è stato dedotto in ordine alle sue condizioni di vita», con particolare riferimento alla «impossibilità per lei di ottenere il cibo per la propria sussistenza, anche facendo ricorso alle strutture sociali che si occupano di ciò», cioè dell’assistenza ai clochard. Al contrario, «la donna non ha sottratto i generi alimentari per provvedere ad una imminente necessità di sussistenza, essendo», osservano i Giudici, «la merce sottratta di quantità sproporzionata rispetto al suo immediato fabbisogno e risultando piuttosto evidente», quindi, «che ella abbia fatto scorta di beni al fine di trarne profitto per sé o per altri, e non per soddisfare un bisogno connotato da uno stato di necessità». Per i Magistrati di Cassazione, come già per i giudici di merito, non vi sono dubbi la condotta tenuta dalla donna non era diretta a «soddisfare un bisogno immediato, grave ed urgente», pur essendo stati prelevati dagli scaffali della struttura commerciale solo generi alimentari. Irrilevante, infine, anche il richiamo difensivo alla restituzione dei beni sottratti. Su questo punto i Giudici osservano, innanzitutto, che «la restituzione è conseguita alla scoperta del furto» e aggiungono poi che per parlare di danno di speciale tenuità «è necessario che sia possibile desumere, con certezza, dalle modalità del fatto, e in base a un preciso giudizio ipotetico che, se il reato fosse stato portato a compimento, il danno patrimoniale per la persona offesa sarebbe stato di rilevanza minima» mentre, invece, nella vicenda oggetto del processo, si è ritenuto impossibile parlare di perdita economica risibile «a fronte del dato certo del valore della merce, pari a 96 euro e 22 centesimi».
Presidente Zaza – Relatore Sessa Ritenuto in fatto 1.Con sentenza del 31.1.2022 la Corte di Appello di Milano ha confermato la pronuncia emessa in primo grado nei confronti di A.V., che l'aveva dichiarata colpevole del reato di tentato furto aggravato dall'esposizione del bene sottratto - generi alimentari - alla pubblica fede. 2.Ricorre per cassazione l'imputata, tramite il difensore di fiducia, deducendo sette motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173, disp. att. c.p.p., comma 1. 2.1.Coi primo motivo deduce la nullità della notificazione del decreto ex articolo 552 c.p.p., sia al difensore che all'imputata. Con motivi articolati ex articolo 585 c.p.p., comma 4, tempestivamente depositati in cancelleria il 14.1.2022, si era lamentata la predetta nullità, ma rispetto ad essa la sentenza impugnata è rimasta del tutto silente. 2.2.Col secondo motivo deduce la violazione dell'articolo 54 c.p. e la mancanza e manifesta illogicità della motivazione, lamentando che non siano stati valutati gli elementi offerti dalla difesa che attestano le condizioni in cui versava l'imputata - una malconcia clochard malata e denutrita. 2.3.Col terzo motivo lamenta il mancato riconoscimento della fattispecie della particolare tenuità del fatto. alla luce delle condizioni soggettive dell'imputata. 2.4.Col quarto motivo deduce la violazione dell'articolo 626 c.p., comma 1 numero 2, e la mancanza e manifesta illogicità della motivazione, essendosi trattato di un tentativo di furto di generi alimentari di esiguo valore. Si è trattato di un mero furto d'uso, mancando del tutto la finalità di lucro, e l'elemento soggettivo del reato. 2.5,Col quinto motivo deduce la violazione dell'articolo 521 del codice di rito, per essere stata ritenuta l'aggravante dell''esposizione alla pubblica fede non specificamente contestata. 2.6. Col sesto motivo lamenta il mancato riconoscimento dell'attenuante della tenuità del danno, tenuto anche conto che la merce è stata restituita integra all'avente diritto e nessun ulteriore danno è ravvisabile. 2.7.Coi ‘settimo motivo arrtenta vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena. 3. Il ricorso è stato trattato. ai sensi del D.L. numero 137 del 2020, articolo 23, comma 8, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, numero 176, senza l'intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso il difensore dell'imputato ha insistito nell'accoglimento del ricorso, con relativa allegazione documentale. Considerato in diritto 1.Il ricorso è inammissibile, 1.1.11 primo motivo è manifestamente infondato, Ed invero, il decreto di citazione a giudizio risulta regolarmente notificato sia al difensore che all'imputata. Dai verbale della prima udienza tenutasi davanti al Tribunale di Milano risulta peraltro che il difensore di fiducia, avv. Marulio Marco, presente, ebbe a depositare in quell'occasione la nomina a difensore di fiducia, con relativa procura speciale, senza peraltro obbiettare alcunché in ordine alla regoiarità della notificazione del decreto di citazione a giudizio sia nei suoi confronti che nei confronti dell'imputata In ogni caso i decreto ex articolo 552 c.p.p. porta, secondo la stessa prospettazione difensiva, la data del 08/01/2019, sicché si è correttamente verificato chi a quella data rivestiva la qualità di difensore dell'imputata e queaa ai domiciliatario della stessa, non potendosi ritenere, a differenza di quanto assume la difesa, che tale verifica andasse effettuata all'atto della notificazione Sez. 5, re 25803 del 09/05/2019, Rv. 276127 - 01 conf Sez, 6, numero 24943 dei 12/04/2028, Pki 27-4726 -- 01, tali pronunce, sia pure con riferimento all'avviso di conclusione delle indagini - ma Il principio non perde di validità se riferito alla citazione in giudizio hanno affermato e ponendosi nei solco tracciato da Sez. U. Maritan del 26.12015, R.v. 263600-01 - cne la notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari deve essere effettuata a chi riveste la quaiita di difensore dell'indagato nei momento in cui l'atto è depositato in segreteria, atteso Che il deposito segna il momento in cui l'autorità giudiziaria dispone l'inoltro per notificazione, a nulla rilevando la nomina di difensore di fiducia effettuata successivamente, ancorché prima che sia materialmente eseguito l'inoltro. D'altra pare la individuazione dei soggetti e dei luoghi ove devono intervenire le notificazioni è di competenza dell'autorità giudiziaria e non del messo notificatore o della cancelleria o segreterie dei P,M., che devono solo eseguire le notificazioni come disposte dall'autorità giudiziaria. 1.2.in ordine al secondo motivo. sullo stato di necessità, la censura non si confronta con le decisive considerazioni sviluppate sui punto dalla sentenza impugnata che ha ben posto in evidenza come nei caso di specie, sepour possa parlarsi di uno stato di marginalità sociale, nulla di specifico stato dedotto in ordine alle sue condizioni di vita in particolare all'impossibilità di ottenere il cibo per la sua sussistenza anche ricorrendo alle strutture sociali che di ciò si occupano, osservandosi al contempo come l'imputata non abbia sottratto i beni per provvedere ad una imn-inente necessità di sussistenza, essendo la merce sottratta di quantità sproporzionata rispetto al suo immediato fabbisogno, risultando piuttosto evidente che l'imputata abbia fatto scorta di beni al fine di trarne profitto per sé o per altri e non per soddisfare un bisogno connotato dallo stato di necessità. Ne' a diversa conclusione potrebbero indurrei documenti allegati ne le decisioni assunte da altri giudici in procedimenti penali diversi da quello cui attiene li fatto oggetto delle deduzioni del ricorso in scrutinio. 1.3. In ordine ai terzo motivo, fattispecie di cui all'articolo 131-bis c,p., deve rilevarsene la sua assoluta genericità limitandosi esso a segnalare che alla stregua delle condizioni dell'imputata non potesse ravvisarsi la necessità di punirla laddove dalla complessiva motivazione della sentenza impugnata emerge come il giudice di merito non abbia affatto ritenuso o, scarsa offensività ii fatto nel suo complesso considerato anche alla luce dei pregressi comportamenti . 1.4 In ordine ai quarto rnotii/o, esso non si confronta con le indicazioni sull'assenza di tenuità del valore fleP beni per un valore complessivo di Euro 96,22 e sulla mancata direzione della condotta a soddisfare un bisogno immediato, grave ed urgente, circostanze che nella valutazione Oi merito, sorretta da congrua motivazione, in quanto tale qui non sindacabile, giustamente escludono la ricorrenza dell'ipotesi di cui all'articolo 626 c.p., comma 1, numero 2, invocata dalla difesa. 1.5, Manifestamente infondato, oltre cne meramente reiterativo, risulta il quinto motivo sulla violazione cieli-drcomma 521 cao.o. in relazione all'aggravante dell'esposizione del bene alla pubblica fede, che come emerge in maniera palmare dall'imputazione - ove si legge generi alimentari di vario tipo esposti sugli scaffali del punto vendita - risulta inequivocabilmente contestata in fatto. A diversa conclusione non potrebbe condurre la pronuncia di questa Corte a Sezioni Unite Sentenza numero 249015 Rv. invocata dalla difesa, che ha affermato cne in tema di reato di falso atto pubblico, non può ritenersi legittimamente contestata, si che non PUO' essere ritenuta la sentenza dai giudice, la fattispecie aggravata di cui all'articolo 476 c.p., comma 2. Qualora nel capo d'imputazione non sia esposta la natura fidefacente dell'atto, o direttamente. o mediante l'impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso ‘indicazione della relativa norma, dal momento che tale pronuncia ancora la impossibilità di ritacere contestata in fatto la circostanza nell'ipotesi considerata al fatto che l'attribuzione dell'atto delle qualità di documento fidefacente costituisce il risultato di una valutazione. Sicché, nel ribadirsi il principio secondo in tema di circostanze aggravanti, è ammissibile la c,d, contestazione in fatto quando vengano valorizzati comportamenti individuati nella loro materialità, ovvero reeriti a mezza o ad oggetti determinati nelle loro caratteristiche, idonei a riportare neil'imimitazione tutti gli elementi costitutivi della fattispecie aggravartici, rendendo così possibile adeguato esercizio del diritto di difesa Sez. 2, numero 15999 del 18/12/2019 Ud. deo, 27/05/2020 , Rv. 279335- 01 , deve osservarsi come nel caso di specie la circostanza dell'esposizione del bene alla pubblica fede risulti sufficientemente descritta nella sua materialità attraverso la locuzione ‘esposti sugli scaffali che rimanda in maniera evidente e non equivoca. e senza necessià di alcuna operazione di tipo valutativo, al fatto che si tratti di beni esposti alla publica fede. 1.6. Parimenti del tutto privo dr pregio è il sesto motivo sull'attenuante di cui all'articolo 62, numero 6, c.p. . contestando valutazioni discrezionali non arbitrarie e invero del tutto persuasive sulìapprezzabile valore dei beni sottratti in disparte ogni considerazione sul fatto che la restituzione conseguita alla, coperta del furto. Ed invero, pur essendo fuori di dubbio che nei reati conti-o a aatrirrioniu, la circostanza attenuante comune del danno di speciale tenuità è applicabile anche ai delitto tentato Sez. U, numero 28243 del 28/03/2013, Rv. 255528 01 , è nondimeno necessarie che sia possibile desumere con certezza, dalle modalità del fatto e in base ad un preciso giudizio ipotetico che, se il reato fosse stato riportato al compimento, ii danno patrimoniale per la persona offesa sarebbe stato di rilevanza minima, laddove nel caso di specie tale evenienza e stata esclusa dal giudice di merito con argomenti esaurienti e logici, qui non sindacabili a fronte del dato certo dei valore della merce che si era tentato di sottrarre pari ara Euro 96,22. 1.7, li settimo motivo sul trattamento sanzionatorio, teso nella sostanza a sindacare le valutazioni discrezionali del giudice di merito, sul punto sorrette da motivazione non arbitraria, come tale costituente giudizio di fatto incensurabile in cassazione, è indeducibile nella presente sede, oltre che intrinsecamente generico. 2. Dalle ragioni qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilità dei ricorso, cui consegue, per legge, ex articolo 616 c.p.p. ia condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonché trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della Cassa delle Ammende una somma cha si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione ala entità delle questioni trattate. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3 000,00, in favore della Cassa delle ammende.