Decaduta dalla responsabilità genitoriale, madre prova a vedere spesso il figlio: condannata per stalking

Decisivi gli effetti negativi provocati dalla condotta della donna sul ragazzino. A inchiodare la donna è stato anche il fatto che ella abbia ignorato i paletti imposti con una specifica regolamentazione degli incontri tra lei e il figlio.

Condannata per stalking la madre che, decaduta dalla propria responsabilità genitoriale, ha cercato costantemente di vedere il figlio - affidato al Comune e collocato presso una famiglia -, ignorando i paletti imposti con una specifica regolamentazione degli incontri tra lei e il ragazzino. Ricostruita la delicata vicenda, i giudici d’Appello ritengono inequivocabile la condotta tenuta da Tizia e la condannano a dodici mesi di reclusione per gli atti persecutori compiuti in danno del figlio e consistiti in vari episodi di avvicinamento del ragazzino , verificatisi dopo l'emissione del provvedimento del Tribunale per i minorenni che l’aveva dichiarata decaduta dalla responsabilità genitoriale e aveva affidato il ragazzino al Comune di residenza con collocazione presso una famiglia affidataria. In secondo grado, poi, viene anche sancita la condanna della donna a provvedere al risarcimento dei danni subiti dalla persona offesa, costituitasi parte civile, danni liquidati nella somma di 40.000 euro. Per i giudici d’Appello è palese il dolo dello stalking , avendo avuto, la donna, piena consapevolezza dell' effetto destabilizzante delle sue condotte sull’equilibrio mentale del figlio minore , il quale aveva vissuto, difatti, un grave e perdurante stato di ansia, esternato nelle occasioni in cui la madre lo avvicinava inopinatamente e ben poteva misurarne le reazioni . Peraltro, la sussistenza del dolo è confermata anche dal divieto imposto alla donna di avvicinarsi al figlio e alla famiglia a cui lui era stato affidato , misura cautelare, questa, che era poi stata resa più gravosa prima con l'aggiunta del divieto di dimora nel Comune e, poi, con l'imposizione degli arresti domiciliari. Col ricorso in Cassazione, però, il legale che rappresenta la donna prova a fornire una differente chiave di lettura della vicenda. Nello specifico, egli richiama lo specifico e potente substrato affettivo della relazione madre-figlio e l'incidenza della patologia psichiatrica sulle condotte della donna . In questa ottica, poi, il legale sottolinea con forza la natura dei motivi che inducevano la donna ad avvicinarsi al figlio , spiegando che la sua cliente si sentiva investita del dovere di esercitare i suoi atti di controllo sul figlio, non cogliendo il carattere dannoso di queste sue azioni, né percependo alcuna distonia in relazione al proprio agire . A fronte di queste obiezioni, i giudici di Cassazione ritengono palese, come già sostenuto dai giudici d’Appello, la consapevolezza della donna di avere leso la sfera intima del figlio con le proprie condotte invasive di appostamento ed avvicinamento in tempi e luoghi non previsti dalla regolamentazione degli incontri, regolamentazione necessitata dal fatto che la donna era stata dichiarata decaduta dalla responsabilità genitoriale . I magistrati aggiungono poi che, sebbene la donna non avesse mai accennato a gesti di sottrazione del minore mediante la forza , questa era una delle ricorrenti paure del ragazzo, e la insistente ripetizione di tali condotte intrusive a sorpresa, definita dai giudici come reiterazione ossessiva , nonché la diretta percezione delle reazioni del ragazzino, talvolta espresse in forme eclatanti, non può avere lasciato la madre indifferente ed ignara, ad onta del parziale vizio di mente . A questo proposito vengono richiamati i punti salienti di deposizioni testimoniali da cui si evince sia lo stato di turbamento e paura del minore alla vista delle incursioni materne, sia la imperturbabilità della donna, la quale - alle rimostranze di coloro che assistevano agli episodi oggetto del processo - opponeva di volere comunque vedere suo figlio, senza peraltro curarsi di tessere una reciprocità di rapporto o di addurre effettivi motivi di cura e protezione alla base di tali pulsioni . Alla luce di tali elementi fattuali, emerge il chiaro atteggiamento psicologico della donna. Per fare chiarezza, poi, i Giudici precisano che ai fini dell’individuazione del dolo generico del reato di atti persecutori, non assume rilevanza il motivo specifico per il quale la donna intendeva avvicinarsi al figlio, motivo ricollegato anche ad una componente affettiva , poiché ciò che conta nell’apprezzamento della complessiva vicenda, per quanto concerne l’analisi dell'elemento soggettivo del reato, è che la donna abbia reiterato coscientemente le sue condotte e, per quanto obnubilata dall’accertato vizio parziale di mente, abbia apprezzato de visu l'effetto altamente destabilizzante sul figlio minore, senza però farsene carico, così integrando l'elemento psichico del contestato reato di stalking . I Giudici annotano poi, per chiudere il cerchio, che, a fronte della soggettiva certezza della donna della bontà del suo agire , è emersa anche la sua consapevolezza che tale comportamento venga da altri considerato reato e che ad esso corrisponda - quando scoperto - una reazione sociale avversa, ovvero una risposta giudiziaria a cui può seguire una sanzione . Tali notazioni non possono non riflettersi anche al di là del ristretto limite della valutazione della capacità di intendere e di volere ai fini dell'imputabilità della donna, in quanto da essa emerge e trova conferma la piena comprensione , da parte della donna, della illiceità, secondo la generalità dei consociati, delle condotte tenute dalla donna , che è quanto si richiede ai fini della prova della consapevolezza di aver realizzato condotte in danno del figlio minore .

Presidente Tardio – Relatore Liuni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 7/7/2021, la Corte di appello di Milano - giudicando in sede di rinvio della Cassazione Sez. 5, sentenza n. 19326 del 21/1/2021 ha confermato la sentenza del Tribunale in sede del 12/9/2018, così come riformata dalla Corte di appello con sentenza del 17/10/2019, che aveva condannato B.R. alla pena di un anno di reclusione, riconosciuto il vizio parziale di mente e concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti minore età della persona offesa e recidiva , per il reato ex art. 612-bis c.p. in danno del figlio dell’imputata, T.E. , per vari episodi di avvicinamento del ragazzino elencati nel capo di imputazione, effettuati dalla donna dopo l’emissione del provvedimento del Tribunale per i Minorenni che la dichiarava decaduta dalla responsabilità genitoriale ed affidava il figlio al Comune di residenza con collocazione presso una famiglia affidataria. In […] e omissis , da omissis . 1.1. È stata altresì confermata la condanna dell’imputata al risarcimento dei danni subiti dalla persona offesa, costituitasi parte civile, liquidati equitativa-mente nella somma di Euro 40.000,00, con rigetto della richiesta di provvisionale. Infine, è stata applicata la misura di sicurezza del ricovero in una casa di cura e custodia per il periodo di un anno. 1.2. La Corte ha disatteso i motivi di appello in ordine all’affermazione di responsabilità della B. per il contestato delitto, analizzandone specificamente l’elemento soggettivo, come da mandato della sentenza rescindente. Ha ritenuto pienamente sussistente il dolo dell’art. 612- bis c.p., avendo avuto l’imputata piena consapevolezza dell’effetto destabilizzante delle sue condotte sull’equilibrio mentale del figlio minore, il quale - in conseguenza di ciò - aveva concepito un grave e perdurante stato di ansia, esternato nelle occasioni in cui la donna lo avvicinava inopinatamente e ben poteva misurarne le reazioni. Peraltro, la sussistenza del dolo era confermata anche dal divieto imposto all’imputata di avvicinarsi alla persona offesa e alla famiglia affidataria, misura cautelare applicata a far data dal 5/6/2017, aggravata nel 2018 con l’aggiunta del divieto di dimora nel Comune di […] e, infine, con l’imposizione degli arresti domiciliari nel 2019. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputata, avv. omissis , deducendo violazione di legge e vizio di motivazione quanto all’affermazione di responsabilità per il contestato reato. Rileva la ricorrente che l’impugnata sentenza ha sostanzialmente rifiutato di approfondire il tema che era stato indicato dalla sentenza di annullamento di questa Corte, consistente nello scrutinio dell’elemento soggettivo dell’imputata, considerando lo specifico e potente substrato affettivo della relazione madre-figlio e l’incidenza della patologia psichiatrica sulle condotte della B. Infatti, l’affermazione dell’irrilevanza della natura dei motivi che inducevano la donna ad avvicinarsi al figlio è una smentita della verifica richiesta nella sentenza rescindente inoltre, è stata omessa l’analisi dell’incidenza della malattia psichiatrica sull’asserita accettazione del rischio di cagionare, con le condotte in contestazione, le conseguenze negative palesate dalla persona offesa. Si osserva poi che l’impugnata sentenza ha attribuito rilievo alla frase del perito che declamava la consapevolezza dell’imputata che il suo comportamento fosse considerato reato da altri e che ad esso corrispondesse una risposta giudiziaria. Nella sentenza rescindente, al contrario, tale frase era stata giudicata inconferente per scrutinare l’elemento soggettivo del reato in esame. La ricorrente, infine, valorizza l’affermazione del perito espressa alla pag. 32, ove si rileva che la donna si sentiva investita del dovere di esercitare i suoi atti di controllo sul figlio, non cogliendo il carattere dannoso di queste sue azioni, né percependo alcuna distonia in relazione al proprio agire. Considerato in diritto 1. Il ricorso è complessivamente infondato e deve essere respinto. 1.1. Il tema indicato come meritevole di approfondimento dalla sentenza rescindente di questa Corte era quello dell’atteggiamento psicologico della imputata, sul quale la sentenza di primo grado era stata silente e che nemmeno la prima sentenza di appello aveva soddisfacentemente trattato, rendendo insufficienti e tautologiche motivazioni. Pertanto, a fronte di una ragionevole versione alternativa della difesa che valorizzava la natura del rapporto madre/figlio, notoriamente consistente in forme di accudimento e protezione, e della accertata patologia psichiatrica della B. , si richiedeva alla Corte del rinvio di illustrare le ragioni che consentono di superare il ragionevole dubbio circa la sussistenza della volontà dell’imputata di creare nel figlio un perdurante e grave stato d’ansia o di paura o di ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria . 1.2. Ritiene questa Corte che il mandato rescindente sia stato assolto dalla nuova sentenza di appello, anche se sono necessarie alcune precisazioni. Ribadita la natura generica del dolo del reato ex art. 612-bis c.p., la Corte del rinvio ha dato risposta all’esigenza di individuare le basi concrete che fondano la consapevolezza della B. di avere leso la sfera intima del figlio con le sue condotte invasive di appostamento ed avvicinamento in tempi e luoghi non previsti dalla regolamentazione degli incontri, necessitata dal fatto che la donna era stata dichiarata decaduta dalla responsabilità genitoriale. Sebbene l’imputata non avesse mai accennato a gesti di sottrazione del minore mediante la forza, questa era una delle ricorrenti paure del ragazzo, come hanno riportato i testimoni escussi nel processo, e la insistente ripetizione di tali condotte intrusive a sorpresa, definita dai giudici come reiterazione ossessiva , nonché la diretta percezione delle reazioni del ragazzino, talvolta espresse in forme eclatanti come l’episodio narrato dalla teste S.L. , affidataria del minore , non può avere lasciato la madre indifferente ed ignara, ad onta del parziale vizio di mente. La sentenza ha riportato i punti salienti delle deposizioni testimoniali dalle quali si evince sia lo stato di turbamento e paura del minore alla vista delle incursioni materne, sia la imperturbabilità della B. , la quale - alle rimostranze di coloro che assistevano agli episodi in esame opponeva di volere comunque vedere suo figlio, senza peraltro curarsi di tessere una reciprocità di rapporto o di addurre effettivi motivi di cura e protezione alla base di tali pulsioni. Pertanto, illustrati gli elementi fattuali da cui si sono ricavate indicazioni circa l’atteggiamento psicologico dell’imputata, descritti alle pagine 9 e 10 dell’impugnata sentenza, come richiedeva la sentenza rescindente, risulta conseguente e logica l’affermazione per cui, ai fini dell’individuazione del dolo generico del reato di atti persecutori, non assume rilevanza il motivo specifico per il quale l’imputata intendeva avvicinarsi al figlio, che la Corte del rinvio ha ricollegato anche ad una componente affettiva, dovendosi completare il concetto con il rilievo che ciò che conta nell’apprezzamento della complessiva vicenda, per quanto concerne l’analisi dell’elemento soggettivo del reato, è che l’imputata abbia reiterato coscientemente le sue condotte e, per quanto obnubilata dall’accertato vizio parziale di mente, abbia apprezzato de visu l’effetto altamente destabilizzante sul figlio minore, senza però farsene carico, così integrando l’elemento psichico del contestato reato. Invero, pur prendendo atto che la sentenza rescindente ha ritenuto inconferente sull’analisi dell’elemento soggettivo l’osservazione peritale che, nel riportare la soggettiva certezza della B. della bontà del suo agire, aveva parimenti rilevato la consapevolezza dell’imputata che da altri, tale comportamento venga considerato reato e che ad esso corrisponda - quando scoperta una reazione sociale avversa, ovvero una risposta giudiziaria a cui può seguire una sanzione , non ci si può esimere dall’osservare che tale notazione non può non riflettersi anche al di là del ristretto limite della valutazione della capacità di intendere e di volere ai fini dell’imputabilità, in quanto da essa emerge e trova conferma la piena comprensione - ad onta della riscontrata patologia - della illiceità delle condotte integrate dalla donna, secondo la generalità dei consociati, che è quanto si richiede ai fini della prova della consapevolezza di aver integrato condotte in danno del figlio minore, costituente il dolo del reato in esame. Pertanto, il recupero di tale argomentazione da parte della Corte del rinvio non è ulteriore espressione e reiterazione del vizio di legittimità, poiché il giudice del rinvio conserva nel merito piena autonomia di giudizio nella ricostruzione dei dati di fatto e nella valutazione di essi Sez. 1, n. 803 del 10/02/1998, Scuotto, Rv. 210016 , potendo procedere ad un nuovo esame del compendio probatorio con il solo limite di non ripetere i vizi motivazionali del provvedimento annullato Sez. 3, n. 7882 del 10/01/2012, Montali, Rv. 252333 . 2. In conclusione, il ricorso deve essere respinto, con le conseguenze di legge in ordine all’imputazione delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 c.p.p L’imputata va altresì condannata alla rifusione delle spese sopportate dalla costituita parte civile per la presente fase di legittimità, che si liquidano in Euro 1.710, oltre accessori e spese, come da richiesta della difesa, trasmessa in forma digitale. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, altresì, la ricorrente alla rifusione in favore della parte civile T.E. delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio che liquida, come da richiesta, in complessivi Euro 1.710,00, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003, in quanto imposto dalla legge.