Questione giuridica non opinabile? L’avvocato risponde del proprio errore

La responsabilità risarcitoria dell’avvocato risulta correlata al non corretto adempimento della prestazione professionale ed esige un rapporto causale diretto ed immediato tra tale inadempimento ed il danno […].

[…] Questa limitazione, imposta dall' art. 1226 c.c. , si fonda sulla necessità di limitare l'estensione temporale e spaziale degli effetti degli eventi illeciti ed è orientata ad escludere dalla connessione giuridicamente rilevante ogni conseguenza dell'inadempimento che non sia propriamente diretta ed immediata, ovvero che comunque rientri nella serie delle conseguenze normali del fatto, in base ad un giudizio di probabile verificazione. Con la sentenza del 26 aprile 2023, n. 10864, la S.C. ripercorre i principi generali in tema di responsabilità dell'avvocato per negligenza professionale, richiedendo – in particolare – la necessità di un legame tra asserito inadempimento e danno denunciato, pur riconoscendo la possibilità di una condotta di per sé nociva – ove il danno è determinato dalla condanna al pagamento delle spese processuali – nel caso di errata soluzione di una questione giuridica priva di margini di opinabilità. Il caso La vicenda definita con la pronuncia della Cassazione in commento ha origine dall'azione avviata da un decreto ingiuntivo, successivamente opposto, promosso da un legale per il pagamento di una serie di crediti professionali. In particolare, nel giudizio di opposizione, fu accertata una responsabilità del legale per l'errata proposizione, in giudizio, dell'azione di conclusione del contratto e contemporaneamente dell' actio quanti minoris , con riferimento al bene oggetto del contratto preliminare di compravendita questione ritenuta, dal Tribunale ed anche dalla Corte di Appello nel successivo giudizio di gravame, priva di margini di opinabilità”. Tale impostazione è confermata dalla Cassazione, che ritiene che le spese processuali che le parti assistite dall'avvocato sono state chiamate a rifondere costituiscano, in particolare, il danno derivante dalla negligenza professionale del legale stesso, in un caso privo di margini di discussioni o di differenti interpretazioni. L'attività dell'avvocato obbligazioni di mezzi o di risultato? Secondo la S.C., nel provvedimento in esame, nell'esercizio della sua attività di prestazione d'opera professionale, l'avvocato assume, in genere, verso il cliente un'obbligazione di mezzi e non di risultato egli si fa carico non già dell'obbligo di realizzare il risultato peraltro incerto e aleatorio che questi desidera, bensì dell'obbligo di esercitare diligentemente la propria professione, che a quel risultato deve pur sempre essere finalizzata. Pertanto, l'inadempimento del professionista avvocato non può, quindi, essere desunto senz'altro dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua della violazione dei doveri inerenti lo svolgimento dell'attività professionale e, in particolare, al dovere di diligenza. Quest'ultimo, peraltro, trovando applicazione il parametro della diligenza professionale fissato dall' art. 1176, comma 2, c.c. , in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, deve essere commisurato alla natura dell'attività esercitata, sicché la diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento dell'attività professionale in favore del cliente è quella media, cioè la diligenza posta nell'esercizio della propria attività dal professionista di preparazione professionale e di attenzione media. Attività dell'avvocato e scelta della strategia professionale La Cassazione, peraltro, conferma anche il proprio orientamento per il quale la responsabilità professionale dell'avvocato, per violazione del dovere di diligenza esigibile ai sensi dell' art. 1176, comma 2, c.c. come sopra menzionato, discende dall'adozione di mezzi difensivi pregiudizievoli al cliente e non è esclusa né ridotta quando tali modalità siano state sollecitate dal cliente stesso. In altri termini, la scelta di una determinata strategia processuale da parte dell'avvocato è foriera di responsabilità nei confronti del cliente, allorché l'inadeguatezza rispetto al raggiungimento del risultato perseguito da quest'ultimo sia valutata dal giudice di merito ex ante , in relazione alla natura e alle caratteristiche della controversia. Da ciò discende che lo svolgimento di un'attività professionale, da parte dell'avvocato, totalmente inutile, già ex ante pronosticabile come tale, non gli attribuisce alcun diritto al compenso. Omissione, danno e responsabilità dell'avvocato Al tempo stesso – anche in questo caso, in linea con la prevalente giurisprudenza – la Cassazione precisa che la responsabilità dell'avvocato non può affermarsi per il solo fatto del non corretto adempimento dell'attività professionale, occorrendo verificare se, ove il professionista avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando altrimenti la prova del nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, e il risultato derivatone. Responsabilità dell'avvocato e mancato appello In applicazione del principio testè riferito, ad esempio, si è affermato, in ordine alla condotta del legale per non aver comunicato tempestivamente l'esito sfavorevole del giudizio di primo grado - così impedendo la proposizione dell'appello – che la mera critica, senza indicazione dei motivi che avrebbero potuto portare ad un quantomeno probabile accoglimento, implica la mancata allegazione dei fatti costitutivi della domanda risarcitoria, con conseguente rigetto della domanda medesima. Ne consegue che va esclusa la responsabilità dell'avvocato ove il giudice accerti che non sia possibile fare una valutazione prognostica circa il probabile esito dell'azione giudiziale, non intrapresa dal professionista. La responsabilità dell'avvocato in ambito stragiudiziale Qualora, invece l'attività del professionista sia circoscritta alla formulazione di pareri in una specifica materia attività stragiudiziale , l'obbligazione dell'avvocato si sostanzia nel rendere al proprio assistito una informazione completa, adeguata alle richieste del cliente, e aggiornata, anche eventualmente con le pronunce della giurisprudenza di legittimità su tematiche controverse e dibattute in ipotesi di consulenza richiesta per l'adozione di determinate procedure il professionista deve rappresentare al proprio assistito i rischi, anche di carattere sanzionatorio, cui potrebbe essere esposto nel caso in cui non fossero rispettati gli adempimenti formali caratterizzanti le singole procedure.

Fatti di causa 1. R.A. ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 4565-2016 della Corte d'appello di Milano, pubblicata il 12 dicembre 2016. Resistono con controricorso Z.A., Z.F. e Z.W. 2. Il giudizio ebbe inizio con un decreto ingiuntivo reso in data 19 ottobre 2011 dal Tribunale di Milano, sezione distaccata di omissis , intimato nei confronti di Z.A., Z.F. e Z.W. su domanda dell'avvocato R.A. ed avente ad oggetto il pagamento dei compensi professionali, nell'importo di Euro 12.667,98, oltre interessi, inerenti all'attività difensiva svolta in un giudizio civile di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto. Il decreto ingiuntivo fu notificato in data 2 novembre 2011 e opposto dagli intimati con citazione notificata il 12 dicembre 2011, nella quale Z.A., Z.F. e Z.W. proposero anche riconvenzionale per sentir accertare la negligenza ed imperizia con cui aveva agito l'avvocato R. e condannare lo stesso ai danni correlati. Con sentenza del 18 febbraio 2015 il Tribunale di Milano, in parziale accoglimento dell'opposizione proposta da Z.A., Z.F. e Z.W., accertato il parziale inadempimento dell'avvocato R.A., revocò il decreto ingiuntivo emesso in data 19 ottobre 2011, condannò gli opponenti al pagamento in favore del R. della somma di Euro 6.333,99, oltre interessi, e condannò R.A. al risarcimento dei danni subiti da Z.A., Z.F. e Z.W., liquidati per ciascuno nell'importo di Euro 4.140,41, oltre interessi, in sostanza ritenendo l'avvocato responsabile nei limiti delle condanne alle spese processuali sostenute nel giudizio presupposto per effetto della soccombenza. La Corte d'appello ha respinto il gravame interposto dall'avvocato R.A., affermando, in particolare a quanto al primo motivo di appello, con cui veniva dedotta l'inammissibilità dell'opposizione per violazione della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 28, che tale procedura, per costante giurisprudenza, non è applicabile quando la controversia riguardi non soltanto la semplice determinazione della misura del compenso spettante al professionista, bensì anche altri oggetti di accertamento e decisione, essendo nella specie in contestazione non soltanto il quantum, ma anche l'an b quanto al secondo motivo di appello, che comunque l'opposizione di Z.A. e Z.F., notificata il 12 dicembre 2011, era tempestiva rispetto al momento della notificazione del decreto ingiuntivo, agli stessi eseguita nelle forme di cui all' art. 140 c.p.c. , e dunque da ritenersi perfezionata da momento della ricezione della raccomandata, o comunque, trascorsi dieci giorni dalla relativa spedizione c quanto al terzo motivo, che l'avvocato R.A. aveva errato nel risolvere questione giuridica priva di margini di opinabilità , giacché la richiesta di conclusione del contratto di compravendita e contemporaneamente dell' actio quanti minoris, con riferimento al bene oggetto del contratto preliminare di compravendita, che avesse subito danneggiamenti o presentasse vizi o difformità che incidessero sul suo valore, era ineccepibile, ed una semplice ricerca giurisprudenziale ne avrebbe confermato la correttezza e legittimità . 3. Il ricorso è stato deciso in camera di consiglio procedendo nelle forme di cui al D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 applicabile a norma del D.L. 29 dicembre 2022, n. 198, art. 8, comma 8, convertito con modificazioni nella L. 24 febbraio 2023, n. 14 . Il ricorrente ha presentato memoria. Motivi della decisione 1.Il primo motivo del ricorso dell'avvocato R.A. denuncia l'inammissibilità dell'opposizione proposta dagli Z. avverso il decreto ingiuntivo per violazione e falsa applicazione della l. 794 del 1942, art. 28 . Il ricorrente lamenta che il giudice di primo grado avesse omesso di esaminare tale questione, come poi censurato col primo motivo di appello, avendo riguardo al D.Lgs. n. 1 settembre 2011, n. 150, art. 14, che assoggetta al rito sommario di cognizione le controversie previste dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 28, sicché l'opposizione contro il decreto ingiuntivo doveva essere proposta mediante ricorso da depositare entro il termine di quaranta giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo. Tale procedimento, si dice nel primo motivo, trova applicazione anche quando si discute dell'an debeatur . Il secondo motivo del ricorso dell'avvocato R.A. allega la tardività dell'opposizione a decreto ingiuntivo da parte di Z.F. e conseguente esecutorietà dello stesso, con violazione e falsa applicazione dell' art. 641 c.p.c. . Si espone che il decreto ingiuntivo era stato notificato a Z.F. nelle forme dell' art. 140 c.p.c. , con deposito nella casa comunale avvenuto il 2 novembre 2011 e ritiro del plico della raccomandata informativa operato il 5 novembre 2011, giorno da cui sarebbe decorso il termine per l'opposizione, da verificare, secondo il ricorrente, con riguardo al deposito in Cancelleria dell'atto di citazione in opposizione notificato , essendo stata poi iscritta a ruolo solo in data 16 dicembre 2011 . Il terzo motivo di ricorso censura, inoltre, l'erroneità della sentenza della Corte d'appello per violazione degli artt. 1176,2236 e 2697 c.c. . Viene contestata la decisione che ha ravvisato la responsabilità del legale per aver consigliato ai clienti di resistere alle domande proposte dalla loro controparte. Il quarto motivo di ricorso deduce, infine, la violazione degli artt. 1176 e 2697 c.c. Si assume che la prova del corretto e diligente svolgimento del mandato e degli obblighi gravanti sull'Avv. R. è documentale ed emerge dalla semplice lettura degli atti . 2. I controricorrenti chiedono di dichiarare inammissibile o comunque di rigettare il ricorso. 3. Il primo ed il secondo motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente, risultano infondati, nei sensi di cui alla motivazione che segue. 3.1. Deve correggersi la motivazione in diritto della sentenza impugnata, agli effetti dell' art. 384, comma 4, c.p.c. La Corte d'appello di Milano ha, invero, respinto il gravame interposto dall'avvocato R.A., affermando, quanto al primo motivo di appello, con cui veniva dedotta l'inammissibilità dell'opposizione per violazione della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 28, che tale procedura non è applicabile quando la controversia riguardi non soltanto la semplice determinazione della misura del compenso spettante al professionista, bensì anche altri oggetti di accertamento e decisione, essendo nella specie in contestazione non soltanto il quantum, ma anche l'an . 3.1.1. Va al contrario condiviso il principio di diritto enunciato da Cass. sezioni unite 23 febbraio 2018, n. 4485 , secondo il quale la controversia di cui alla l. n. 794 del 1942art. 28, introdotta sia ai sensi dell' art. 702-bis c.p.c. , sia in via monitoria, avente ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze per prestazioni giudiziali dell'avvocato, resta soggetta al rito sommario di cognizione di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14 nella specie, applicabile ratione temporis, trattandosi di procedimento instaurato successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso decreto legislativo, né rilevando le modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 149 , anche quando il cliente sollevi contestazioni relative all'esistenza del rapporto o, in genere, all'an debeatur. Soltanto qualora il convenuto ampli l'oggetto del giudizio con la proposizione di una domanda riconvenzionale, di compensazione o di accertamento pregiudiziale non esorbitante dalla competenza del giudice adito ai sensi dell'art. 14 D.Lgs. cit., la trattazione di quest'ultima dovrà avvenire, ove si presti ad un'istruttoria sommaria, con il rito sommario congiuntamente a quella proposta ex art. 14 dal professionista, fermo, come ha poi affermato Cass. sez. 2, 25 febbraio 2022, n. 6321 , il regime di impugnazione di cui all' art. 702-quater c.p.c. e, in caso contrario, con il rito ordinario a cognizione piena ed eventualmente con un rito speciale a cognizione piena , previa separazione delle domande. 3.2. Alla stregua del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, qui applicabile, è competente l'ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l'avvocato ha prestato la propria opera, il tribunale decide in composizione collegiale e l'ordinanza che definisce il giudizio non è appellabile. 3.3. Doveva avere quindi applicazione in tale procedimento altresì la disciplina di mutamento del rito di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4 . Come infatti chiarito dalle sentenze delle Sezioni Unite civili di questa Corte n. 758 del 12 gennaio 2022 e n. 927 del 13 gennaio 2022, nei procedimenti disciplinati dal D.Lgs. n. 150 del 2011 e quindi pure dall'art. 14 per le controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato , anche di opposizione a decreto ingiuntivo, da introdursi con ricorso ed invece erroneamente promossi con citazione come qui avvenuto , il giudizio è correttamente instaurato ove quest'ultima sia notificata tempestivamente, producendo gli effetti sostanziali e processuali che le sono propri, ferme restando decadenze e preclusioni maturate secondo il rito erroneamente prescelto dalla parte, e tale sanatoria si realizza indipendentemente dalla pronunzia dell'ordinanza di mutamento del rito da parte del giudice, ex D.Lgs. n. 150 cit., art. 4. In particolare, la sentenza n. 758 del 2022 ha evidenziato che la disciplina sul mutamento del rito di cui al d. lgs. n. 150 del 2011, art. 4 non postula una regressione del processo ad una fase anteriore a quella già svoltasi, non serve a valutare la legittimità degli atti di parte e del giudice adottati sino a quel momento alla stregua delle regole del nuovo rito, e neppure costituisce un presupposto per la salvezza dei relativi effetti, i quali si producono in relazione alle norme del rito iniziale, ma indica solo il discrimine temporale tra l'applicazione delle regole del rito iniziale e quelle del rito da seguire nel prosieguo del giudizio, consentendo alle parti di adeguare le difese alle regole del rito da seguire. In tal senso, l'ordinanza di mutamento del rito rivela una valenza costitutiva pro futuro e, a differenza di quanto previsto dagli artt. 426,427 e 439 c.p.c. , in forza dei quali il mutamento del rito può essere disposto anche in grado di appello, la prima udienza di comparizione delle parti nel sistema del d. lgs. n. 150 del 2011, art. 4 costituisce uno sbarramento per il mutamento del rito, conseguendone la stabilizzazione del rito erroneo. Avvertiva la sentenza n. 758 del 2022 che neppure possono sorgere dubbi, in relazione al fenomeno del consolidamento del rito, nel caso in cui il giudice, non provvedendo al mutamento, ometta di rilevare la difformità dell'atto introduttivo dal modello legale astratto, atteso che dalla violazione delle regole sul rito processuale non deriva alcuna nullità, a meno che l'errore non abbia inciso sul contraddittorio o sull'esercizio del diritto di difesa o abbia cagionato un qualsivoglia altro specifico pregiudizio processuale alla parte. 3.4. Da tali principi derivano queste conseguenze. 3.4.1. L'opposizione ex art. 645 c.p.c. avverso il decreto ingiuntivo notificato in data 2 novembre 2011 dall'avvocato R.A. per il pagamento di compensi professionali, ai sensi del combinato disposto della l.n. 794 del 1942, artt. 28, 633 c.p.c. e del D.Lgs. n. 150 del 2011 , 14, proposta da z. z. e Z.W. anziché con ricorso ai sensi dell' art. 702-bis c.p.c. e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14 con citazione notificata il 12 dicembre 2011, era da reputare utilmente esperita, giacché la citazione era stata comunque notificata entro il termine di cui all' art. 641 c.p.c. decorrente dalla notificazione dell'ingiunzione. 3.4.2. L'appello proposto dall'avvocato R.A. avverso la sentenza del 18 febbraio 2015 del Tribunale di Milano era non di meno ammissibile, in quanto, ai fini dell'individuazione del regime impugnatorio del provvedimento che ha deciso una controversia, assume rilevanza la forma adottata dal giudice, ove sia frutto di una consapevole scelta da parte di costui, desumibile dalle modalità con le quali si è in concreto svolto il relativo procedimento, avendo il primo giudice pacificamente - quanto erroneamente - ritenuto la causa sottratta al rito sommario speciale ex D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14 Cass. sez. 6-2, 27 settembre 2021, n. 26083 Cass. sezioni unite 11 gennaio 2011, n. 390 . 3.4.3. Avendo l'avvocato R. con il primo motivo di appello dedotto in modo espresso l'inammissibilità dell'opposizione per violazione della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 28, non rileva decisivamente la difesa mossa dai controricorrenti, secondo cui lo stesso avvocato R. aveva prestato acquiescenza al rito, nelle cui forme si è svolto tutto il giudizio di primo grado , giacché l'acquiescenza è configurabile solo con riguardo al comportamento della parte successivo alla sentenza di primo grado ed anteriore alla proposizione dell'impugnazione. Si è peraltro anche già detto che il riscontro tardivo della erroneità del rito seguito dal giudice di primo grado non può ledere alcun affidamento incolpevole creatosi in capo alla parte sulle modalità con le quali si è in concreto svolto il relativo procedimento, giacché, come precisato nella richiamata sentenza n. 758 del 2022, il doveroso assoggettamento della causa al rito prescritto dal D.Lgs. n. 150 del 2011 opera solo pro futuro. 3.5. Va quindi enunciato il seguente principio il riscontro, in sede di appello, dell'erronea trattazione della causa fin dal momento della sua introduzione con il rito ordinario anziché con il rito ex l.n. 794 del 1942, artt. 28 e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, impone al giudice d'appello unicamente di valutare gli effetti sostanziali e processuali della domanda introduttiva secondo le norme del rito seguito, ormai consolidatosi, avendo dunque riguardo alla data di notifica della citazione, senza spiegare effetti invalidanti sull'attività processuale in precedenza compiuta, né comportare la nullità della sentenza di primo grado o comunque la rimessione al primo giudice ai sensi dell' art. 354 c.p.c. 4. Vanno ora esaminati congiuntamente il terzo ed il quarto motivo di ricorso. 4.1. Il Tribunale di Milano, sezione distaccata di omissis , aveva affermato la responsabilità dell'avvocato R. verso i propri ex clienti e lo aveva condannato al risarcimento dei danni nei limiti delle spese di lite rifuse nel processo presupposto alla controparte R.L. il Tribunale aveva invece reputato dovuta la metà dei compensi, con esclusivo riferimento alla richiesta risarcitoria rivolta nei confronti del danneggiante R.F. La Corte d'appello di Milano, rigettando il gravame in punto di risarcimento dei danni per responsabilità professionale, ha invero sostenuto che l'avvocato R.A. aveva errato nel risolvere questione giuridica priva di margini di opinabilità , giacché la richiesta di conclusione del contratto di compravendita e contemporaneamente dell'actio quanti minoris, con riferimento al bene oggetto del contratto preliminare di compravendita, che avesse subito danneggiamenti o presentasse vizi o difformità che incidessero sul suo valore, era ineccepibile, ed una semplice ricerca giurisprudenziale ne avrebbe confermato la correttezza e legittimità . Ad avviso della Corte di Milano, pertanto, nella relazione processuale per come instaurata tra Z.A., Z.F., Z.W. e R.L. non sussisteva quindi alcuna ragionevole possibilità di successo ed ancora, unica via percorribile, e di fatto percorsa, era quella di chiedere di rivalersi della diminuzione del prezzo al responsabile della produzione del danno, R.F. . 4.2. Il terzo ed il quarto motivo del ricorso dell'avvocato R.A. possono sinteticamente condensarsi in queste considerazioni. Il giudice della causa sulla responsabilità professionale dell'avvocato verso i propri clienti non ha la facoltà o il diritto di intervenire nella scelta processuale operata dal difensore, potendo semplicemente verificare se tale scelta sia stata eseguita con diligenza. La chiamata in causa di R.F. era stata eseguita ed aveva evitato che gli Z. subissero le conseguenze della domanda del R Il giudice di primo grado del processo presupposto aveva posto a carico degli Z. il risarcimento dei danni in favore del R. e ciò rendeva opportuna la proposizione dell'appello, che aveva poi esito favorevole ai clienti dell'avvocato R. perché vittoriosi nei confronti del R L'avvocato R. aveva informato i propri clienti dei rischi di una scelta processuale azzardata ed aveva tentato di dissuaderli dal percorrerla. La diligenza osservata nell'esecuzione dell'incarico difensivo e nell'obbligo di informazione dei clienti sull'iter processuale avrebbe trovato conforto nella semplice lettura degli atti da parte dei giudici del merito. 4.3. Il terzo ed il quarto motivo del ricorso dell'avvocato R.A. sono formulati invocando vizi di violazione di norme di diritto, ma in realtà allegano un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, la quale inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito ed è sottratta al sindacato di legittimità, se non nei limiti consentiti dall' art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5. Non sono quindi sindacabili, sulla base delle proposte censure, gli accertamenti di fatto operati conformemente nei due gradi dai giudici del merito. 4.4. Come già più volte affermato da questa Corte, l'avvocato, nella prestazione dell'attività difensiva, sia questa configurabile come adempimento di un'obbligazione di risultato o di mezzi, è obbligato, a norma dell' art. 1176, comma 2, c.c. , ad usare la diligenza imposta dalla natura dell'attività stessa esercitata la violazione di tale dovere comporta inadempimento contrattuale del quale il professionista è chiamato a rispondere anche per la colpa lieve, salvo che, a norma dell' art. 2236 c.c. , la prestazione dedotta in contratto implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà e, in applicazione del principio di cui all' art. 1460 c.c. , la perdita del diritto al compenso, allorché la negligenza sia stata tale da incidere sugli interessi del cliente ed abbia perciò, sia pur sulla base di criteri necessariamente probabilistici, impedito di conseguire un esito della lite altrimenti ottenibile. E' altrettanto consolidato l'orientamento di questa Corte secondo cui, allorché il cliente deduca, come nella specie, la responsabilità civile del professionista, egli è tenuto a provare di aver sofferto un danno e che questo è stato causato dall'insufficiente o inadeguata attività del professionista. La responsabilità risarcitoria dell'avvocato non può, invero, ravvisarsi per il solo fatto del non corretto adempimento della prestazione professionale, occorrendo verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone cfr. Cass. Sez. 3, 22 giugno 2020, n. 12127 Cass. Sez. 3, 24 ottobre 2017, n. 25112 Cass. Sez. 3, 5 febbraio 2013, n. 2638 Cass. Sez. 3, 10 dicembre 2012, n. 22376 Cass. Sez. 2, 27 maggio 2009, n. 12354 . 4.5. In particolare, in precedenti confacenti alla fattispecie in esame, i quali hanno elaborato principi contrari a quelli posti a fondamento delle censure del ricorrente, si è affermato che a la responsabilità professionale dell'avvocato, per violazione del dovere di diligenza esigibile ai sensi dell'art. 1176, comma 2, discende dall'adozione di mezzi difensivi pregiudizievoli al cliente, e non è esclusa né ridotta quando tali modalità siano state sollecitate dal cliente stesso qui si assume dal ricorrente che i clienti erano stati messi al corrente che quella intrapresa era una scelta processuale azzardata , poiché costituisce compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell'attività professionale Cass. Sez. 3, 20 maggio 2015, n. 10289 b la scelta di una determinata strategia processuale da parte dell'avvocato è foriera di responsabilità nei confronti del cliente allorché l'inadeguatezza rispetto al raggiungimento del risultato perseguito da quest'ultimo sia valutata dal giudice di merito ex ante, in relazione alla natura e alle caratteristiche della controversia e all'interesse del cliente ad affrontarla con i relativi oneri, dovendosi in ogni caso valutare anche il comportamento successivo tenuto dal professionista nel corso della lite Cass. Sez. 3, 22 novembre 2018, n. 30169 c lo svolgimento di un'attività professionale, da parte dell'avvocato, totalmente inutile, già ex ante pronosticabile come tale, non gli attribuisce alcun diritto al compenso Cass. Sez. 6 - 2, 18 febbraio 2022, n. 5440 . 4.6. E' conforme a tali principi la valutazione che la Corte d'appello di Milano ha adottato per riconoscere la negligenza dell'avvocato R. nella inutile difesa opposta alla domanda di R.L. volta alla esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto definitivo e, cumulativamente, alla riduzione del prezzo per vizi della cosa. La Corte d'appello di Milano ha quindi correttamente affermato la responsabilità del professionista, con apprezzamento dei fatti spettante ai giudici del merito e congruamente motivato in rapporto all'inesatto compimento di attività difensive. La sentenza impugnata ha infatti ravvisato la responsabilità risarcitoria dell'avvocato, riconducendo al non corretto adempimento della prestazione professionale l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dai clienti, individuato nell'importo delle spese processuali rimborsate alla controparte. Invero, la responsabilità risarcitoria dell'avvocato correlata al non corretto adempimento della prestazione professionale esige certamente, come detto, un rapporto causale immediato e diretto fra tale inadempimento e danno. Questa limitazione - imposta dall' art. 1223 c.c. - è fondata sulla necessità di limitare l'estensione temporale e spaziale degli effetti degli eventi illeciti ed è orientata, perciò, ad escludere dalla connessione giuridicamente rilevante ogni conseguenza dell'inadempimento che non sia propriamente diretta ed immediata, ovvero che comunque rientri nella serie delle conseguenze normali del fatto, in base ad un giudizio di probabile verificazione rapportato all'apprezzamento dell'uomo di ordinaria diligenza. E' tuttavia compito del giudice di merito accertare la materiale esistenza del rapporto che abbia i suddetti caratteri normativamente richiesti e tale valutazione è insindacabile in sede di legittimità se non nei limiti di cui all' art. 360 comma 1, n. 5, c.p.c. 5. Il ricorso va perciò rigettato ed il ricorrente va condannato a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione nell'importo liquidato in dispositivo. Sussistono i presupposti processuali per il versamento - ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 , comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.