Confermata la pericolosità sociale dello straniero nonostante l'archiviazione del processo penale per terrorismo

Confermata dai giudici la legittimità della linea seguita dal Ministero dell’Interno e concretizzatasi nella revoca della protezione concessa in origine allo straniero. Decisivo il riferimento al materiale probatorio del processo penale logico trarne la pericolosità sociale dello straniero.

Il dato relativo all’archiviazione in sede penale dello straniero coinvolto in un procedimento concernente la realizzazione di una cellula terroristica non è sufficiente ad escluderne la pericolosità sociale. Di conseguenza, è legittima la valutazione dello Stato che revoca la protezione concessa in origine allo straniero. Riflettori puntati su un cittadino iracheno che, una volta approdato in Italia, chiede e ottiene protezione. Tutto regolare, quindi, fino a quando, però, lo straniero viene coinvolto in un procedimento penale relativo alla costituzione di una cellula terroristica in Italia . Le indagini della Polizia coprono un lungo periodo di tempo, ben cinque anni, e danno sostanza a un processo che, in conclusione, accerta l’esistenza in Italia di un gruppo di jihadisti. Nel contesto del procedimento giudiziario, però, il cittadino iracheno ottiene l’ archiviazione , ma questo dato non è sufficiente, secondo i giudici di merito, per ritenerlo non pericoloso socialmente. Di conseguenza, allo straniero viene revocata la protezione concessa in origine. Su questo punto i giudici d’Appello condividono la linea seguita dal Ministero dell’Interno e precisano che la valutazione del patrimonio probatorio – a cominciare dalle intercettazioni ambientali – rivela una spiccata pericolosità sociale dello straniero, il quale ha abbracciato una ideologia ispirata a metodi violenti che predica il sovvertimento dello Stato laico in favore di uno stato teocratico di stampo islamista . In particolare, secondo i Giudici il comportamento esterno sintomatico della pericolosità dello straniero emerge dalla sua contiguità con soggetti dell'organizzazione criminale, personaggi che ha frequentato per quattro anni, tanto da far nascere l'ipotesi di arruolarlo, evento non realizzatosi non già per il rifiuto del cittadino iracheno bensì per la sfiducia del capo della cellula, a cagione della stretta parentela dell’uomo con un combattente della fazione curda avversa . Col ricorso in Cassazione, però, il legale che rappresenta il cittadino iracheno continua a ritenere priva di fondamento la pericolosità sociale attribuita al proprio cliente. In questa ottica, egli parlare di errore compiuto in Appello nel ritenere che le condotte addebitate all’uomo siano, pur se insufficienti a integrare una responsabilità penale , sufficienti a ritenerne la pericolosità sociale , e ciò alla luce della assidua frequentazione di terroristi , del disbrigo di piccoli servigi e della programmazione di un viaggio in Norvegia per dare sostegno all'ideologo del gruppo . Corretta, invece, secondo il legale, la valutazione compiuta in Tribunale, valutazione secondo cui l'archiviazione faceva venire meno quei fondati motivi per ritenere il coinvolgimento dello straniero nella organizzazione di attività e terrorismo internazionale. Per il legale la lettura della vicenda è semplice con il decreto di archiviazione è stata esclusa in radice l'appartenenza dell’uomo alla cellula terroristica ed è stato altresì escluso un suo contatto con sospetti componenti o anche solo simpatizzanti della cellula . I Giudici di Cassazione riconoscono che il processo penale a carico del cittadino iracheno si è arrestato con un decreto di archiviazione ma aggiungono che tale provvedimento non fa stato, di per sé, sull’accertamento dei fatti . In sostanza, la finalità del provvedimento di archiviazione è quella di non consumare inutilmente l’azione penale, e con esso si evita di giungere ad una sentenza che, facendo stato sui fatti, impedisca la eventuale riapertura del procedimento, sicché la parte non può oggi invocare gli esiti del processo penale a suo carico - o le vicende della misura cautelare - come se si trattasse di una assoluzione nel merito . Ciò significa che i giudici d’Appello erano quindi pienamente legittimati a valutare autonomamente il materiale probatorio raccolto nel procedimento penale, materiale ritenuto, peraltro, sufficiente anche in sede penale a dimostrare l’esistenza di una cellula terroristica, e, in relazione a detto fatto, a verificare se il soggetto può ritenersi pericoloso per la sicurezza dello Stato, trattandosi peraltro di una valutazione avente finalità e presupposti diversi da quella volta ad affermare la responsabilità penale, poiché quest’ultima richiede la prova, aldilà di ogni ragionevole dubbio, della commissione di un fatto o più fatti in un determinato luogo e tempo, mentre la valutazione di pericolosità , pur muovendo da elementi di fatto, è essenzialmente un giudizio prognostico . Impossibile, quindi, sostenere, checché ne dica il legale dello straniero, che il Ministero dell’Interno non abbia offerto prova della pericolosità, posto che è stato offerto lo stesso materiale probatorio raccolto ai fini del processo penale, materiale che è stato oggetto di legittima autonoma valutazione dal parte del giudice civile .

Presidente Valitutti – Relatore Russo Ritenuto che Con provvedimento del 4 febbraio 2016 la Commissione nazionale per il diritto di asilo ha revocato la protezione sussidiaria al cittadino Omissis oggi ricorrente, ritenendo la sussistenza del presupposto della pericolosità sociale, desumibile dal suo coinvolgimento in un processo penale per il reato di associazione a delinquere con finalità di terrorismo internazionale e di eversione dell'ordine democratico. Il ricorrente ha impugnato la decisione innanzi al Tribunale di Trieste che, dopo aver ascoltato il richiedente ne accoglieva la domanda annullando il provvedimento di revoca. Il Ministero dell'Interno ha proposto appello che la Corte d'appello di Trieste ha accolto, rilevando che ha errato il primo giudice - così come censurato dal Ministero col motivo d'appello - ad escludere la pericolosità sociale in virtù della sola archiviazione del procedimento penale avviato a suo carico, senza occuparsi dei risultati delle approfondite indagini di polizia protrattesi dal Omissis avente a oggetto anche l'odierno ricorrente. Osserva che alcuni indagati sono stati estromessi dal processo, ma altri sono stati condannati, il che lascia presumere l'esistenza di una cellula terroristica la Corte osserva che la valutazione del patrimonio probatorio in atti rivela una spiccata pericolosità sociale dell'appellato che ha abbracciato una ideologia ispirata a metodi violenti che predica il sovvertimento dello Stato laico in favore di uno stato teocratico di stampo islamista che il comportamento esterno sintomatico della pericolosità emerge dalla contiguità dell'appellato con soggetti dell'organizzazione criminale, personaggi che ha frequentato per quattro anni tanto da far nascere l'ipotesi di arruolarlo, evento non realizzatosi non già per il rifiuto del ricorrente bensì per la sfiducia del capo della cellula a cagione della stretta parentela del ricorrente con un combattente della fazione curda avversa ciò emerge dalle intercettazioni ambientali e da altri elementi di riscontro indicati dal giudice d'appello. La Corte osserva inoltre, quanto al riconoscimento del diritto a un permesso di soggiorno umanitario, che non sono individuabili ragioni connesse all'area di provenienza rispetto alle quali l'appellato si troverebbe in una situazione di particolare debolezza. Osserva che la guerra nel Kurdistan iracheno si è conclusa ufficialmente il Omissis come risulta da notizie di stampa Omissis , Omissis che superano i rapporti COI redatti in data anteriore all'evolversi della situazione nel Kurdistan. Quanto alla dedotta fragilità per motivi di salute, la Corte osserva che egli ha documento una patologia stabilizzata, che non necessita di cure specifiche e sofisticate non erogabili dal sistema sanitario di provenienza infatti emerge che con un tutore ortopedico il ricorrente può deambulare autonomamente mentre la minor forza del braccio non impedisce una vita normale nella maggior parte dei lavori. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'interessato affidandosi a due motivi. Si è costituito con controricorso il Ministero. La causa è stata trattata alla udienza camerale non partecipata del 10 gennaio 2023. Il ricorrente ha depositato memoria. Rilevato Che 1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 16 e 18, l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, la violazione degli artt. 115,116 e 118 c.p.c. , per difetto di motivazione l'erronea ricostruzione del fatto e la fallace analisi degli elementi su cui è fondato il giudizio di pericolosità dell'odierno ricorrente la violazione dell' art. 2697 c.c. , per erronea inversione dell'onere della prova circa la pericolosità dell'odierno ricorrente. Il ricorrente osserva che ha errato la Corte a ritenere che le condotte a lui addebitate pur se insufficienti a integrare la responsabilità penale sarebbero sufficienti a ritenere la pericolosità sociale l'assidua frequentazione di terroristi, il disbrigo di piccoli servigi e la programmazione di un viaggio in Norvegia per dare sostegno all'ideologo del gruppo bene ha fatto invece il Tribunale a osservare che l'archiviazione faceva venire meno quei fondati motivi per ritenere il coinvolgimento nella organizzazione di attività e terrorismo internazionale. La sentenza d'appello poggia su presupposti assolutamente infondati, frutto di omessa ovvero erronea valutazione del materiale probatorio raccolto infatti con il decreto di archiviazione è stata esclusa in radice l'appartenenza del ricorrente alla cellula terroristica di Omissis ed è stata altresì escluso il contatto con sospetti componenti o anche solo simpatizzanti della cellula. Afferma che egli non ha mai finanziato la causa di questa cellula né si è mai voluto recare in Omissis e che sono state anche travisate le dichiarazioni rese durante le intercettazioni osserva che incombeva su controparte l'onere di provare la pericolosità dell'attuale ricorrente, cui non ha minimamente assolto. Il motivo è infondato. Il processo penale a carico del ricorrente si è arrestato con un decreto di archiviazione, provvedimento che di per sé non fa stato sull'accertamento dei fatti, come avviene invece nel caso della sentenza passata in giudicato. Di conseguenza, come da costante insegnamento di questa Corte, il fatto può essere diversamente definito, valutato e qualificato dal giudice civile, dal momento che, a differenza della sentenza, la quale presuppone un processo, il provvedimento di archiviazione ha per presupposto la mancanza di un processo e non dà luogo a preclusioni di alcun genere Cass. n. 3423/2001 Cass., n. 20355/2005 Cass. n. 8888/2007 Cass. n. 8999/2014 Cass. n. 21089/2015 Cass. s.u. n. 14551 del 12/06/2017 Cass. n. 16649 del 04/08/2020 . La finalità del provvedimento di archiviazione è infatti quella di non consumare inutilmente l'azione penale e con esso si evita di giungere ad una sentenza che, facendo stato sui fatti, impedisca la eventuale riapertura del procedimento, sicché la parte non può oggi invocare gli esiti del processo penale a suo carico - o le vicende della misura cautelare - come se si trattasse di una assoluzione nel merito. La Corte d'appello era quindi pienamente legittimata a valutare autonomamente il materiale probatorio raccolto nel procedimento penale - peraltro ritenuto sufficiente anche in sede penale a dimostrare l'esistenza di una cellula terroristica - ed in relazione a detto fatto verificare se il soggetto può ritenersi pericoloso per la sicurezza dello Stato, trattandosi peraltro di una valutazione avente finalità e presupposti diversi da quella volta ad affermare la responsabilità penale, poiché quest'ultima richiede la prova, aldilà di ogni ragionevole dubbio, della commissione di un fatto o più fatti in un determinato luogo e tempo, mentre la valutazione di pericolosità, pur muovendo da elementi di fatto, è essenzialmente un giudizio prognostico. Non risponde quindi a verità che il Ministero non abbia offerto prova della pericolosità, posto che è stato offerto lo stesso materiale probatorio raccolto ai fini del processo penale, che è stato oggetto di legittima autonoma valutazione dal parte del giudice civile, con giudizio di fatto di cui in questa sede non è ammessa la revisione. 2.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell' art. 360 c.p.c. , nn. 3 e 5, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, e del D.Lgs . n. 286 del 1998, art. 5, nonché l'omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, la motivazione apparente o incomprensibile. La parte critica il mancato riconoscimento del diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari e afferma che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice d'appello, esistevano e sussistono seri motivi sia sotto il profilo soggettivo che sotto il profilo oggettivo per tale forma di protezione. Si riferisce in particolare alle informazioni pubblicate nel luglio del 2017 dall'EASO, lamentando che il giudice d'appello le ha ingiustamente disattese sulla base di un generico riferimento alle dichiarazioni rilasciate da un non meglio specificato alto esponente governativo che ha annunciato in conferenza stampa la totale liberazione della zona dalle ultime sacche di resistenza dei miliziani islamici. Deduce che le informazioni EASO invece rivelavano che le persone appartenenti al partito democratico del Kurdistan o comunque simpatizzanti col medesimo, quali il G., e il padre di costui, erano perseguitati dall'unione patriottica del Kurdistan e le persone sospettate di appartenere all'ISIS, tra le quali ingiustamente il ricorrente, venivano perseguitate sequestrate e torturate. Afferma altresì che non risponde al vero che la situazione attuale nel Kurdistan iracheno sia stabile e priva di pericolo in quanto la Farnesina parla di un peggioramento delle condizioni di sicurezza e svariati siti di informazioni dimostrano che l'ISIS è ancora presente e sparge il terrore tra i curdi. Censura in particolare che all'udienza di precisazione delle conclusioni la Corte abbia indicato quali rapporti di riferimento sull'Iraq le informazioni del Omissis pubblicate sul sito EASO, per poi disattenderle ponendo a fondamento della propria decisione una diversa successiva e non ben definita documentazione, omettendo persino di renderla individuabile e affermando l'assenza di pericolosità nel Kurdistan iracheno nonostante in ciò fosse contraddetto da tutti i media. Il motivo è inammissibile. Preliminarmente si rileva che non è in questa sede che possono farsi valere i fatti sopravvenuti dedotti con la memoria depositata ex art. 380 bis c.p.c., né, come sopra si è detto, possono in questa sede rivedersi i giudizi di fatto resi dal giudice del merito, il quale ha dato conto delle ragioni per le quali ha negato il riconoscimento della protezione umanitaria. La parte con coglie adeguatamente le ragioni della decisione del giudice d'appello, il quale non ha disatteso del tutto le informazioni raccolte ed indicate all'udienza di discussione, provenienti da una fonte ufficiale EASO 2017 , ma le ha valutate alle luce degli aggiornamenti rilevati da notizie di stampa sulla cessazione ufficiale del conflitto. Il giudice di merito non ha affermato che la situazione del paese sia del tutto assente da criticità, ma soltanto che la zona è oggi sotto il controllo delle forze governative e che la situazione è priva di rischi specifici per il ricorrente poiché costui non ha mai allegato di essere stato perseguitato per opinioni religiose oltranziste, e ha affermato di condividere la politica del partito al potere nel governo autonomo locale sin dalle dichiarazioni rese nel 2008 ribadite nel 2016 che in ogni caso, l'attuale governo è di matrice laica e riconosce il diritto all'opposizione ideologica. Ciò rende evidente che è stato effettuato un giudizio sulla ricorrenza delle condizioni oggettive e soggettive della protezione umanitaria, ai cui fini peraltro la situazione del paese di origine deve essere messa in comparazione con la eventuale condizione di vulnerabilità del soggetto richiedente e la sua integrazione nel territorio nazionale Cass. s.u. n. 24413 del 09/09/2021 Cass. s.u. n. 29459 del 13/11/2019 . Il giudice del merito con accertamento in fatto non suscettibile di revisione in questa sede - cristallizzato all'epoca della decisione - ha escluso che sussista tale condizione di vulnerabilità, sia per le opinioni professate dal ricorrente e per la sua vicinanza al partito di governo, che per le dedotte condizioni di salute, che non sono tali da richiedere cure particolarmente specialistiche. Ne consegue il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1 , comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.