Revoca del sequestro antimafia e restituzione per equivalente

La Cassazione ha annullato il decreto con cui era stata dichiarata inammissibile la richiesta di un Comune calabrese volta ad ottenere la restituzione per equivalente di un immobile oggetto di confisca antimafia, successivamente revocata, adibito a centro di aggregazione sociale per l’infanzia e l’adolescenza e i disabili.

La Corte d'appello dichiarava inammissibile l'istanza avanzata nell'interesse di un Comune per ottenere la restituzione di un immobile per equivalente. L'immobile era infatti stato oggetto di confisca, poi revocata, ed era stato assegnato al Comune per finalità sociali. Il magazzino era infatti stato ristrutturato ed accoglieva un centro di aggregazione sociale per l'infanzia e l'adolescenza e i disabili. La Corte ha dichiarato l'inammissibilità di tale istanza osservando che la revoca della confisca è stata disposta non in forza delle più recenti disposizioni normative dettate in tema di revocazione del codice antimafia e in particolare dell'articolo 28 d.lgs. numero 159/2011, ma in forza della l. numero 1423/1956, articolo 7 comma 2. Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello ha proposto ricorso per cassazione. Il Collegio ravvisa un errore argomentativo nella pronuncia impugnata nel punto in cui la Corte afferma che l'articolo 46 cod. antimafia, che legittima la restituzione per equivalente del bene oggetto di confisca poi revocata, non può essere invocato in caso di revoca ex articolo 7 l. numero 1423/1956 in forza della disciplina transitoria di cui all'articolo 117 cod. antimafia. Difatti, «l'articolo 46 del decreto citato stabilisce che la restituzione dei beni confiscati può avvenire anche per equivalente, al netto delle migliorie, quando i beni medesimi sono stati assegnati per finalità istituzionali sociali, per fini di giustizia o di ordine pubblico o di protezione civile e la restituzione possa pregiudicare l'interesse pubblico». Si tratta di «un principio generale che deve trovare applicazione in tutti casi di restituzione di beni sequestrati o confiscati il comma 1, non a caso, fa riferimento all'interessato nei cui confronti venga a qualunque titolo dichiarato il diritto alla restituzione del bene , quindi contemplando anche il caso in esame di revoca disposta ex l. numero 142371956, articolo 7 della confisca di beni, disponendo che in presenza dei presupposti indicati dall'articolo 40 lett. a,b e c d. cit. l'interessato ha diritto alla restituzione di una somma equivalente al valore del bene confiscato, come risultante dal rendiconto di gestione al netto delle migliorie rivalutato sulla base del tasso di inflazione annua». Inoltre, il Collegio sottolinea che «se è vero che la confisca era stata disposta secondo il cosiddetto vecchio rito, e cioè secondo le norme della l. numero 1423/1956, il procedimento di prevenzione si è del tutto esaurito con la esecutività del provvedimento di revoca, intervenuta nel novembre 2021 e il diritto alla restituzione del bene in favore del proposto e dei figli è sorto nel pieno vigore della normativa introdotta con il Codice antimafia. Sarebbe illogico ritenere che in forza di una normativa transitoria, che per definizione ha come ratio quella di regolare i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della novella, debba trovare applicazione, in presenza di un diritto alla restituzione sorto nel 2021, una normativa ormai abrogata da tempo, che non ha previsto nel dettaglio il procedimento di restituzione, oggi regolato dall'articolo 46 del Codice antimafia». Quanto invece al profilo della competenza a decidere sulla restituzione, la pronuncia in commento afferma che «la domanda accessoria di restituzione per equivalente deve essere proposta davanti al giudice che ha accolto la revoca e disposto la restituzione. Tale ricostruzione trova conforto nel tenore dell'articolo 28 cit. che attribuisce appunto alla Corte competente per la revocazione anche la competenza a decidere sulle modalità della restituzione. In altri termini la regola che può trarsi dalle suddette disposizioni è quella secondo la quale a decidere le controversie insorte sul dictum esecutivo deve essere il giudice che ha emesso il provvedimento». In conclusione, la Corte annulla il provvedimento impugnato con rinvio alla Corte di appello per un nuovo esame.

Presidente Rago – Relatore Borsellino Ritenuto in fatto 1.Con il decreto impugnato la Corte di appello di Catanzaro ha dichiarato inammissibile l'istanza avanzata nell'interesse del Comune di omissis con cui, preso atto della revoca della confisca di un magazzino di mq. 330 sito in omissis, divenuta definitiva il 16 gennaio 1996, è stato chiesto ai sensi del D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 46 di riconoscere al Comune di omissis la possibilità di provvedere alla restituzione dell'immobile per equivalente, determinando il valore del locale al momento della sua assegnazione nell'agosto 2002 al Comune stesso per finalità sociali, sul rilievo che nelle more il magazzino era stato ristrutturato ed accoglieva un Centro di aggregazione sociale per l'infanzia e l'adolescenza e i portatori di handicap. La Corte ha dichiarato l'inammissibilità di tale istanza osservando che la revoca della confisca è stata disposta non in forza delle più recenti disposizioni normative dettate in tema di revocazione dal Codice antimafia e in particolare dal citato decreto legislativo, articolo 28, ma in forza della L. numero 1423 del 1956, articolo 7 comma 2. Sicché la richiesta, fondata sul combinato disposto delle norme di cui agli articolo 46 e 28 del citato decreto non potrebbe trovare accoglimento nel caso in esame, poiché l'ambito di applicazione delle norme che disciplinano l'istituto della revocazione è stato individuato dal legislatore, sotto il profilo temporale, facendo riferimento esclusivo ai provvedimenti di confisca adottati in accoglimento di una proposta avanzata dopo il 13 ottobre 2011. La corte ha altresì affermato che in ogni caso la competenza a decidere spettava alla corte di Appello individuata in forza dell'articolo 11 c.p.p 2.Avverso detto decreto ha proposto ricorso il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro, deducendo 2.1 violazione dell'articolo 200 del codice penale poiché la revoca della confisca ha per oggetto un magazzino oggetto di una misura di prevenzione patrimoniale definitiva, già trasferito al Comune di omissis per finalità sociali e assegnato ad una associazione Onlus perché ne realizzasse un centro di aggregazione sociale. Il magazzino è stato oggetto di un intervento di ristrutturazione dell'importo di 700.000 Euro nell'ambito di un progetto finanziato dalla Regione Calabria. Il Comune quindi intendeva avvalersi della restituzione del bene per equivalente prevista dal decreto legislativo citato , articolo 46 per evitare di cagionare un indebito arricchimento del privato. Osserva il ricorrente che proprio la sentenza della Suprema Corte che ha annullato con rinvio il provvedimento con cui era stata respinta l'istanza di revoca della confisca ha chiarito che nel caso in esame l'istanza di revoca doveva essere esaminata in riferimento alla legge vigente al momento della presentazione della istanza e della decisione, attesa l'assimilazione della misura patrimoniale alle misure di sicurezza e dunque l'applicazione dell'articolo 200 c.p Il ricorrente lamenta inoltre che il decreto impugnato esclude l'applicabilità dell'articolo 46 del Codice antimafia, ma non individua la disciplina applicabile in concreto, mentre anche nella disciplina previgente al Codice antimafia era prevista la prevalenza dell'interesse pubblico ed ampi poteri di intervento da parte del tribunale sugli aspetti gestionali in caso di revoca di confisca definitiva. Ritiene pertanto che il decreto impugnato abbia illegittimamente respinto l'istanza formulata dal Comune poiché fondata sull'articolo 46 del Codice antimafia, applicabile nel caso concreto. 3.Propone ricorso avverso il decreto anche il Comune di omissis deducendo 3.1 violazione degli articolo 46,28 e 117 del cosiddetto Codice antimafia poiché l'articolo 46 stabilisce che l'istituto della restituzione dell'equivalente si applica all'interessato nei cui confronti venga a qualunque titolo dichiarato il diritto alla restituzione del bene e non distingue tra revocazione e revoca, ma dichiara espressamente di prescindere dal titolo in forza del quale è avvenuta la restituzione in favore dell'avente diritto. Ne consegue che la corte di appello ha fatto propria una interpretazione formalistica ed errata della norma. La richiesta del Comune di applicare l'articolo 46 del Codice antimafia è intervenuta diversi anni dopo la conclusione del procedimento di confisca di prevenzione e presuppone la definitiva conclusione del procedimento di revoca. Ne consegue che il decreto ha determinato anche una violazione del decreto citato, articolo 117 che non esclude l'applicabilità ai beni confiscati ai sensi delle disposizioni previgenti, ma restituiti in data odierna. L'udienza di trattazione del presente ricorso fissata per il 12 gennaio 2023 è stata rinviata al 16 Febbraio 2023 a causa della omessa notifica al difensore di G.A. , costituitasi in giudizio. Con memorie trasmesse a questo Ufficio i difensori di G.N. , di G.A. , di G.M. e G.V. e di G.L.N. chiedono che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili perché generici, in quanto non si confrontano con la motivazione resa nel provvedimento impugnato, e manifestamente infondati in quanto si pongono in evidente insanabile contrasto con l'articolo 117 del Codice antimafia che esclude la possibilità che gli articolo 28 e 46 possano trovare applicazione nei procedimenti relativi a misure di prevenzione la cui proposta è precedente alla entrata in vigore del codice stesso. Con la memoria trasmessa a questo Ufficio l'avv. E. Z. ha anche eccepito il difetto di legittimazione dell'avv. V. per nullità della delibera del Comune di omissis poiché la copia allegata al ricorso è priva della sottoscrizione del Sindaco e nel dispositivo si riferisce ad altra vicenda processuale e ad altro legale. Considerato in diritto 1.I ricorsi sono ammissibili e fondati. Preliminarmente va respinta l'eccezione di carenza di legittimazione avanzata dall'avv. Z. poiché dal contenuto e dall'intestazione della delibera allegata si evince che la Giunta ha autorizzato l'avv. V. a proporre il ricorso per cui è giudizio e l'assenza di sottoscrizione e la diversità del dispositivo è frutto di un evidente errore materiale che non può inficiare la validità del mandato difensivo. Occorre poi precisare che, nel caso in esame, la revoca della confisca del magazzino di cui si discute, applicata nel lontano 1996, è stata disposta dalla Corte di appello di Catanzaro con provvedimento reso il 17 novembre 2021 e divenuto irrevocabile il 27 dicembre 2021. La corte di appello ha correttamente osservato che detto provvedimento di revoca è stato assunto ai sensi L. 1423 del 1956, articolo 7, che legittimava la proposizione di istanze volte ad ottenere anche la rimozione della misura patrimoniale della confisca, e che l'autorità competente era stata individuata nel Tribunale di Crotone, e cioè lo stesso organo che aveva emesso il decreto di confisca. La Corte di Appello, su impugnazione della difesa, aveva dapprima respinto l'istanza difensiva e poi, in sede di rinvio dalla Cassazione, revocato la confisca ex tunc, disponendo la restituzione del bene. Tale precisazione è conforme ai principi più volte precisati dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha chiarito che il rimedio della revocazione della decisione definitiva sulla confisca di prevenzione, attribuito dal D.Lgs. numero 6 settembre 2011, numero 159, articolo 28, alla competenza della corte di appello, non si applica con riferimento ai provvedimenti adottati prima del 13 ottobre 2011 data di entrata in vigore del citato D.Lgs. numero per i quali la competenza per la revoca spetta all'organo giudicante che aveva disposto la confisca, ai sensi della L. 27 dicembre 1956, numero 1423, articolo 7. Sez. 6, Sentenza numero 17854 del 27/05/2020 Cc. dep. 10/06/2020 Rv. 279283 - 01 . La corte, proseguendo nel suo ragionamento, afferma che l'articolo 46 del Codice antimafia, che legittima la restituzione per equivalente del bene, già oggetto di confisca poi revocata, non può essere invocata in caso di revoca ex articolo 7 1.1423-56, in forza della disciplina transitoria di cui all'articolo 117 D.Lgs. cit., secondo cui le disposizioni contenute nel primo libro e tra queste gli articolo 28 e 46 non si applicano ai procedimenti nei quali alla data di entrata in vigore del presente decreto sia già stata formulata proposta di applicazione della misura di prevenzione. In tali casi continuano ad applicarsi le norme previgenti. In questo passaggio argomentativo si annida l'errore giuridico che ha portato all'indebita dichiarazione di inammissibilità del ricorso. L'articolo 46 del decreto citato stabilisce che la restituzione dei beni confiscati può avvenire anche per equivalente, al netto delle migliorie, quando i beni medesimi sono stati assegnati per finalità istituzionali sociali, per fini di giustizia o di ordine pubblico o di protezione civile e la restituzione possa pregiudicare l'interesse pubblico. La corte nel suo iter logico non ha considerato che il D.Lgs. numero 159 del 2011, articolo 46 detta un principio generale che deve trovare applicazione in tutti casi di restituzione di beni sequestrati o confiscati il comma 1, non a caso, fa riferimento all'interessato nei cui confronti venga a qualunque titolo dichiarato il diritto alla restituzione del bene , quindi contemplando anche il caso in esame di revoca disposta ex L.1423-56, articolo 7 della confisca di beni, disponendo che in presenza dei presupposti indicati dall'articolo 40 lett. a,b e c d. cit. l'interessato ha diritto alla restituzione di una somma equivalente al valore del bene confiscato, come risultante dal rendiconto di gestione al netto delle migliorie rivalutato sulla base del tasso di inflazione annua. L'interpretazione della norma offerta dalla corte non può essere condivisa anche sotto altro profilo. Se è vero che la confisca era stata disposta secondo il cosiddetto vecchio rito, e cioè secondo le norme della L. 1423 del 1956, il procedimento di prevenzione si è del tutto esaurito con la esecutività del provvedimento di revoca, intervenuta nel novembre 2021 e il diritto alla restituzione del bene in favore del proposto e dei figli è sorto nel pieno vigore della normativa introdotta con il Codice antimafia. Sarebbe illogico ritenere che in forza di una normativa transitoria, che per definizione ha come ratio quella di regolare i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della novella, debba trovare applicazione, in presenza di un diritto alla restituzione sorto nel 2021, una normativa ormai abrogata da tempo, che non ha previsto nel dettaglio il procedimento di restituzione, oggi regolato dall'articolo 46 del Codice antimafia. Al riguardo va considerato che la pronunzia sulle modalità di restituzione è certamente accessoria rispetto alla domanda di restituzione già accolta. La Corte di appello non ha peraltro considerato che anche nel passato, sotto il vigore della precedente normativa, pur in assenza di una norma di dettaglio, la giurisprudenza aveva individuato delle forme di compensazione del diritto alla restituzione, nel caso in cui la disposta revoca fosse divenuta nelle more del procedimento impossibile, delineando in via interpretativa le stesse regole poi recepite dall'articolo 46 v. S.U. 57/2007 RV 234955 . Si tratta di stabilire in quale misura il vincolo di destinazione pubblicistica nelle more dato al bene oggetto della confisca reagisca alla successiva revoca del provvedimento ablatorio considerato che la revoca ex legge numero 1426 del 1956, articolo 7 rientra nell'ambito della tutela assicurata dalla costituzione, articolo 24 ultimo comma quale modo di riparazione agli errori giudiziari deve ritenersi che tale ristoro non passa necessariamente attraverso la restituzione in forma specifica ma può venire anche per equivalente, consentendo in questo modo di realizzare un bilanciato contemperamento degli interessi in gioco e porre rimedio alle conseguenze dell'errore giudiziario senza pregiudicare le finalità pubbliche nel frattempo impresse al bene. Altro problema che va risolto è quello della competenza a decidere della restituzione. Nel provvedimento impugnato la corte sia pure incidentalmente afferma di non essere comunque competente ad adottare il provvedimento richiesto. Anche questa affermazione non è condivisibile. È vero che l'articolo 46 citato al comma 3 stabilisce che il tribunale determina il valore del bene ed ordina il pagamento della somma Ma deve rilevarsi che l'articolo 28 decreto citato dispone che quando accoglie la richiesta di revocazione la corte di appello provvede, ove del caso ai sensi dell'articolo 46. Tale richiamo deve essere interpretato nel senso che la corte di appello deve decidere anche in ordine alla restituzione, applicando i principi di diritto sostanziale previsti nell'articolo 46. La differenza di competenza si spiega agevolmente considerato che per la revocazione ex articolo 28 è previsto un solo grado di giudizio di merito che va incardinato dinanzi alla Corte di appello competente ex articolo 11 c.p.p., corte che in caso di accoglimento della domanda deve decidere anche sulla restituzione. Sarebbe infatti incongruo ritenere che solo per la determinazione del quantum restituibile - domanda accessoria e consequenziale all'accoglimento della revocazione e cioè della eliminazione del titolo a base della confisca - si determini uno spostamento di competenza in favore di un tribunale neppure facente parte del distretto della Corte di appello che ha deciso sulla revocazione. Deve pertanto ritenersi che l'articolo 46, che si riferisce a tutte le ipotesi in cui si debba restituire il bene confiscato, ad eccezione di quella della revocazione, indica il tribunale non quale giudice che abbia la competenza funzionale a decidere sempre e comunque sulla restituzione, ma quale giudice che nella fisiologia dei casi è il giudice che una volta che abbia revocato il titolo ablatorio è tenuto anche a disporre la restituzione. Deve pertanto ritenersi che la domanda accessoria di restituzione per equivalente deve essere proposta davanti al giudice che ha accolto la revoca e disposto la restituzione. Tale ricostruzione trova conforto nel tenore dell'articolo 28 cit. che attribuisce appunto alla Corte competente per la revocazione anche la competenza a decidere sulle modalità della restituzione. In altri termini la regola che può trarsi dalle suddette disposizioni è quella secondo la quale a decidere le controversie insorte sul dictum esecutivo deve essere il giudice che ha emesso il provvedimento. D'altronde la controversia insorta fra le parti va qualificata come incidente di esecuzione, per il quale è sempre competente il giudice che ha emesso il provvedimento della cui esecuzione si tratta, e cioè quello che ha annullato il titolo ablatorio. La competenza a decidere pertanto, nel caso in esame, avendo ad oggetto ai sensi dell'articolo 46 Codice antimafia le modalità di restituzione del bene la cui confisca è stata revocata, spetta alla corte di appello in quanto è l'organo che ha pronunziato la revoca della confisca e le modalità della restituzione integrano una pronunzia accessoria che attiene all'esecuzione del provvedimento pronunziato. Ciò posto la Corte di appello non poteva dichiarare inammissibile l'istanza e il decreto deve essere annullato, trasmettendo gli atti alla Corte di Appello di Catanzaro per il giudizio. P.Q.M. Annulla il decreto impugnato con rinvio alla Corte di appello di Catanzaro per nuovo esame.