La continuazione tra reati non impedisce, di per sé, la configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’articolo 131-bis c.p. la decisione resta affidata alla discrezionalità del giudice in ordine alla meritevolezza o meno della esclusione della punibilità nell'ipotesi della continuazione.
La vicenda Nel caso di specie, il Tribunale di Ascoli Piceno ha assolto l'imputata dal reato di percosse e ha dichiarato la stessa colpevole del reato di violenza privata continuata di cui agli articolo 610 e 81, comma 2, c.p., perché, con violenza consistita nel parcheggiare la propria autovettura davanti all'ingresso dei locali adibiti a garage e deposito di legna, impediva tanto l'uso dell'auto quanto il passaggio alla persona offesa e al marito di quest'ultima. La Corte d'Appello di Ancona ha confermato tale decisione. L'imputata, tramite il proprio difensore, ha depositato ricorso per Cassazione eccependo, tra i vari motivi, l'erronea applicazione dell'articolo 610 c.p. e l'erronea applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto di cui all'articolo 131-bis c.p. I motivi di ricorso In merito all'erronea applicazione dell'articolo 610 c.p., la difesa ha eccepito un travisamento delle prove. Segnatamente, sulla base delle prove testimoniali raccolte, la condotta dell'imputata non avrebbe causato una coattiva e continuativa privazione della libertà di determinazione nei confronti delle persone offese la ricorrente, secondo la tesi difensiva, avrebbe semplicemente posto in essere sporadici episodi di ostruzionismo tramite il parcheggio dell'auto, rientranti nella ordinaria tolleranza che caratterizza i rapporti di vicinato. Ad ogni modo sarebbero stati assenti gli elementi di violenza e/o minaccia, fondamentali per integrare l'elemento oggettivo del delitto. Quanto all'erronea applicazione dell'articolo 131-bis c.p., il difensore ha evidenziato che il diniego del riconoscimento della particolare tenuità del fatto si è basato essenzialmente sul presupposto deIl'abitualità del comportamento ostruzionistico e ha richiamato il recente approdo della sentenza delle Sezioni Unite del 27 gennaio 2022, secondo cui la continuazione non si identifica automaticamente con l'abitualità del reato. Infatti l'istituto della continuazione non sarebbe indicativo, ex sé, della serialità delle condotte o della proclività dell'agente a violare la legge, e pertanto il reato continuato potrebbe rientrare nell'ambito di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, dovendo valutare il giudice l'offensività del singolo episodio delittuoso. L'applicazione dell'articolo 610 c.p. La Corte di Cassazione ha ritenuto privo di pregio il motivo di ricorso inerente alla erronea applicazione dell'articolo 610 c.p. Secondo un consolidato insegnamento giurisprudenziale, infatti, il bene giuridico protetto dal delitto di violenza privata è la libertà psichica dell'individuo e la fattispecie di cui all'articolo 610 c.p. è in rapporto di sussidiarietà con altri reati in cui la violenza alle persone è elemento costitutivo. In tale ottica il reato in esame reprime genericamente fatti di coercizione non espressamente considerati da altre disposizioni di legge e, ai fini dell'integrazione del medesimo, il requisito della violenza consiste in qualsiasi mezzo idoneo a comprimere la libertà di autodeterminazione e di azione della persona offesa. In buona sostanza, non è richiesta una minaccia verbale o esplicita, ma è «sufficiente un qualsiasi comportamento o atteggiamento, sia verso il soggetto passivo, sia verso altri, idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto, finalizzato ad ottenere che, mediante tale intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od omettere qualcosa». Secondo la Corte nemmeno risulta rilevante il richiamo all'orientamento che esclude il delitto di violenza privata qualora gli atti di natura intimidatoria integrino essi stessi l'evento naturalistico in termini di pati a cui la persona offesa è costretta. Ebbene, nel caso di specie la Corte ha sottolineato un evidente rapporto di alterità tra la condotta consistente nel parcheggio ostruttivo, e determinante un mero pati, e il successivo evento naturalistico identificabile con l'impossibilità per la persona offesa e il marito di accedere ai propri locali. La sentenza oggetto di impugnazione ha quindi fatto buon uso dei principi di diritto in materia. L'erronea applicazione dell'articolo 131-bis c.p. Il punto su continuazione, abitualità, e reiterazione di condotte La Corte di Cassazione ha ritenuto invece fondato il secondo tra i motivi di ricorso enunciati e ha osservato che la Corte d'Appello ha omesso di contestualizzare la condotta in esame, consegnando una decisione del tutto immotivata in punto di abitualità della condotta. La Suprema Corte ha quindi ricostruito il quadro di principi recentemente espressi dalle citate Sezioni Unite numero 18891/2022 sul tema del presupposto dell'assenza di abitualità, ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'articolo 131-bis c.p. Le Sezioni Unite con la sentenza citata hanno delineato in primis la differenza tra tre istituti e, segnatamente, la continuazione, l'abitualità e la semplice reiterazione di condotte. In merito al reato continuato di cui all'articolo 81, comma 2, c.p. le Sezioni Unite hanno ricordato che l'identità del disegno criminoso consiste nella previa rappresentazione e decisione da parte dell'agente di una serie di condotte criminose e che tale requisito non coincide con l'adesione del reo a un programma di vita delinquenziale consistente nel commettere un numero indeterminato di reati, seppure dello stesso tipo, non identificabili a priori nelle loro principali coordinate. Un simile atteggiamento denota una generale propensione alla devianza che si può declinare in vari modi a seconda delle occasioni e opportunità della vita, ma le coordinate essenziali dei reati da commettere non sono predeterminate in un'unica spinta criminosa. A contrario, a proposito dell'abitualità, le Sezioni Unite sottolineano che l'istituto presuppone un impulso criminoso reiterato nel tempo incompatibile con l'unitaria deliberazione criminosa che caratterizza l'ipotesi del reato continuato. Da un lato dunque si colloca la continuazione in cui l'unicità della decisione antigiuridica giustifica la determinazione di un unico trattamento sanzionatorio da irrogare nei confronti dell'autore del reato, dall'altro si posiziona l'abitualità in cui la proclività al delitto giustifica, all'opposto, un trattamento sanzionatorio maggiormente severo. A margine rispetto alla continuazione e all'abitualità vi è poi la semplice reiterazione di condotte criminose che appare come ripetizione di episodi delittuosi non dettata da un progetto delinquenziale unitario e nemmeno inquadrabile come un'abitudine di vita del reo. Continuazione e tenuità del fatto possono “convivere” Tutto ciò premesso, le richiamate Sezioni Unite hanno affermato che il riconoscimento del reato continuato non è di per sé ostativo alla configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, sebbene debba essere effettuata dal giudice una attenta valutazione della fattispecie concreta. In particolare l'organo giudicante, caso per caso, deve tener conto della natura e della gravità degli illeciti in continuazione, della tipologia dei beni giuridici protetti, dell'entità delle disposizioni di Iegge violate, delle fìnalità e delle modalità esecutive delle condotte, delle loro motivazioni e delle conseguenze che ne sono derivate, del periodo di tempo e del contesto in cui le diverse violazioni si collocano, dell'intensità del dolo e della rilevanza attribuibile ai comportamenti successivi ai fatti. Come riconosciuto dalle Sezioni Unite, il problema dei presupposti di applicazione dell'articolo 131-bis c.p. ha accompagnato l'evoluzione giurisprudenziale dell'istituto fin dal momento della sua introduzione nell'ordinamento e l'attenzione è stata rivolta specialmente alla non abitualità del comportamento dell'autore. Ai fini della esclusione della punibilità, infatti, occorre che il reato non si inserisca in un rapporto di seriazione con uno o più altri episodi criminosi. Da ciò deriva che, tolte le ipotesi tassativamente escluse dal perimetro applicativo dell'istituto, la regola generale è quella secondo cui, nell'ambito delle fattispecie incriminatrici rientranti nei limiti edittali di pena stabiliti dall'articolo 131-bis c.p., «qualunque offesa arrecata può sempre essere ritenuta di particolare tenuità, se in tal senso viene concretamente valutata dal giudice sulla base delle modalità della condotta e del danno o del pericolo cagionato al bene giuridico protetto». Si ricorda infatti che la ratio legis è riconducibile al principio di proporzione e dunque, in una prospettiva costituzionalmente orientata, la risposta sanzionatoria deve essere correlata alla valutazione casistica della meritevolezza della pena per i fatti di reato in concreto connotati da una speciale tenuità. La decisione della Suprema Corte. Ebbene la sentenza impugnata, secondo la Suprema Corte, non si sarebbe attenuta alle coordinate finora tracciate mancando altresì di analizzare gli elementi di fatto da cui ha tratto il convincimento dell'abitualità della condotta, quale ragione ostativa ex lege del riconoscimento della speciale causa di non punibilità. Tale assenza di motivazione, ha osservato la Corte, è più grave se si considera che dalle sentenze di merito emergono alcuni elementi opportuni per valutare l'eventuale abitualità o la semplice reiterazione delle condotte come il dispiegamento della condotta in contestazione in un arco temporale ben delimitato e il fatto che il comportamento ostruzionistico si fosse verificato “spesso”. In definitiva, la Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata, rinviando, per nuovo giudizio, alla Corte d'Appello di Perugia che dovrà attenersi ai principi di diritto dalla prima enunciati.
Presidente De Gregorio – Relatore Belmonte Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Ancona, con la sentenza impugnata, ha confermato la decisione del Tribunale di Ascoli Piceno, che, assolta P.C. dal reato di percosse in danno della parte civile A.O., l'aveva dichiarata colpevole di violenza privata continuata, perché con violenza consistita nel parcheggiare la propria autovettura ostruiva il passaggio ai locali siti al pianterreno utilizzati dalla persona offesa come garage e deposito di legna, e l'aveva condannato, alla pena di giustizia oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile, da liquidarsi separatamente. 2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputata, con il ministero del difensore di fiducia, avvocato Elena Piunti, che svolge quattro motivi. 2.1. Erronea applicazione dell'articolo 131 bis c.p. e correlati vizi della motivazione in merito alla sussistenza dell'elemento della abitualità. Posto che il diniego è stato pronunciato sul presupposto dell'abitualità del comportamento ostruzionistico, che impediva l'uso dell'auto alla persona offesa e al marito, la Difesa della ricorrente evoca l'orientamento espresso dal recente approdo delle Sezioni Unite con sentenza numero 18891/2022, per cui la continuazione non si identifica automaticamente con la abitualità del reato perché non indicativa, ex sé, della serialità delle condotte o della proclività dell'agente a violare la legge, ammettendo che il reato continuato possa rientrare nell'ambito di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, da valutarsi sulla base dell'apprezzamento in concreto della reale offensività del singolo episodio delittuoso. Nel caso di specie, la condotta dell'imputata non può essere definita abituale - sostiene la Difesa - in primo luogo perché il reato di percosse era venuto meno a seguito della assoluzione già in primo grado pertanto, ci si duole della mancata contestualizzazione del fatto di cui all'articolo 610 c.p., prendendo in considerazione anche le dichiarazioni testimoniali a discarico, invece, ignorate dalla Corte di appello. In realtà, si tratterebbe di sporadici episodi di parcheggio da parte dell'imputata, che risiede da anni ad Ascoli Piceno, trovandosi a Montefortino solo momentaneamente ospite della madre ammalta, per assisterla non si tratta perciò di un parcheggio abituale dinanzi all'abitazione della p.o., anche perché l'imputata poteva disporre del garage della madre. La motivazione e', dunque, carente, perché non è esplicitato l'iter logico condotto dalla Corte di appello per escludere l'articolo 131 bis c.p 2.2. Erronea applicazione dell'articolo 610 c.p., laddove la Corte di appello ha ritenuto sussistenti gli elementi costitutivi del delitto di violenza privata, sulla base di un travisamento. In particolare, si richiama la deposizione testimoniale della teste M., la quale avrebbe riferito che il parcheggio dell'autovettura da parte della imputata non risultava ostruttivo del passaggio, rendendolo solo più difficoltoso. Circostanza confermata da altri testi, cosicché la condotta dell'imputata non avrebbe causato una coattiva e continuativa privazione della libertà di determinazione. Piuttosto, si tratterebbe di sporadici episodi rientranti nella ordinaria tolleranza che caratterizza i rapporti di vicinato. In ogni caso, manca la violenza e la minaccia, elemento strutturale del delitto, non essendo sufficiente una condotta costrittiva. Inoltre, si invoca l'orientamento giurisprudenziale a tenore del quale il reato di violenza priva richiede un quid pluris rispetto al mero pati a cui la persona offesa è costretta dalla aggressione fisica subita. 2.3. Vizi della motivazione con riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche e alla ingiustificata commisurazione della pena in misura mesi quattro di reclusione ben superiore al minimo edittale 15 giorni . Ci si duole anche della condanna risarcitoria in mancanza di prova del danno, alla luce dei principi di diritto declinati dalle Sezioni Unite civile con le sentenze gemelle del 2008, in mancanza di allegazione di danno. 2.4. Violazione degli articolo 496 e 555 c.p.p. e articolo 111 Cost. in tema di formazione della prova in dibattimento, e correlati vizi della motivazione, con riguardo alla ritenuta attendibilità della persona offesa e dei testimoni dell'accusa, in spregio ai principi del contraddittorio e del giusto processo, dolendosi la ricorrente che, per l'assenza nel giudizio della p.o., che non si è mai presentata, non è stato possibile contestare quanto dichiarato in sede di denuncia querela. D'altro canto, tutti i testimoni dell'Accusa avevano ragioni di incompatibilità per rapporti con la persona offesa, mentre non sono state prese in considerazione le dichiarazioni dei testi della Difesa. Si denuncia la contraddittorietà degli argomenti che hanno condotto la Corte di appello ad assolvere l'imputata dal delitto di percosse e a condannarla per la violenza privata, in ragione della valutazione del dato processuale della mancata presentazione della persona offesa. Considerato in diritto 1. E' fondato il primo motivo di ricorso, per cui la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio. Nel resto, il ricorso risulta inammissibile. 2. E, infatti, non coglie nel segno il secondo motivo, che non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata che, facendo corretto uso di consolidati principi di diritto, ha considerato come il parcheggio dell'auto andava a ostruire, ancorché in parte, l'accesso all'immobile attraverso l'ingresso principale o il garage , richiamando il contenuto delle deposizioni testimoniali, da cui emerge che spesso l'auto della P. ostruiva l'accesso all'abitazione della p.o. che spesso si vedeva costretto a suonare alla imputata affinché spostasse l'auto . Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, nel delitto di violenza privata è tutelata la libertà psichica dell'individuo, e la fattispecie criminosa ha carattere generico e sussidiario rispetto ad altre figure in cui la violenza alle persone è elemento costitutivo del reato, sicché, esso reprime genericamente fatti di coercizione non espressamente considerati da altre norme di legge, e, per consolidato orientamento di legittimità, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a comprimere la libertà di autodeterminazione e di azione della persona offesa tra le tante, Sez. 2 numero 11522 del 3.3.2009 rv. 244199 che ha definito la libertà morale come libertà di determinarsi spontaneamente secondo motivi propri, sicché alla libertà morale va ricondotta sia la facoltà di formare liberamente la propria volontà sia quella di orientare i propri comportamenti in conformità delle deliberazioni liberamente prese - conf. - Sez. 5, numero 40291 del 06/06/2017, Rv. 271212 . E' consolidata, infatti, l'opzione ermeneutica secondo cui l'elemento della violenza, nel reato di cui all'articolo 610 c.p. può consistere anche in una violenza impropria , che si attua attraverso l'uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui, impedendone la libera determinazione Sez. 5, numero 4284 del 29/09/2015 -dep. 2016, Rv. 266020, in fattispecie di chiusura a chiave di una serratura di una stanza Sez. 5, numero 11907 del 22/01/2010, Rv. 246551, in fattispecie relativa a sostituzione della serratura della porta di accesso di un vano-caldaia Sez. 5, numero 1195 del 27/02/1998, Rv. 211230, in fattispecie di apposizione di una catena con lucchetto ad un cancello conf. Sez. 5, numero 10133 del 05/02/2018 Rv. 272672 Sez. 5, numero 10498 del 16/01/2018, Rv. 272666 Sez. 5, numero 1913 del 16/10/2017 dep. 2018 Rv. 272322 Sez. 5, numero 29261 del 24/02/2017, Rv. 270869 Sez. 5, numero 28174 del 14/05/2015, Rv. 265310 Sez. 5, numero 603 del 18/11/2011 dep. 2012 Rv. 252668 , o anche nella condotta di chi - intenzionalmente, e rifiutandosi poi di liberare l'accesso, pur senza intemperanze verbali - parcheggi un'auto in modo tale da impedire a un'altra vettura di spostarsi Cass., Sez. V, numero 16571 del 20/04/2006, Badalamenti , o ostruisca così il passaggio verso un fabbricato Cass., Sez. V, numero 8425/2014 del 20/11/2013, Iovino , ovvero occupi l'area di sosta riservata ad una specifica persona invalida Cass., Sez. V, numero 17794 del 23/02/2017, Milano , giacché, ai fini del delitto di violenza privata, non è richiesta una minaccia verbale o esplicita, essendo sufficiente un qualsiasi comportamento o atteggiamento, sia verso il soggetto passivo, sia verso altri, idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto, finalizzato ad ottenere che, mediante tale intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od omettere qualcosa. 2.1. Neppure ha pregio il richiamo all'orientamento che esclude il delitto in questione qualora gli atti di violenza e di natura intimidatoria integrino essi stessi l'evento naturalistico, ovvero il pati cui la persona offesa sia costretta, postulando, in specie, l'assenza di un evento costrittivo per le modalità della condotta,non finalizzata all'allontanamento della persona offesa. Secondo il consolidato insegnamento di legittimità, autorevolmente espresso Sez. U, numero 2437 del 18/12/2008 - dep. 2009, Giulini, in motivazione ed unanimemente seguito Sez. 5, numero 10132 del 05/02/2018, Ippolito, Rv. 272796 numero 35237 del 2008 Rv. 241159, numero 1215 del 2015 Rv. 261743, numero 44548 del 2015 Rv. 264685, numero 47575 del 2016 Rv. 268405 , l'elemento oggettivo del reato di cui all'articolo 610 c.p., è costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l'effetto di costringere taluno a fare, tollerare, od omettere una determinata cosa la condotta violenta o minacciosa deve atteggiarsi alla stregua di mezzo destinato a realizzare un evento ulteriore vale a dire la costrizione della vittima a fare, tollerare od omettere qualche cosa deve dunque trattarsi di qualcosa di diverso dal fatto in cui si esprime la violenza , sicché la coincidenza tra violenza - e la minaccia - e l'evento di costrizione a tollerare rende tecnicamente impossibile la configurabilità del delitto di cui all'articolo 610 c.p. Sez. U, numero 2437 del 2009, cit. .Da siffatte premesse è stato enucleato il principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui il delitto di cui all'articolo 610 c.p. non è configurabile qualora gli atti di violenza e di natura intimidatoria integrino, essi stessi, l'evento naturalistico del reato, ovvero il pati a cui la persona offesa sia costretta L'elemento oggettivo del delitto di violenza privata e', dunque, costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l'effetto di costringere taluno a fare, tollerare od omettere una condotta determinata, poiché in assenza di tale determinatezza, possono integrarsi i singoli reati di minaccia, molestia, ingiuria, percosse, ma non quello di violenza privata Sez. 5, numero 47575 del 07/10/2016, P.M. in proc. Altoe', Rv. 268405 , in quanto l'evento del reato, nell'ipotesi di ricorso alla violenza, non può coincidere con il mero attentato all'integrità fisica della vittima o anche solo con la compressione della sua libertà di movimento conseguente e connaturata all'aggressione fisica subita Sez. 5, numero 1215 del 06/11/2014 - dep. 2015, Calignano, Rv. 261743, che ha sottolineato la necessità, ai fini della configurabilità del reato di cui all'articolo 610 c.p., di un aliquid diverso dal fatto concretante la violenza . Discende da tali premesse che il delitto di violenza privata non è configurabile allorquando gli atti di violenza non siano diretti a costringere la vittima ad un pati , ma siano essi stessi produttivi dell'effetto lesivo, senza alcuna fase intermedia di coartazione della libertà di determinazione della persona offesa Sez. 5, numero 10132 del 05/02/2018, Rv. 272796 .Come premesso, dalla stessa sentenza impugnata, emerge che la condotta dell'agente - oltre a imporre alla persona offesa di tollerare la presenza del veicolo dinanzi al garage di sua proprietà - si è tradotta nella impossibilità, per la vittima, di accedere o uscire dal locale autorimessa, con la necessità di richiedere all'imputata di rimuovere la sua autovettura. Nei termini indicati, la fattispecie concreta rientra pienamente nel perimetro descrittivo della norma, giacché, nel caso al vaglio, è dato ravvisare un evidente rapporto di alterità tra il parcheggio ostruttivo - determinante un mero pati - e la successiva ed autonoma costrizione coercitiva, effettivamente realizzatasi con la impossibilità per la persona offesa di usufruire del proprio garage. 3. Il terzo motivo è inammissibilmente proposto, in quanto privo di confronto con la motivazione con la quale la Corte di appello ha condiviso la valutazione del primo giudice in punto di trattamento sanzionatorio, ponendo in luce la particolare determinazione e la reiterazione delle condotte mentre, con riguardo alla generica statuizione risarcitoria, non è necessaria la prova della concreta esistenza di danni risarcibili, essendo sufficiente l'accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell'esistenza di un nesso di causalità tra questo e il pregiudizio lamentato, desumibile anche presuntivamente Sez. 4, numero 32899 del 08/01/2021, Rv. 281997 . 4. Anche il quarto motivo è del tutto privo di pregio, avendo la Corte di appello ben chiarito come l'assenza della persona offesa nel dibattimento abbia trovato causa e giustificazione nelle precarie condizioni di salutee nell'età avanzata. 5. Come premesso, è fondato, invece, il motivo che denuncia erronea applicazione dell'istituto di cui all'articolo 131 bis c.p La Corte di appello ha negato che nella fattispecie concreta fosse ravvisabile una condotta di particolare tenuità offensiva dato che il comportamento si è rivelato abituale, reiterato . 5.1. Con recente approdo, le Sezioni Unite hanno affermato che la pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione non è di per sé ostativa alla configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, la quale può essere riconosciuta dal giudice all'esito di una valutazione complessiva della fattispecie concreta, che - salve le condizioni ostative tassativamente previste dall'articolo 131-bis c.p. per escludere la particolare tenuità dell'offesa o per qualificare il comportamento come abituale - tenga conto di una serie di indicatori rappresentati, in particolare, dalla natura e dalla gravità degli illeciti in continuazione, dalla tipologia dei beni giuridici protetti, dall'entità delle disposizioni di legge violate, dalle finalità e dalle modalità esecutive delle condotte, dalle loro motivazioni e dalle conseguenze che ne sono derivate, dal periodo di tempo e dal contesto in cui le diverse violazioni si collocano, dall'intensità del dolo e dalla rilevanza attribuibile ai comportamenti successivi ai fatti Sez. U numero 18891 del 27/01/2022, Ubaldi, Rv. 283064 . 5.2. Secondo la linea interpretativa tracciata dalle Sezioni Unite, resta affidata, pertanto, alla discrezionalità del giudice la decisione, caso per caso, in ordine alla meritevolezza o meno della esclusione della punibilità nell'ipotesi della continuazione, dovendo egli valutare attentamente, in relazione alle modalità della condotta e all'esiguità del danno o del pericolo arrecato, l'incidenza della continuazione in tutti i suoi aspetti, al fine di risolvere i problemi legati all'applicazione di sanzioni penali formalmente ineccepibili, ma sostanzialmente sproporzionate, in concreto, al reale grado di offensività dei fatti oggetto del giudizio, atteso che lo scopo primario della norma, come affermato da questa Corte Sez. U, numero 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591 , è quello di espungere dal circuito penale fatti marginali, che non mostrano bisogno di pena e, dunque, neppure la necessità di impegnare i complessi meccanismi del processo . Nella medesima prospettiva si è precisato, con la richiamata decisione, che il fatto particolarmente lieve, cui fa riferimento l'articolo 131-bis c.p., è comunque un fatto offensivo, che costituisce reato e che il legislatore preferisce non punire, sia per affermare la natura di extrema ratio della pena e agevolare la rieducazione del condannato , sia per contenere il gravoso carico di contenzioso penale gravante sulla giurisdizione . In definitiva, nel delimitare l'ambito di applicazione dell'istituto, il legislatore ha da un lato compiuto una graduazione qualitativa astratta, basata sulla natura e sull'entità della pena, e vi ha aggiunto un elemento di impronta personale, pure esso tipizzato, tassativo, relativo all'abitualità o meno del comportamento. Dall'altro ha demandato al giudice una ponderazione quantitativa rapportata al disvalore di azione, a quello di evento, nonché al grado della colpevolezza. Ha limitato, infine, la discrezionalità del giudizio escludendo alcune contingenze ritenute incompatibili con l'idea di speciale tenuità motivi abietti o futili, crudeltà, minorata difesa della vittima, ecc. Da tale connotazione emerge che l'esiguità del disvalore è frutto di una valutazione congiunta degli indicatori afferenti alla condotta, al danno, alla colpevolezza Sez. U, numero 13682 del 25/02/2016, Coccimiglio, Rv. 266595 . Come hanno, altresì, osservato le Sezioni Unite ‘Ubaldì, Il problema concernente l'applicabilità dell'articolo 131-bis cit. ad una pluralità di reati avvinti dalla continuazione ha accompagnato l'evoluzione giurisprudenziale dell'istituto sin dal momento della sua introduzione nel sistema penale, innestandosi, in particolare, sul secondo degli indici-criteri previsti dalla norma, quello relativo alla non abitualità del comportamento dell'autore. Ai fini della esclusione della punibilità, infatti, non è sufficiente la tenuità dell'offesa, ma occorre, come precisato nella relazione illustrativa del D.Lgs. numero 28 del 2015, che il reato oggetto del giudizio non si inserisca in un rapporto di seriazione con uno o più altri episodi criminosi . omissis Ne discende che, al di fuori delle ipotesi tassativamente escluse nel comma 2 dalla sfera di applicazione dell'istituto, la regola generale è quella secondo cui, nell'ambito delle fattispecie incriminatrici rientranti nei limiti edittali di pena stabiliti dall'articolo 131-bis, qualunque offesa arrecata può sempre essere ritenuta di particolare tenuità, se in tal senso viene concretamente valutata dal giudice sulla base delle modalità della condotta e del danno o del pericolo cagionato al bene giuridico protetto. E' il principio di proporzione, in definitiva, a costituire, come osservato dalla dottrina, il fondamento logico-funzionale e anche costituzionale dell'istituto , poiché la risposta sanzionatoria perderebbe, in assenza di un vaglio di meritevolezza della pena per i fatti di reato in concreto connotati da una speciale tenuità, la sua stessa base di legittimazione all'interno di una prospettiva costituzionalmente orientata Sez. Unumero Ubaldi, par. 4.4. . Nell'affermare che l'istituto della continuazione non può essere considerato come sinonimo della nozione di abitualità , né appare coincidente o necessariamente sovrapponibile all'ipotesi in cui l'autore abbia commesso più reati della stessa indole , le Sezioni Unite hanno ricordato che questa Corte Sez. 1, numero 15955 del 08/01/2016, Eloumari, Rv. 266615 ha tracciato la linea di demarcazione tra l'abitualità e la continuazione, affermando che l'identità del disegno criminoso, che caratterizza l'istituto disciplinato dall'articolo 81 c.p., comma 2, postula che l'agente si sia previamente rappresentato e abbia unitariamente deliberato una serie di condotte criminose e non si identifica con il programma di vita delinquenziale del reo, che esprime, invece, l'opzione del reo a favore della commissione di un numero non predeterminato di reati, che, seppure dello stesso tipo, non sono identificabili a priori nelle loro principali coordinate, rivelando una generale propensione alla devianza, che si concretizza, di volta in volta, in relazione alle varie occasioni ed opportunità esistenziali . Nella medesima prospettiva, inoltre, ha affermato che l'abitualità presuppone un impulso criminoso reiterato nel tempo che è incompatibile con l'unitaria deliberazione criminosa che caratterizza l'ipotesi del reato continuato Sez. 1, numero 36036 del 05/07/2018, De Cenzo, Rv. 273909 . Ne consegue che la volontà di commettere più reati per scelta delinquenziale, dovuta alla generica deliberazione di persistere nella condotta delittuosa, non ha nulla a che vedere con l'unicità del disegno criminoso tra due o più reati. Questa, consistendo in un progetto delinquenziale unitario, ne/l'ambito del quale la consumazione dei reati sia stata ideata e programmata, con riguardo ai mezzi e alle modalità di esecuzione, anche in un arco di tempo non necessariamente breve, non può essere confusa con l'abitudine a commettere un determinato tipo di reato Sez. 4, numero 8897 del 26/03/1993, Montà, Rv. 195188 . E' dunque necessario distinguere l'identità del disegno criminoso da altre ipotesi di collegamento tra pluralità di reati, che, come l'abitualità o la professionalità criminosa, giustificano, all'opposto, un giudizio di maggior gravità della condotta dell'agente. Entro tale prospettiva, come osservato dalla dottrina, la nozione di abitualità presuppone l'integrazione di un quid pluris che, oltre a far perdere alle singole condotte la loro individualità, rileva soltanto se dimostrativo dell'esistenza di un'amplificata necessità di difesa sociale a fronte di una persona la cui consuetudo delinquendi giustifica un complessivo apprezzamento di proclività al delitto . Una valutazione opposta a quella che l'ordinamento formula in presenza di una pluralità di illeciti la cui realizzazione sia riconducibile ad una finalità programmatica unitaria. Sebbene la dimensione naturalistica della continuazione risulti caratterizzata dalla violazione di più disposizioni della legge penale, realizzate attraverso una pluralità di azioni od omissioni, tale risultato si connota, pur sempre, per essere il prodotto di un'unica decisione antigiuridica, che a sua volta giustifica la determinazione di un unico trattamento sanzionatorio da irrogare nei confronti del soggetto che abbia agito in continuazione. In altri termini, ciò che connota il reato continuato è la commissione di più reati unificati dal medesimo disegno criminoso, i quali, per un verso, possono non essere della stessa indole, neanche sostanziale, per altro verso non sono di per sé espressione di abitualità nel comportamento. 5.3. A tali coordinate non si è attenuta la sentenza impugnata, che ha del tutto mancato di esplicitare gli elementi di fatto dai quali ha tratto il convincimento della abitualità della condotta, quale ragione ostativa ex lege del riconoscimento della speciale causa di non punibilità. Affidandosi, piuttosto, a una sintetica quanto generica formula che si richiama indistintamente agli istituti della reiterazione del reato e quello della abitualità, la Corte di appello ha omesso di adeguatamente contestualizzare la condotta reiterata in esame, consegnando una decisione del tutto immotivata sul punto in scrutinio, sebbene, dalla lettura delle conformi sentenze di merito, emerga che la condotta in contestazione si sarebbe dispiegata in un ben delimitato arco temporale, e che la ricorrente parcheggiava l'autovettura a ridosso del garage di proprietà della persona offesa e che spesso l'autovettura ostruiva l'accesso carrabile . Elementi fattuali che la Corte di appello non sembra aver tenuto in adeguata considerazione onde chiarire se, nella specie, sia ravvisabile una reiterazione di condotte ovvero l'abitualità. 6. L'epilogo del presente scrutinio di legittimità è l'annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alla valutazione della causa di non punibilità di cui all'articolo 131 bis c.p., con rinvio per nuovo esame al Giudice di merito che si atterrà ai richiamati principi di diritto nonché a quello per cui Nel caso di annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione, limitatamente alla verifica della sussistenza dei presupposti per l'applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, il giudice di rinvio non può dichiarare l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, maturata successivamente alla sentenza di annullamento parziale. Sez. 3, numero 50215 del 08/10/2015 Rv. 265434 conf. Sez. 3, numero 30383 del 30/03/2016 Rv. 267590 . Nel resto il ricorso è inammissibile. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla causa di non punibilità di cui all'articolo 131-bis c.p., con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d'appello di Perugia. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.