Insulti contro il sindaco: legittima la condanna per diffamazione

Impossibile ridimensionare l’episodio e presentarlo come esercizio del diritto di critica politica o del diritto di satira. Per i Giudici, invece, si è trattato di un attacco ingiustificato alla persona offesa, volto ad esporre alla censura e al ludibrio la sua immagine pubblica e al disprezzo la sua persona.

Identificare una persona col termine “pirla” vale una condanna per diffamazione. Esemplare la vicenda che ha portato l’autore di uno scritto pubblicato da un periodico ad essere ritenuto penalmente responsabile per gli epiteti rivolti al sindaco, destinatario, peraltro, anche di gravi illazioni in merito a presunti comportamenti scorretti nell’esercizio delle sue funzioni. Ricostruita la vicenda, ambientata nel contesto di un piccolo paese sardo, i giudici di merito ritengono palese la colpevolezza dell’uomo finito sotto processo per lo scritto da lui firmato su un periodico locale e caratterizzato da gravi – e non dimostrate – accuse nei confronti del sindaco. Nello specifico, al primo cittadino del paesino erano attribuite nello scritto condotte esecrabili, ossia di «avere, nella sua qualità di sindaco, aperto abitualmente la posta diretta al Comune, decidendo cosa protocollare e cosa chiudere nel cassetto» e di «aver pensato di poter prendere in giro tutto il consiglio comunale. Per chiudere il cerchio, anzi lo scritto, infine, anche la scelta di utilizzare l’epiteto “pirla” per catalogare le qualità personali del sindaco. Impossibile, secondo i giudici di merito, porre in discussione la responsabilità penale dell’autore dello scritto. Consequenziale, quindi, la sua condanna, sia in primo che in secondo grado, per il reato di diffamazione pluriaggravata commesso a mezzo della stampa. Col ricorso in Cassazione il legale che rappresenta l’uomo sotto processo prova a ridimensionare l’intera vicenda, mettendo in dubbio «l’offensività dello scritto incriminato» alla luce della «scarsa diffusività del periodico sui è comparso lo scritto», del fatto che «la persona offesa non è stata nominata espressamente né era effettivamente riconoscibile dal contenuto dello scritto», caratterizzato, poi, sempre secondo il legale, da «espressioni giudicate intrinsecamente offensive ma in realtà socialmente accettate». In aggiunta, poi, il legale sottolinea che «lo scritto era comparso all’interno di una rubrica satirica del periodico e che il suo contenuto era coerente con le finalità della rubrica stessa, mentre l’eventuale asprezza di alcune espressioni è compatibile con la contesa politica nel cui ambito si inseriva lo scritto». Le obiezioni difensive non convincono però i Giudici di Cassazione, i quali confermano la condanna dell’autore dello scritto incriminato. Decisivo, innanzitutto, il riferimento alla palese «offensività delle frasi incriminate, in quanto caratterizzate da immotivati attacchi personali al sindaco del paese, accusato, al limite della calunnia, di gravi scorrettezze nello svolgimento della carica» e, per giunta, «mediante il ricorso anche ad espressioni volutamente ingiuriose e oggettivamente denigratorie». Per quanto concerne, poi, «l’eccepita scarsa diffusività del periodico» che ha pubblicato lo scritto, i Giudici ribattono che «tale circostanza può al più rilevare ai fini della valutazione della gravità del fatto», anche a fronte del fatto che «la tiratura della pubblicazione superava le mille copie di media». Palese, poi, «l’individuabilità del sindaco quale destinatario del contenuto diffamatorio dello scritto», a fronte del «richiamo a vicende precise e facilmente percepibili da chiunque nel contesto dato, richiamo che consentiva un’agevole individuazione della persona offesa». Impossibile, infine, parlare di satira o di critica politica. Su questo fronte i magistrati sottolineano che «le circostanze narrate e le informazioni comunicate con lo scritto incriminato» erano prospettate al lettore «non come un fatto paradossale, inesistente, bensì come un fatto non solo altamente verosimile ma addirittura certo», mentre invece è stata appurata «l’infondatezza, o quantomeno l’inconsistenza, delle accuse mosse al sindaco, accuse basate su mere illazioni». Inoltre, non si può dimenticare che «ricorre l’esimente dell’esercizio del diritto di critica e di satira politica quando le espressioni utilizzate esplicitino le ragioni di un giudizio negativo collegato agli specifici fatti riferiti e, pur se veicolate nella forma scherzosa e ironica propria della satira, non si risolvano in un’aggressione gratuita alla sfera morale altrui o nel dileggio personale». Invece, in questa vicenda è emerso, sottolineano i Giudici, «l’uso di espressioni linguistiche oggettivamente offensive, del tutto pretestuose e sovrabbondanti rispetto allo scopo che in tesi l’autore dello scritto si era prefissato» il riferimento è in particolare al passaggio in cui «si dà al sindaco del “pirla” – insulto lesivo del decoro e dell’onore della persona cui è rivolto –» e al passaggio in cui «il sindaco viene definito come persona adusa all’uso della funzione pubblica per tornaconto personale». In conclusione, «si è trattato di un attacco ingiustificato alla persona offesa, volto ad esporre alla censura e al ludibrio la sua immagine pubblica e al disprezzo la sua persona», chiosano i Giudici.

Presidente Sabeone – Relatore Pistorelli Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Cagliari, sez. dist. di Sassari ha confermato, anche agli effetti civili, la condanna di L.P. per il reato di diffamazione pluriaggravata commesso a mezzo della stampa in danno di G.C.R. , accusandolo di avere, nella sua qualità di Sindaco del Comune di […], aperto abitualmente la posta diretta al comune, decidendo cosa protocollare e cosa chiudere nel cassetto e di aver pensato di poter prendere per il culo tutto il Consiglio comunale , nonché apostrofandolo con l'epiteto pirla . 2. Avverso la sentenza ricorre l'imputato articolando cinque motivi. Con il primo deduce erronea applicazione della legge penale in merito alla ritenuta offensività dello scritto incriminato, la quale deve essere valutata con riguardo alla sua concreta attitudine a ledere la reputazione della persona offesa in senso oggettivo intesa. Ed in proposito la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto della scarsa diffusività del periodico sul quale è comparso l'articolo, né del fatto che la persona offesa non sarebbe stata nominata espressamente nel corpo dello scritto o effettivamente riconoscibile dal suo contenuto, mentre le espressioni giudicate intrinsecamente offensive sarebbero in realtà socialmente accettate. Analogo vizio viene dedotto con il secondo motivo in merito al denegato riconoscimento dell'esimente del diritto di satira o in alternativa di quello di critica politica, non avendo i giudici del merito considerato che lo scritto era comparso all'interno di una rubrica satirica del periodico e che il suo contenuto sarebbe coerente con le finalità della stessa, mentre l'eventuale asprezza di alcune espressioni sarebbe compatibile con la contesa politica nel cui ambito l'articolo si inseriva. Ulteriore erronea applicazione della legge penale viene denunziata in riferimento alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, avendo erroneamente la Corte ritenuto sufficiente in tal senso la dimostrazione della volontà di comunicare con più persone, senza verificare l'effettiva rappresentazione da parte dell'imputato della natura offensiva della condotta. Ed in tal senso la sentenza non avrebbe tenuto conto degli accertamenti compiuti dall'imputato al fine di verificare le informazioni veicolate con l'articolo. Sempre identico vizio viene dedotto con il quarto motivo in merito al denegato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'articolo 131-bis c.p. pur ricorrendone i presupposti, mentre con il quinto motivo viene eccepita l'intervenuta prescrizione del reato già prima della pronunzia della sentenza impugnata, il cui termine, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici del merito, non sarebbe rimasto sospeso a causa del rinvio dell'udienza del 18 ottobre 2017 in quanto disposto dal giudice per motivi organizzativi. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Pregiudiziale è l'esame dell'eccezione di prescrizione sollevata con il quinto motivo, che è peraltro manifestamente infondata. Infatti, l'udienza del 18 ottobre 2016 e non 2017 come erroneamente indicato nel ricorso è stata rinviata esclusivamente in ragione della richiesta avanzata in tal senso dalla difesa, mentre l'adesione all'astensione del difensore ha costituito la causa degli ulteriori rinvii disposti, rispettivamente, alle udienze del 1° marzo 2017 e 13 giugno 2017. In tutti e tre i casi, dunque, il termine di prescrizione è rimasto sospeso, maturando conseguentemente solo il 7 giugno 2022, ossia successivamente alla pronunzia della sentenza impugnata, il che deve ritenersi ininfluente stante l'inammissibilità anche degli altri motivi di ricorso. 3. I primi tre motivi sono per l'appunto inammissibili. 3.1 La sentenza impugnata ha del tutto logicamente ritenuto l'offensività delle frasi incriminate, in quanto caratterizzate da immotivati attacchi personali al G.C., accusato al limite della calunnia di gravi scorrettezze nello svolgimento della carica di sindaco del comune di […], mediante il ricorso anche ad espressioni volutamente ingiuriose e oggettivamente denigratorie. In tal senso le obiezioni del ricorrente si rivelano dunque meramente assertive e, in ultima analisi, versate in fatto. Quanto all'eccepita scarsa diffusività del periodico sul quale è comparso l'articolo in contestazione, trattasi di censura manifestamente infondata, atteso che la circostanza evocata può al più rilevare ai fini della valutazione della gravità del fatto, ma una volta accertato che la tiratura della pubblicazione superava le mille copie di media alcun dubbio può residuare sulla sua tipicità. Inedite risultano invece le censure relative alla mancata indicazione nello scritto del nominativo della persona offesa, questione che non aveva costituito oggetto di specifica doglianza con il gravame di merito. Non di meno sul punto il ricorso non si confronta con le considerazioni svolte dalla Corte territoriale sull'individuabilità del G.C. quale destinatario del contenuto diffamatorio dell'articolo, evidenziando come lo stesso, tramite il richiamo a vicende precise e facilmente percepibili da chiunque nel contesto dato, consentiva un'agevole individuazione della persona offesa quale soggetto cui si riferiva. 3.2 Manifestamente infondate e intrinsecamente generiche sono le censure relative al mancato riconoscimento del diritto di satira o, in alternativa, di critica politica. Va preliminarmente rammentato che in tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esimente del diritto di critica nella forma satirica sussiste quando l'autore presenti, in un contesto di leale inverosimiglianza, di sincera non veridicità finalizzata alla critica e alla dissacrazione di persone di alto rilievo, una situazione e un personaggio trasparentemente inesistenti, senza proporsi alcuna funzione informativa, e non quando si diano informazioni che, ancorché presentate in veste ironica e scherzosa, si rivelino storicamente false ex multis Sez. 5, numero 34129 del 10/05/2019, Rv. 277002 . Ciò posto, la sentenza impugnata ha chiarito che le circostanze narrate e le informazioni comunicate con l'articolo oggetto di contestazione sono prospettate al lettore non come un fatto paradossale, inesistente, bensì come un fatto non solo altamente verosimile, ma addirittura certo, nonostante l'istruttoria dibattimentale avesse dimostrato l'infondatezza o quantomeno l'inconsistenza delle accuse mosse a G.C., in quanto basate su mere illazioni. Sul punto non rileva la censura secondo cui la sentenza impugnata ha erroneamente interpretato le testimonianze rese dai testi, in quanto trattasi di giudizio di fatto, rimesso alla valutazione del giudice di merito. Sicché non può invocarsi neanche l'esercizio del diritto di critica, difettando tanto il requisito della verità dei fatti narrati, quanto quello della continenza dei termini utilizzati. La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha affermato il principio, ormai consolidato, secondo cui in tema di diffamazione, ricorre l'esimente dell'esercizio del diritto di critica e satira politica quando le espressioni utilizzate esplicitino le ragioni di un giudizio negativo collegato agli specifici fatti riferiti e, pur se veicolate nella forma scherzosa e ironica propria della satira, non si risolvano in un'aggressione gratuita alla sfera morale altrui o nel dileggio o disprezzo personale ex multis Sez. 5, numero 320 del 14/10/2021, dep. 2022, Rv. 282871 . Nel caso in esame, il giudice di appello ha evidenziato l'uso di espressioni linguistiche oggettivamente offensive, del tutto pretestuose e sovrabbondanti rispetto allo scopo che in tesi l'autore si era prefissato, laddove si dà al G.C. del pirla insulto lesivo del decoro e dell'onore della persona cui è rivólto o lo stesso viene definito come persona adusa all'uso della funzione pubblica per tornaconto personale. Si è trattato di un attacco ingiustificato alla persona offesa, volto ad esporre alla censura e al ludibrio la sua immagine pubblica e al disprezzo la sua persona. 3.3 Infine anche la doglianza concernente l'assenza dell'elemento soggettivo del reato è inammissibile, in quanto omette di confrontarsi con la sentenza impugnata, che ha sottolineato il significato univocamente offensivo dei termini adoperati. Sicché la sentenza impugnata risulta conforme al consolidato principio secondo cui in tema di diffamazione, ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo è sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, e che comunque implica l'uso consapevole, da parte dell'agente, di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, ossia adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere ex multis Sez. 5, numero 8419 del 16/10/2013, dep. 2014, Verratti, Rv. 258943 . 4. Il quarto motivo, con cui si contesta la mancata applicazione dell'articolo 131 bis c.p., è parimenti inammissibile, poiché non si confronta con le motivazioni con le quali il giudice di appello ha escluso la particolare tenuità del fatto. Invero, la sentenza impugnata ha valorizzato l'oggettiva gravità delle espressioni usate, la perdita di immagine e credibilità della p.o. in relazione sia all'attività svolta al momento della pubblicazione dell'articolo, sia al ruolo di Sindaco ricoperto in passato. 5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell'articolo 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro tremila alla Cassa delle Ammende, nonché alla refusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che si liquidano in Euro 3.500, 00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3500,00, oltre accessori di legge.